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Racconti di Dominazione

La Cagna cap. 1

By 1 Dicembre 2021No Comments

La cagna era nella sua cuccia che si leccava il corpo. Con la zampa davanti spingeva le sue grandi e morbide tette verso la lingua e si leccava, era pulizia, ma anche piacere, soprattutto quando si soffermava sui grossi capezzoli. Poi, con una bella contorsione, raggiunse anche la sua fica e si diede due lunghe slinguate, la pulizia intima la fece fremere di piacere. Imparare ad eseguire quest’ultima acrobazia le era costata ore ed ore di duro lavoro e tante frustate.
La cagna si chiamava Aurora ed era una quarantenne, il suo Padrone aveva cancellato il suo nome, la chiamava semplicemente Fuffy. Primo passaggio per farla diventare una bestia bestia.
Era una cagna di taglia grossa, una bella cagna con zampe ben sviluppate, un corpo tornito e forte, un petto molto generoso, il pelo bianco e rasato, un culo che ondeggiava deliziosamente quando sculettava per la casa, un visetto garbato con una bella e piccola boccuccia. Il Padrone le aveva rasato i capelli biondi sui lati e ora aveva il resto della testa con capelli corti e un bel ciuffo che le cadeva in avanti verso la fronte.
Era diventata una cagna da solo quattro mesi, ma ormai era ben addestrata. Aveva iniziato al principio dell’autunno ed ora eravamo in inverno. Fuffy aveva una buona predisposizione per diventare una cagna di razza e il suo Padrone l’aveva educata severamente.
Fuffy viveva in una stanzetta della casa del suo Padrone, con una porta che rimaneva quasi sempre aperta verso il resto della casa di campagna e uno sportello, alto un metro e largo mezzo, che si apriva e si richiudeva con una molla sul giardino. Alla cagna bastava spingere lo sportello col muso o con una spalla, quello si apriva ed era in giardino. Dopo il suo passaggio si richiudeva, viceversa quando rientrava. Il Padrone chiudeva la porta solo quando aveva ospiti, ma non sempre, dipendeva dagli ospiti. Nella stanzetta, la cagna, aveva la sua cuccia, le sue ciotole per bere e mangiare e tanti altri giochini. Per i suoi bisogni andava fuori.
In quel momento sentì che il portoncino di casa si apriva e si precipitò fuori dalla cuccia e dalla stanza correndo rapida verso il suo Padrone.
Rimase delusa, non era il suo Padrone, ma la sua serva che rientrava con alcune buste della spesa. La serva non piaceva a Fuffy, ma le buste la incuriosivano e si avvicinò fiutando, per sentire se in quelle c’era qualcosa di buono per lei.
La serva, senza tanti complimenti, le disse – levati di torno, che ho un sacco di cose da fare prima che rientri il Padrone. – Marta era serva e schiava del padrone già da qualche mese prima che arrivasse Fuffy. Quando la cagna era arrivata la schiava era stata completamente addestrata, anche se c’erano ancora molti dettagli in via di perfezionamento.
Fuffy, offesa, ma con dignità, sculettò verso il suo box e da lì uscì in giardino sdraiandosi sull’erba, al sole nell’aria frizzante, riprese a leccarsi. Marta era solo una serva, non valeva la pena prenderla in considerazione. Certo era anche la schiava del Padrone che la usava quando e come voleva e questo la rendeva un po’ gelosa, ma Fuffy sapeva che occupava nel cuore del suo padrone un posto importante. In fondo Marta era anche la sua serva anche se si dava delle arie e pretendeva di comandarla.

