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Revolver

By 15 Luglio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Spengo la sveglia con una manata poco precisa, urto il bicchiere e bestemmio tra i denti quando sento il vetro infrangersi in cento pezzi.
No, non li ho contati. Problemi?
Sono le cinque del pomeriggio, è sabato e no, non ho voglia di pulire. Mi dirigo verso il bagno con più circospezione del solito, spostando i cocci più grandi con il collo del piede
Lo specchio schizzato di dentifricio mi restituisce l’immagine di un ragazzo a cui han dato una bella ripassata. Mi guarda di traverso. Non sorride, ma sento che sta ridendo di me.
Cazzo ridi, stronzo? Guarda la tua, di faccia.
No, non sono pazzo. Anche se, sono certo, qualcuno lo dirà.
Entro nella doccia e faccio quella che credo sia la settima doccia del giorno. I capelli squittiscono per il troppo shampoo, la pelle si arrossa subito. Stanotte l’ho sfregata da morire per quelle che sembrano ore, è il minimo.
Mentre mi asciugo i capelli mi domando, “ma sette volte è abbastanza?”.
Scuoto la testa spruzzando le piastrelle d’acqua, scuoto la testa come un cane bagnato, cercando di cancellare le immagini di ieri sera. Il solo pensarci mi fa bollire il sangue di rabbia.
Guardo lo specchio e il mio riflesso sembra sfidarmi, sembra dire “ce le hai, le palle? ce le hai le palle per fare quel che va fatto?”
“Sta a guardare”, rispondo, raddrizzando la schiena e gonfiando i bicipiti.
Mi vesto ed esco di casa, mi stanno aspettando. Neanche a dirlo, sono in ritardo.

“Ce l’hai?”
“Ce l’ho, ce l’ho… dammi i soldi prima”
“Conta finché ti pare, sono giusti”
“Gli amici sono amici, ma gli affari sono affari. Senti, non ti chiederò a cosa ti serve, però… non fare stronzate. Stai attento.”
“Ma fatti i cazzi tuoi.”
Mancano tre ore.

Questo buco di bar è sporco e poco frequentato, ma ci lavora un mio caro amico e nessuno mi dà fastidio, quindi chissene se i bicchieri a volte non sono del tutto puliti.
Luca sta parlando con un cliente e non si accorge di me finché non mi siedo al banco.
Abbasso la testa fingendo di guardare l’ora.
“Alex, senza che t’offendi, ma sembri un mocio vileda coi capelli così.”
Passo una mano tra i capelli mossi. Ha ragione. Sono un po’ secchi, devo avere davvero l’aria da scopettone usato.
“Mi fai un hamburger? Abbondande con il…”
“…ketchup. Grassi e zucchero per il nostro piccolo Alex. E non guardarmi così, quando ti guardo vedo sempre un ragazzino con le croste alle ginocchia.”
Non rispondo, proprio non mi va di giocare oggi. Sospiro, rigidandomi tra le dita il sottobicchiere. Ecco, guarda, mi sono grattuggiato le nocche sull’asfalto. Grandioso.
“Come mai così silenzioso? Ehi…” mi si avvicina e mi solleva il mento con due dita e fa un lungo fischio, “ma che bel faccino! Hai fatto ancora a botte? Spero tu abbia vinto.”
Sollevo la testa e gli mento guardandolo dritto negli occhi, sorrido “Ho vinto.”
Non voglio che stia male.
Ride ma scuote la testa, “Bravo, ma vedi di stare alla larga dai guai…”
Mangio raccontando una lotta inventata, mentre Luca annuisce compiaciuto del suo giovane guerriero.
“Senti… ha chiamato tua madre.” butta lì, alla fine.
Per poco non mi va di traverso il boccone.
“Mi ha chiesto di te, le ho detto che stai bene. Dice di dirti” è incerto, poi continua, senza guardarmi, “dice di dirti che ti vuole bene, nonstante tutto.”
Sorrido amaramente, “Nonostante tutto, eh?”
Mancano due ore.

