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Racconti di Dominazione

La storia di G

By 5 Ottobre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

La storia di G

– I

Qualcuno una volta ha detto che la vita &egrave un susseguirsi di cicli e
circostanze, che in pratica, prima o poi, dobbiamo sempre fare i
conti con il nostro passato. Questo &egrave quello che mi &egrave successo.
La prima volta che l’ho vista avevo all’incirca 6 anni. Eravamo due
bambini che giocavano sulla spiaggia, e ci siamo conosciuti giocando
con formine e secchielli. Le nostre famiglie si conobbero in quella
occasione. Ci si incontrava tutte le estati al mare e, proveniendo
entrambe dalla stessa città, qualche volta anche in inverno, magari
per i nostri reciproci compleanni. In pratica siamo cresciuti quasi
insieme e sicuramente l’estate la si passava a giocare o ad andare in
bici lungo i viali della cittadina balneare. Crescemmo insieme,
additati spesso come due fidanzatini, ed io, forse per gioco o forse
no, cominciai a farmi l’idea che forse era davvero la mia fidanzatina.
Passarono gli anni, la nostra affettuosa amicizia cominciava a
scontrarsi con l’avanzare della pubertà che imprimeva nei nostri
animi, qualcosa di nuovo e sconosciuto. Lei cominciò a farsi più
civettuola mentre io, dato che siamo coetanei, non capivo a fondo
questa sua trasformazione. Per me lei era la mia fidanzatina, nel
senso più puro ed ingenuo che un ragazzo di 13 anni in quel tempo
(eravamo agli inizi degli anni 70) poteva pensare. certo la mia
provenienza da una famiglia con solide radici cattoliche, sicuramente
non aveva contribuito a farmi consapevole di quello che succede ai
ragazzi che diventano uomini. Difatti un pomeriggio di quella estate
arrivò a trovarmi un mio cugino di due anni più grande.

L’arrivo di mio cugino fu un fulmine a ciel sereno su tutti i miei
sogni. Lui, essendo più grande di noi, catturò immediatamente
l’attenzione di G. Io inizialmente non mi resi conto di cosa stava
succedendo, fino a quando, un pomeriggio piovoso, sparirono
d’improvviso dalla circolazione. Quando si ripresentarono, qualche ora
più tardi, capii tutto. E’ stato uno dei momenti più brutti della mia
vita. Tutto quello che avevo sognato di essere e fare con G, era
crollato in un istante. Ne rimasi talmente traumatizzato che mi fa
male a riparlarne ancora adesso. Ero furibondo con lei, non con mio
cugino. Era lei che aveva tradito la mia fiducia, era lei che aveva
distrutto i miei sogni. Fu lì che giurai a me stesso che prima o poi
gliela avrei fatta pagare.
Da quel giorno cercai di non vederla, di evitarla in tutti i modi.
Anche lei d’altronde capì di aver rotto qualcosa, ma non fece nulla
per cercare perlomeno di riavvicinarmi. Al quel tempo, probabilmente,
per lei ero solo un ragazzino melanconico e senza attrattive. Anche i
miei capirono cosa era successo, ma non mi chiesero nulla. Furono
discreti al punto tale da diradare anche loro gli incontri con i
genitori di G, per evitare di farmela incontare. Finì l’estate,
rientrammo in città, e mio padre trovò novità in ufficio. C’era la
possibilità di trasferirsi nel suo paese d’origine (la cittadina dove
andavamo al mare) e lui la prese al volo.
Cominciò per me una nuova vita. Le amicizie con i ragazzi del luogo,
potevano durare tutto l’anno, adesso. Fu un toccasana per il mio
morale. Qui al mare ero pur sempre il ragazzo della grande città e
questo (almeno in quei tempi) aveva un certo ascendente sulle
ragazzine del luogo. Il ricordo di G, cominciava finalmente ad
affievolirsi.
