Skip to main content
Racconti di DominazioneRacconti sull'Autoerotismo

Self Bondage

By 4 Luglio 2017Dicembre 16th, 2019No Comments

 

Sento il rumore della porta che si chiude e guardo l’ora che la sveglia proietta sul soffitto. Sono le 9.05.

Devo aspettare mezz’ora almeno, e già so che sarà lunghissima.

Benché abbia finto di dormire quando il mio compagno e suo figlio sono usciti di casa, per l’eccitazione sono sveglia da almeno un’ora.

Salvo imprevisti, alle 9.35 potrò mettere nuovamente in atto un gioco – chiamiamolo così – che non metto in pratica da anni.

Da almeno sei, da quando convivo.

I due uomini di casa sono usciti per un giro in bici. Conosco bene il programma, per fortuna: faranno una sgambata di diversi chilometri con altri quattro amici, poi si fermeranno al ristorante in cui hanno già prenotato e quindi torneranno indietro.

Anche volendo essere prudente, prevedo che almeno fino alle due del pomeriggio rimarrò sola.

Conto i minuti che mancano alla fine della mezz’ora, e quando la sveglia finalmente indica le 9.35 mi alzo dal letto come una molla.

Per prima cosa vado alla porta di ingresso, infilo la chiave nella serraura e compio un quarto di giro. Ora nessuno può entare da fuori, neppure con le chiavi.

Quindi torno in camera e tolgo lenzuola e copriletto, lasciando solo il materasso; poi apro il cassetto della biancheria dal quale recupero quattro pezzi di corda lunghi una trentina di centimetri.

Li lego ai quattro angoli del letto, lasciando il capo sciolto sul materasso, poi su quello posto alla sinistra rispetto alla testa intreccio un nodo scorsoio.

Sento il cuore battere forte, ogni mossa che faccio mi avvicina sempre di più al momento che amo e che temo allo stesso tempo.

Prendo due candele, una la posiziono nel portacandele situato sul mio comodino e l’altra la appoggio sul materasso, più o meno al centro del letto.

Vado avanti?

Giunta a sto punto, avrei certamente più rimpianti ad interrompere che rimorsi a proseguire.

Mi sfilo il reggiseno e lo metto su la sedia, le mie mutandine fanno la stessa fine dopo poco.

Mi metto accanto al letto, con le mani intrecciate dietro alla schiena.

Mi calo in un gioco mentale in cui io sono una prigioniera che sta per essere torturata.

“Se non ci riveli chi sono i tuoi complici, sarai torturata e violentata”, dice una voce immaginaria nella mia testa.

Non apro bocca, così i miei fantastici carcerieri mi fanno sdraiare sul letto.

Mi lego entrambe le caviglie ai due angoli, aggiustando la posizione della candela affinché sia appena sotto alla mia vulva, quindi faccio passare il polso destro all’interno del cappio.

Nel momento in cui tirerò, la corda si stringerà attorno al mio polso e sarò imprigionata.

Certo, la mano libera mi permetterà di sciogliere i miei legami (sarebbe stupido e imprudente legarmi totalmente), ma la sensazione di costrizione sarà psicologicamente di impatto per me.

Chiudo gli occhi, tirò un sospiro e lasciò che il cappio si stringa attorno al mio polso.

Ora tre dei miei quattro parti sono legati; con la mano destra raggiungo la corda che ancora penzola dall’angolo del letto e me la giro attorno al polso.

Evidentemente da questo legame mi posso liberare semplicemente spostando la mano, ma la sensazione è fortissima.

Il letto è doppio e io non sono molto alta, così le mie gambe sono divaricate al massimo.

“Sei coraggiosa, ma alla fine parlerai come tutte”, dice ancora il mio carceriere invisibile.

Quando abitavo da sola facevo spesso questo gioco, almeno una volta alla settimana.

Purtroppo non ho mai osato coinvolgere un’altra persona, né un fidanzato nè un amico.

Solo con mia cugina, anni fa, avevamo fatto un gioco simile.

Eravamo entrambe adolescenti e la cosa era finita in maniera imprevista.

Tutti questi ricordi, uniti alla sensazione di prigionia, mi stanno facendo eccitare.

Voglio però aspettare a toccarmi, far durare il gioco più possibile.

Guardo l’ora sul soffitto, non sono neppure le dieci e potenzialmente potrete stare legata per altre quattro ore.

Se nessuno mi disturba con il telefono, potrei divertirmi decisamente.

Senza neppure pensarci libero la mia mano destra e me la passo lungo il corpo.

I miei capezzoli sono duri, e quando con due dita mi sfiorò tra gambe mi sento umida.

Chissà se mia cugina si presterebbe ancora da fare una cosa del genere?

Magari come ci penso io ci pensa anche lei, non ci vorrebbe molto.

Con un polpastrello mi accarezzo il clitoride.

Descrivo un movimento circolare è lento.

Voglio solo andare un poco su di giri, ma senza venire.

È un vero peccato che il mio uomo non condivida certe fantasie, renderebbe il sesso molto più interessante.

Da ragazza, quando avevo circa diciassette anni, avevo messo un’inserzione on line cercando qualcuno che mi legasse, ma la quantità e soprattutto il tenore di tante risposte mi avevano fatto desistere.

Mi accarezzo ancora un po’, ma un rumore al di là della parete mi fa interrompere.

Cosa può essere stato?

Sembra provenire dalla stanza del figlio del mio compagno, ma è andato via con il padre. Forse proveniva dal piano di sopra.

Un attimo dopo, il rumore della porta che si apre mi toglie ogni dubbio sulla provenienza del suono.

