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OrgiaRacconti di Dominazione

Gangbang

By 21 Novembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Paolo, Marco e Lorenzo si erano incontrati di nuovo, dopo quindici anni.
Era dai tempi del liceo che non si vedevano ed avevano fatto quella che potrebbe definirsi un’innocente rimpatriata.
I primi due avevano cambiato scuola, visti gli scarsi risultati ottenuti al liceo scientifico, ed avevano optato per un istituto professionale di cinematografia, mentre il terzo si era diplomato con il massimo dei voti e poi si era laureato in lettere.
Marco e Paolo, unendo la passione per le immagini alla buona attitudine alla tecnologia, lavoravano per il cinema e per la televisione, il primo come operatore, il secondo come tecnico audio e montatore.
Davanti ad una bella pizza, annaffiata con un boccale di birra, avevano scoperto che le loro strade, separatesi ai tempi del liceo, tutto sommato si erano riunite, perché anche Lorenzo, il letterato del gruppo, dopo la laurea, si era messo a lavorare per la televisione, scrivendo soggetti e sceneggiature.
La crisi. Già, tutti parlavano della crisi e, anche loro, negli ultimi tempi, si erano trovati in difficoltà.
Ad un certo punto, Lorenzo l’aveva buttata lì, la parola.
GANGBANG.
‘Sapete cosa significa?’
‘Beh, più o meno ha a che fare con il mondo del porno.’
‘Esatto. Il gangbang è uno stupro di gruppo. Ci sono un sacco di servizi e di filmati, in rete.
Una ragazza giovane, carina, in genere bionda, viene rapita da un gruppo di maschi e violentata più volte, fino a fiaccarne ogni resistenza.
Naturalmente è tutto finto e gli interpreti, inclusa la ragazza, sono attori professionisti.
Alla fine, in genere, per non lasciare dubbi che potrebbero creare problemi con la giustizia, la ragazza, ancora con la faccia impiastrata dallo sperma dell’ultimo pompino, sorride alla telecamera, abbracciata ad i suoi falsi aguzzini, dice che è stato il giorno più bello della sua vita, meglio della prima comunione e chiude facendo ciao ciao con la manina.
Di questi tempi, se vuoi sopravvivere, devi fare anche roba del genere. Sì, lo so, sognavo di scrivere soggetti per film da Oscar, e mi ritrovo a fare ‘sta merda, oltretutto pagata anche malissimo.
Però, ci sarebbe una possibilità.’
Forse dipese dal terzo boccale di birra a cui erano arrivati tutti e tre, insomma andò a finire che Lorenzo fece agli altri due una proposta assurda, e loro, assurdamente, accettarono.
‘C’è un altro mercato, molto più ristretto, dove gira materiale vero, il pubblico è molto più selezionato e disposto a pagare, anche parecchi soldi, per vendere un gangbang reale al 100%.’
‘Ci stai dicendo che vuoi proporci di girare e montare il filmato di un vero stupro di gruppo, in cui la protagonista non è una professionista consenziente, ma una ragazza presa a caso e che subirà tutto contro la sua volontà?’
‘Esattamente, tranne il fatto che la ragazza non verrà presa a caso, ho già per le mani un soggetto che andrà benissimo.’
‘Lorenzo, ma ti rendi conto che c’è da finirci in galera.’
‘E perché? Mica dovete scoparla voi. Dovrete soltanto riprendere la scena e montare tutto, incluso l’audio in presa diretta.
Per evitare di essere riconosciuti, terrete il volto mascherato.’
Nei giorni successivi, Paolo e Marco avevano visionati decine di filmati con scene di gangbang. Anche se non erano convinti, stavano però prendendo in considerazione la faccenda.
‘Certo, ‘sta roba fa proprio schifo, si vede lontano un miglio che è tutto finto.
Guarda il negrone come fa finta di strattonarla.’
‘E vogliamo parlare del montaggio? Nella scena precedente lei era senza slip, ed ora ha di nuovo le mutandine. Prima glie le hanno tolte e poi gliene hanno rimesse? Ma dai!’