Passarono circa tre anni. Non avevo più visto n&egrave sentito G. Nel
frattempo avevo avuto già qualche flirt ed il mio primo rapporto
sessuale con un amica di mia madre. Non per vantarmi ma ero proprio un
bel ragazzino. Avevo iniziato a fare sport agonistico, ero cresciuto
in altezza, avevo acquisito, anche grazie alle esperienze con l’amica
di mamma, quel modo di fare un po’ da figlio di puttana che piace
tanto alle donne. Un giorno, poco prima di Natale, ricevemmo una
telefonata dai genitori di G. Devo premettere, per capire alcuni dei
passaggi successivi, che la mamma di G aveva, ed ha, una vera passione
nei miei confronti. Non si &egrave mai rassegnata al fatto che io non abbia
sposato la figlia (forse per avermi più vicino, eheheh). Comunque dopo
la telefonata, mia madre annunciò che la famiglia di G, sarebbe
passata a trovarci il 26 dicembre. La notizia non mi turbò più di
tanto. Sapevo che avrei retto il confronto di G. Ero psicologicamente
molto più forte di qualche anno prima.
Fu così che il giorno stabilito G e famiglia suonarono alla nostra
porta. La vidi entrare e, nonostante mi fossi preparato, ebbi
ugualmente un tuffo al cuore. Era cresciuta anche lei. Non altissima
ma era veramente una bella ragazzina di 16 anni. Bionda, occhi
azzurri, un bel seno tondo che spingeva da sotto la sua maglietta, ed
un gran bel sederino. Mi guardò dritto negli occhi. Forse si aspettava
che reagissi come tre anni prima, diventando rosso e fuggendo.
Invece no, fui magnifico. Ressi il suo sguardo fino in fondo. Lei capì
che ero cambiato. Molto di più di quanto si aspettasse.

Era lì di fronte a me. Era ora di pranzo e ci mettemmo a tavola. Per
tutta la durata ci guardammo e studiammo come due pugili prima di un
combattimento. Anche durante gli immancabili giochi di carte
successivi al pranzo restammo in guardia entrambi. Alla fine del
pomeriggio, mentre tutti gli altri continuavano a giocare, mi alzai
con una scusa e me ne andai in camera. Passarono pochi minuti e lei mi
raggiunse. Sapevo che sarebbe venuta. La stavo aspettando allungato
sul letto ed ascoltando musica. Lei entrò, si sedette in fondo al
letto ed iniziò a parlarmi. Mi disse che mi trovava cambiato, che si
era fidanzata, che aveva nuove amicizie, tentava in pratica di
attirare la mia attenzione. Io invece rimasi piuttosto distratto e
distaccato. Si rese conto che non l’avrebbe spuntata con le sole
parole. Si alzò, chiuse la porta, si avvicinò a me sollevandosi la
maglietta di lana e sollevando poi il reggipetto. Le vidi il seno per
la prima volta. Bianco, tondo, bello, con due aureole rosate e due
capezzoli dritti che puntavano verso di me. Mi prese le mani e me
appoggiò sui suoi due seni, erano caldi e profumati. Poi mi offrì la
sua bocca e tutti i miei propositi di fermezza si dileguarono in un
istante. La baciai con trasporto e fu un bacio lunghissimo, ci
scambiammo le salive, gustammo i nostri sapori, le nostre lingue si
intrecciarono senza sosta, come a recuperare tutti i baci che non ci
eravamo mai dati. Le mie mani continuavano a stringere ed accarezzare
le sue tette. Memore degli insegnamenti, le presi i capezzoli e glieli
strizzai. Mugolò nella mia bocca, forse avevo stretto troppo e mi
fermai, ma lei senza smettere di baciarmi mi riprese le dita e mi
invitò a stringere ancora. Rimasi perplesso, ero troppo giovane allora
per capire, ma il bussare discreto di mia madre alla porta, interruppe
l’idillio. Ci ricomponemmo e andammo a cena. Non mi misi vicino a lei,
non volevo darle l’impressione che avesse vinto lei. Dopo aver
mangiato fu l’ora di ripartire per G e la sua famiglia. La salutai con
un bacino sulla guancia, lei mi guardò negli occhi e mi sussurrò: ti
scriverò. La guardai andare via. Sarebbero passati altri anni prima di
rivederci. Io e G siamo nati nello stesso anno e nello stesso mese ed a pochi
giorni di distanza. Qualche giorno prima del mio compleanno arrivò la
lettera che G mi aveva promesso a Natale. Mi diceva che non era
pentita di quello che aveva fatto, che era stato il suo istinto
(bugiarda!) e il particolare momento a spingerla nelle mie braccia, ma
in ogni caso che non dovevo farmi illusioni, lei sarebbe rimasta solo
un’amica, nonostante tutto. Le risposi ma con molto ritardo,
accettando il discorso dell’amicizia e basta. Poi nei successivi anni
ci continuammo a scrivere al ritmo di due, tre lettere l’anno, nelle
quali ci aggiornavamo sulla scuola , le amicizie, le famiglie, ma
senza mai tornare sul discorso personale. D’altronde io avevo le mie
storie, con l’amica di mia madre continuavo a vedermi, andavo bene a
scuola, nello sport stato ottenendo buoni risultati, avevo un bel
gruppo di amici, insomma il ricordo G si era decisamente affievolito.
