Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti CuckoldRacconti Erotici

I dolorosi piaceri di Roberta e Marco / seguito

By 27 Luglio 2020No Comments

Cap. 3 – L’INDENNIZZO

 

Dopo aver provato il picco del piacere erano restati a letto, attaccati l’uno all’altra. A loro piaceva così. Nella loro privata maniera di godere delle gioie del sesso vigevano molte fantasiose libertà, ma anche alcune regole fisse. Una di queste era che Roberta permetteva soltanto al proprio marito di scaricare il proprio caldo seme nella propria intima interiorità. Non importava che lei prendesse regolarmente la pillola e che alcuni fossero disposti ad esibire recenti e dettagliati referti medici. Quella cosa era solo di loro due assieme, e a lei non importava di rinunciare a quel valore aggiunto di piacere con gli altri. Punto e basta.

Lui la abbracciava da dietro e rimase dentro di lei sino a che il suo membro scivolò fuori con un flop di cui sorrisero, seguito dal liquido caldo e serioso che le fradiciò l’interno delle cosce, rendendole appiccicose. Allora lei si girò di fronte a lui e intrecciarono le proprie gambe , così che lei fece per un po’ le fusa, mentre lui le strusciava il sopra della propria coscia sulla passera bagnata.

Come spesso capitava quando il piacere che avevano provato era stato speciale, lei gli sussurrò che lo amava da impazzire, che nessuna delle sue amiche era stata fortunata come lei nella scelta del proprio uomo… alcune ne avevano di fin troppo intraprendenti, che scopavano a destra e a manca senza rispettarle; la maggior parte invece avevano a casa dei mariti grigi, spenti e noiosi che non le valorizzavano per niente; lui invece era perfetto: intraprendente, focoso e pieno di fantasia, ma completamente concentrato su di lei!! Gli chiese ancora una volta perdono per quella volta che, quattro anni prima, l’aveva fatto soffrire rischiando di rovinare le loro vite. Come sempre in questi casi, lui le appoggiò l’indice sulle labbra, sulle quali poi posò le proprie. “Shh… – le diceva – pensiamo solo ad essere felici amore!”. Come sempre capitava, si addormentarono beati.

 

La radiosveglia sul comodino indicava che erano le due quando lei si è svegliata. Trovandosi nuda tra le braccia di suo marito, piena di liquido viscoso appiccicato tra le cosce, per prima cosa si è sentita appagata e contenta. Con gli occhi abituati all’oscurità ha per un po’ guardato i lineamenti rilassati di Marco, il suo uomo, il padre di suo figlio e si è sentita orgogliosa di loro due, ancora insieme e felici dopo più di quindici anni di vita insieme. Poi le è tornato alla mente tutto il gorgo di emozioni che l’hanno assalita il giorno precedente, in parte concessele dal marito nella sua sfera privata, in parte vissute con lui e… ha sentito di averne ancora voglia… cavolo! Beh… Marco aveva dato, per il momento almeno, inutile svegliarlo. Johan – il nome lo ricordava eccome… non l’aveva detto a Marco per non dargli l’impressione che quell’uomo gli fosse piaciuto troppo… ma lui l’aveva capito eccome, capiva tutto di lei accidenti! Quell’uomo era proprio interessante, bello di aspetto, con una voce magnetica e quel desiderio che aveva espresso per lei con l’intensità del proprio sguardo. Uno da frequentare, di corsa, se non fosse stata sposata! In quel momento la stava aspettando e lei era ben consapevole che lo sguardo che lei gli aveva restituito di fronte al bar quando lui le ripeteva il suo invito, beh… quello sguardo diceva che sarebbe di certo andata da lui, giusto il tempo di mettere a nanna suo marito!