Dopo quindici giorni Lorenzo fece avere loro la sceneggiatura. Diciamo che nel suo genere, era molto accurata.
Disse anche quanto avrebbero guadagnato per il lavoro e, a questo punto, i due accettarono.

‘Ma perché ci hai fatto venire in questo schifo di posto’, chiese Paolo.
‘Visto che avete accettato, volevo farvi conoscere la nostra protagonista.’
‘Stai dicendo che verrà qui?’
‘Non proprio, si trova già nel bar.’
Paolo e Marco si guardarono intorno, ma nel locale, un posto buio e mal frequentato, c’erano solo uomini.
‘La cassiera’, suggerì Lorenzo.
Era parzialmente coperta dal bancone e dalla cassa, per cui si riusciva solo a vederne il viso, incorniciato da una capigliatura folta e scura, e un pezzo della maglietta, molto scollata, che lasciava intuire un seno abbondante.
‘Dici che può andare?’, chiese, titubante Marco.
‘E’ perfetta, ti assicuro, la prenderemo domani quando smonta dal lavoro. Alla chiusura lei esce per ultima, insieme al padrone, che chiude le serranda. Poi si dividono, lui prende la sua auto che è parcheggiata di fronte al bar, mentre la ragazza svolta nella via laterale dove è parcheggiata la sua Smart. A quell’ora non c’è nessuno, ci vorrà un attimo.’
Uscirono dal bar e rimasero ad aspettare in macchina.
‘Eccola, è lei. è quella che sta uscendo ora dal locale.’
Alta, mora e formosa, le sue gambe lunghe, arrampicate su dei tacchi altissimi, si muovevano veloci sul marciapiede semibuio. Passò vicino alla loro auto ferma a bordo strada, scuotendo la lunga chioma di capelli neri ed ondulati e sparì dentro una Smart parcheggiata più avanti.
‘Non sembra un agnellino come le biondine che abbiamo visto nei filmati questi giorni.’
‘Affatto, direi piuttosto una pantera. Giovane, forte e sicura di sé. Vedrete che domani vi farà girare un sacco di materiale interessante.
La Smart partì sgommando e loro rimasero in macchina in silenzio, pensando che tra ventiquattro ore l’uscita dal locale della bella mora sarebbe andata in maniera del tutto diversa.

Marco era appostato con la telecamera, mentre Paolo, armato di registratore e microfono direzionale era pronto a registrare le grida della ragazza, quando sarebbe stata aggredita dai tre rapitori.
La scena fu molto rapida. I due romeni assoldati per l’occasione, uscirono di corsa dal furgone e si diressero verso di lei.
Il primo l’afferrò per un braccio e qui accadde il primo evento imprevisto: la pantera doveva avere degli artigli molto efficaci.
La ragazza, con un movimento rapido ed improvviso si abbassò e lo fece volare in aria, mentre il secondo cercava di afferrarla.
Il primo romeno atterrò malamente sul marciapiede sbattendo un ginocchio e poi la faccia, ma all’altro andò anche peggio, perché lei si fece prendere, poi, quando erano a contatto, gli rifilò una tremenda gomitata sul viso.
Paolo si rese conto che fino a quel momento, invece delle grida terrorizzate di una povera ragazza indifesa, aveva registrato le parolacce in romeno di quello a terra, e le urla di dolore dell’altro, rimasto in ginocchio, a cui la pantera aveva spaccato il naso.
A questo punto entrò in scena il terzo. Lorenzo aveva insistito perché nel gruppo ci fosse un africano.
‘Il negrone con il cazzone è un must di questi servizi, non può mancare.’
Il gigantesco nigeriano che avevano assoldato si rivelò prezioso, perché riuscì a prendere la ragazza alle spalle, stringerla e sollevarla di peso.
Ormai la pantera era innocua, con le braccia bloccate e le gambe che scalciavano inutilmente nell’aria, non era più in grado di colpire.
I due romeni si rialzarono bestemmiando, presero una gamba ciascuno della ragazza e lo strano quartetto si infilò nel furgone.