Il ragazzo esce dalla stanza, poi si blocca sulla porta e guarda verso di me.

Io non ho il tempo materiale di sciogliermi, l’unica cosa che faccio è appiattire la mano sul mio inguine per coprirmi.

“Che cazzo sta succedendo?”, dce entrando nella stanza.

“Tu non dovevi andare via con tuo padre?”, gli domando.

“Ero troppo stanco e poi non ne avevo voglia. Ma tu sei legata?”, mi dice avanzando verso di me.

Che posso fare, negare l’evidenza?

Inventarmi una rapina andata male?

Non sarebbe credibile.

“Ti prego Marco, non dire nulla a tuo padre”, lo imploro.

Il ragazzo indossa solo un paio di slip e vedo che, assieme al suo sorriso, gli sta crescendo anche qualcosa tra le gambe.

“Ti stavi toccando?”, mi domanda.

“Marco, ti prego, dimmi che non gli dirai nulla”, gli chiedo ancora.

Ho il cuore che batte a mille, questa era veramente la situazione che volevo evitare.

“Non gli dirò nulla, anche se te lo meriteresti visto che ieri sera mi hai fatto incazzare”.

Si riferisce ad una discussione avuta durante la cena in merito ai troppi soldi che spende.

Però non sembra arrabbiato in questo momento, forse più divertito.

Posso azzardare?

Potrebbe essere quello il momento che sto aspettando da tutta la vita.

“Potrebbe essere il momento giusto per rispondermi” dico.

Non riesco ad essere più esplicita, ma credo che il ragazzo abbia capito.

Guarda verso la corda sciolta e dice: “Una mano l’hai tenuta libera. Giustamente, visto che ti stai toccando.”.

Prende il mio polso libero e lo lega all’angolo del letto.

Ora sono completamente immobilizzata, può fare veramente quello che vuole e io non potrò liberarmi senza il suo aiuto.

Per un attimo mi balena il pensiero che in teoria suo padre potrebbe tornare e trovarmi ancora così, ma per il momento ho problemi più grossi.

Tipo lui che mi sta passando una mano sulle tette.

“Tu sei una di quelle che fantastica di essere torturata?”.

“Si”.

“E mio padre non sa nulla presumo. Se no lo faresti con lui”. “Esatto, lo conosci e sai come è fatto”.

Con la mano continua ad accarezzarmi al il corpo e, dopo essere sceso lungo la pancia, mette un dito tra le grandi labbra.

“Vedo che ti sta piacendo”.

Sono imbarazzata, chiudo gli occhi per non guardarlo in faccia.

“Lo vedi da solo che mi piace. Marco, ti prego, sono già abbastanza imbarazzata”.

“Lo immagino, ma vedo anche che chi piace. Immagina come saresti imbarazzata se io adesso facessi una video chiamata al mio amico Andrea”.

Istintivamente tendo i muscoli per liberarmi, ma i legami sono troppo solidi.

“Marco, ti prego!”, lo imploro.

“Andrea apprezzerebbe – dice continuando a muovere il dito tra le mie gambe – mi dice sempre che ti scoperebbe volentieri. Anche Alessandro lo farebbe”.

Il pensiero di quei due ragazzi eccitati verso di me, unito alla stimolazione del dito di Marco, mi fa bagnare ancora di più.

“Però sarò buono e non lo farò, almeno per ora. Però non mi è piaciuto quello che mi hai detto ieri sera”.

“Scusami, non volevo”.

“Non basta chiedere scusa”.

Prende il telefonino e mi scatta un paio di foto.

“Questa è la mia assicurazione. La prossima volta che mi tratterai male, queste foto cominceranno a girare. I primi a riceverla saranno i miei amici”.

Deglutisco.

“Va bene”, gli dico.

Si siede di nuovo accanto a me e ricomincia ad accerezzarmi, con una mano sui seni e con l’altra tra le gambe.

“Ti sei legata molte volte così?”, mi chiede.

“Da quando abito qui è la prima volta”.

“Lo facevi quando abitavi da sola?”.

Annuisco, mentre il suo movimento mi eccita sempre di più.

E poi mi piace questa specie di interrogatorio che mi sta facendo.

“Mai fatto con qualcun altro?”.

“Una volta, con mia cugina, quando eravamo piccole”.

Mi infila un altro dito.

“Tua cugina Cristina?”.

“Ho solo lei”.

“Racconta”.

“Eravamo piccole, facevamo la prima liceo. Abbiamo fatto un gioco a farci il solletico, chi rideva si toglieva un indumento”.

Aumenta il ritmo e io mi eccito sempre più.

“Io sono stata la prima a spogliarmi completamente. Seguendo il gioco, lei avrebbe dovuto legarmi e farmi il solletico a piacimento”.

“Lei era vestita?”.

“No, facevamo una volta a testa e quindi era nuda anche lei”.

Smette di toccarmi il seno e vedo che con una mano si accarezza tra le gambe.

“Continua, cazzo!”.

“Mi ha legata e mi ha fatto il solletico. Poi ha cominciato a toccarmi tra le gambe. Io ero vergine ancora”.

“Sapevi che ti avrebbe toccata?”.

“No, non volevo. Io credevo che mi avrebbe fatto solo il solletico. A me piaceva che mi legasse, per questo avevo organizzato il gioco”.

Mi manca il fiato, sto per venire.

Rievocare quell’episodio, con lui che mi tocca, mentre sono legata….

“Sei venuta quindi, o l’hai fermata?”, mi chiede.

“Sì, sono venuta. È stato bellissimo”.

“E poi?”.

“E poi toccava a lei, quindi sono stata io a toccarla…”.