Rientrava nei loro patti, suo marito non avrebbe fatto obiezioni. Doveva solo alzarsi piano piano, senza svegliarlo e chiudersi in bagno da dove sarebbe uscita docciata, con tutta la pelle perfeettamente liscia e profumata. Nell’aprire il cassetto della biancheria intima avrebbe fatto un po’ di rumore, giusto il necessario affinché lui aprisse gli occhi (farlo di nascosto no… guai!), avrebbe assolutamente voluto che lui la guardasse mentre avrebbe indossato la guèpiere colore pesca che le tiene meravigliosamente su le tettine sode coprendole sino a poco sopra i capezzoli; sotto avrebbe messo il perizoma coordinato. Poi si sarebbe pavoneggiata di fronte a lui, che le facesse un cenno di approvazione, che la rassicurasse sulla sua bellezza. Avrebbe indossato l’accappatoio, preso dal beauty due condom e la cremina per ammorbidere il buchetto dietro – ci voleva di sicuro, con quel pezzo di carne che aveva visto in sauna….- e gli avrebbe messo in mano il proprio telefono, affinché lui avviasse il timer. Qualche volta lui le concedeva sessanta minuti, più spesso solo quaranta. Una volta sola le aveva concesso due ore… perché gli era venuto un febbrone quella notte e non avrebbe potuto giocare con lei quando fosse rientrata in camera. Infine, ripreso il telefono e guardato quanto tempo aveva per il proprio privato piacere, l’avrebbe baciato con passione e sarebbe scappata via.

Quella notte lo guardava e sorrideva con tenerezza. Poi le veniva alla mente il tizio della sauna e si sentiva friggere tra le gambe. Si, decisamente ne aveva ancora voglia quella notte! Alla fine scostò il lenzuolo e mise fuori un piede. Lui ebbe un leggero scatto dei muscoli interni e la sua mano si mosse incerta, come a cercarla. Non si svegliò comunque. Ma lei intanto si era bloccata prima di portar fuori anche l’altro e mettersi dunque seduta sul bordo del letto. Si era accorta che pensava con troppa intensità a quella voce, a quelle labbra, alle cose che avrebbe desiderato sapere di lui. Capì che non andava nella camera 406 solo per scopare… ci andava soprattutto per conoscere un uomo interessante. Pensò che non era giusto, che era come tradire la fiducia di Marco. Aveva già la migliore delle relazioni… non gliene serviva un’altra! Rimise il piede sotto le lenzuola e si aggrappò al corpo addormentato e caldo di suo marito, che grugnì nel sonno e la strinse, a sua volta, con forza. Forte di quel contatto rassicurante, di quell’attenzione che lui le dava anche dormendo, lasciò che i minuti passassero e che i propri desideri sfumassero in pensieri confusi, sino a che si addormentò di nuovo.

 

Roberta fu svegliata dall’aroma penetrante del caffè che suo marito le aveva avvicinato al viso, sedendosi sul bordo del letto. Aprì gli occhi e gli offrì il proprio sorriso più bello, certa che questo fosse il miglior buongiorno che lui desiderasse. Si sedette sul letto e si dette da fare con il caffè ed i cornetti alla crema, senza mai staccare i propri occhi da quelli di lui, che la guardava sornione. Lei scrollo il mentò come a dire “che c’é di buffo?”.

“Ti sei persa l’espressione stravolta del ragazzo che ha portato il carrello della colazione; sono uscito dal bagno e l’ho trovato imbambolato in fondo al letto, che ti guardava il culo scoperto! Quando mi ha visto è scappato come un razzo, tanto che l’ho dovuto inseguire sin sulla porta per dargli la mancia!” Lei lo guardò sgranando gli occhi e gli tirò il tovagliolo in faccia. Risero di gusto e si baciarono con passione.

“Pipì” urlò lei, scappando ancora del tutto nuda in bagno. Lui la seguì, appoggiandosi allo stipite della porta… guardare sua moglie fare pipì gli piaceva, lei lo sapeva e ci era abituata. Lo stesso era per lei, a dire il vero. Dunque finivano spesso per continuare le loro conversazioni anche durante le pipì dell’uno o dell’altra.

” Stanotte… pensavo…” disse lui, con un’incertezza che si espresse in mozziconi di frasi. Lei lo guardò mentre, spostatasi sul bidé, si risciacquava la passera ancora piena di lui.

“Non mi sono svegliata – mentì, mentre con fare distratto si asciugava passandosi la salvietta tra le gambe. Poi indossò l’accappatoio e tornò a sedere sul letto, dove addentò un altro cornetto. Lui si sedette sul divanetto, di fronte a lei e la guardò per un po’.

