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La giornata è tersa ma il fresco mattutino ha ormai lasciato il posto alla lieve afa del mezzogiorno.
Ora in atelier non c’è nessuno, meglio anticipare e andare a pranzo.
Sento telefonicamente una collega: – sì tra dieci minuti dal Greco, perfetto-
Passo velocemente in toelette, devo solo sistemare i capelli e mi piace quel che vedo.
Lascio al mio posto un assistente, metto una giacca di lino bianca ed esco a passo veloce. I tacchi battono ritmici sulle lastre del marciapiedi.
Lungo il cammino guardo qualche vetrina, un paio di operai stradali si voltano platealmente al mio passaggio (ma lavorano anche a mezzogiorno? Con questo caldo?), gli assicuratori all’angolo mi salutano attraverso i vetri e rispondo con sorriso e un cenno del capo.
Incrocio Marie “quanto tempo?…” e mi fermo un poco a domandare di lei, poi proseguo.
Entro nel locale godendo del condizionamento e come sempre il garcon si precipita verso di me: vuole a tutti i costi prendermi la giacca.
Sorrido amabilmente e gli ricordo che non siamo da Maxim, sorride anche lui arrossendo imbarazzato. Avvicinandosi per aiutarmi, lo sorprendo a inspirare per sorbire il mio profumo poi, ligio ad un protocollo che adotta quasi solo con me, mi accomoda la sedia.
Lo lascio fare.
Portando via la giacca non mi stacca gli occhi di dosso e finisce con l’urtare rovinosamente un altro tavolo. Non voglio metterlo in ulteriore imbarazzo e simulo di non avere visto.
Rifletto che se avesse un altro piglio potrebbe diventare uno stalker.
Al tavolo accanto saluto due colleghe che stanno quasi terminando hanno osservato la scena con un sentimento tra il divertito e il risentito.
Trascorro qualche attimo intenta al mio cellulare (ma che so usare pochissimo)
E arriva Monica, la mia inviata.
Si accomoda (senza aiuti); arriva direttamente la cuoca a prendere le ordinazioni. Insalata di e insalata con… lei alza gli occhi al cielo mostrando la consueta delusione per due come noi che danno così poca soddisfazione alla cucina.
Insiste gentilmente mangnificando la tartare di gamberi. Accettiamo.
Chiacchieriamo del nostro lavoro, di come sta andando il target annuale,
delle nostre collaboratrici. Il ragazzo ci porta i piatti e indugia senza remore frugandomi il decolletè liberato da due sbottonature della camicia.
Poi si allontana e noi commentiamo. Lei mi domanda ridendo come io possa sopportare sia così invadente. Faccio un sorriso storto, alzo un sopracciglio e dico che è solo innocuo e divertente lei risponde che sì, in effetti lo è e io dovrei essere abituata ad attenzioni del genere.
Monica mi ha sempre ammirato “il tuo charme…” dice “… e quell’irresistibile non so che… che ai maschietti piace tanto”.
Quando inizia questi discorsi, so che per me è bene fuggire e sorrido vaga sì, può darsi, non so… . Ad ogni buon conto sospiro e allaccio un bottone.
La tartare è davvero deliziosa e sarei quasi tentata di replicare ma scaccio quest’orribile tentazione: lo charme non è fatto solo di educazione garbo e attitudine all’eleganza ma ha anche un alto prezzo in termini di rinunce, stile di vita e palestra quotidiana.
Il garcon torna per il caffè, questa volta non stacca lo sguardo dalle mie gambe accavallate, insistendo sulla parte alta limitata dalla gonna poco oltre il ginocchio. Poi sposta nuovamente la sua attenzione sul deccoleté ora ridotto a due bottoni.
Il mio di sguardo cade ingenuamente al suo inguine e non posso fare a meno di constatarne il notevole gonfiore che lui spostandosi alle mie spalle fa in maniera di strisciare deliberatamente sulla mia spalla.
Stupido ragazzetto impertinente…
È un attimo: lo chiamo e domando se il bagno delle signore è libero. Lui rimane attonito e avvampa più del solito. Senza attendere la risposta mi alzo garbatamente e mi reco alla toelette del locale: sì, è libero.
Fra i tanti requisiti un locale almeno decente non deve mai -mai- trascurare di avere il bagno sempre pulito e confortevole. E il Greco non trascura mai questo aspetto.
Entro nell’antibagno e socchiudo la porta. Poi entro nella stanza del wc. Il caldo è pesante; anche qui socchiudo la porta lasciando una sottile fessura.
Libero due bottoni della camicia (forse troppo…) e mi siedo per le mie necessità.
Mentre mi domando se avrà il coraggio, lui entra nell’antibagno con il rotolo della carta asciugamani. Vedo il suo occhio fissarmi dallo spiraglio.
Sì, ha avuto coraggio.
La situazione mi fa accaldare… rimango seduta e mi asciugo con la carta fissandolo seria. Indugio troppo nell’asciugarmi. Sospiro con il busto eretto e inevitabilmente mi si solleva il seno.
Devo controllarmi, non esagerare.
Vedo che sta facendo dei movimenti e intuisco cosa.
Mi alzo e lui interrompe, si blocca immagino terrorizzato che io possa uscire.
Continuo a fissarlo mentre il suo occhio mi guarda.
Mi risiedo,
lentamente mi sfilo lo slip evitando che rimanga impigliato nei tacchi,
mi alzo, lo porto alle narici socchiudendo gli occhi…
poi, prendendone un lembo tra pollice e indice,
glielo mostro chiaramente e lo lascio cadere sul pavimento.
Mi accomodo la gonna, esco verso l’antibagno dove lui è pietrificato contro la parete.
Mi impongo di non guardarlo, mi lavo le mani con cura ed esco lasciandolo all’interno così che possa recuperare il mio cadeau.
Passo al bancone e faccio cenno che tutto venga messo sul conto mentre con la coda dell’occhio, noto che ora è uscito dal bagno delle signore per entrare in quello dei maschietti…
Sorrido con elegante noncuranza e torno al tavolo dove la mia amica mi fissa sbalordita mentre riabbottono la camicia: -Che dici, usciamo a fare due passi?-
(devo ricordarmi di mandare qualcuno a chiudere il conto: seppur a malincuore non credo sia più il caso di tornare a pranzare qui)

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