“Senti, vaffanculo!”.

Si toglie gli slip e si sdraia sopra di me.

“Questo è per te e per quella puttana di tua cugina”.

Inarca la schiena e me lo infila dentro.

 

Marco si sfila da me e si inginocchia accanto, sul materasso.

Non si rimette gli slip e non posso non ammirare le dimensioni del suo organo anche da rilassato.

Non mi slega, e per paradosso ora mi sento imbarazzata, più di prima. Si accendo una sigaretta.

“E così hai lesbicato con Cristina?”.

Annuisco mentre ricomincia a toccarmi il seno.

“Lei mi ha toccata. Poi quando toccava a me ricambiare la cosa sono rientrati i nostri genitori”.

“E vi hanno beccate nude a letto?”.

Vedo che il suo membro si sta nuovamente irrigidendo. I vantaggi dei vent’anni!

“No, ce ne siamo accorte prima e ci siamo rivestite al volo”.

La sua mano continua a correre sul mio corpo.

“Siete più state assieme dopo quel momento?”.

“Sì, da adulte. Lo scorso anno, ad esempio, quando siamo andate al mare assieme”. Ora è nuovamente in erezione.

“Mi ricordo. Avete fatto una settimana, c’era anche suo figlio”.

“Esatto”.

“Ve la siete toccata?”.

“Secondo te?”.

Mi infila due dita nella vagina.

“Te lo sto chiedendo esplicitamente. Ve la siete toccata?”.

Sospiro. “Sì”.

“L’hai anche leccata?”.

“Sì”.

Si muove dentro di me.

“Quante volte l’avete fatto?”.

“Praticamente tutte le notti”.

Accelera.

“Siete due puttane, lo sai?”.

“Lo so”.

“Mi viene voglia di lasciarti qui legata e chiamare tutti i miei amici, che ti fotterebbero a turno. Ti piacerebbe, vero?”.

“Molto”.

“Ci fosse quella puttana di Cristina ci sbatteremmo anche lei a turno. Mi sono sempre piaciute le sue tettone, deve essere bella nuda, vero?”.

Spegne la sigaretta nel posacenere e con la mano libera mi friziona il clitoride.

“TI ho chiesta come è nuda?”.

“Bella. Molto bella”.

“E’ depilata?”.

“No”.

Sto ansimando e tengo gli occhi chiusi, per questo quasi mi sorprendo quando sento che si è nuovamente sdraiato su di me.

“Sono buono, e almeno per adesso non chiamo i miei amici. Ma questo non ti impedirà di essere scopata nuovamente”.

Entra ancora dentro di me; appoggia le mani sui miei seni.

Stavolta riesco a venire prima di lui.

 

Marco torna a sedersi accanto a me.

Non so da quanto sia legata, ma le spalle stanno cominciando a farmi male; tuttavia mi guardo bene dal dirglielo.

Si accende nuovamente una sigaretta e ricomincia a toccarmi sul corpo.

“Ora devi dirmi una cosa, se è vero che ti sei scopata Edo”.

Trattengo il fiato, questa cosa non credevo la sapesse.

L’episodio è vero e risale a diversi anni fa, da quanto tempo ne è a conoscenza?

“Sto aspettando che tu parli”, mi dice.

“No”, gli rispondo.

“Credo tu stia mentendo”, mi dice.

Avvicina la sigaretta al mio capezzolo, sento la pelle scaldarsi.

“Marco, ti prego! Mi rovini per la vita se mi bruci lì!”, gli dico.

Allontana la sigaretta e sorride.

“Non l’avrei mai fatto, ma serve per farti capire che, se voglio, ti faccio qualunque cosa. Conosco metodi migliori per farti confessare”.

Mi passa le unghie sul fianco e mi strappa una risatina di solletico.

A me il solletico piace, ma l’effetto che fa quando sei legata è decisamente più forte.

Mi dimeno tra le corde, ma inutilmente.

“Allora, dimmi di Edo”, insiste.

“No, credimi”, ribadisco.

Le sue dita corrono nuovamente sulla mia pelle, sfiorando le ascelle, la pancia e i seni.

Mi dimeno e rido istericamente.

“Ora ti faccio il solletico per cinque minuti, poi vediamo se neghi ancora”, mi dice.

Non faccio in tempo a dire nulla, neppure a provarci, che le sue dita mi attaccano nuovamente, questa volta partendo dalle piante dei piedi.

Mi solletica con leggerezza ma è molto efficace, tendo i muscoli per sottrarre la mia pelle al suo tocco, ma le corde mi trattengono.

“Marco, ti prego…”, singhiozzo.

Ignora la mia supplica e risale con le dita lungo le mie gambe, concentrandosi nella zona dietro al ginocchio e nell’interno coscia.

Mi agito, ma evidentemente mi sono legata troppo bene.

Le sue dita percorrono la mia pelle come un ragno, sfiorano il mio monte di Venere, forse quanto basta a percepire la mia eccitazione.

Vorrei si fermasse lì, vorrei mi stimolasse il clitoride e mi facesse venire, ma prosegue oltre.

Con le unghie mi solletica la pancia, poi allarga il raggio di azione e mi solletica le ascelle.

Sto impazzendo, provo a sottrarmi ma non riesco ad evitare nemmeno un millimetro delle sue dita.

“Ti prego, ti dirò la verità! Ti prego, smettila!”, urlo.

Le sue dita si placano.

E’ ancora nudo, quindi posso vedere che il suo membro è nuovamente tonico.

Si alza in piedi accanto al letto.

“Forza, dimmi di Edo”, mi dice.