“Se vuoi… insomma se ne hai il desiderio… lo puoi chiamare in camera, magari di domenica non tengono i corsi di sci e lui è libero!”

Lei lo guardò per un po’ continuando a mordicchiare il croissant, incerta sulla risposta da dare. Certo che lo desiderava anzi… ne aveva una gran voglia di andare da quel bel manzo dotato di inconsueto fascino; ma qualcosa le diceva che era meglio non farlo.

Alla fine decise di essere più sincera.

“Scusa Marco, ti ho detto una bugia prima: mi ero svegliata stanotte e… si, avevo voglia di andare in camera sua ma… ho sentito anche che stavo così bene lì con te, che non mi serviva altro insomma; ora è un po’ la stessa cosa: potrei chiamarlo ed andare da lui e… si, sarebbe di certo eccitante, ma al contempo penso che sarà bellissimo finire la nostra colazione, fare un bagno un piscina, una bella sauna ed un massaggio insieme e poi… torniamo qui e ci prendiamo il nostro piacere, insieme!”

Aveva detto cose che per lui erano come musica celestiale, ma veva aparlato con un filo di concitazione, come se dietro ci fosse qualcos altro… e lui se ne accorse.

“Va tutto bene amore?” le chiese con voce bassa, cercando i suoi occhi con i propri. Lei teneva bassi sulle ginocchia i propri, così lui si sedette accanto a lei e le prese una mano tra le proprie.

 

Lei lo guardò finalmente negli occhi e gli parlò, con un sorriso leggero e dolce sulle labbra

“Sai, stanotte appena mi spostavo la tua mano correva a cercarmi… insomma, non dormivi tranquillo, anche se sai che non faccio le cose di nascosto, che se avessi deciso di andare da lui ti avrei svegliato. Il fatto è che ho paura amore, ho paura ti farti stare troppo male, di farti soffrire. Che modo di amarti del cavolo è il mio?”.

Lui le sorrise in maniera più aperta, di certo con gratitudine.

“Lo sai cosa mi fa felice e cosa mi fa star male, vero?”

Lei fece di si con testa:

“Sei felice se io sono felice assieme a te, sei infelice se io sono infelice e immagino vite diverse da quella con te… lo so amore…”.

La guardò ancora e pensò che era il momento di essere del tutto sinceri, di parlare chiaro.

“L’ho capito subito che questo austriaco non è come gli altri con i quali hai fatto sesso in questi ultimi quattro anni, che altro non erano che bei giocattoli, vibratori in carne ed ossa con i quali amplificare le tue – le nostre – vibrazioni. Questo è un uomo che ti attrae… che ti eccita non solo con il suo corpo, ma con tutto se stesso… e questo ti fa un po’ paura”.

“Si amore, è così, non so come fai a capirmi così a fondo, ma è così… mi dispiace”.

“Allora preferisci lasciar perdere? Ritornare a casa con questo desiderio irrealizzato?”

Lei lo guardò, incerta sulla risposta da dare. Fu lui allora a continuare.

“Senti Roberta, secondo me la stiamo facendo più grande di quanto è: se ne hai voglia lo chiami, altrimenti andiamo in piscina come hai detto… magari lo incontriamo lì e vedi un po’ come la senti lì per lì, vai con lui oppure ce ne torniamo in camera e ci penso io a te, per me va bene comunque… siamo qui per giocare… l’importante è che la chiudiamo qui e da questa sera ritorni ad essere solo mia, sino alle vacanze di giugno!”.

Aveva parlato sorridendo e lei capì che la sua tranquillità era dovuta alla sua capacità di ragionamento, al suo grande controllo di se stesso e delle proprie emozioni, mentre dentro di sé era agitato e preoccupato quanto e più di lei. Comunque si sentì rassicurata e gli sorrise a sua volta. Lo abbracciò forte, stringendolo tra le sue braccia:

“Va bene amore, andiamo in piscina” e gli dette un bacio sulla bocca, portandogli le labbra bollenti sull’orecchio “poi mi racconti cosa stai architettando per giugno!” Si goderono per un po’ quel calore e quell’intesa che li univa e che li rendeva sicuri l’uno dell’altra.

