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Mi chiamo Eleonora, ho trentuno anni, sono sposata da cinque anni con
Enrico, che di anni ne ha trentaquattro. Non abbiamo figli, non ancora. Io
lavoro part time in una libreria, e ogni tanto offro ripetizioni di inglese e
spagnolo in forma privata. Conosco molto bene l’inglese e lo spagnolo perché
dai diciotto ai venticinque anni ho girato parecchio per il mondo e soprattutto
l’Europa. Mi sono molto divertita, oltre a imparare, ma chissà, di quegli anni
burrascosi ve ne racconterò un’altra volta. Enrico, mio marito, è invece un
impiegato di buon livello nel settore assicurativo.La storia, la prima che vi
voglio raccontare, è quella che da qualche settimana sta sconvolgendo la mia
vita. Non sono una santa, anzi, nella mia vita mi sono concessa diverse
avventure e distrazioni. Ma mi ero decisa nel matrimonio di rimanere
concentrata su mio marito. Ho avuto un paio di tentennamenti, in questi
cinque anni, ma senza mai farmi trascinare nella lussuria. Una volta con un
mio alunno di spagnolo. Eravamo arrivati a tanto così, bastava un mio cenno
di resa e lui mi avrebbe sbranata. E un’altra volta con un cliente della libreria,
con cui tuttora flirto e mi diverto a giocare.

Ma non ho mai accettato i suoi
numerosi e eleganti inviti a prendere un drink insieme. Quel drink, so già, si
trasformerebbe in una grande scopata.Ma torniamo alla vicenda.Enrico il
mese scorso ha voluto organizzare una weekend insieme ai nostri rispettivi
genitori. Tutti insieme dal venerdì sera alla domenica sera nella casa al mare
dei miei suoceri.Eravamo partiti verso le cinque del pomeriggio, lui era
riuscito a uscire prima da lavoro. I miei genitori mi avevano raggiunto già dal
pranzo, e così verso le otto avevamo raggiunto la deliziosa località di mare
(tengo per ora segreti città e luoghi per paura di seminare troppi indizi, e poi
perché non sono abituata a scrivere di me).La scelta delle camere fu facile,
perché i miei suoceri avevano camera loro, e io e mio marito dovemmo
soltanto decidere quale delle altre due camere destinare ai miei genitori.Una
breve presentazione dei quattro genitori: i miei sono ambedue in pensione,
anche se da poco, e si chiamano Enzo e Raffaella. Mi hanno avuto molto
tardi, sono l’ultima di tre sorelle (Valentina e Francesca, i loro nomi). La
madre di Enrico si chiama Tiziana e ha cinquantacinque anni. Ha un negozio
di fiori. E poi c’è suo padre, mio suocero: Vittorio.Il rapporto tra me e Vittorio è
sempre stato di estrema complicità. Sono diventata la figlia che non ha mai
avuto (Enrico è figlio unico). Almeno inizialmente così pensavo. Con gli anni
questo affetto si è trasformato in un rapporto più elaborato, e l’attrazione
reciproca, gli sguardi, la malizia, sono venuti fuori. Mi sono sempre accorta di
qualche sua occhiata decisa sul mio corpo, sulle mie scollature, sul mio culo.