L’inizio per Fuffy era stato tormentato. Voleva diventare una cagna, ma aveva molte remore e paure. Il padrone, Ugo, un sessantenne, apparentemente distinto e normale, aveva sudato sette camicie a convincerla che doveva sperimentare e riuscì a persuaderla solo dopo molto tempo, ma una volta che Aurora si mise a quattro zampe, al suo cospetto, diventò una cagna straordinaria. Diventò immediatamente Fuffy e recepì rapidamente la maggior parte degli insegnamenti, certo, all’inizio ci furono delle punizioni, ma Fuffy le accettò, così come accettò felice le coccole e le carezze del Padrone. Molte cose che il Padrone aveva preteso da lei non erano semplici, altre non le piacevano, ma le punizioni furono severe e lei imparò a comportarsi come lui voleva.
Quando lui l’accarezzava lei quasi faceva le fusa come un gatto, ma era molto più rumorosa di un gatto – ron, ron, ron. – E diventava calda ed eccitata come una cagna in calore. Tanto eccitata che si bagnava e a volte perdeva qualche goccia di pipì.

Il Padrone arrivò mezzora più tardi e Fuffy scattò di nuovo per andargli incontro. Si sollevò sulle zampe davanti che gli piazzò sulle ginocchia e gli fece festa. Il Padrone si chinò su di lei e la grattò dietro le orecchie, Fuffy scodinzolò contenta, poi lui le passò una mano tra le zampe e l’accarezzò sulle tette. Si inginocchiò accanto a lei e l’accarezzò sulla schiena, ancora sulle tette e strizzò dolcemente i capezzoli della cagna che rizzarono e Fuffy si bagnò, cominciò a strusciarsi sulle gambe del Padrone che continuò ad accarezzarla sulle cosce formose e bianche come il latte e sul culo maestoso e immenso. – Sei proprio una bella cagna – le diceva lui, – proprio bella. Ora ti darò qualcosa di buono da mangiare. –
Il Padrone andò verso il suo box e lei gli corse dietro scodinzolando. Alla parete del box c’erano dei pensili, il Padrone prese un sacchetto di crocchette, le preferite di Fuffy, e le versò nella ciotola della cagna, poi si allontanò. Fuffy era molto vorace e le divorò rapidamente, poi assetata passò all’altra ciotola, quella dell’acqua, e lappò a lungo facendo schizzare acqua di qua e di là, Marta avrebbe pulito anche se minacciava sempre di lasciarla ne suo schifoso box senza neanche darle da mangiare.
Quando terminò andò a cercare il suo Padrone, sapeva che in attesa del pranzo lui, di solito, si trovava in salotto, seduto nella sua poltrona preferita a leggere i giornali o un libro.
Era lì. Con più calma e meno impeto andò a strusciarsi ancora sulle sue gambe. Il padrone, continuando a leggere, si levò le scarpe. Fuffy le annusò con piacere, poi le prese in bocca e le portò via, qualche attimo dopo ritornò con le sue pantofole che poggiò vicino ai piedi nudi del Padrone e lì si distese. Il Padrone poggiò un piede nudo sul fianco della sua cagna accarezzandola con l’estremità. Fuffy sapeva quello che voleva e dopo poco si rivoltava a pancia in su e il Padrone l’accarezzava sul petto smuovendo il seno immenso e insinuandosi tra le grosse tette, quando sentiva i capezzoli belli ritti passava alla pancia, teneramente tremolante, quindi arrivava ancora più giù, sui genitali. A quel punto Fuffy spingeva in su cercando il piede del Padrone, quasi lo catturava e lo stringeva tra le cosce. Il Padrone la lasciava fare e Fuffy era felice sentendo quel piede sul clitoride e tra le grandi labbra. Il Padrone le mise l’altro piede sul viso e Fuffy l’annusò e lo leccò, poi lo prese tra le labbra ciucciandolo il grosso alluce.
Marta preparava la tavola lì di lato e chiedeva al Padrone cosa volesse bere. Marta gli servì un frizzantino bianco e freddo, indispettita osservò, e non era la prima volta che lo faceva, – questa cagna è sempre in calore. – Il padrone sorseggiò il suo vino e spinse il piede un po’ più a fondo apparentemente ignorando la gelosia rabbiosa della sua serva, mentalmente prese però nota che doveva punirla. Fuffy, intanto, che non si faceva distrarre dalle sciocchezze di Marta, succhiava e si strofinava latrando gratificata di quelle attenzioni, ad un tratto iniziò a vibrare come un’epilettica mugolando con un latrato intermittente basso e soddisfatto. Piano piano vibrazioni e latrato si spensero e Fuffy si distese appagata.

