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06 – Esperia

By 31 Agosto 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Ho passato gli ultimi giorni chiusa in casa a studiare.
Ho anche avuto occasione di parlare con Silvia, la mia amica con cui divido l’appartamento.
La faccenda di Nicola sembra rientrata e lei dovrebbe aver capito che non è stata colpa mia, almeno spero.
Ieri sera è venuta a trovarci Esperia.
Quel nome ha sempre evocato in me una figura elegante e leggiadra, la compostezza e la perfezione delle statue greche e romane.
Beh, questa Esperia non è proprio così.
Dovete pensare ad un’esagerazione continua.
Esperia è troppo in tutto: i suoi capelli sono troppi, troppo neri e troppo ricci, la sua testa è troppo grande, il suo corpo è troppo, come pure le sue tette ed il suo culo, ha due mani enormi, da manovale e la sua voce è troppo forte e dal tono sgraziato.
Non mi è mai piaciuta Esperia, ma siccome è la cugina di Nicola, ogni tanto me la trovo tra i piedi.
E’ appena tornata dalla Calabria e si è presentata a casa nostra con un sacco di roba da mangiare.
Quando Silvia l’ha invitata a cena e lei ha accettato non sono stata tanto contenta, ma poi ho pensato che i barattoli di verdure sottolio ed i salami piccanti che riporta tutti gli anni dal suo paese, potevano giustificare una serata da trascorrere con la sua ingombrante presenza.
Ha portato anche due bottiglie di vino rosato.
Io in genere non bevo vino, anche perché lo reggo poco, ma quello era molto buono e poi, bello fresco, andava giù che era un piacere.
Verso la fine della cena mi sono resa conto di averne bevuto veramente troppo e forse, ma non ne sono sicura, Silvia ed Esperia lo hanno fatto apposta.
Sono un po’ stordita, mi gira la testa e sento che Silvia inizia a parlare di butt plug.
In questi giorni le ho confidato un po’ delle mie fantasie e quindi lei è al corrente del fatto che vorrei provare ad aprire un po’ il mio buchino.
Ma Esperia no, non voglio metterla a parte di certe mie esperienze.
Guardo Silvia con aria disperata, le faccio cenno di no, ma lei continua imperterrita.
In cinque minuti ha spiattellato tutto sulle mie intenzioni di sperimentare tecniche per aprire il culetto, come dice guardandomi con un sorrisetto furbo.
Esperia prende la palla al balzo e dice che può fare molto per aiutarmi, e che ha addirittura con se, nella borsa, quello che mi serve.
Anche se sono intontita dal vino, un campanello d’allarme comincia a suonarmi dentro la testa, ma sono troppo debole per tentare una reazione.
Le manone di Esperia mi sollevano di peso dalla sedia e mi trovo a percorrere il corridoio, camminando con le mie gambe, ma come se fossi una marionetta, mossa dai fili di chi la comanda.
Grido, piagnucolo ma non ottengo nulla e vengo trascinata nella mia stanza da Esperia, mentre Silvia mi carezza i capelli e dice di non preoccuparmi.
Ormai sono rassegnata e non reagisco quando le mani ruvide di Esperia si infilano sotto la mia gonna e mi sfilano le mutandine.
‘Prima ci vuole una bella lavata, dentro.’
L’oggetto che tiene in mano Silvia ma fa fare un salto indietro nel tempo, a quando avevo quattro o cinque anni.
Avevo mal di pancia e mia nonna mi fece una peretta.
Mia nonna era una donna semplice, di campagna, e quando mia madre lo seppe si arrabbiò molto con sua suocera. Ma questa successe il giorno dopo, lì per lì ricordai solo il gran fastidio di tutta quest’acqua calda che mi entrava nella pancia e le raccomandazioni della nonna: ‘tienila, tienila ancora, sennò bisogna rifarla.’
Non voglio farmi fare una peretta ora, a ventitré anni, ma loro insistono, mi dicono che se dentro non è tutto pulito succede un casino ed io sono troppo sbronza per scappare via, così mi lascio mettere su un fianco, Esperia mi piega la gamba e Silvia, dopo averlo lubrificato con una roba spremuta da un tubetto, mi infila il beccuccio dentro e comincia a spingere.