Passarono gli anni, presi il diploma ed arrivò l’ora di fare il
militare. Mi destinarono ai confini, molto lontano da casa, ma non
ebbi nessun problema di adattamento, n&egrave soffrii di nostalgia, mi
piaceva fare il militare, cavarmela da solo, essere indipendente. Mi
mancava però la mia ragazza, ne avevo una stabile da qualche tempo, e
soprattutto ‘i pomeriggi passati con la mia nave scuola (mia mamma ha
sempre pensato che stessi studiando e invece–) Soffrivo in pratica
solo per l’astinenza sessuale, dato che, fedele al mio motto che io
non pago mai le donne per scopare, non sono mai andato a puttane. ‘Tra
le varie esercitazioni di guerra però, mi stavo divertendo e
stringendo nuove amicizie, convinto che avrei concluso lì, in quel
posto di confine, il mio servizio militare. Il destino invece, dopo
tre mesi di naja, aveva deciso diversamente, e si presentò al mio
cospetto sottoforma di lettera di trasferimento. Era successo che la
mia società sportiva, per non farmi perdere un anno di allenamenti,
avevo fatto richiesta al comando centrale, di trasferirmi presso la
nazionale militare della mia disciplina sportiva. La domanda fu
accolta. Vi chiederete cosa c’entra il destino? C’entra, c’entra
eccome, la sede della nazionale era nella città dove viveva (e vive
tutt’ora G) e la mia nuova caserma di destinazione era a poche
centinaia di metri da casa sua!
Quando arrivai in caserma, rimasi in dubbio se far sapere o meno a G
ero vicinissimo a lei. Ci pensò mia mamma a togliermi il dubbio. Allo
scopo di assicurami un punto di appoggio per qualsiasi evenienza,
telefonò a casa di G avvisandoli della cosa. Fu giocoforza, di lì a
poco, andare a trovarli a casa. Quando arrivai a casa loro, G non
c’era ma stava per tornare. Sua madre (ricordate?) mi fece un sacco di
feste, mi disse che ormai mi ero fatto un uomo, che mi trovava molto
bene ecc. Credo che se non fosse stato per il fatto che la figlia
stava per tornare a casa, mi sarebbe saltata volentieri addosso. Non
che sia brutta, ma non mi &egrave mai piaciuta, né stimolato sessualmente.
Per fortuna, in ogni caso, G tornò quasi subito. Erano quattro anni
che non la vedevo. Era ormai una donna. Sempre molto carina, capelli
biondi lunghi, seno ancor più voluminoso (3a ‘abbondante), fianchi
rotondi e sempre quel suo bel culetto che sporgeva dalla gonna. Ci
salutammo con vero piacere, non c’era più nei nostri occhi nessuno
sguardo di sfida, ma solo piacere di rivedersi, e la vecchia ferita
nel mio cuore, mai rimarginata, ricominciò immediatamente a
sanguinare. Andammo a cena e mentre si mangiava ci raccontammo le
nostre vite fino ad allora, e già pregustavo il piacere di uscire con
lei nei mesi successivi. Il destino entrò in campo ancora una volta.