Esiste ancora qualche uomo che pensa che noi donne non ce ne
accorgiamo?Vittorio mi ha sempre corteggiato senza scivolare nella
goffaggine. E io mi sono fatta guardare e … vezzeggiare da vera troia,
finendo per far cadere ogni barriera. Proprio durante quel weekend.La prima
sera la passammo cenando insieme sulla bella terrazza. Il tramonto come
cornice, una pizza presa alla pizzeria del paese come cena. Nessuno aveva
voglia di cucinare, ed era tardi per mettersi a preparare qualcosa di
interessante. Rimanemmo a fare chiacchiere fino a mezzanotte, poi pian
piano ce ne andammo a letto.L’indomani verso le otto ci ritrovammo tutti nella
cucina, a fare colazione.-Per le nove tutti pronti, che scendiamo a mare!La
casa infatti distava circa seicento metri dal mare, era situata un po’ in alto
rispetto alla spiaggia. Come da tradizione, ci si arrivava a piedi, perché nei
giorni in cui si stava lì si rinunciava volentieri ad usare moto o
automobili.Inoltre nella discesa a mare si incontravano un piccolo
supermercato e un bar, che all’occorrenza potevano servire. L’ultimo pezzo
era di pineta, circa trecento metri all’ombra, che sfociavano poi nella spiaggia,
non troppo frequentata. Un paradiso esclusivo.Io indossai il costume da
bagno e sopra un paio di shorts e una maglietta. Vittorio aveva il suo costume
blu a pantaloncino e una polo bianca. Aveva cinquantasei anni e un fisico
solido e virile. Nella camminata verso il mare potei notare che dall’anno
passato, ovvero l’ultima volta che lo avevo visto svestito, non aveva perso
tonicità.Lo superai parlando con mia madre, e lì sentii i suoi occhi addosso.
Ma non era ancora nulla, perché quando in spiaggia rimanemmo tutti in
costume, Vittorio messosi alle spalle di tutti regalò al mio corpo un’occhiata
feroce, insistente e piena di voglia.Mi sentii i capezzoli indurire, e mi girai per
non farglielo notare. Quel gioco tra di noi stava prendendo una brutta piega e
volevo interromperlo. Amavo mio marito, rispettavo i suoi genitori. Suo padre
aveva un’attrazione senile verso una donna giovane, tutto qua. Avrebbe
potuto sfogarla con una mia coetanea qualsiasi. O almeno questo mi
raccontavo.Mio padre e Enrico andarono a nuotare, mentre le due suocere
invece decisero di fare una lunga passeggiata sulla spiaggia. Rimanemmo al
sole io e Vittorio. Mi chiese se volessi della crema, e in effetti io non me l’ero
ancora spalmata.-Voi di città rischiate di bruciarvi al primo sole.Era vero.MI
venne alle spalle. Sentivo il suo odore, la sua presenza. Si mise la crema
sulle mani e iniziò a passarmele sulle spalle. Ero seduta sull’asciugamano. Mi
disse di sdraiarmi. Lo feci.Passò la crema sulle braccia, la schiena intera, il
collo. Io intanto mi bagnavo, mi facevo schifo, ma era quello che stava
succedendo.Scese fino alla parte bassa della schiena, ogni tanto rasentava il
culo, quindi decise di saltarlo e dedicarsi alle gambe. Le sue mani erano
calde e vigorose, massaggiava e stringeva, risaliva e poi scappava. Si
soffermò sui piedi, regalandomi un massaggio rilassante, che allentò un po’ la
morsa sensuale in cui ci stavamo infilando.-Girati, che te la metto davanti.-
Posso farlo io, qui ci … arrivo.-Come vuoi.Era un ultimo tentativo da parte mia
di mantenere intatta la forma. Presi dalle sue mani il tubetto e inizia a
spalmarmi la crema sul petto, sulla pancia e poi su tutto il resto del corpo che
non aveva raggiunto Vittorio. Lui non tolse nemmeno per un minuto gli occhi
da me, mentre compivo quell’azione. Era sfacciato. Il suo sguardo sornione
mi faceva quasi arrabbiare.Il mio costume mostrava i miei capezzoli duri, tra
le gambe mi sentivo bagnata. Presi un libro e cercai di distrarmi. Ma gli occhi
di Vittorio, ora riparati da occhiali da sole, mi tormentavano.Tornarono tutti,
chi dall’acqua chi dalla passeggiata.E Vittorio disse:-Eleonora, ora tocca a
noi. Vuoi fare un bagno, o preferisci una passeggiata?Non me l’aspettavo.