L’acqua non è né bollente né fredda, diciamo giusta, e la sensazione all’inizio non è fastidiosa.
Una volta vuotato il contenuto della peretta nella mia pancia mi fanno mettere a sedere sul letto.
Ora mi sembra di avere una vasca con i pesci rossi dentro la pancia: tutto si muove e gorgoglia.
Risuona lo stesso grido di mia nonna: ‘tienila, tienila!’
Va bene, la tengo accidenti a voi.
Intanto mi passano le braccia dietro la schiena e mi legano i polsi con un pezzo di corda che avevo usato per il sukaranbo.
Quando, finalmente, mi permettono di andare in bagno ho parecchie difficoltà a camminare, tra la sbronza, gli strizzoni alla pancia e le braccia legate dietro, ma riesco ad arrivare al water senza cadere e senza sporcare in terra.
Silvia aspetta pazientemente che io mi svuoti e poi mi fa alzare e mi aiuta a scavalcare il bordo della vasca.
Mi tiene sollevata la gonna e mi passa a lungo il getto della doccia in mezzo alle gambe e sul sedere.
Quando finalmente torniamo nella mia stanza mi sento meno annebbiata perché il getto d’acqua sulla mia pelle mi ha un po’ svegliata.
‘Oddio! No, quello no!’
Esperia brandisce un affare di gomma nero ed enorme.
Il cazzo di un negro.
Per le dimensioni e per il colore appare proprio come dovrebbe essere il pene di un negro nella mia immaginazione.
Veramente non ho mai avuto rapporti con uomini di colore e quindi si tratta solo e soltanto di immaginazione, comunque è veramente grande, troppo per entrare lì senza fare danni.
Mi ritrovo sbattuta sul mio letto, con il viso contro il cuscino, mentre le manone di Esperia mi sollevano il vestito e Silvia riprende a carezzarmi i capelli, cercando di tranquillizzarmi.
Mi sto facendo prendere dalla paura, ho letto cose terribili, che, se si esagera, lo sfintere potrebbe non richiudersi, facendo uscire quello che non dovrebbe.
Mi immagino, a ventitré anni costretta a mettermi il pannolino, non l’assorbente per il ciclo, ma quello che usano i vecchietti incontinenti.
Esperia mi sta lubrificando il buchino, che, temo, dopo il trattamento non sarà più tale, probabilmente con la stessa roba che hanno usato per il beccuccio della peretta, cerca di fare piano ma la delicatezza non è il suo forte e penso che il mio meccanico sarebbe più delicato.
Non ho mai pensato seriamente di farmi inculare dal mio meccanico, o forse sì?
Sono troppo ubriaca, mi sto sognando tutto.
La voce di Silvia che mi dice di rilassarmi, mentre continua ad accarezzarmi i capelli, mi riporta alla realtà.
Il meccanico mi sta allargando le chiappe.
Ahi! Fa male, ma non troppo.
Non è possibile, il cazzo del negro sta entrando nel mio povero culetto, lo sento avanzare lentamente, mentre i miei tessuti cedono.
Mi sento forzata, allargata, credo di essere dilatata al massimo, al punto che basterebbe un millimetro in più per rompermi.
Mi fa male, sono tesa ed indolenzita ed anche bagnata di sudore per la tensione.
Poi succede una cosa strana, improvvisamente il mio buchino si richiude, ma non del tutto, come se quel coso enorme di gomma nera avesse ad un certo punto un restringimento.
Il meccanico, cioè Esperia ha smesso di spingere.
Silvia mi carezza ancora i capelli.
‘Brava, hai visto che non è stato poi così difficile?’
Oddio! Mi hanno ficcato quel coso spropositato nel mio culetto.
Sono massacrata, rovinata, eppure sento solo un po’ di dolore, come un fastidio, una costrizione.