“Era una sera d’estate, dopo le ripetizioni si è fermato da me a vedere un film perché sua madre usciva – dico affannata – Faceva caldo e si è tolto la maglietta. Allora dopo poco gli ho chiesto se potevo fare lo stesso anche io”.

Mi dà uno schiaffo sul monte di Venere.

Non me l’aspettavo e mi sfugge un urletto.

“Che zoccola! Continua”.

“Mi tolgo la maglietta, e poi anche i pantaloncini. Sotto ho solo la biancheria intima”.

Appoggia un polpastrello sul clitoride e prende a ruotarlo.

Chiudo gli occhi assaporando il momento.

“Vai avanti, se no riprendo a farti il solletico”, minaccia.

“Allora lui mi dice che non sono onesta, perché lui è nudo dalla vita in su e io no”.

Il suo tocco, unito al fatto di essere legata, mi sta mandando su di giri.

Deglutisco e chiudo gli occhi, ma li riapro quando sento nuovamente uno schiaffo sul pube.

“Cosa hai fatto allora?”, mi incalza.

“Allora mi sono liberata del reggiseno e gli ho detto che se la cosa fosse rimasta tra noi avrei potuto anche togliermi tutto”.

Prende la candela che ancora giaceva sul materasso e me la infila dentro.

Non riesco a trattenere un sospiro.

“Sei una zoccola, lo sai vero?”.

“Sì”.

“Volevi scopartelo?”.

“Sì, ma non pensavo che sarebbe successo”.

“Avevi accettato di dargli ripetizioni perché pensavi di fartelo?”.

“No. Avevo accettato perché mi sembrava un ragazzino piacevole e volevo aiutarlo”.

“Quante volte è capitato?”.

“Altre due”.

“E poi?”.

“Cosa intendi?”.

“Oltre a scopare cosa avete fatto?”.

Non riesco a rispondere subito, sia perché non è facile ammettere certe cose sia perché la candela dentro di me sta sortendo il suo effetto.

A giudicare dall’erezione di Marco, anche per lui il tutto non deve essere indifferente.

L’esitazione non viene apprezzata, però, perché Marco smette immediatamente di muovere la candela.

“Devi rispondere in fretta! Ora subisci altri cinque minuti di solletico!”.

“No, per piacere!”.

Non so come potrei uscire da un’altra sessione, e poi ero molto vicina a venire.

Ignora la mia supplica e ricomincia a percorrermi il corpo con le dita.

E’ più veloce di prima e più intenso, rido sguaiatamente senza preoccuparmi di farmi sentire dai vicini.

Non potrei fare diversamente, oltre tutto.

Mi dimeno nei miei legami, vorrei potermi liberare ma non riesco.

Per la prima volta mi rendo conto come la tortura, su cui ho spesso fantasticato, può essere anche vera sofferenza.

Mi piace e mi tormenta allo stesso tempo.

“Marco ti prego fermati – lo imploro – Farò quello che vuoi ma fermati!”.

“Dimmi cosa hai fatto a Edo oltre a scoparlo”.

“Quando ha passato l’esame l’ho premiato con un pompino”.

“Come una vera puttana, direi”.

Non so cosa rispondere, ha ragione.

“Allora adesso farai lo stesso a me. O riprendo con il solletico”.

“No, basta solletico. Te lo farò, prometto!”.

Scende dal letto e mi scioglie i legami.

Come prima cosa mi rannicchio in posizione fetale per alleviare le articolazioni dalla rigidità in cui sono stata costretta a lungo.

Sono quasi due ore secondo la sveglia sul comodino.

Marco si sdraia sul letto.

“Sto aspettando”, mi dice.

E’ pronto e si vede.

“Mentre me lo prendi in bocca, voglio che ti tocchi”, mi ordina.

Non dico nulla, ma ne sono lieta perché un attimo prima ero molto vicina a venire e non vorrei lasciare il lavoro a metà.

Mi protendo su di lui e lo accolgo in bocca e nello stesso tempo divarico le ginocchia, in modo da facilitare l’accesso al mio sesso da parte della mano.

Lo percorro lentamente nel senso della lunghezza, voglio fare un bel lavoro e voglio che goda.

Questa mattina è già venuto due volte e se avesse l’età di suo padre questo potrebbe significare un lungo impegno per me, ma per fortuna ha un altro vigore.

Io nel frattempo sono di nuovo vicina al climax e sento che sto per venire violentemente.

Infilo due dita dentro e mi stimolo a fondo, toccando i punti che so essere sensibili.

Anche lui deve essere vicino, perché con la mano mi prende la testa e dalla sua gola esce un respiro molto pesante.

Vengo, ma non voglio fermarmi e così mi limito a godere in silenzio.

Sono però più lucida e mi concentro meglio su di lui.

Con la mano con la quale mi ero stimolata fino ad un attimo prima gli stringo la base del pene e lo friziono.

I suoi gemiti crescono di intensità, fino a quando non sento un fiotto caldo colpirmi il palato.

Lascio che la sua eccitazione scivoli lungo la mia gola, quindi mi stacco da lui.

Sono sudata e esausta, è stata una mattinata pazzesca.

Per quanti anni avevo sognato una cosa del genere, avendo paura di buttarmi?

E ora, ero soddisfatta?

A mente lucida, i rischi di quanto appena intrapreso erano alti.

A fugare ogni dubbio furono le parole di Marco.

“Rivestiti, ma sappi che da ora tu fai quello che dico io. O le tue foto diverranno le più cliccate della rete”.

 

Sono ancora nel dormiveglia quando sento la porta di casa aprirsi fragorosamente e rumori di passi avvicinarsi alla mia stanza da letto.