La prima scena era terminata. Marco e Paolo misero via l’attrezzatura, mentre Lorenzo raccoglieva da terra la borsetta della ragazza, poi salirono in macchina seguendo il furgone che si era già avviato. Il set era stato allestito in un vecchio magazzino vuoto, dopo che, due giorni prima, Marco e Paolo vi avevano fatto un sopralluogo
Era di proprietà di un loro conoscente che ci teneva ammonticchiate vecchie scene di film girati anni prima.
Era il luogo ideale perché fornito di energia elettrica, tranquillo e lontano dall’abitato ed in buone condizioni.

La ragazza fece il suo ingresso nell’ambiente predisposto per le riprese.
Le tolsero il cappuccio nero che aveva tenuto per tutto il tragitto, per impedire che potesse in seguito descrivere la strada percorsa.
Si guardò intorno preoccupata, non aveva l’aria terrorizzata, ma aveva perso molta della sua baldanza.
Guardò gli uomini che la circondavano.
I primi due già li conosceva. Uno aveva i pantaloni strappati ed un ginocchio gonfio, mentre l’altro continuava a tamponarsi il naso tumefatto e sanguinante.
Dietro di lei c’era quel negro enorme che, quasi da solo, l’aveva caricata sul furgone. Le stringeva forte le braccia dietro la schiena, tenendole entrambi i polsi con una delle sue manone spropositate.
Ad attendere, dentro quello che le sembrava un capannone in disuso, c’erano due uomini, dall’aspetto sembravano magrebini, erano discretamente sudici e malmessi e il modo con cui guardavano le sue gambe nude e la sua scollatura, non prometteva nulla di buono.
Più lontano, verso la parete di fondo, c’erano altri tre uomini, che, a differenza degli altri, erano vestiti completamente di nero, incluso un passamontagna che lasciava scoperti solo gli occhi e le narici.
Il negro la lasciò libera.
Quello con il naso sanguinante si avvicinò e le mollò uno schiaffone in pieno viso.
La ragazza barcollò, ma rimase ferma.
‘No, che cazzo fai, non sei qui per riempirla di botte’, disse uno dei tre uomini mascherati.
‘Ma mi ha rotto il naso, ‘sta stronza.’
Il negro la prese di nuovo da dietro. Sentì la braccia forti dell’uomo che la sollevavano e le schiacciavano la schiena contro il petto di lui.
I due magrebini si avvicinarono e le alzarono i piedi tenendole le gambe aperte.
Intanto due degli uomini mascherati erano entrati in azione. Uno aveva una grossa telecamera professionale, mentre l’altro impugnava un’asta con un microfono.
‘Fermi, aiuto, cosa volete farmi?’
Paolo, mentre accostava il microfono, avendo cura che non entrasse in campo, pensò che era la prima volta che la donna parlava, da quando l’avevano rapita. Aveva una voce calda, sensuale, leggermente roca, solo appena incrinata dal terrore che cominciava a prenderla.
I magrebini le sollevarono ancora le gambe, ora la ragazza era praticamente in orizzontale, tenuta per le spalle dal negro e per i piedi dagli altri due.
Naso rotto si abbassò e si infilò in mezzo alle gambe aperte della donna.
‘Vedrai che quando avrò finito con te, maledirai il momento che mi hai spaccato il naso.’
Le arrotolò la minigonna fino alla vita, scoprendo un minuscolo slip nero.
Questa volta lei urlò.
Paolo controllò l’indicatore, per fortuna aveva inserito il limitatore, altrimenti il primo grido sarebbe venuto completamente distorto.
Infilò le mani ai lati delle mutandine e tirò verso di sé.
La ragazza gridò di nuovo, più forte, ed iniziò a dibattersi.
Si immobilizzò solo quando vide il coltello.
Due brevi colpi e lo slip, tagliato, planò sul pavimento, seguito dall’obiettivo della telecamera.
‘Sul tavolo, mettetela sul tavolo.’ Ordinò naso rotto.
La sbatterono brutalmente di schiena su un polveroso bancone di legno.