 

Erano già sulla porta con indosso gli accappatoi quando squillò il telefono della camera. Lui andò all’apparecchio sul tavolino e rispose. Rimase un po’ ad ascoltare cosa gli dicevano di là, mentre Roberta lo guardava con sguardo curioso.

” Si, sono il marito. Guardi non so, chiedo a mia moglie che, nel caso la richiama”.

“Si, sa il numero di camera, grazie” e mise giù, senza aspettare la replica dell’altro, restando per un attimo pensieroso.

Lei rientrò nella camera e chiuse la porta alle sue spalle, mentre lo guardava con sguardo accigliato, in attesa che lui parlasse. La guardò negli occhi, per un attimo incerto, poi le spiegò con il suo solito tono calmo.

“Era quel tipo, l’austriaco. Dice che era d’accordo che l’avresti chiamato per quella lezione privata di sci; dice che ora sarebbe libero e di richiamarlo, se non hai cambiato idea”

“Ma io non gli ho dato il numero di camera amore, non lo do mai a nessuno, come i nostri cognomi”

“Certo, lo so Roberta… avrà un amico in portineria, oppure ha sganciato qualche mancia. Di certo un tipo intraprendente… che ti desidera un bel po!”

Lei rimase a guardarlo, visibilmente tanto imbarazzata quanto intrigata dall’inatteso risvolto della situazione. Poi gli si avvicinò e lo strinse di nuovo, lasciando che lui la baciasse.

Fu ancora lui a parlarle:

” si sincera amore… desideri che quell’uomo ti prenda con la forza di tutti suoi muscoli allenati e giovani, che ti dimostri quanto, tra tutte le belle ragazze che ci sono qui, desidera proprio te, quanto ti ha sognata tutta la notte?”

Roberta non riuscì a mentirgli, riuscì soltanto a fare di si con la testa, mentre leggeva il dolore disegnarsi nelle pupille di lui. C’era qualcosa che voleva proporgli da tempo, un modo nuovo di provare piacere insieme. Con voce incerta, azzardò.

“Però…. stanotte pensavo che non mi hai mai vista con un altro uomo… mi hai sempre fatta andare da sola… mi piacerebbe tu venissi con me stamani… so che mi sentirei meglio e mi godrei pienamente la situazione…”

Le parole le erano uscite quasi da sole, senza che lei si fosse accorta di averle pensate. Forse effetto della fantasia inventata da lui la sera precedente, forse era qualcosa a cui pensava da tempo… oppure era solo la paura di appassionarsi troppo a quell’uomo, il desiderio di essere protetta dalla presenza del marito.

“Mi vuoi legare sul divano con il pisello duro fuori dai pantaloni per vedere se davvero vengo senza toccarmi, come un segaiolo? Replicò lui con un tono venato di amarezza.

Lei si rese conto che, forse, era proprio quello a cui lei pensava e si vergognò di se stessa, solo per averlo pensato.

“No amore, che dici… voglio che tu stia con noi, mentre lui mi scopa con i miei occhi voglio fare l’amore con te…. o… magari, perché no… ti unisci a noi!”.

Sollevato dalla pronta risposta della moglie, le sorrise con maggiore leggerezza ed esitò per un po’, probabilmente tentato da quell’idea, che pure in cuor suo sapeva dover rifiutare.

“No amore… nel nostro amore non deve mettersi in mezzo nessuno… lo sai, ne abbiamo parlato tante volte…”.

“Hai ragione – disse lei con tono mesto – allora non lo chiamo, lasciamo perdere questa volta”.

“No Roberta… non ti voglio riportare a casa con questo tarlo in testa… oramai siamo in ballo e balliamo!”

“Allora voglio almeno che tu ascolti la telefonata , ti prego!” e gli indicò il secondo telefono sul comodino.

“Ok, disse lui, a te la palla, giocatela come preferisci ma – aggiunse caricando l’ultima frase con un attimo di suspence – non voglio che lui metta il suo certamente ingombrante arnese nella tua passerina… ok?”

Un ampio sorriso si allargò nel volto di lei:

“Va bene amore, promesso!”