Dopo cena, ci sedemmo in salotto e mi comunicò la notizia. L’indomani
sarebbe partita per l `America, paese di origine della mamma, per un
periodo di almeno sei mesi, per vivere con i parenti e perfezionare
l’inglese, con il progetto però di rimanere definitivamente lì. Mentre
lei parlava, il mio cervello ragionava furiosamente. Cosa fare per non
perderla di nuovo? Giurarle eterno amore, tentare di convincerla a non
partire, scappare con lei? Non trovai immediatamente una soluzione
valida da proporre e perciò rimasi zitto in attesa di sviluppi che,
(come potevo sbagliarmi?), ci furono subito. Arrivò l’ora di tornare
in caserma. G si offrì di accompagnarmi al portone, salutai i suoi
genitori ed uscimmo. Nell’ascensore non parlammo, ci guardammo negli
occhi. La situazione mi aveva paralizzato, non sapevo né che dire né
che fare. Giunti nell’androne, ebbi l’ispirazione, La presi per mano
ed aprii la porta delle cantine. Si fece trascinare come un’automa,
senza reagire. Nel chiarore di una fioca lampadina, la baciai e la
feci inginocchiare di fronte a me. Lei rimase ferma in attesa di
quello che aveva capito le stavo per fare. Mi abbassai i pantaloni
della tuta che indossavo e le misi il cazzo già duro in bocca. Rimasi
sbalordito dalla sua reazione. Non appena lo prese in bocca, iniziò a
succhiarmi come una forsennata, leccandomi la cappella, strusciandolo
sul suo viso, rimboccandolo senza sosta, come se dal quel pompino
dipendesse la sua vita. Non era certo il primo che mi facevano, ma
forse fu il momento, la situazione, l’astinenza, ‘che mi fecero durare
veramente poco. La avvisai che stavo per venire, lei mi prese la mano
e se la pose sulla testa, invitandomi a spingerglielo ancora di più in
gola, altro segnale di quello che sarebbe accaduto anni dopo. Le
sborrai direttamente nell’esofago tutta la sborra che mi ribolliva
nelle palle. Lei ingoiò tutto, senza perderne una goccia, e continuò a
succhiare e cucciare fino a quando non ce ne fu più. Si rialzò, ci
ricomponemmo, e arrivammo al portone. Mi diede un bacio sulla guancia.
Ricordati di me, mi disse.
(continua) – III
La partenza di G lasciò un vuoto dentro di me, come una sensazione
costante di insoddisfazione che mi faceva star male. ‘Mi interrogai
nel profondo di me stesso, cercando di analizzare il perché di questa
angoscia. Mi trovai a riflettere che quello che mi era successo era
paragonabile a quello che accade ai bambini con gli animaletti di
peluche che vengono regalati ai compleanni. Ci giochi, ti ci addormenti, te
lo tieni sempre stretto fino a quando non cresci. Poi lo lasci in
camera, lo conservi sopra un mobile e lui sta lì, per anni e anni. Tu
ogni tanto lo guardi, lo spolveri, e sei contento di averlo ancora,
perché &egrave un ricordo tangibile di quando eri piccolo, anzi a volte
l’unico ricordo. Se poi, per qualche motivo lo perdi o te lo buttano,e
come se fosse scomparso un pezzo della tua vita. Così successe a me.
La mancanza di G e la consapevolezza che forse non l’avrei più
rivista, mi creò appunto un gran senso di vuoto. Cercai di colmarlo
con la persona a me più cara, la mia fidanzatina Valentina. Iniziai a
telefonarle con una frequenza ben diversa da prima. Lei mi chiese cosa
era successo ed io le dissi che avevo voglia di lei, che mai prima di
quel momento mi ero mai accorto di quanto mi mancasse, di quanto la
sua lontananza mi stesse pesando. Quando presi la licenza e tornai a
casa, corsi da lei. Avevo un disperato bisogno di affetto, mi
accorgevo di non riuscire a ragionare con lucidità, ma non potevo
farci niente. Fino a quel momento non mi era mai successa una cosa del
genere. Valentina era una gran bella ragazza e lo &egrave ancora, lo posso ben
testimoniare dato che &egrave diventata mia moglie (ne parlerò in seguito),
molto calda sessualmente e pienamente rispondente ai miei desideri. Fu
così che me ne innamorai, per la prima volta in vita mia sentivo il
bisogno di lei, della sua presenza, della sua vicinanza. Mi piaceva
stringerla, baciarla, respirare il suo respiro, sentire il profumo
della sua pelle, accarezzarle i bellissimi seni, insomma da li a
qualche settimana ero bello cotto di lei.