Il mio compagno è fuori per il solito giro in bici, quindi può essere solo suo figlio, ma chi è con lui?

Bastano pochi secondi per fugare i dubbi: la luce si accende e Marco entra nella stanza assieme ai suoi amici storici Andrea e Alessandro.

Poichè indosso solo un paio di mutandine e una maglietta, istintivamente mi copro con le mani.

“Cosa sta capitando?”, chiedo, anche allarmata dalle espressioni truci dei ragazzi,

Marco non risponde ma mi da uno schiaffo.

“Sono io che dovrei chiedertelo. Cosa sta capitando?”.

Non so a cosa si riferisca così sto zitta.

Estrae il telefonino dalla tasca e mi fa vedere un messaggio.

Arriva dal mio numero e dice: “Ti ho sognata stanotte. Ho voglia di accarezzarti, di stringere i tuoi seni e sentire il tuo sapore. Mi toccherò pensandoti”.

Non era per lui, evidentemente.

Mi arriva un altro schiaffo.

“Allora?”.

“Non era per te, mi sono sbagliata”, rispondo.

“Mi pare evidente. Per chi cazzo era?”.

Marco è incazzato, ma anche gli altri non sembrano di buon umore.

“Non sono affari tuoi – rispondo piccata – E ora andate via, per piacere”.

“Invece sono affari miei se la donna di mio padre è una mignotta, e per di più lesbica”.

“Ascolta, era una cazzata, un messaggio che non avrei dovuto mandare ma che non significa nulla – mi difendo – Facciamo un passo indietro e calmiamoci, non serve a nulla parlarne con tuo padre o con chiunque”.

Guardo anche gli altri per far loro capire che apprezzerò il loro silenzio.

“Ieri sera mi hai negato i soldi per uscire e non ho potuto vedere la mia ragazza. Potevi farlo tu il passo indietro, e non l’hai fatto”.

“Sono due questioni diverse, non c’entrano nulla”.

“C’entrano perché ieri tu eri nella condizione di avere il coltello dalla parte del manico, e ora lo siamo noi. Forza, spogliati!”.

Istintivamente serro ancora di più le braccia attorno al mio busto.

“Stai scherzando?”.

“No, per nulla. Hai un minuto di tempo o inoltrerò il messaggio a mio padre, poi sai che divertimento”.

Allontano le braccia dal corpo. Non credo di avere alternative.

Mi sfilo la maglietta e rimango a seno nudo.

I ragazzi estraggono i telefonini e li puntano su di me.

“Niente foto, per piacere”, mi oppongo.

“Non decidi tu. Fotografatela pure”, interviene Marco.

Sento il suono delle macchine fotografiche.

“Dai, via anche le mutandine – mi esorta Marco – Tanto te le saresti tolte da sola a breve per toccarti, no?”.

Non commento la sua battuta e mi denudo, ancora accompagnata dal suono elettronico dell’otturatore dei telefonini.

“Mi pare che qualche anno fa vi siate lasciati per un certo periodo per colpa di una donna, no?”.

“Non è andata proprio così”, cerco di difendermi.

“Allarga le gambe e racconta come è andata, allora”.

Sono imbarazzata ma eseguo.

“Gli avevo raccontato che sarei uscita con degli amici e invece mi ha beccata in casa con una donna. Ma non stavamo facendo nulla”.

“Avevate fatto qualcosa in passato?”.

“Sì, l’estate prima”.

“Cazzo di puttana….”.

Marco ovviamente mi hai già vista nuda, ma per gli altri due e una totale novità.

I miei ricordi vanno ad un paio di anni fa, quando li avevo portati per un weekend al mare.

Avevamo passato molto tempo in spiaggia, e ricordo bene gli sguardi di entrambi, soprattutto di Andrea.

Nella notte tra sabato e domenica, poi, ad un certo punto mi ero svegliata per un rumore e, una volta aperti gli occhi, avevo fatto in tempo ad intravvedere proprio Andrea che usciva dalla mia stanza.

Aveva preso qualcosa oppure mi stava guardando?

Quella volta ero in biancheria intima, ora sono senza.

“Il suo programma non era di masturbarti? – mi ricorda Marco – Forza, non vogliamo esserti di intralcio”.

Esito, non so cosa fare.

Marco mi aiuta a prendere la decisione: “Se non inizi a toccarti immediatamente, il tuo messaggio arriverà subito a mio padre”.

È facile prendere decisioni quando non si hanno alternative…

Mi sdraio sul materasso e con la mano vado a stimolare il clitoride.

Il mio piccolo organo non sembra condividere le preoccupazioni che assillano il cervello, perché è pronto e sembra non aspettare altro.

Lo stimolo con due polpastrelli, quando sento che mi sono bagnata a sufficienza inserisco un dito dentro.

Immagino che Andrea della sera fosse venuto nella mia stanza proprio per guardarmi.

Cos’altro avrebbe potuto fare nel cuore della notte?

Indossavo solo la biancheria intima, ricordavo che in quel periodo Andrea non aveva nessuna ragazza e forse non aveva ancora avuto occasione di vedere donne poco vestite.

Magari mi aveva dato addosso la luce del telefonino e aveva esplorato i dettagli del mio corpo.

Me lo immagino a puntare la luce verso il mio inguine, cercando di cogliere i dettagli delle mie grandi labbra attraverso le trasparenze del mio perizoma.

Ricordo cosa indossavo in quell’occasione, era un completo di pizzo e, effettivamente, copriva in maniera abbastanza relativa.

Forse aveva puntato la luce anche sui miei seni, cercando di verificare se, tra un pizzo e l’altro, non facesse capolino anche un capezzolo.