Il negro le tenne le spalle bloccate mentre i magrebini le allargavano completamente le gambe.
Lei ora sembrava stordita, quasi inerte.
Si risvegliò dal torpore solo quando sentì il rumore della lampo che si abbassava.
Naso rotto era di fronte a lei, con i pantaloni aperti ed abbassati e si stava vigorosamente massaggiando il pene, per farlo crescere.
‘Maledetti bastardi, lasciatemi!’
Era spaventata, ma allo stesso tempo furiosa.
I due magrebini faticarono non poco a tenerle ferme le gambe, poi, quando lei cominciò ad essere stanca, naso rotto fece un passo avanti.
Il pene dell’uomo, duro e dritto, era davanti al suo sesso, poteva sentirne la punta solleticarle la pelle ricoperta dal folto ciuffo di peli pubici, ricci e neri.
Lui si divertì un poco, sfiorandole le labbra della vagina, che rimanevano ostentatamente serrate, poi lo impugnò con una mano e lo affondò dentro.
La sensazione fastidiosa della violazione improvvisa e violenta le diede nuova energia.
Cercò di tirarsi indietro, ma lui si accostò ancora al suo ventre, inarcando la schiena in avanti.
Il suo sesso si aprì completamente.
Sentì allentare la presa delle mani sulle sue caviglie, ma non ebbe alcuna reazione.
Naso rotto intanto aveva iniziato a muoversi vigorosamente avanti e indietro.
Si rilassò, non poteva farci nulla, doveva solo lasciarli fare. l’avrebbero violentata per tutta la notte e poi ‘
‘ doveva solo sperare che, alla fine la lasciassero viva.
L’uomo l’afferrò forte per le natiche ed aumentò il ritmo.
Aveva i capelli davanti agli occhi che formavano come una specie di tenda e, attraverso questo schermo, vide il tizio con la telecamera che stava facendo un primo piano del suo viso.
Anche l’altro, quello con il microfono, si era avvicinato per riprendere il suo respiro.
Già, stava respirando rumorosamente, quasi ansimava. Anche se non avrebbe voluto, il suo corpo stava reagendo autonomamente.
Naso rotto venne dentro di lei. Sentì lo sperma che la inondava, e pensò per un attimo ai rischi di un rapporto non protetto, già si dice così, con uno sconosciuto.
Era fuori di lei. Un fiotto di sperma denso, accompagnò l’uscita del pene dal suo corpo, ma fu solo un attimo, perché uno dei due magrebini si sostituì a lui.
Vide il suo pene gonfio, con la cappella arrossata, avvicinarsi alla sua vagina piena di sperma.
Entrò facilmente, nonostante le dimensioni ragguardevoli, mentre l’altro magrebino le sbottonava la camicetta.
‘Belle tettone.’ Disse mentre le strizzava i capezzoli attraverso la stoffa del reggiseno.
Le infilò le mani dietro la schiena e fece saltare i gancetti del reggiseno, poi fece salire le coppe, scoprendole completamente i seni.
Lei spalancò gli occhi e vide bene tutta la scena: il primo la stava scopando mentre il secondo, chino sul suo busto nudo, si stava masturbando.
‘Apri la bocca, troia.’
Lei fece cenno di no con la testa e lui, per tutta risposta le schiacciò i capezzoli tra pollici ed indici.
Spalancò la bocca e rimase ferma, impotente, ad aspettare.
Vennero quasi contemporaneamente, e, mentre il primo le inondava di nuovo la vagina, il secondo si divertiva a centrare con gli schizzi la sua bocca spalancata.
La lasciarono andare per un attimo. Era completamente senza fiato. Si sollevò a sedere sul tavolo, e rimase fissa a guardare in mezzo alle gambe aperte, il suo sesso nuovamente violato, che continuava ad eruttare sperma.
Sputò più volte, ma ormai aveva inghiottito buona parte della roba che le era finita in bocca.
La sdraiarono di nuovo sul tavolo e fu la volta del secondo romeno, non glie lo ficcò subito, prima si divertì a stuzzicarla, toccandola.