Questo mio nuovo stato d’animo cambiò la mia vita. Iniziai allora a
capire l’importanza dell’amore, del suo significato di affetto,
amicizia, complicità, e mi ci trovai così bene che volli dare un segno
anche ‘a me stesso di questo nuova aria che respiravo. Decisi
innanzitutto di esserle fedele, ed annunciai alla signora Maria (la
mitica amica di mamma) che avrei smesso di vederla. Successe un
pomeriggio poco prima che io rientrassi in caserma. Le spiegai quello
che provavo con questa ragazza, che stavo bene con lei, che mi
soddisfaceva in pieno e che non mi sentivo più di tradirla. La signora
Maria fu comprensiva come una mamma con il suo ragazzo. Mi rispose che mi
capiva, che mi augurava di aver trovato la donna giusta e che in ogni
caso lei sarebbe sempre stata disponibile per me, anche solo per un
consiglio. La ringraziai per le belle parole e stavo per andarmene
quando lei mi chiese un’ultima volta di stare con lei, per lasciarci
un saluto, come due buoni compagni di viaggio. Non avrei voluto, ma
non potevo rifiutarglielo. Mi disse che per questa ultima volta, per
lasciarmi un ricordo indelebile di lei per tutti gli anni a venire, mi
avrebbe fatto tutto ciò che le avessi chiesto. Ho il sospetto che, da
brava furbacchiona, tentasse il tutto per tutto per non interrompere
il rapporto. Comunque in quel momento non seppi cosa dirle, dato che
con lei avevo imparato a come si accarezza una donna, a darle piacere,
a penetrarla ovunque ‘(tutti i suoi buchini mi erano ormai familiari),
ed a fare molti di ‘quei giochi di sesso che tradizionalmente si fanno
tra uomo e donna, per cui non seppi lì per lì cosa chiederle di
diverso. Lei mi guardò come un felino e mi disse “non ti viene in
mente proprio niente?”. Io nella mia ingenuità non sapevo proprio cosa
proporle, ma dietro sua insistenza le dissi, anche vergognandomi un
pò, che in qualche rivista avevo visto scene di fisting. Lei mi disse:
“nient’altro? Guarda che quello che oggi sono disposta a farmi fare di
tutto e credimi questo non ti ricapiterà per anni, forse mai più in
vita tua, quindi approfittane!” Colpito dalla sua determinazione ed
incuriosito dall’argomento, feci una rapida scansione mentale
di tutto quello che avevo visto nelle riviste porno e decisi di
metterla alla prova. Iniziai con un goffo scimmiottamento di un
dominatore. La feci spogliare nuda e le ordinai di mettersi in
ginocchio davanti a me con la bocca aperta. Lei sorrise bonaria e si
mise in posizione. Mi spogliai e le misi il cazzo, che nel frattempo,
avendo avuto avvisaglia di quello che stava per succedere, era bello
che pronto alla battaglia, sulle sue belle labbra e le ordinai di
succhiarlo . Dopodiché le dissi di mettersi con il petto sul divano ed
il culo rivolto verso di me. Le dissi anche di allargarsi le natiche e
di aspettarmi così, con i buchi aperti. Andai in bagno, dove sapevo
che teneva la sua crema per le mani. Tornai in sala ed era lì, nuda,
inginocchiata, che mi guardava con quel suo sguardo da femmina in
calore. Quando vide nelle mie mani la crema mi disse: “fai presto,
riempimi di te, fa di me la tua schiava, la tua cagna da monta,
guardami come sono aperta”. Io, eccitatissimo, le risposi che l’avrei
aperta con le mie mani, che volevo vedere i suoi buchi spalancarsi,
che volevo imprimere nella mia mente il ricordo della sua meravigliosa
fica sfondata dalla mia mano. Lei urlò: siiiiiiiiii, fallo, fallo!.
