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Per Natale mio figlio ci porta a casa la sua ragazza (parte II)

By 8 Gennaio 2021No Comments

L’occasione si è presentata la mattina dell’antivigilia. Mia moglie è la proprietaria di un negozio di biancheria intima e lingerie, quella mattina era impegnata con i clienti alle prese con lo shopping natalizio. Mio figlio doveva sbrigare delle sue commissioni burocratiche in giro per gli uffici. Nel pomeriggio avrebbe portato Maria a conoscere sua madre e i parenti e, per l’occasione, lei voleva preparare un dolce alla futura suocera. Ad Andrea fece piacere questa idea, che avrebbe così tenuto impegnata la sua ragazza e mia moglie le lasciò a disposizione la cucina.

Io sono un professore universitario ed ero in vacanza perciò rimasi a casa. Dopo una buona parte della mattinata passata nel mio studio sono andato in cucina, deciso a sfogare la scellerata voglia che mi ossessionava.

Maria stava preparando il dolce, aveva le mani impastate di uova e farina. Mi sono fermato ad osservarla dalla porta, ho osservato lo scollo a V della maglia e lo scorcio di seno che offriva. Ho osservato la sua testa china e i capelli neri raccolti dietro la nuca. Mi sono avvicinato fissandola severo e indagatore. Avvertivo il suo imbarazzo, era intimidita e continuava a lavorare l’impasto.

Sono rimasto fermo, impassibile, a fissarla senza dire nulla fino a che lei, per stemperare la tensione, ha svelato il perché stesse preparando quel dolce, quasi giustificandosi.

“Da noi si usa preparare questo dolce quando si va a far visita a qualcuno per la prima volta.”

Ha detto con un filo di voce, tenendo lo sguardo basso e lavorando nervosamente la pasta.

“Bene, ogni famiglia ha le proprie usanze.” Ho risposto.

“Ti ho osservata continuamente, da quando sei arrivata. So che te ne sei accorta.”

“Sì, papà.”

“Davanti ad Andrea, a mia moglie e mia figlia puoi chiamarmi papà, da brava nuora. Ma quando siamo soli voglio che mi chiami signore. Chiaro?” Le ho detto in tono severo.

“Sì, signore.” Ha risposto a testa bassa.

L’atmosfera si è fatta sempre più tesa e Maria sempre più imbarazzata e intimidita.

“Tu non mi piaci, Maria. Ti trovo insignificante di carattere. Non hai personalità. Sembri una nullità,” le ho detto camminando alle sue spalle. “Però questo disprezzo per te ti ha reso desiderabile, al punto che ti voglio sottomettere.”

Mi sono fermato dietro di lei, così vicino da poterle sussurrare all’orecchio.

“Riguardo alle usanze, qui in casa mia comando solo io, e chiunque si trovi sotto questo tetto deve sottostare ad ogni mio volere.”

Ho poggiato la mano sulla sua spalla e sentito il fremito che l’ha scossa. È rimasta immobile mentre ho fatto scorrere la mano sulla sua schiena, l’ho sentita deglutire e poi ha trasalito quando le ho palpato il culo. Ha sollevato di scatto la testa fissando dritta davanti a sé ma io gliel’ho fatta riabbassare spingendo delicatamente la nuca.

“Ami Andrea?”

“Sì…”

“L’ho visto. Non so se sia davvero amore quello che provi per mio figlio ma quello che è visibile è che pendi dalle sue labbra. Sei una laureata, lavori per una grossa azienda, hai indipendenza economica e culturale eppure hai un comportamento così remissivo. Sei timida, parli a voce bassa come avessi paura di disturbare sempre. Stai a testa china e sguardo basso. Sono giorni che impazzisco dalla voglia di dominarti!”

L’ho afferrata per la gola mentre con l’altra mano le ho abbassato la tuta e palpato spudoratamente il culo.

Mentre le leccavo l’orecchio le ho sussurrato:

“Hai visto come mi adora Andrea? Sono il suo idolo fin da quando era piccolo. Stravede per me, e posso convincerlo di tutto, anche che non sei adatta per lui; che è meglio se vi lasciate. E credimi, ne sono convinto che tu non sia alla sua altezza. Ma se ti sottometti a me farò in modo che mio figlio non pensi mai di farlo.”

Le accarezzavo la guancia e la leccavo. Sono arrivato alle sue labbra e poi le ho infilato la lingua in bocca, con la forza. Le ho frugato l’interno, ho succhiato la sua lingua avidamente e intanto ho infilato le dita nella fica che si faceva più stretta e bagnata. Anche le sue tette meritavano una solenne palpata, gliele ho tirate fuori allargando lo scollo del maglione, mi sono messo dietro di lei addossando il bacino al suo, le ho fatto sentire il mio gonfiore strusciandolo da sotto i pantaloni alle sue chiappe scoperte e le ho tastato le mammelle morbidi, ordinandole di lasciarle pendere.

“Ora riprendi a lavorare l’impasto. Deve venire proprio un bel dolce.”

Mi sono inginocchiato, con i denti ho pizzicato il bordo elastico delle mutande e gliel’ho abbassate, poi ho affondato la faccia nelle sue chiappe soffici. Mi ci sono strofinato muovendo il volto a destra e sinistra, godendomi tutta quella oscena morbidità. Ho spinto la lingua nel solco, leccando su e giù poi ho saggiato il bordo del buchino prima di infilarcela dentro.

“Anche il tuo culo è tutto da impastare… Che goduria.”

Così dicendo ho lasciato pendere le sue poppe da vacca mettendomi a palparle il culo. Le ho divaricato i glutei allargandole l’orifizio e agevolando le leccate. Ho dato leccate di gusto nel suo condotto umido e osceno.

“È anche piacevole da leccare, il tuo buco. Andrea non si permetterebbe mai di osare questo. Non si concederebbe mai un simile piacere. Vero?”

“Sì.”

“Sì, e poi?” Ho pizzicato forte i suoi glutei lasciandole un segno rosso, lei ha sussultato, correggendosi immediatamente.

“Sì, signore!”

Ho ripreso ad affondare il volto nelle sue chiappe e a leccarla spudoratamente. Ci stavo prendendo sempre più gusto e ho afferrato forte i suoi fianchi, sono arrivato alla fica che ho tempestato di leccate e l’ho sentita gocciolarmi in bocca.

Ero in apnea, mi sono staccato e ho ripreso fiato. Ero inebriato dei suoi umori ma anche e soprattutto dal dominio su lei e sulla situazione tanto torbida.

Maria intanto affondava nervosamente le dita nell’impasto. Lo sguardo incredulo e l’affanno per il godimento provato. Non riusciva a credere a cosa le avevo fatto, però aveva provato piacere e questo la sconvolgeva.

“Brava, finisci il dolce e poi vieni da me.”

Ha continuato la preparazione visibilmente stravolta, impastava ossessivamente. Le tette si erano sporcate di farina e quando ha cercato di rimetterle sotto il maglione l’ho sgridata. Mi eccitava un casino osservare il loro dondolare.

“Ora basta col prendere a pugni quell’impasto!” Le ho detto spazientito. “Mettilo a riposare e vieni qua.”

(Continua)

Per commenti o contatti con l’autore scrivete a: pensieriosceni@yahoo.it

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