Durante il pranzo che Marta servì al Padrone, la cagna, per tutto il tempo, stette accanto a lui seduta elemosinando qualche bocconcino. Ogni tanto spingeva con il naso sulla coscia del Padrone richiedendo attenzione e ogni tanto lui le dava qualche bocconcino che la cagna prendeva dalle sue mani, ogni tanto il padrone le dava una grattata dietro le orecchie e qualche buffetto sul muso. Terminato il pranzo, la cagna si ritirava nel suo box mentre Marta sparecchiava e si prendeva qualche carezza sull’importante deretano o sulle grosse tette.
Quel giorno il Padrone le diede una bella strizzata ai capezzoli facendola muggire dal dolore. Era la punizione per quello che aveva detto prima della cagna, Fuffy se la rise sotto i baffi.

Nel tardo pomeriggio Marta andò a prendere la cagna, le mise collare e guinzaglio, delle ginocchiere alte fine a metà coscia e metà polpaccio, dei pedalini alle zampe e dei guanti senza dita alti fino al gomito, un robusto corpetto, anch’esso di cuoio che le proteggeva gran parte del corpo e spingeva in fuori le grandi tette della cagna. A volte il Padrone copriva quelle tette con un reggiseno di cuoio e applicava anche dei paraocchi, addobbava così la sua cagna quando era lui a portarla in giro e si addentrava nel sottobosco. Ci volle più di un quarto d’ora per completare l’operazione. Quel lavoro a Marta non era gradito per niente, ma ubbidiva, era uno dei suoi compiti giornalieri. Quel lavoro era necessario perché la serva stava per portare la cagna a fare un giro nel bosco e mentre la cagna non aveva bisogno di tutti quegli accessori quando si muoveva in casa o nel giardino, ne aveva invece bisogno quando si avventurava nei sentieri del bosco che circondava la casa di campagna. Marta esasperata per quel lavoraccio strattonò il guinzaglio e furono fuori casa. Fuffy sapeva che la serva non gradiva portarla in giro, ma non le importava, era felice di uscire e farsi un giro per i boschi, anche se era freddo e il giorno prima aveva piovuto. Uscirono da un cancelletto che dava sul bosco e Fuffy volle prendere un sentiero in salita sulla destra, strattonò per quella via e la imboccò. Stavolta fu Marta che si fece condurre dove voleva la cagna. A lei quel sentiero non piaceva, era in salita e molto fangoso, ma non aveva voglia di combattere con la cagna, su quel punto gliela dava quasi sempre vinta. La cagna tirava ed era forte, la serva l’avrebbe avuta vinta se avesse insistito e usato il guinzaglio come frusta, ma non voleva sprecare energie. La serva indossava stivali comodi e alti e un giaccone pesante e caldo, quindi lasciò che la cagna andasse dove voleva. Anzi, dopo dieci metri nel sentiero, le levò il guinzaglio e lasciò che andasse dove le pareva e si sedette su un masso ad aspettarla.
La cagna balzò felice in avanti e corse su e giù, annusando e rotolandosi nel fango, felice di quella libertà. La serva la guardava inorridita, grandissima troia pensava, dopo dovrò pulire tutti i tuoi accessori e farti una doccia prima di rientrare in casa e ti dovrò anche asciugare.
Per un’oretta Fuffy corse avanti ed indietro entrando nelle pozzanghere e riducendosi ad uno stato animale. Poi, stanca e con la lingua di fuori ritornò da Marta, si fece mettere il guinzaglio e riportare a casa. Nel giardino c’era una doccia all’aperto con acqua calda fornita dai pannelli solari. La serva le levò tutti gli accessori che mise da parte per lavarli successivamente e mise la cagna sotto il getto della pompa che teneva in mano, una prima sciacquata servì a levare tutto il fango che la cagna aveva addosso, poi mentre l’acqua marrone defluiva, la serva prese una spugna e del sapone e lavò rudemente la cagna.
Il Padrone aveva raccomandato di lavare bene le tette e i genitali della cagna e Marta eseguì con solerzia. Lavare la cagna con la spugna non le dispiaceva, si soffermò sulle grandi tette e le diede anche una strizzata per farla stare ferma e poi le diede una bella ripassata a fica e culo. Non trascurò cosce e zampe e le pulì il viso. La cagna si faceva fare, ormai era routine e non le interessava se la serva era impaziente e rude, era la sua serva e lei si godeva l’acqua calda e le carezze anche molto intime. All’inizio si era vergognata di quei toccamenti e aveva cercato di sottrarsi, il Padrone l’aveva punita e lei piano piano si era abituata, prima era diventato routine e poi anche piacere.
Infine, la serva l’asciugò vigorosamente con un ruvido asciugamano, fu un lavoro meticoloso, le mani della serva andarono sotto le pieghe delle tette e strofinarono bene e poi sui genitali della cagna e anche lì si fecero sentire. Quando quel lavoro terminò la cagna rientrò per lo sportello del giardino nel suo box mentre la serva si diede da fare a pulire i suoi accessori, stenderli e rimettere tutto in ordine. Vita da serva e vita da cagna.

