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Dopo un’estenuante e massacrante giornata lavorativa rientro finalmente verso casa, attualmente sono da solo, mi sento sfibrato, in tal modo mi butto sull’ottomana, nonostante la fiacca e lo sfinimento riesco eccezionalmente a rimuginare daccapo e sempre a lei, alle sue mani torride, alla sua bella chioma rossiccia e brillante d’accarezzare, infine alla sua esperta e navigata lingua peraltro impertinente, procace e spudorata. Onestamente me l’immagino inginocchiata per terra di fronte a me, con quello sguardo ingordo impregnato di penetrante e di perspicace desiderio, perché so che vuole impossessarsi del mio cazzo, brama ingoiarlo fino alla radice, una cosa da sogno come sa compiere lei, nel frangente mi sto indiscutibilmente eccitando.

Fra noi due esiste un codice generalmente non scritto, un cifrario ammaliante di sguardi ben radicato, tutto d’afferrare all’occorrenza e da decifrare in base alle circostanze, giacché riguarda periodicamente un momentaneo assentarsi dalle consuete attività erotiche, invero una sorta di momentanea assenza, un’interruzione transitoria. Questo concetto lei me l’ha tempo addietro reclamato, me lo ha vivamente contestato e finanche preteso, esigendo la sua ciclica individuale fermata di ponderazione, dal momento che non accetta né gradisce ingerenze né intromissioni da parte mia, peraltro neanche telefoniche. Starà di certo scherzando, ma quale sosta rimugino dentro me stesso, io non posso contenermi, devo riferirle con bramosia del mio desiderio, descriverle con cupidigia e con struggimento le mie personali emozioni con degli appunti, cosicché le invio il testo. Il contenuto dello scritto è molto preciso, in verità è molto sboccato e triviale, pressoché insolente e a tratti oltraggioso.

Chissà se lei mi risponderà, se vorrà o se potrà controbattere, passano pochi istanti ed ecco che giunge la sua rapida quanto impudica e invereconda risposta, per il semplice fatto che m’ordina d’iniziare a masturbarmi, che m’avrebbe in seguito telefonato al più presto, perché m’avrebbe lussuriosamente voluto sentire, giacché avrebbe desiderato libidinosamente udire mentre sborravo in sua compagnia all’altro capo del telefono. In quella circostanza m’allento i pantaloni, il mio cazzo pare aver sentito l’intenzione e già svetta altezzoso, io me li abbasso e stringo il cazzo nella mano destra: è già notevole, se lei potesse vederlo, in tal modo inizio ad accarezzarmi lentamente. Dopo due minuti squilla il telefono: è lei, la sua voce è roca, parla sottovoce, mi dice che è in macchina, di ritorno dalla palestra, dal momento che si è fermata in una piazzola poche curve sotto casa sua, il suo respiro è affannoso, capisco che è già aizzata e infervorata, m’informa prima d’accostare che si era introdotta una mano sotto le mutandine palpandosi la fica, inebriata al pensiero di me che mi masturbavo per lei, con il clitoride formoso e pulsante.

Lei m’interpella frattanto viziosamente incuriosita e intrigata se ce l’ho duro, mi dice di stringerlo forte, d’accarezzarlo, mi bisbiglia persino di fargli sentire i miei sospiri, mi propone se la desidero, come la voglio, capto e colgo che è piena d’uno sfrenato desiderio, è libidinosamente aperta, lussuriosamente intemperante pronta ad accogliermi, immagino le sue dita sul clitoride cosparso di secrezioni sia alquanto lucido dei suoi stessi abbondanti fluidi, la vedo entrare e uscire dalla sua deliziosa e pelosissima fica. Glielo dico, nel mentre lei spasima in modo poderoso, quasi singhiozza, mi dice in maniera gagliarda che mi brama come non mai, che ha bisogno d’avermi dentro di lei, in bocca, davanti e in special modo di dietro.

Io le ribadisco che voglio totalmente quello che s’auspica lei, ripeto con parole diverse tutto quello che mi dice, le descrivo esponendole le mie lascive e depravate sensazioni, i miei desideri dissoluti e scostumati, i miei pensieri maggiormente immorali e peccaminosi, utilizzo espressioni sempre più invereconde e spinte, vocaboli sempre più appassionati e indecenti, perché adesso sento il suo respiro affannarsi, sta per godere e lo capisco molto bene. Il telefono non è un ostacolo, adesso siamo veramente insieme, nel contempo le mormoro che sto per sborrare, che non riesco a oppormi, lei mi rivela di resistere, frattanto mi strepita di non smettere e d’andare avanti in quel modo. Io sono arrapato alla follia, le dico di farmi delirare, su, vieni adesso, dai, mentre emetto un urlo, sennonché pure lei strilla proclamandomi che vuole il cazzo, prendimi, sì, infilzami, fammi godere, con la voce flebile e occlusa dal piacere, in quanto è estremamente fantastico, poiché siamo venuti insieme.

Al presente siamo chiaramente svigoriti, facciamo fatica a parlare, siamo senza fiato, dalla cornetta m’arriva solamente il suo respiro infiacchito e boccheggiante. Lei è letteralmente sfinita, in seguito sento i suoi mugolii di femmina soddisfatta, so che sta sorridendo, così come sogghigno io d’altronde. Francamente l’adoro quando è in quella situazione, è totalmente arresa, beata e quieta, intensamente appagata, intanto che le dichiaro di compiere quello che vorrei farle io: baciarsi le dita, le mani e le braccia, ascolto gli schiocchi dei suoi baci, in quella contingenza una tenerezza indescrivibile e fantastica m’assale, vorrei non attaccare mai più quel telefono, darei la precedenza e preferirei, che non venisse mai più l’ora di salutarci.

Io m’auspicherei d’aderire a lei come una seconda pelle, di stringerla, di coccolarla, di tenerla fra le mie braccia, come mi manca in questi momenti, sono leggermente affranto, onestamente deluso e lievemente scontento.

Al momento la separazione non è meno reale, anzi, l’emarginazione è alquanto molesta, la solitudine è invero parecchio dilaniante, aggiungerei maggiormente acuta e tormentosa, eppure non m’importa, nonostante tutto io sono suo e lei quest’aspetto lo sa molto bene.

{Idraulico anno 1999}

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