Era un tentativo di stare solo con me che all’apparenza non aveva nulla di
sbagliato. Era stato furbo. Non risposi subito, e lui ne approfittò.-Anzi, sai che
facciamo? Accompagnami al porticciolo, che provo a vedere se c’è ancora
del pesce fresco, possiamo cucinarlo per pranzo.Senza rispondere mi alzai e
lo seguii.Mio marito mi chiese di mettermi addosso qualcosa, visto che
andavamo al porto. Indossai solo gli shorts. La mia terza abbondante
continuava a rimanere in vista. Non volevo coprirmi del tutto. Avevo raccolto i
capelli con una molletta per prendere il sole anche sul collo. Sembravo pronta
per essere messa su un tavolaccio e scopata.Vittorio, appena incamminati,
mi disse che suo figlio aveva ragione.-Fa bene ad avere paura degli altri
uomini. Sei uno spettacolo. Ma ci sono qui io.Mi cinse un fianco, continuando
a guardare davanti. Lo faceva spesso, non era nemmeno quello un gesto
irrispettoso. Quanto era stronzo.
Sul molo trovammo alcuni pescatori con delle bancarelle. Attorno ai banchi si
era stipata una piccola folla di curiosi, turisti, tutti desiderosi di scegliersi il
pesce migliore. Ci avvicinammo. Sporsi la testa per vedere di che pesci si
trattasse. Vittorio si mise alle mie spalle. E fu qui che sentii per la prima volta
il suo cazzo sul mio culo. Appoggiò le mani sulle mie spalle e il bacino contro
di me. Nella folla, nessuno potè accorgersi di quell’approccio banale e
vergognoso, da barzelletta sconcia. Io invece me ne accorsi eccome. Ma non
reagii. Rimasi ferma. Lui spinse ancora.
-Che ne dici? -Di cosa? Risposi,
ancora più stupidamente. -Del pesce. Si stava anche divertendo, quello
stronzo. -Non ne capisco molto. Intanto continuava a pressarmi, e io
continuavo a accettare quel contatto meschino. -Fammi vedere. Mi spinse di
lato e mi passò davanti. Per un attimo potei scorgere il bozzo gonfio del suo
pacco. Era notevole. Lui si accorse che lo guardavo lì, e fece una smorfia di
compiacimento. Ora mi era davanti, e poteva tranquillamente farsi sgonfiare
l’erezione mentre comprava il pesce. Era stata una mossa intelligente,
dovevo riconoscerlo. Ritornammo verso la spiaggia e la nostra famiglia.
Decidemmo di passare dalla pineta, per prendere un po’ di tregua dal sole.
Appena ci fummo addentrati notai in lontananza delle macchie colorate, in
mezzo alla vegetazione. Camminando e avvicinandoci capii che erano due
persone. Un uomo e una donna. Ci davano le spalle. Stavano abbracciati. Lui
aveva messo le mani sotto la maglia di lei. Si strusciavano. Stavamo
assistendo a un inizio di accoppiamento. -Vittorio. -Li ho visti. -Beh, passiamo
dalla spiaggia. -Ma no, non stanno facendo mica nulla di male. -Ma noi si!
Mica sono una guardona. -Che paroloni. Vieni, stai tranquilla. Spostiamoci
solo un poco. Mi prese per una mano e mi fece fare una traiettoria larga, in
modo da non farci notare. Io, come una scema, mi feci portare dove voleva
lui. I due avevano iniziato a fare sul serio. Le tette di lei ballavano fuori dalla
maglia. Era senza costume o reggiseno. Lui era passato a ravanarle tra le
gambe. Lei sembrava apprezzare. Adesso io e Vittorio eravamo nascosti
dietro due alberi grossi e delle sterpaglie alte. Non ci avrebbero potuto
vedere. Avrei dovuto impormi, dirgli di andare via. O almeno andare via io
sola. Invece rimasi lì in silenzio, a gustarmi quella scena di sesso. Lui infatti si
abbassò il costume da bagno e tirò fuori il cazzo già bello duro. Le alzò la
gonnellina e glielo ficcò dentro senza pudore. Lei inarcò la schiena, le tette
ora erano nelle mani capienti di lui. Non erano belli, anzi. Lui era magro
magro e indossava una canottiera triste. Lei aveva le tette moscie, e capelli
ricci imbarazzanti. Ambedue avevano nasi pronunciati, questo lo ricordo
bene. Ma ci davano dentro, eccome. Era la prima volta che osservavo di
nascosto delle persone scopare. Ho partecipato a piccole ammucchiate, ho
praticato sesso … a tre, quattro. Ho origliato una mia compagna di stanza
scopare a tre metri dal mio letto. Ma erano tutte situazioni in cui tutti
sapevano tutto. Questa volta c’era un mistero e una sensazione di proibito a
infuocare la scena. Lui aveva un cazzo non troppo grosso ma molto lungo, lo
estraeva e rimetteva come un pistone, avanti e indietro, senza troppa
velocità. Glielo faceva sentire bene. Lei se lo gustava, e quando lo sentiva
tutto dentro si inarcava, e i capelli le si gonfiavano, mi pareva, come una
leonessa trafitta. Era una scena ruvida e zozza. Proprio come mi sentivo io.