Il Padrone la mattina incontrava gente e faceva delle commissioni, il pomeriggio invece lavorava in casa, a volte la cagna si distendeva ai suoi piedi per tenergli compagnia, ma senza disturbare, di tanto in tanto il Padrone si chinava su di lei per una carezza.
Poi cenava, Marta la sera serviva la cena nuda ed il Padrone l’accarezzava distrattamente, qualche volta le ordinava di andare sotto il tavolo per un pompino, la cagna osservava con la lingua di fuori. Raramente il Padrone permetteva a Marta di arrivare in fondo, se succedeva la schiava non doveva perdere una goccia, ma di norma, il Padrone dopo cena, si spogliava e si sdraiava sul tappeto del salotto dove si faceva leccare dalla sua cagna, prima sul davanti e poi di dietro. Appena il Padrone iniziava a spogliarsi la cagna iniziava ad uggiolare e a muoversi freneticamente sempre più eccitata. Appena il Padrone si sdraiava, Fuffy si avventava su di lui e iniziava a sbavare e a sentire i suoi odori che la facevano impazzire, metteva il naso sotto le ascelle, vicino ai genitali, ma non osava toccarli. Poi iniziava a leccare senza tralasciare un centimetro del corpo del Padrone, dovunque, tranne il cazzo, quello non le era permesso se non su esplicito ordine del Padrone e lei, nonostante lo desiderasse più di ogni altra cosa al mondo, aveva imparato a sue spese, con dure punizioni, che non le era permesso, ma tutto il resto, palle comprese, era da leccare e la cagna leccava e mordicchiava, scendendo sulle cosce e poi sui piedi le cui dita leccava doviziosamente una ad una.
Quando il Padrone si girava sulla pancia la cagna ricominciava a partire dal collo, scendendo sulle spalle, poi sulla schiena fino ad arrivare sulle natiche del Padrone che mordicchiava deliziosamente. Il Padrone, se non ce lo avesse avuto già ritto, a quel punto sicuramente rizzava e Fuffy continuava prima sentendo gli odori del suo culetto e poi penetrandolo con la lingua andando più a fondo possibile, Per Fuffy non era stato facile prendersi cura del buchetto posteriore del Padrone, ma poi, sentendo il Padrone vibrare dal piacere per il suo lavoro di lingua, era piaciuto anche a lei ed ora non mancava mai di fargli sentire quanto deliziosa fosse la sua lingua.
Una lingua, inizialmente corta, ma che a furia di esercitarsi si era allungata ed ora penetrava molto a fondo. Il Padrone la incoraggiava e lei si sentiva gratificata. – Brava cagna, infila quella lingua più a fondo… – E Fuffy non si faceva pregare.
Infine, il Padrone si rigirava nuovamente sulle spalle e presentava il suo pene dritto ed eretto. Marta che era rimasta sempre lì vicino sapeva qual era il suo compito. Si metteva a cavalcioni del Padrone e si impalava sull’attrezzo scacciando la cagna. Quello era il suo strumento e quello era il suo lavoro. Il padrone era un duro, e permetteva alla sua schiava di venire più volte prima di godere anche lui, prima però il Padrone la prendeva per le tette e la faceva chinare su di lui, quando le grandi tette arrivavano a portata della sua bocca le mordeva e le masticava. Il seno di Marta era tutto segnato dai morsi, ma la schiava non si lamentava, sapeva che quello per il Padrone era un piacere supremo e che era suo dovere soddisfarlo. Lo aveva imparato a suon di scudisciate e da allora non aveva più protestato. Incredibilmente si stava abituando a quel trattamento e ci provava anche piacere.
Fuffy, sebbene allontanata, rimaneva lì con la lingua di fuori, sempre più eccitata e sempre più con la bava alla bocca. Quando il Padrone veniva e Marta si scansava dal palo ormai semieretto, la cagna andava a leccare lo sperma del Padrone e finalmente poteva prenderglielo in bocca per ripulirlo. Non era raro, e questo per Fuffy era motivo di grande orgoglio, che facesse rizzare ancora il Padrone e lavorandoselo con abilità innata lo riportasse a godere, inghiottendo avidamente tutto quello che lui emetteva.
Quasi sempre il Padrone, per ricompensarla del servizio, allungava una mano tra le sue zampe posteriori e le dava sollievo facendola gemere ed uggiolare. La cagna lo voleva dentro, ma era una cagna. Prima o poi sarebbe successo, si consolava la cagna, nel frattempo il Padrone le dava piacere in tanti modi diversi e la teneva sulla corda.
Per ora Fuffy si accontentava di leccarlo, prenderlo in bocca, odorarlo e pulirlo. Quel cazzo la faceva impazzire e sognava il giorno in cui l’avrebbe sfondata.