Questi pensieri, uniti alla stimolazione delle mie dita, mi hanno fatto salire la temperatura.

Sto tenendo gli occhi chiusi, ma con una fugace occhiata posso verificare come tutti mi stiano filmando con i telefonini. Alessandro si passa la mano libera sulla patta dei pantaloni, con un movimento che forse non è neppure consapevole di fare.

Magari anche Andrea, anni fa, si era toccato pensando a me.

Magari l’aveva fatto proprio accanto a me, chi poteva dirlo?

Mi aveva esaminata con minuzia, poi se l’era tirato fuori e aveva cominciato a toccarsi.

Forse mi aveva anche messo le mani addosso, nel sonno profondo e possibile che non me ne sarei accorta.

Certo, non una palpata pesante, ma una mano su una chiappa o su un seno forse mi avrebbe pemesso di continuare a dormire.

Il cuore mi batte fortissimo e introduco anche un secondo dito dentro di me.

L’immagine è chiara: Andrea, vestito solo con i boxeur, si alza di notte, magari per bere.

Mi ha vista in bikini tutto il pomeriggio, non ha una ragazza e a quell’età certi pensieri sono molto frequenti.

Vede la porta della mia stanza aperta – ho sempre odiato le porte chiuse – e magari può aver deciso di vedere come fossi.

Entra dentro, la luce che filtra dalla finestra gli permette di dire che sono solo in intimo.

Sente dal mio respiro che sto dormendo, decide di correre il rischio.

Accende il telefonino, mi passa la luce addosso.

Si trova a solo qualche centimetro dalla mia pelle, forse non è mai stato così vicino a nessuna donna.

L’eccitazione è tanta, e, così come sta facendo Alessandro adesso, si passa una mano tra le gambe.

Si abbassa i boxer, lo prende in mano.

Forse fa un rumore, forse è solo un cane che abbaia, ma qualcosa lo interrompe.

Io sto per svegliarmi, si tira su i boxer frettolosamente e torna nella stanza.

Io mi sveglio giusto in tempo per vederlo uscire, realizzando solo a distanza di anni come fossi stata molto vicina a ricevere un getto di sperma sul corpo

Perché, oltrepassato un certo punto, non avrebbe più potuto fermarsi.

Sono molto eccitata, tra pochissimo verrò.

Chissà come è finita quella sera?

È andato in bagno a finire di toccarsi?

Oppure è tornato nella sua cameretta?

Ora che ci penso, ad Andrea era stata data la stanza piccola, quella con un solo letto, che usavo io quando venivo in villeggiatura con i miei nonni.

Forse non l’ha mai realizzato, ma quella notte si è masturbato nel mio letto, esattamente dove usavo farlo io quando avevo la sua età.

A questi ricordi il mio corpo reagisce come una carica di esplosivo e mi trasmette un’ondata di piacere che mi percorre dalla punta dei piedi ai capelli.

Quasi urlo mentre vengo, inarco la schiena e repiro forte, incurante dello spettacolo indecente che sto offrendo.

Quando mi riprendo ho il fiatone.

“Bene, direi che ho fatto quello che mi avete chiesto. Ora vorrei farmi una doccia con calma, quindi vi chiedo di uscire”.

Marco mi sorride, ma non è sorriso allegro.

“Forse c’è stato un difetto di comunicazione. Quello che hai fatto ora è servito soltanto ad evitare che io inoltrasse il messaggio a papà. Però ora devi dirci a chi volevi realmente inviarlo”.

Raccolgo le ginocchia e le abbraccio, come a proteggermi da questo colpo che sta per arrivare.

“Mi dispiace, ma questo non ve lo posso proprio dire. Fatemi quello che volete, ma su questo non cederò”.

Questa volta è Andrea a parlare: “Non so se fai un affare dicendoci di fare quello che vogliamo”.

MArco sorride. “Non è necessario essere creativi. Io la conosco, basta farle il solletico e ci dirà ogni cosa”.

Marco fa giusto in tempo a terminare la frase che i due ragazzi si scagliano su di me.

Marco mi immobilizza le braccia dietro alla schiena, mentre Andrea ed Alessandro fanno correre le loro dita sul mio torso.

Marco sa benissimo che il solletico mi piace, ma è indubbio che sopportare quattro mani che contemporaneamente mi solleticano è impossibile per chiunque.

Non posso farci nulla, mi dimeno e cerco di fuggire al loro tocco.

La lotta sul letto dura un paio di minuti, poi è Alessandro a parlare: “Così finisce che ci fa male. Dobbiamo legarla”.

“Ci penso io – dice Marco – Voi tenetela”.

I due ragazzi si piazzano sopra di me prona, impedendomi qualunque movimento

Andrea è sdraiato su di me e con il suo inguine si appoggia proprio sul mio sedere.

Posso sentire veramente la sua erezione.

“Ho trovato le corde, voltatela”, dice Marco.

Mi fanno ruotare.

Provo ad opporre resistenza, ma sono troppi e troppo forti per me, e dopo pochi istanti i miei polsi e le mie caviglie sono legate ai quattro angoli del letto.

“Ora secondo me ci divertiamo”, dice Marco minaccioso.

 

 

“Ora che non puoi scappare, possiamo approfondire l’argomento – dice Marco – Il messaggio era chiaramente per una donna; con quante donne sei stata?”.

Rimango zitta, mentre i ragazzi si dispongono attorno a me: Marco alla mia sinistra, Alessandro alla mia destra e  tra le mie gambe.

Prendono a passarmi le mani sulla pelle, privilegiando i seni e l’inguine.