Parcheggio la moto fuori dal locale. Torneranno, ne sono sicuro, tutti dicono che vengono sempre qui il sabato sera.
“Alex, dio santo! Hai fatto ancora a botte?”
Mi si butta tra le braccia e chiudo gli occhi, grazie al cielo non sa niente. Passo le dita tra i suoi capelli color miele, morbidi e profumati.
“Un paio di ubriachi davanti al pub infastidivano Titti e le altre. Io e i ragazzi gli abbiam chiuso la bocca.” meglio mantenere una sola versione. Non che lei abbia mai parlato con Luca, ma meglio non rischiare.
“Amore, non metterti nei guai. Te l’ho detto mille volte, se ti provocano vattene subito.”
Mi guarda con i suoi occhi color caffè e, giuro, potrei stare così per sempre a guardarla.
“Non succederà più, te lo prometto.”
Mi bacia piano sul labbro spaccato. Fa un po’ male, ma non m’importa. La stringo forte ma si allontana quasi subito e mi guarda,
“Cos’è, hai una pistola in tasca o sei felice di vedermi?”
Sorrido e le faccio un occhiolino.
Lei ride ma poi mi guarda preoccupata, “Comunque che ci fai qui? Non vieni mai…”
“Sono venuto a trovare un amico, oggi è il suo compleanno.” rispondo, cercando di suonare convincente.
Nel modo in cui arriccia il labbro capisco che non mi crede.
“Ehi, che cos’hai sul collo?”
Sta per toccarmi il taglio sottile ma qualcuno la chiama da lontano e lei si allontana in fretta. Non vuole che i suoi amici la vedano con uno me, la capisco. Davvero, non la biasimo. Si gira appena per lanciandomi un’occhiata di scuse.
Un giorno questo non succederà più, mi porterà con sé ovunque e sarà orgogliosa di avermi accanto.
O almeno, è questa la mia preghiera.
Mi siedo sulla moto e tiro fuori la fiaschetta dalla tasca interna del giubbotto di pelle. Un regalo di Luca per il mio 18esimo, ma guarda te che razza di padrino…
Prendo un lungo sorso, per distendere i nervi. Chiudo gli occhi. Le immagini di ieri sera mi passano sulle palpebre come sullo schermo di un cinema.
Chiudo gli occhi, e vedo Titti seviziata.

Ero al solito posto, con gli amici. Titti esagera col bere e si sente male, mi chiede di accompagnarla fuori un attimo a prendere una boccata d’aria. Le tengo i capelli lontani dal viso mentre vomita in strada.
Ci sediamo un poco distanti dal locale, per non sentire la musica che pompa forte… Titti ha mal di testa.
Dopo un po’ riprende colore, ha il viso più disteso. Stavamo semplicemente lì, seduti. Ridevamo, addirittura, non so già più di cosa…
A un certo punto, saranno state le due ormai, arriva questa grossa macchina, un pick-up. Saltano fuori quattro stronzi, il più giovane avrà appena la mia età.
Si vede subito che cercano guai.
Titti ed io saltiamo in piedi all’istante, ma siamo con le spalle al muro e loro sono in quattro. Siamo in trappola.
Il più grosso si avvicina e si massaggia il pacco, guardando Titti, “Ehi puttana, quanto vuoi per ciucciarmelo?” e gli altri giù a ridere.
Poi guarda me, “E tu, frocio? Tu quanto mi dai se ti lascio spompinarmi?” ancora risate.
Faccio un passo in avanti e schermo Titti con il mio corpo, so che è inutile ma farò di tutto per proteggerla. Ha solo diciotto anni.
“Che bella coppietta! Il frocio e il travone!”
Mi spinge con forza. Con entrambe le mani, sul petto. Faccio un passo indietro e ci manca poco che inciampi sui piedi di Titti. Ho il cuore a mille.
Lui scoppia a ridere, “Ehi ehi, il frocetto ha le tette!”
“Veramente?”
“E’ una femmina?”

La Natura, nella sua crudele ironia, mi ha dato un seno fottutamente grande. Lo fascio stretto, frega l’occhio ma non il tatto. Non se a piene mani, non così.
Capelli corti.
Vestiti larghi per mascherare i fianchi.
Ho la fortuna, che non molti hanno, di avere un viso androgino e quindi di sfuggita sembro un ragazzo effemminato.
Ma mancano ben 5 mesi alla mastectomia, ancora 5 mesi alle iniezioni di testosterone.
In altre parole… il mio maledetto corpo è ancora quello di una giovane donna.

Il gorilla muove un passo verso di me. La migliore difesa è l’attacco, raccolgo tutto il mio coraggio e faccio un passo avanti. Carico il pugno con tutto il mio peso e miro alla mascella.
Ho fatto del mio meglio, lo giuro. Ma non è bastato.
Un calcio di punta sul ginocchio mi mozza il fiato.
Una gomitata sullo zigomo mi fa vedere nero.
Una sberla sull’orecchio mi spacca un timpano e perdo l’equilibrio.
Loro sono quattro, noi siamo in due.
Non c’è speranza.

“Succhia puttana, travestito di merda!”
“Succhia che ti piace! Ingoia tutto…”
Titti lotta furiosamente, ma non appena le spezzano il braccio si lascia cadere a terra.
Uno di la tiene ferma mentre l’altro la stupra in bocca, a turno. La chiamano con nomi osceni, le strusciano i cazzi sul viso. Le vengono addosso e in bocca. La inchiodano all’asfalto e le calpestano i testicoli. Urla di dolore, loro ridono.
“Senti come gode se glieli schiacci così!”