Mi posi dietro di lei e mi riempii la mano di crema, e ne misi
altrettanto nella sua vagina. Iniziai ad inserire la mano ma, essendo
inesperto, le feci un po’ male. Allora lei mi prese il polso, mi fece
stringere le dita e si impalò da sola. La mia mano fu risucchiata in
quella fica umida e calda, fu una esperienza bellissima sentire il
calore, i succhi, le contrazioni del suo orgasmo sulle mie dita. La
mia eccitazione stava raggiungendo livelli insopportabili. Il suo culo
boccheggiava voglioso davanti ai miei occhi, mentre la stantuffavo in
profondità con il mio braccio. Le inserii due dita nell’ano per
assaporare la sensazione del movimento sulla sua parete interna. Era
divino e non resistetti oltre, dovevo incularla. Il mio cazzo stava
schiumando per la voglia. Quando iniziai ad ungerle il culo per
prepararla, lei mi disse di aspettare. Si sfilò la mano dalla fica e
corse in camera sua tornando subito dopo con un vibratore di notevoli
dimensioni, del quale ignoravo l’esistenza. Mi disse ridendo che
l’aveva comprato da quando ero partito militare per non sentire la mia
mancanza. Si rimise in posizione, si inserì il vibratore nella fica,
si allargò una natica e mi invitò ad incularla. La montai con
violenza, sbattendoglielo fino in fondo, scavando il suo intestino con
il mio cazzo durissimo. Lo feci scorrere dentro di lei più volte,
estraendolo e reinserendolo più volte, ‘soffermandomi divertito a
vedere il suo sfintere come rimaneva allargato. Continuai a pomparla
con foga fino a quando avvertii la vibrazione di un suo nuovo orgasmo.
Stavo per venire anch’io ma lei mi disse: “non venire, aspetta e
guarda!”. Si sfilò il cazzo dal culo, mi guardò negli occhi e se
infilò così com’era in bocca, ciucciandomi e incitandomi a sborrarle
in bocca. Il pensiero che si era ingoiata il mio cazzo appena sfilato
dal suo culo, mi diede una sciabolata alle reni e le schizzai un vero
fiume in gola. Succhiò tutto e mi ripulì a puntino. Mi sdraiai esausto
sul divano. Ci guardammo, vidi in lei una vera femmina, una vera
dispensatrice di piacere, bella, nuda, opulenta, piena di dolci curve,
il suo grosso seno che si allargava sul suo petto. Aveva a quel tempo
48 anni, una 5a di seno, un po’ sovrappeso, ma così eccitante, così
conturbante che quel tipo di donna da allora in poi, ha sempre
esercitato su di me una forte attrazione sessuale. Allungai le mani
sul suo seno e le presi i capezzoli tra le dita. Lei mi incitò a
torcerli, allungarli, tirarli fino a farle male. Poi mi fece una
domanda che mi lasciò di stucco: “vuoi frustarmi?” mi chiese. ‘Le
dissi un generico sì, anche se non l’avevo mai fatto, ma non mi persi
d’animo. Presi la cinta dal mio pantalone e le ordinai (stavo
imparando, vedete?) di rimettersi come prima, il con il suo sedere
rivolto verso di me, ma con le braccia allargate. Mi piacque molto il
vederla pronta, aperta, consapevole e consenziente a farsi frustare.
Sentii qualcosa dal profondo di me stesso che cominciò a farsi strada
nel mio cuore, un piacere inconscio e mai individuato prima di allora,
ma che si stava facendo sempre più chiaro e percettibile. Lo
analizzai, ‘non era sicuramente il piacere di procurare dolore, ma la
consapevolezza di farlo ad una persona che te lo chiedeva! Ero il
fascino della dominazione su di un’altra persona, non fine a stessa ma
relativa alla capacità della sottomessa di voler essere dominata. Mi
si stava aprendo davanti un nuovo orizzonte, una nuova prospettiva, un
pensiero di vita che da allora in poi avrebbe fatto parte di me
stesso. Dominare, possedere, essere il proprietario della sfera
sessuale di un’altra persona. Tutti concetti che naturalmente
sviluppai più tardi, ma il quel momento mi diedero un’ebbrezza mai
provata prima. Cominciai a colpirla, valutando dalle sue modulazioni
di voce, la forza che dovevo imprimere. Iniziai con colpi leggeri,
sulla schiena, poi aumentai la forza sulle natiche, regolai la cadenza
dei colpi, imparando lì su due piedi che gli intervalli non devono
essere troppo regolari. Mi affascinavano i segni che la cinta lasciava
sulla sua pelle, ma mi preoccupai anche di non farle troppo male.