Lei gridò quando trovò il clitoride e cominciò a solleticarlo.
Ma non era solo un grido di rabbia e di paura.
Non riusciva a stare ferma, lui continuava e gli altri intorno ridevano e commentavano.
Avrebbe voluto supplicarlo di ficcarglielo subito dentro, perché non resisteva più, mi riuscì a stare zitta.
Quando finalmente si decise a penetrarla, lei lo prese per i fianchi, come per trattenerlo.
Fu un gesto istintivo, di cui si pentì subito e rimase con le braccia distese, adagiate sul tavolo, ad aspettare la fine.
Lui ogni tanto si fermava, lo tirava fuori e riprendeva a stuzzicarla con le dita.
Lei sentiva il respiro che si faceva sempre più forte, ma era come se fosse quello di un’altra persona.
Sentì il piacere che cresceva e si accorse che la telecamera non si stava perdendo nulla dello spettacolo.
Lui lo rimise dentro quando era ormai al limite.
La penetrazione la portò rapidamente all’orgasmo a l’uomo la seguì a ruota.
Il romeno si allontanò zoppicando, dopo esserselo pulito sulla coscia di lei.
Il negro gigantesco fu l’ultimo.
Doveva essere diventata pazza, visto che ora stava pensando che sarebbe stato bello farsi scopare dal cazzo enorme di un negrone.
Si era spogliato completamente, a differenza degli altri che si erano limitati a aprirsi i pantaloni.
Aveva un torace poderoso, nero è luccicante di sudore e, in mezzo alle gambe, un affare enorme.
Avrebbe chiuso in bellezza, con lui.
Già, ma si sarebbero accontentati?
Le aprì le gambe e le sollevò le cosce in verticale.
Capì con orrore le sue intenzioni, quando iniziò a raccogliere con la mano lo sperma fuoriuscito dalla sua vagina in gran quantità.
Cominciò a massaggiarla in mezzo alle chiappe e, ad ogni passaggio si spingeva più in profondità.
‘No questo no, per favore, farò tutto quello che volete, ma non fatemi questo.’
Ora era veramente terrorizzata.
Lui scoppiò a ridere.
‘Tua fica troppo usata, ora deve riposare, intanto provo tuo culetto.’
Lei supplicò, pianse, il tutto accuratamente ripreso in diretta, cercò di alzarsi dal tavolo, provò a scalciare per tenerlo lontano, ma l’uomo era troppo forte per lei.
Quando valutò che fosse abbastanza stanca, le allargò le chiappe con le mani ed iniziò a spingerlo dentro.
Procedeva per piccoli strappi e, ogni volta che entrava un pezzo, lei gridava.
Erano grida di dolore che, mano mano, si facevano più flebili, finché, completamente vinta, si abbandonò.
Si muoveva lentamente, profondo e maestoso, mentre lei, con gli occhi semichiusi e le labbra serrate, subiva inerte.
Le sembrò durare un’eternità, solo alla fine lui aumentò il ritmo e si mise a spingere con più energia
‘Ahi! Basta, per favore, mi ammazzi così!’
‘Non ho mai conosciuto una troia morta per una piccola inculata. Sta’ ferma che sennò ti faccio male.’
Le sembrò che fosse cresciuto ancora, dentro di lei, poi il negro si fermò un attimo, come se volesse riprendere fiato. Lei allora si rilassò leggermente e lui ne approfittò per spingerlo in fondo, con più forza.
Si sentì quasi spaccare, gridò di nuovo, ma lui non se ne curò e riprese a muoversi, questa volta velocemente.
Ora emetteva dei versi gutturali, che le facevano pensare ad un animale selvaggio, poi arrivarono le contrazioni e sentì lo sperma che le invadeva l’ano.
Chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, il negro non c’era più, al suo posto, l’uomo mascherato con la telecamera, stava eseguendo un accurato primo piano in mezzo alle sue gambe.
Sentì una voce che diceva ‘riprendi bene il suo culo sfondato, mi raccomando.’ La fecero alzare dal tavolo.