Fuffy sognava e regrediva allo stato animale, apprezzava il sentirsi cagna, il suo odore sempre più selvaggio, la sua natura selvatica, la sua mancanza di responsabilità. I suoi bisogni erano sempre più elementari. Ormai mangiava, dormiva, faceva i suoi bisogni all’aperto e si strusciava sul padrone. Le bastavano le coccole del Padrone, poterlo soddisfare, poter andare in giro nel giardino e nel bosco dove si sentiva libera e ruzzolava nel fango con piacere. Continuava a capire il linguaggio degli umani, ma ormai non parlava più. Si sentiva in ottima forma, come non mai. Le piaceva il suo corpo, le sue tette e le sue cosce. C’erano state delle sottili modificazioni, le tette erano già belle grosse e si erano ingrossate ancora di più, a volte si piegava sulle zampe davanti facendole strusciare sul pavimento o sul terreno e ne traeva piacere. Le cosce invece erano rimaste tornite, ma si erano sviluppati dei muscoli che la rendevano più agile e scattante. Le mancavano, al momento solo due cose, che il suo Padrone se la fottesse e i suoi simili. Non conosceva altri cani come lei, mezzi cani e mezzi umani. Ma, anche per quello, anche se lei non lo sapeva ancora, non mancava molto. Poi la sua vita sarebbe stata piena e felice, come da donna non lo era mai stata.

Per chi mi vuole scrivere in privato: Koss99@hotmail.it
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Qui pubblico solo anteprime. I miei racconti completi sono pubblicati su:
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