Glielo chiesi, mi rispose che andava tutto bene. Osai allora andare
oltre. Le chiesi di girarsi e di sedersi con le gambe larghe. Ti
frusterò quelle tettone piene, le dissi. Sono tue, rispose. Colpii con
media forza, cercando di centrarle i capezzoli. Si inarcò per il
dolore ma non chiuse le braccia. Vedevo le sue mani stringere con
forza la stoffa del copridivano, ma senza mai tentare di difendersi.
Dopo una decina di colpi, mi fermai ad osservarla. Era sudata,
stravolta, ansimante, lo sguardo vacuo, i capelli bagnati di sudore
incollati alle spalle, il corpo segnato di striature rosse. Ero
davanti a lei ma non mi vedeva, persa totalmente nelle sua libidine.
Come va, le chiesi? Dopo qualche istante mi rispose: “ti prego,
continua, ma fammi girare”. La accontentai e ricominciai a colpirla
sul culo. Questa volta portò le mani tra le sue gambe e dopo qualche
colpo, proruppe in un orgasmo devastante. Mi fermai di nuovo. Scivolò
a terra disfatta. Avvicinai le sue labbra alle mie e la baciai
dolcemente. Grazie, mi disse, ho goduto come non mai in vita mia. Le
chiesi se lo aveva già fatto prima e mi rispose che le era successo
una volta in gioventù. Da quando si era sposata non aveva avuto il
coraggio di chiederlo al marito né a nessun altro. Io ero ancora nudo
ed il mio cazzo svettava di nuovo prepotente. Lei se mise di nuovo in
bocca, voglio scoparti le dissi. Lei allargò le gambe, ma prima che la
penetrassi prese il vibratore, se lo puntò nel culo e si penetrò fino
alla base. Sono pronta ora, disse sorridendo. La penetrai con vigore,
godendo della sensazione che il vibratore trasmetteva al mio cazzo. La
pompai a lungo, sbattendoglielo in fondo alla fica, mentre con le mani
le strapazzavo i seni arrossati. Godevo il mio possesso su di lei, e
la sensazione di dominio che lei mi trasmetteva, ‘gonfiava le mie
palle. Godetti sulle sue tettone morbide, insozzandole il mento, la
faccia, i capelli. Ti ho sporcata ben bene, commentai. Mi guardò di
nuovo con quel suo sguardo tagliente. Vuoi lavarmi?, chiese. Va bene,
le risposi. Andammo in bagno e si allungò nella vasca. Stavo per
aprire l’acqua quando chiese con voce strozzata:”lavami con il tuo
piscio”. Rimasi interdetto, la sua libidine stava andando oltre quanto
avessi previsto o immaginato. Vederla lì nuda nella vasca, che si
masturbava furiosamente nell’attesa che io le pisciassi addosso, &egrave una
di quelle immagini che rimarranno stampate per sempre nella mia
memoria. Comunque alla fine la accontentai. Dopo qualche attimo di
esitazione e di rilassamento iniziai ad orinare su di lei, pisciandole
sulla fica, sulla pancia, sulle tette e, su sua esplicita richiesta,
in faccia. Poi, si ‘sollevò, si piegò all’indietro sulle ginocchia,
allargò le cosce e –pisciò anche lei, a lungo, mugolando per il
piacere di mostrarsi, oscena e bellissima allo stesso tempo. Poi
entrammo insieme nella sua ampia doccia e ci lavammo. Quando vidi il
suo corpo segnato dai miei colpi, mi preoccupai delle conseguenze che
avesse avuto se il marito l’avesse vista così. Mi disse ridendo che
poteva anche dipingersi di nero che il marito non se ne sarebbe
accorto. Ci salutammo, ‘e mi confermò che sarebbe stata sempre a mia
disposizione. Andai via. Sul treno che mi riportava in caserma,
riflettei su quello che era successo. Mi resi conto di non essere in
grado di poter gestire un rapporto di quel tipo (lo sarei stato solo
molti anni dopo) e decisi di non farlo. Non tornai più da lei.

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