Barcollò vistosamente quando mise i piedi a terra, ma, nonostante le violenze subite, non sembrava ancora assoggettata completamente.
Le legarono le braccia dietro alla schiena e la spinsero in avanti.
Avanzò lentamente, con i seni nudi, che spuntavano dalla camicetta sbottonata, che oscillavano a causa del suo passo incerto, dovuto sia ai tacchi alti, sia a quanto aveva subito finora.
La stavano indirizzando verso il negro enorme che l’aveva appena sodomizzata ed ora l’aspettava appoggiato al muro.
Il suo corpo scuro, gigantesco e muscoloso, spiccava contro la parete bianca. Il pene enorme, ora afflosciato, sembrava quasi una terza gamba, in mezzo alle sue cosce scolpite dalle fasce muscolari.
Lei provò a fermarsi, ma sentì una mano premerle forte sul sedere, e fu costretta ad avanzare di nuovo.
Ora era di fronte a lui.
Il negro sfoderò un gran sorriso e le poggiò le mani sulle spalle.
‘Giù!’
Era molto forte, non poté far altro che inginocchiarsi di fronte a lui.
Ora la sua bocca era a pochi centimetri da quella specie di proboscide che aveva ripreso a drizzarsi.
‘Succhialo!’
‘No, questo no, non lo farò mai!’
‘Noooo?’
Si sentì sollevare. Il negro l’aveva afferrata per i seni, stringendoli forte nelle sue manone e la costrinse a rimettersi in piedi, poi la strinse a sé schiacciandola contro il suo torace.
Sentì i suoi seni aderire contro la muscolatura poderosa dell’uomo, poi si sentì toccare dietro.
Naso rotto le aprì la lampo della minigonna che così scivolò a terra.
Con la coda dell’occhio lei vide che si era sfilato la cinghia dei pantaloni.
La colpì forte sul sedere e la donna gridò per il dolore.
Non poteva fare nulla per evitare la punizione.
La colpì ancora, molte volte ed ogni volta il dolore aumentava.
I due uomini mascherati, quello con la telecamera e quello con il microfono, erano vicini a lei, intenti a documentare l’evento.
Cominciò a piangere disperatamente, ma il romeno non sembrava intenerito.
‘Basta, basta! Smettetela, lo faccio, vi giuro che lo faccio.’
Ma naso rotto continuava, colpo dopo colpo, anzi, ad un certo punto impugnò la cinghia dalla parte sottile, in modo da colpirla con la pesante fibbia di metallo.
Quando alla fine decise che poteva bastare, il sedere della poveretta era ridotto ad un ammasso di piaghe violacee.
Il negro allentò la presa e la fece scivolare in basso, delicatamente.
Questa volta le labbra della donna si serrarono sulla cappella, enorme e gonfia del pene dell’uomo, che l’afferrò dietro la nuca, per i capelli, per essere sicuro che lei non ci ripensasse.
All’inizio ne guidò i movimenti poi, quando fu certo che avesse imparato il giusto ritmo, la lasciò fare da sola.
Lei continuò, meccanicamente, pensando che non avrebbe potuto sopportare che riprendessero a colpirla con la cinghia, e poi, si stava pure abituando.
Quel coso enorme, duro e caldo, che riempiva la sua bocca, era vivo. Ne poteva sentire le pulsazioni, che si facevano più forti se lo serrava maggiormente tra le labbra.
Si fermò un attimo per riprendere il fiato e lui emise un grugnito di disapprovazione, allora, per farsi perdonare, iniziò a leccarlo.
Capì subito di aver colto nel segno, perché l’uomo la afferrò forte, stringendole le guance con le mani e lo spinse di nuovo dentro, in fondo.
Si sentiva soffocare, la sua bocca era completamente riempita, poi lo sentì come esplodere e un potente getto di sperma le schizzò sul palato.
Schizzò ancora, a poi ancora, la sua bocca e la sua gola erano completamente piene dello sperma dell’uomo, che ora lo aveva tirato fuori e continuava ad irrorarle la faccia.