Vittorio nel silenzio di quel nascondiglio ne approfittò per mettermi una mano
sul petto, passando da sopra la spalla, e lentamente scendere dentro il
costume. Non riuscivo a muovermi. Non ebbi reazione. -Brava. La mano a
coppa prese la mia tetta destra. Con le dita cercò e trovò il mio capezzolo
durissimo. Iniziò a giocarci, facendomi rabbrividire di piacere. Smise solo un
secondo, per bagnarsi le dita nella bocca. Ricominciò. Intanto con l’altra
mano iniziò a sbottonarmi i pantaloncini. Lentamente. Non sembrava avere
fretta. Mi aveva puntato da così tanto tempo che ora sembrava festeggiare la
preda finalmente sua. -Vittorio… Lui continuava con i suoi turpi movimenti.
Sentivo il suo cazzone addosso. Prese ad annusarmi la nuca, infilare il naso
nei miei capelli. Le labbra si appoggiarono dietro il mio orecchio. Mi
tremavano le gambe. -Vittorio, smettila… Lui non mi ascoltava. Adesso i
pantaloncini erano aperti, e la sua mano si infilava nella mutanda del
costume. -Vittorio, ti prego… Raggiunse la mia figa. La trovò bagnatissima. –
Brava. Ogni volta che mi diceva “brava” la mia testa emetteva una scarica di
energia che si propagava in tutto il corpo, dai capezzoli al buco del culo.
Stavo impazzendo. Le sue mani si muovevano con l’intento di farmi venire.
Non ci avrebbe messo molto. La scena davanti a noi continuava, lui pompava
e lei godeva. Io stavo per venire. -Vedi come la fotte, lo vedi? Continuavo a
non rispondere, non volevo concedergli la mia complicità in quel gioco
perverso. Accettavo le sue mani, e basta. Ero una baldracca e volevo far finta
di non esserlo. Dalla bocca mi uscivano dei gemiti smorzati, non potevo
urlare. Lui si accorse che stavo venendo. Mi disse ancora una volta “brava”
seguito da “troia” e a quel punto sbrodolai e venni. Un orgasmo intenso e
doloroso, maledetto, bellissimo. Le tette mi facevano male da quanto godevo.
Mi appoggiai al suo petto, cadendo un po’ all’indietro. Lui mi ricevette senza
fare una piega, anzi, continuando a farmi sentire il suo cazzo contro il culo.