“Che belle tettone hai, lesbicaccia…”
Ho le mani bloccate dietro la schiena. La camicia aperta, a brandelli. Uno dei pezzi è nella mia bocca. Si tinge di rosa, saliva e sangue.
Il gorilla mi succhia i seni mentre mi guarda dritto negl occhi, “Sono dolcissime, fatte per essere strizzate”
Stringe forte, si gonfiano tanto che sembra debbano scoppiare. Conficca le unghie nella mia carne, ma non gemo. Non voglio dargli questa soddisfazione.
Il giovane dietro di me mi spinge a terra, in ginocchio. Gli urlerei di tutto, se solo non avessi la bocca bloccata. E un cazzo di coltello appoggiato sulla gola.
Il gorilla si sbottona i pantaloni e tira fuori l’uccello. Sputa sui miei seni e ci strofina in mezzo l’uccello. Mi prende per i capelli e mi abbassa la testa. Gode nello sbattermi la cappella sul mento, sulle guance.
“Dio… che tette morbide!”
Ansima come una bestia e mi sporca il viso con il cazzo umido. L’odore mi fa venire dei forti conati, ma non posso vomitare… ho la bocca bloccata, non voglio morire così.
“Mettila giù, vediamo come tiene la fica!”
Mi sbatte la testa sull’asfalto. Perdo conoscenza per un attimo, ma un attimo solo perché un paio di sberle sul culo mi riportano indietro.
“Che bel culetto hai…”
Mi colpisce forte, ripetutamente, fino a farmi bruciare la pelle. Non ho mai provato tanta rabbia in vita mia.
Mi apre le gambe e mi fruga dentro.
“Non sei bagnata, come mai?”
Ci sputa sopra e mi infila dentro due dita.
“Dai, lo sento che godi… fammi sentire come godi”
Spinge forte. Tre, quattro dita, la mano intera a pugno. Non riesco a trattenere un grido. Mi sembra di essere aperto in due, brucia da morire. Cerco di allontanare il bacino da lui ma mi prende per il collo e mi tira indietro, impalandomi sul suo polso.
“Certo che per essere una lesbicona hai la figa bella larga!”
Mi scopa con il pugno per quelle che sembrano ore.
“Niente da fare, è troppo larga per un cazzo…”
Mi incula di prepotenza, senza preliminari. Fino in fondo. Mi sembra di essere in fiamme, urlo non so se per il dolore o per la rabbia o per la vergogna. Sento le sue palle sbattermi addosso, lo sento ansimare come un animale.
E’ stata la notte più lunga di tutta la mia vita.

Finisco la sigaretta. Niente da fare, mi tremano ancora le mani.
Mi guardo nello specchietto della moto: ho il viso tumefatto, il labbro spaccato. Credo di avere un paio di costole incrinate, ma niente di seriamente rotto. Un dente è saltato, ma era un molare e non si nota…
Spero solo che non mi abbiano passato qualche malattia, ci manca solo questa.

Il locale si sta riempiendo, tra poco saranno qui. Ho fatto una piccola ricerca, certi fattacci compaiono nei giornali. Sembra che siano già stati denunciati una volta per stupro di gruppo, ma poiché la vittima era solo una prostituta di colore si sono presi appena un buffetto sulle guance. Il gorilla, lui s’è preso due anni e tre mesi. Con meno di tre anni, sconti la pena a casa tua, agli arresti domiciliari. Complimenti, signor giudice.
Sarà mica giusto?

Accendo un’altra sigaretta, ma la spengo quasi subito: ecco arrivare il pick-up. Ci sono tutti.
Scendo dalla moto.
Caspita, mi sembra di vedermi da fuori, come in un film. Ecco l’eroe che avanza sicuro verso i nemici. Estrae la pistola dalla cinta. La folla si disperde, qualcuno urla.

Che dire… Il nostro eroe ha una pessima mira, una pessima mira davvero.
Gliel’ho detto, avvocato, mi tremavano le mani. Meglio per loro, e in fondo meglio per me… tentato omicidio, poteva andar peggio.
Il delitto d’onore, avvocato, è vero che l’hanno abolito? Che ne sarà di me?

Sa cosa penso, a volte, nei lunghi pomeriggi in cella?
Che se non altro… mi sono guadagnato un ricordo di tutto rispetto, nella loro memoria. Lei non crede? Sì, che provino pure a pensare a me senza provare un brivido freddo lungo la schiena.
E’ una vendetta a metà, ma qui dentro… nei pomeriggi lunghi… questa consapevolezza mi fa una grande compagnia.

Whoops, I guess I’ve shot ya
My finger’s on the trigger
I’ve got a bullet with your name on it,
click click.

 

Ops, mi sa che t’ho sparato
Ho ancora il dito sul grilletto
E un proiettile con il tuo nome sopra,
click click.

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