Il mio corpo precede la mente e ci mette poco a reagire, come loro stessi possono notare dall’irrigidimento dei miei capezzoli.

Trenta dita si agitano su di me come formiche impazzite, provocandomi brividi lungo la pelle.

Se l’obiettivo è stordirmi ce la stanno facendo, e funziona forse meglio del solletico.

“Allora? Quante donne?”, ripete Marco.

Ancora tocchi ovunque, sulla pancia, l’interno coscia, i capezzoli….fino a quando Marco non mi infila un dito dentro.

Mi sfugge un gemito, e così anche Andrea lo imita, e dopo poco anche Alessandro.

Ci sono tre dita dentro di me che si muovono come serpenti impazziti.

La temperatura sale subito, e non è perché è estate.

“Quattro….cinque”, rispondo.

“Quattro o cinque?”, mi incalza Marco.

Sento che sto per venire.

“Cinque, se contiamo anche la prima”.

“Racconta, decidiamo noi se contarla o no”.

“Non posso”.

“Non sei nella condizione di scegliere, mi pare. Hai trenta secondi per iniziare a raccontare; se non lo fai, prendo il tuo telefonino, lo punto su di te e faccio partire una diretta Facebook. Saranno contenti i tuoi contatti di vederti nuda, che dici?”.

Ancora si muovono, l’adrenalina mi scorre nelle vene e il cuore mi batte.

“Prendo il telefono?”.

“No, aspetta…racconto, ma non fermatevi…”.

“Parti con la prima. Chi era?”.

Deglutisco. Devo andare avanti?

Non ho scelta, temo.

“Si tratta di mia cugina Cristina”.

“Quando è successo?”.

“Molti anni fa. Eravamo entrambe giovani, nessuna di noi era mai stata con un ragazzo….”.

 

Tutto avvenne al mare.

Eravamo in macchina assieme e stavamo aspettando qualcuno (presumo i miei) prima di tornare a casa dalla spiaggia, quando – non ricordo per che motivo – lei prova a farmi il solletico.

Non rido, e lei mi chiede se lo patisco. “Sì, le dico, solo che tu non sai farlo”.

“Sono bravissima. solo che qui, da seduta, non ci riesco”.

“Io lo so fare bene, ti farei morire”.

“Moriresti prima tu”.

“Vuoi sfidarmi?”.

“Quando vuoi”.

“Allora sto pomeriggio ti faccio morire di solletico”.

“Scommetto il contrario”.

Io mi sento già il cuore in gola.

Era già diverso tempo che avevo sviluppato la fantasia di essere solleticata, e per la prima volta avrei avuto la possibilità di farmelo fare in maniera decente.

Ci tengo a precisare come il sesso non avesse ancora fatto capolino nella mia vita e come pensassi a tutt’altro in quel momento: ne parlavo con Cristina, ma mi sarei comportata alla stessa maniera avessi avuto un ragazzo con me.

Mi interessava solo essere solleticata.

“Allora stiamo parlando seriamente? Oggi ci sfidiamo a farci il solletico?”, ribadisco.

“Certamente, Passo da te verso le tre, così dopo poco i nostri genitori escono”.

Nel pomeriggio, Cristina viene da me (abitava al piano di sopra) a fare i compiti.

Dopo poco, come d’abitudine e come avevamo previsto,  i miei annunciano che sarebbero andati in paese a fare un giro e ci chiedono se vogliamo unirci a loro.

“Restiamo qui a fare i compiti”, rispondiamo.

Appena se ne vanno, espongo a Cristina il mio programma.

“Questa è la sfida del solletico. Chi perde, per una settimana fa quello che l’altra vuole”.

“Mi pare giusto. Come si articola la sfida?”.

“Allora: ognuna fa il solletico all’altra, mentre quella solleticata è sdraiata sul letto. Se la vittima ride o si muove, perde. Giochiamo per mezz’ora, chi cede più volte ha perso la sfida. Mi pare semplice”, dico.

Lei annuisce e ci spostiamo nella stanza dei miei, dove c’era il letto matrimoniale.

“Come facciamo, rimaniamo vestite così?”, chiedo.

Era estate, indossavamo entrambe una maglietta e dei pantaloncini.

Cristina ha l’idea.

“Facciamo una cosa: partiamo così, si può fare il solletico solo alle parti scoperte, ma ogni volta che una cede, si toglie un indumento”.

Mi sento il cuore sobbalzare.

A quell’età, nessuna mi aveva vista nuda, neppure il medico, solo mia madre.

Ma, d’altra parte, essere nuda significava vergogna e significava essere vulnerabili, ed era proprio quello che mi piaceva nelle fantasie sadomaso che già da qualche tempo avevo cominciato a provare.

“Fino a che punto ci spogliamo? Ci togliamo tutto?”, chiedo.

“Se si perde sì. Tanto mica ti vergognerai, no?”.

Un po’ sì, ma non glielo potevo dire.

Facciamo pari e dispari per capire chi avrebbe iniziato, ed esco io.

Cristina mi fa distendere braccia e gambe, mi dice che non devo muovermi, e prende a farmi il solletico sotto ai piedi.

Rido dopo un secondo e mi tolgo la maglietta.

Tocca a lei, che prende il mio posto.

Anche io la solletico sotto ai piedi, e anche lei si toglie la maglietta.

Di nuovo a me.

Questa volta il solletico è sotto alle ascelle. Resisto un pochino, ma alla fine cedo.

Via i pantaloncini.

Anche Cristina dura poco, e anche lei si ritrova in biancheria intima come me.

Sono di nuovo io sul letto, e questa volta – se riderò – dovrò perdere il reggiseno.