Fu per quello che mi sembrò la cosa più naturale da fare, una volta ripreso
fiato, di girarmi, mettermi in ginocchio, tirargli fuori l’uccello, liberarlo dalla
stretta del costume, e iniziare a succhiarlo. -Brava. . Stavo succhiando il
cazzo a mio suocero. Lo realizzai dopo qualche minuto in cui la saliva e il
fiato corto avevano già preso la scena. Le mie due mani stringevano i suoi
glutei, la mia testa si muoveva aiutata da lui. Infatti una mano mi
accompagnava i movimenti avanti e indietro, senza forzarmi ma con
decisione. L’altra mano l’aveva appoggiata su un albero. Mentre succhiavo
immaginavo anche la scena vista da fuori. Chissà se i due stavano ancora
scopando oppure si erano accorti di noi due e ora i ruoli si erano invertiti. Mi
eccitava l’idea e il sentirmi così puttana e abbandonata al peggiore dei
peccati. Mio suocero non si preoccupava molto, penso, perché si godeva il
bocchino e continuava soltanto a tenermi la nuca e ogni tanto a sussurrarmi
“brava” o “troia” o “come succhi bene”. Avevo una tetta di fuori, e i capelli
avevano iniziato a sciogliersi dalla stretta della molletta. Sudavo, avevo la figa
bagnata. In quel momento lui o chiunque avrebbe potuto farmi quello che
voleva. Ma non successe. Vittorio sborrò forte, emettendo un rantolo e
aumentando la pressione sulla mia testa. Mi tenette ferma a bere tutta la sua
sborra, senza darmi modo di spostarmi.
Quando tolse il cazzo dalla mia
bocca mi sentii svuotare, ma fu anche la fine di un tormento: stavo infatti
soffocando. Tanto cazzo e tanta sborra. Mio suocero aveva un bel cazzo, non
troppo lungo ma largo, con vene pronunciate e possenti. Non dicevamo nulla,
lui rimase qualche secondo appoggiato all’albero, rifiatando e forse
godendosi quella vittoria. Mi aveva fatta sua, mi aveva fatto cedere. Tanti anni
in cui forse aveva soltanto aspettato questo momento. Ora cosa mi
aspettava? Cosa sarebbe successo? Per un momento mi immaginai lui che
mi chiavava contro l’albero, e tremai per quanto mi facesse eccitare. –
Dobbiamo tornare dagli altri. Disse solo questo. La nostra famiglia erano
diventati “gli altri”. Come la faceva facile. Non dicemmo una parola per tutto il
tragitto di ritorno. Notai che i due amanti erano andati via, forse disturbati
dalla nostra presenza o forse semplicemente perché anche lui si era svuotato
dentro la sua femmina, come aveva fatto poco prima Vittorio. Immaginai la
sua minchia venirmi dentro, e ancora mi bagnai e ancora avevo in mente
l’immagine del suo cazzo e delle sue braccia forti quando tornammo ai nostri
asciugamani, da mio marito e il resto della famiglia. -Non era granché oggi il
pesce, ne abbiamo preso poco. Mio marito propose allora di passare dal
supermercato, e io subito mi offrii di accompagnarlo. Avevo bisogno di
staccarmi dalla presenza di Vittorio, di non sentire il suo odore e di non avere
modo di vedere il suo corpo, le sue mani, il suo volto atrocemente
persuasivo. Pranzammo tutti quanti in casa, senza stare nel terrazzo perché
faceva davvero molto caldo. All’interno ci aiutavamo con un grosso
ventilatore e l’acqua fredda. Vittorio e mio padre bevvero anche del vino
bianco, e decisi anche io di berne un po’, per … sollevarmi. Enrico si stupì di
quel gesto, ma bevvi un altro bicchiere e poi ancora uno, senza farmi notare.
A fine pranzo ero ebbra e la testa mi girava facendomi immaginare mille
cose, quasi tutte sporche e oscene e che avevano come protagonista Vittorio.
Lui dovette leggermi nel pensiero, perché a un certo punto me lo trovai di
fianco, nel corridoio, appena uscita dal bagno. Non mi disse nulla, prese solo
il mio braccio stringendolo con vigore e mi guardò negli occhi. -Vai giù in
cantina. Non risposi e non volevo dargli retta. Non era difficile trovare una
scusa per sparire un po’, mio marito infatti si era steso sul divano e i miei
genitori erano andati in camera a riposarsi, come pure la mamma di Enrico.