Solo quando ebbe finito, le piazzò le mani sotto le ascelle e la rimise in piedi.
La telecamera stava riprendendo il suo viso impiastrato di sperma, che le colava lungo il collo e le usciva a fiotti dalla labbra semi aperte.
Un rivolo le scese dall’attaccatura del naso verso la bocca e lei, istintivamente, lo intercettò con la lingua.
‘Ora tocca a loro’, disse il negro, indicando gli altri quattro, che attendevano il loro turno, seduti su una panca, con i pantaloni aperti.
Sollevò prima un piede, poi l’altro, per liberarsi della minigonna, scivolata fino alle caviglie, e si incamminò da sola verso la panca.
Per primo toccò a naso rotto, che, per tutto il tempo, si divertì a pizzicarle le chiappe piagate dalle cinghiate mentre lei se ne stava in ginocchio di fronte a lui.
L’altro romeno, invece, iniziò a toccarla in mezzo alle gambe.
‘Hai la fica bella calda. Ti piace, vero, troia?’, le diceva mentre continuava a toccarla, alla fine le ficcò due dita nel culo ed iniziò a divaricarle, forzandole nuovamente lo sfintere che era stato già duramente provato dal negro.
Lei eseguì tutto con precisione, senza lamentarsi né protestare, ormai era nelle loro mani.
Si sentiva lo sperma dappertutto: in faccia, in bocca, sul collo.
Quella roba densa, dall’odore forte e pungente, continuava a scolare lungo il suo corpo, imbrattandole i seni nudi e la pancia.
Per ultimi vennero i due magrebini. Mentre alternava la bocca tra l’uno e l’altro, pensò che di tutti e cinque erano quelli che, sicuramente, si lavavano di meno, ma non era poi così importante. Vennero contemporaneamente, uno nella sua bocca, l’altro sui suoi seni.
Si alzò in piedi di nuovo e improvvisamente si rese conto di aver bisogno di andare in bagno.
‘Un attimo solo, devo andare in bagno, per favore.’
La risata sguaiata di naso rotto la colpì peggio di una delle sue cinghiate.
‘Non c’è il cesso, qui, troia, dovrai adattarti a farla davanti a noi, non dirmi che ti vergogni?’, e scoppiò di nuovo a ridere.
Così la fece in mezzo alla stanza, a gambe larghe, sotto i loro occhi.
Guardò l’orologio, erano le quattro passate. Quanto tempo sarebbe durato tutto ciò?
‘Vieni qui, poggiati sul tavolo’, le disse brusco naso rotto.
Lei ubbidì.
La costrinse a chinarsi in avanti, fino a poggiare il petto nudo sul ripiano del bancone.
‘Brava, ora allarga le gambe, bene, così.’
Sentì che le legavano le caviglie alle zampe del tavolo, con del filo di ferro.
Rimase piegata in avanti, sapeva benissimo cosa sarebbe accaduto.
Naso rotto fu il primo. Glie lo infilò di colpo, approfittando del fatto che il suo ano era rimasto terribilmente dilatato.
‘Sacco di carbone ti ha sfondato per bene.’
Sopportò pazientemente il dolore che la nuova penetrazione le causava.
Naso rotto spingeva forte e ad ogni colpo il ventre della donna sbatteva contro lo spigolo del bancone.
Dopo di lui vennero gli altri, uno ad uno, e lentamente il fastidio le sembrò diminuire.
Tra un po’ avrebbe fatto giorno, se ne sarebbero andati, l’avrebbero lasciata libera.
Per ultimo toccò al negro. Già, l’aveva dimenticato.
Terrorizzata, cercò di tirarsi su e di chiudere le gambe, ma riuscì soltanto a scorticarsi le caviglie con il filo di ferro.
‘Giù, stai giù’, le sussurrò in un orecchio il gigante, mentre la costringeva a poggiare di nuovo i seni sul tavolo.
Le uscì dalla gola solo un grido strozzato, quando lo ficcò dentro.