Per motivi che non capisco, Cristina mi solletica nell’interno coscia.

Ad essere sincera non mi provoca nessuna reazione, lascio che mi accarezzi per un paio di minuti e poi decido di ridere lo stesso.

A distanza di anni, non so ancora perché lo feci, se non forse il desiderio inconscio di andare avanti con il gioco e provare imbarazzo.

Lei sorride.

“Via il reggiseno!”.

Lo tolgo fingendo noncuranza e sperando che non sia chiara la rigidità dei miei capezzoli.

È il turno di Cristina: le faccio il solletico sui fianchi, e anche lei perde il reggiseno.

Quando se lo toglie mi vergogno un po’, perché io sono quasi piatta, lei invece ha già allora un bel seno, una terza piena.

Mi sdraio di nuovo sul letto, solo con gli slip addosso.

Chiudo gli occhi: sento le sue mani sui miei fianchi, le sue unghie, poi mi attacca.

Avrei voluto opporre più resistenza, ma cedo clamorosamente.

Di qui a breve sarò nuda.

Mi sfilo le mutandine come se fosse la cosa più naturale del mondo, ma dentro di me ho il cuore che batte a mille.

Tocca a lei.

Le faccio nuovamente il solletico sotto ai piedi e cede.

Anche lei si spoglia.

Sono di nuovo io sdraiata, per la prima volta nuda. Un po’ mi imbarazza che lo sia anche lei.

Mi passa le mani sulla pancia, poi scende sulle cosce e, inspiegabilmente, mi tocca il pube.

“Sei bagnata!”, mi dice con un po’ di sorpresa, ridendo.

Io non so neppure perchè stia capitando, le dico una stupidaggine tipo che mi capita sempre quando mi tolgo le mutandine, ma sto morendo di imbarazzo, ed essere a gambe larghe davanti a lei non lo attenua.

Lei continua a toccarmi le labbra.

In quel momento, realizzo che mi piace.

Ora, fossi stata un po’ più matura, probabilmente avrei gestito diversamente la cosa, ma in quel momento non so nulla del sesso, non so nulla delle sue implicazioni, so solo che quello mi piace, così la lascio fare.

La lascio fare, le permetto di giocare con il mio clitoride combattuta tra il chiederle di smettere e sperare che continuasse, fino a quando, per la prima volta nella mia vita, vengo.

Sono letteralmente travolta dal mio orgasmo, senza avere neppure la possibilità di mascherarlo, ansimando e raggomitolandomi per godermi in pieno l’esperienza.

Cristina mi lascia godermi il momento, poi mi dice: “Dai, ora tocca a me!”.

Si distende al mio posto, allargando le gambe e implicitamente chiedendomi di fare lo stesso.

Me la sento?

Lei lo ha appena fatto a me, cosa penserebbe se mi tirassi indietro?

Penserebbe che sono una bambina stupida che non so gestire una cosa del genere, mentre lei l’ha fatto senza problemi.

Ma, se vado avanti, allora significherà che sono lesbica?

Penso a tutte queste cose mentre le metto una mano sulla vulva.

Lei ha gli occhi chiusi ed è bagnata anche lei.

La friziono per un paio di minuti, poi dalla finestra sentiamo le voci dei nostri genitori.

Finisce in un lampo tutta la lussuria: in una frazione di secondo ci rivestiamo, e facciamo appena in tempo a tornare in cucina (entrambe senza intimo sotto, ovviamente) che entrano i miei.

Non si accorgono di nulla, ma mi sono spesso chiesta cosa sarebbe successo non li avessimo sentiti e ci avessero soprese in quello stato.

Non succede più nulla per tutta la vacanza e non ne parliamo più, anche se il nostro rapporto cambia.

Diventiamo più intime; non in senso fisico ma come complicità.

Da quel momento prendiamo a raccontarci i nostri pensieri, le nostra fantasie.

L’unica fantasia che non le racconto è che talvolta mi tocco pensando a lei, pensando a quanto mi sarebbe piaciuto vederla venire di fronte a me.

 

Mentre proseguivo con il racconto le loro mani non avevano mai smesso di accarezzarmi e di toccarmi, e ora sento un bisogno urgente di venire.

Andrea è davanti a me e con la mano con cui non mi tocca continua a massaggiarsi tra le gambe.

“Eri già puttana da giovane”, dice Marco.

Guarda verso Andrea e si scambiano uno sguardo di intesa.

“Non è mai tardi per punirti”, prosegue Marco.

Andrea inizia a slacciarsi i pantaloni.

“Ragazzi, non esagerate”, dico, ma nè Andrea nè gli altri sembrano sentirmi.

Il ragazzo di fronte a me si toglie la maglietta e si abbassa i boxer.

La sua erezione testimonia la sua eccitazione.

Si china su di me, io cerco di sottrarmi, ma la posizione in cui sono legata non mi da margini di movimento.

Andrea solleva l’inguine e poi mi penetra con un colpo secco, strappandomi un gemito.

“Fai piano!”, gli chiedo.

Non so se non mi sente o semplicemente non ha intenzione di assecondarmi, ma continua a entrare e uscire da dentro di me.

Tendo i muscoli nei legami, guardo attorno a me e le facce di Marco e Alessandro sono quelle di due predatori.

Faranno di me quello che vorranno, conviene che mi rilassi e assecondi il movimento di Andrea.

Non dura molto il ragazzo, e dopo qualche minuto lo sento venire.

Si accascia su di me, sudato, poi si solleva e si sfila da dentro di me.

“Ora sentiamo il racconto sulla seconda”, mi dice Marco.

 

 

Leave a Reply