Forse sono troppo ubriaca per accorgermene, ma quando mi sarà passata la sbronza ‘
Silvia mi aiuta a girarmi su un fianco, sento la punta di quel coso enorme muoversi dentro di me, è come se cercasse di arrivare a stimolare la mia fichetta da dentro, ma penso che non può essere, non può arrivarci.
Mi sto eccitando? Sì, ora che la paura è passata, cominciò a sentirmi i capezzoli duri, come quando mi sta per venire il ciclo e forse sono anche un po’ bagnata.
All’improvviso, lo vedo.
Il cazzo del negro, quel coso nero ed enorme non è piantato in mezzo al mio culetto, ma se ne sta tranquillo, dall’altro lato del mio letto, poggiato sul cuscino.
Silvia ed Esperia sono in piedi, vicino all’armadio e ridacchiano.
‘Ma dai, non ti avremmo mai ficcato un affare del genere nel culo. Se vuoi posso provare ad infilartelo nella fica, dovrebbe fare un bell’effetto ora che dietro sei bella dilatata.’
Esperia ride e mi mostra il coso nero che mi ha fatto passare un brutto quarto d’ora.
‘Ma allora …’
Mi spiega che mi ha infilato un affare molto più piccolo, che volendo si può anche portare a spasso. La parte terminale si stringe molto e poi termina con una specie di piattello, molto più largo, per impedire che finisca tutto dentro e se ne vada a spasso per l’intestino.
Termina la frase con una risata potente e volgare, perché Esperia è anche volgare, anzi troppo volgare, perché lei è sempre troppo qualcosa.
Comincia a darmi fastidio, pensavo che mi sarei abituata, ma più passano i minuti e più aumenta il dolore ed il disagio.
Ho le braccia legate e non posso togliermelo, chiedo a Silvia, che mi sembra più malleabile, ma lei mi dice che devo tenerlo almeno per mezz’ora, sennò non serve a nulla.
Riprende a carezzarmi i capelli e poi mi infila una mano sotto la canottiera.
Quando le dita mi pizzicano i capezzoli, faccio un salto, ma la lascio fare, non vorrei che si facesse dare il cambio dall’altra.
Mi accarezza per un po’ i seni poi toglie le mani.
Mi bacia dietro un orecchio e sento di nuovo la sua mano. Questa volta mi sfiora la pancia e continua verso il basso, infilandosi tra la gonna e la mia pelle.
Si sofferma solo un po’ sui miei peli, poi scende ancora e sprofonda nella mia cosina, a questo punto bella bagnata.
Mi piace? Certo che mi piace, anche se non avevo mai pensato seriamente di farlo con un’altra donna.
Il piacere che provo allevia il fastidio del butt plug che è ormai dentro di me da troppo tempo.
Esperia saluta e se ne va, dopo aver rimesso nella borsetta il cazzo del negro. In quanto all’altro aggeggio, mi dice che posso pure tenerlo.
Intanto Silvia si spoglia completamente e si piazza sul letto dietro di me, sento il suo ventre che preme sul mio sedere, mentre riprende a toccarmi.
Le sue spinte fanno muovere il butt plug dentro di me, aumentando sia il piacere che il dolore.
Alla fine vengo dolcemente, quasi senza accorgermene.
Sento Silvia che armeggia intorno alle mie braccia.
Ora sono libera.
Mi dice di rilassarmi che è ora di togliere il butt plug.
Forza solo un po’ all’inizio, poi, quando è uscita la parte più stretta lo sento scivolare via, come se il mio corpo volesse respingere l’intruso.
Solo una breve fitta dolorosa, perché il mio buchino torna per un attimo a dilatarsi completamente ed è fuori.
Silvia mi mette nel palmo della mano il protagonista di questo insolito dopo cena, mi bacia veloce sulle labbra e se ne va.
‘Benvenuta nel club’, mi dice mentre esce dalla stanza, ed io rimango sdraiata sul letto, stupita ed indolenzita, con in mano uno strano oggetto, dalla forma oblunga ed aerodinamica, di un vivace color violetto, ancora caldo ed umido del mio corpo.

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