La struttura del tavolo cigolava, sotto le spinte possenti dell’uomo.
è l’ultima, pensò lei, mi inculerà per l’ultima volta, devo resistere, poi sarò libera.
Le venne dentro con un’ultima spinta, più forte delle altre.
Sentì che le stavano allentando il filo di ferro che le bloccava le caviglie, capì che era finita e si rimise in piedi, o almeno ci provò.
Le si piegarono le ginocchia e il negro la dovette sostenere da dietro.
‘Su, su, che manca solo il gran finale,’
No, non era ancora finita, che altro volevano farle ancora?
Le ordinò di spogliarsi completamente e lei si liberò della camicetta e del reggiseno, per ultimo si tolse le scarpe.
Naso rotto dopo essersi spogliato anche lui, si era sdraiato sul bancone.
Si teneva il pene dritto, con una mano ed aspettava.
Il negro la prese di peso e la poggiò delicatamente, di schiena sopra l’uomo sdraiato.
La fece scendere piano e lei ebbe tutto il tempo per sentire il pene che le allargava le natiche per poi entrarle dentro.
Il negro le allargò le cosce e la penetrò davanti.
Uno dei due magrebini salì sul tavolo e si mise a cavalcioni della donna.
‘Su apri la bocca e succhia.’
Lei ubbidì.
Poi si sentì allargare le braccia. Glie altri due glie lo misero in mano e lei strinse le dita.
Ecco cos’era il gran finale: tutti e cinque contemporaneamente.
Cominciarono a muoversi lentamente, cercando di trovare lo stesso ritmo, e lei iniziò a muovere le mani in su ed in giù, alla stessa velocità, mentre i due con il passamontagna riprendevano l’ultima scena.
Non riusciva a vedere il terzo di loro.

Lorenzo si era allontanato, era dall’altra parte del magazzino e stava esaminando il contenuto della borsetta della ragazza.
Cellulare, portafogli, un pacchetto di assorbenti, portadocumenti.
Vediamo un po’ ‘ si chiama Rosalia, è nata in Sicilia, ha trentasei anni. Però se li porta bene.
Poi sentì qualcosa di duro, tra la fodera e la pelle della borsa.
Da qualche parte doveva esserci uno strappo. No, c’era un’apertura fatta apposta, i cui lembi erano chiusi con il velcro.
Tirò fuori un tesserino e gli prese un accidente.
Scattò in piedi e corse dagli altri sbandierando il tesserino.
‘Fermi! Lasciatela subito, è un …’

Proprio in quel momento la porta posteriore del magazzino schizzò verso l’interno, seminando calcinacci e schegge di legno.
Subito dopo, il portone principale a due ante, situato sulla parete opposta, fece la stessa fine.
Una quindicina di uomini armati e vestiti di nero fecero irruzione.
Due di loro afferrarono il negro per le spalle e lo allontanarono dalla donna.
Fece resistenza solo per un attimo, perché bastò poggiargli la canna di una mitraglietta sulla tempia, perché lui si immobilizzasse.
La donna aprì le mani mollando la presa, mentre qualcuno le toglieva da sopra il magrebino che proprio in quel momento aveva iniziato a svuotare lo sperma nella bocca di lei.
In pochi secondi smontarono la strana composizione, aiutarono la donna a rimettersi in piedi e le misero addosso un giaccone, nel tentativo di coprirla.
Solo naso rotto era rimasto sdraiato sul tavolo, come inebetito, con il cazzo ancora dritto, incapace di capire cosa stesse succedendo.
La ragazza, prima di accasciarsi contro il petto di uno dei soccorritori, tirò un pugno sui testicoli di naso rotto, che rispose con un grido di dolore strozzato.
Lorenzo era rimasto come paralizzato, con le mani in alto.
Le sue dita si aprirono ed il tesserino che stringeva planò sul pavimento, mentre i nuovi arrivati iniziavano ad ammanettare i presenti.
Porse docilmente i polsi e diede un ultimo sguardo a quel rettangolino di plastica, dove era scritto che la loro preda era un capitano dei Carabinieri.

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