Non scesi giù in cantina come mi aveva detto Vittorio, ma uscii fuori dalla
porta d’ingresso, rimanendo fuori a guardare il giardino e il sole forte che
produceva riflessi. Lui mi arrivò alle spalle. -Non devi fare i capricci. Mi prese
per le spalle e mi spinse a camminare in avanti, rasentando il perimetro della
casa. Raggiungemmo il retro, dove c’erano parcheggiate le auto e da dove si
poteva ammirare il mare. Ma non mi aveva portato lì dietro per farmi vedere il
paesaggio. Aprì la porta di legno che dava nella piccola stanza dove c’era la
lavatrice e un lavabo di pietra, una specie di garage dove tenevano gli
attrezzi per il giardino, le scope, i detersivi, un canotto. Dentro era buio, e lo
divenne ancora di più quando Vittorio, una volta dentro, chiuse la porta.
Entrava attraverso uno spiraglio del legno solo un raggio di luce, che
terminava contro la parete. I nostri occhi ci avrebbero messo tempo ad
abituarsi a quella condizione, ma a Vittorio non importava, non voleva
aspettare. Mi era ancora alle spalle, mi mise le mani forti sul culo e mi sollevò
il vestito che avevo indossato dopo la doccia, per stare in casa. Sotto avevo
solo delle mutande, non avevo messo il reggiseno. Mi pastrugnò il culo per
un po’, poi passò a toccarmi le tette con bramosia, aprendo il vestito. -Non
devi, Vittorio. Davo la colpa a lui, volevo che fosse lui a decidere di smetterla.
Io gli permettevo tutto, ero una troia a sua disposizione, ma volevo sentirmi
quella che non avrebbe voluto. Mi tolse le mutande e sentii il suo alito in
mezzo alle mie natiche. Mi leccò la figa da dietro, il buco del culo. La sua
lingua era come le sue mani, forte e vivace. Mi appoggiai al lavabo,
inarcando la schiena per permettergli di lavorarmi meglio. Con la lingua mi
torturava il buco del culo e la figa, alternandosi. Con una mano mi toccava
una tetta e il capezzolo. Sentii che stava abbassandosi il costume, che non
aveva tolto dalla mattina. Non provai nemmeno a pronunciare una delle mie
stupide lamentele, non feci finta. Mi ero stesa sul lavabo, le mie tette
sentivano il freddo e il ruvido della pietra. Ero pronta per la monta, gli stavo
dicendo di entrare, di prendermi, di fare quello che voleva. Il suo cazzo entrò
prepotente, e ambedue facemmo dei gemiti di soddisfazione. … Era quello
che aspettavamo, e il premio era quella sensazione. Prese a muoversi con
velocità, era impaziente. Temevo venisse dopo pochi colpi, ma non fu così,
mio suocero era un amante porco e potente. Mi scopava bene. Mi prese per i
capelli, tirandomi la testa all’indietro. Mi costrinse anche a guardarlo, ma non
ce la facevo, chiudevo gli occhi, anche perché stavo godendo tantissimo. Mi
tirò un paio di ceffoni, mi diede della vacca e della puttana. Aveva ragione.
Con una mano scese sulle mie tette, con un’altra continuava a tenermi per i
capelli. -Ora ti riempio. Non mi chiese il permesso. Lo fece e basta. Sentii i
suoi movimenti aumentare di frequenza, e di profondità. Sentii le sue mani
premere con più forza, e poi sentii il suo cazzo scoppiarmi dentro, e il suo
fiato sulla mia schiena. Ero chinata in avanti e riprendevo fiato, lui si staccò e
mi venne di fianco. Aprì il rubinetto e si sciacquò grossolanamente il cazzo.
Chiuse il rubinetto, si ricompose e uscì dalla stanza senza dirmi nulla, senza
darmi un bacio, una carezza, o farmi un complimento. Io rimasi ferma
aspettando di rimanere sola. Non volevo guardarlo in faccia, non potevo
reggere il suo sguardo. Mi aveva capita, e ne aveva approfittato. Avevo
goduto come una baldracca da caserma, mi ero fatta venire dentro dal padre
di mio marito, mi era piaciuto tanto. E il weekend non era ancora terminato….

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