 

“Buongiorno Johan, sono Roberta”

“Ciao Roberta, che piacere, non speravo più di sentirti dopo che mi ha risposto tuo marito: la storia della lezione di sci era proprio inverosimile – ridacchiava ammiccante, con il tono di chi si sta vagamente divertendo alle spalle di un altro – …scusa, non mi è venuto in mente niente di meglio e sono contento che se la sia bevuta”.

“Mio marito non è affatto uno stupido; mi lascia i miei spazi, quando glielo chiedo. Tra l’altro…adesso è qui accanto a me e sta ascoltando”

Sentendo arrivargli addosso come una lama affilata le parole secche di Roberta, lui capì di aver risposto proprio con il tono sbagliato. Ci fu un attimo di imbarazzato silenzio da parte dell’uomo, dal quale cercò subito di riprendersi, scalando verso un tono di maggiore complicità:

“Ah… bene Roberta, scusami, non intendevo… questa notte però non ti ha lasciata?”

“Sono io che ho preferito non lasciare lui; mi aveva dato talmente tanto piacere che me lo sono stretto per tutta la notte… scusa”.

“No, ti pare… ma… non so, mi chiedevo se avresti voglia di stare un po’ con me adesso”

” Mi desideri?” La voce di lei si era fatta più calda e, di certo, lui percepì anche il sorriso sulle sue labbra.

Lui, che aveva perso il tono deciso ed arrogante della sauna, rispose con tono incerto, ma appunto per questo più sincero:

“Da morire… da quando ti ho vista in sauna non ho pensato che a te e stanotte… non ho mai smesso di ascoltare i rumori nel corridoio sperando di sentire i tuoi passi. Ma tu… io ti interesso? Desideri stare con me?”

Roberta sorrise soddisfatta al marito, così felice di aver ridotto al guinzaglio quel maschio così sicuro di sé.

“Beh…che dire… sei proprio un bel tipo Johan e quello che ho visto di te nella sauna mi ha dato una bella carica per tutta la serata. Pensa che ieri sera durante la magnifica scopata che ci siamo fatti, mio marito mi ha bendata e mi ha permesso di pensare che eri tu a scoparmi!”

“E come è stato?” chiese lui con il tono di uno che sta riprendendo coraggio.

“Magnifico, te l’ho detto, una scopata memorabile per tutti e due. Tamente tanto appagante che per questo weekend potrei anche dirmi soddisfatta”.

“Allora Roberta, dimmi se ho capito bene, tu e tuo marito siete una coppia invidiabilmente affiatata e durante le vacanze vi dedicate a giochi eccitanti nei quali tu ecciti altri uomini allo scopo di alimentare la tensione erotica tra di voi e poi sfogarla nel vostro letto coniugale?”

“Mmm… diciamo che quello che dici è vero, ma non è del tutto esatto: qualche volta con questi uomini ci vado a letto davvero… poi ritorno da lui e allora ci diamo sotto insieme ancora di più”.

“Ah cavolo… questa volta allora invece mi è andata proprio male: hai scopato direttamente con lui ed io ho partecipato solo come vostra fantasia?”

“Si, esatto, è andata proprio così” rispose Roberta ridendo apertamente, cosa che non lo offese, talmente sensuale era la voce di lei che gli arrivava attraverso il telefono…. si sarebbe fatto dire qualunque cosa da quella donna!

“Beh, se le cose stanno così faccio i complimenti a te e tuo marito per la vostra intesa sessuale ma… credo di aver maturato il diritto a ricevere un bell’indennizzo per il piacere che vi ho procurato con la mia persona”.

“Questa è bella!” sentenziò Roberta sempre ridendo divertita al telefono “Vorresti essere pagato? E quanto vorresti, sentiamo… dirò a mio marito di lasciarti una busta in portineria”

“Veramente non pensavo ai soldi Roberta…”.

Lei si fece seria, mentre guardava di sottecchi il marito:

“E a cosa pensavi, sentiamo”

“Pensavo che ho diritto di godere del tuo fantastico corpo, che è giusto che tuo marito ti lasci venire in camera mia, a farti scopare da me e che è giusto che tu ti dia a me senza riserve e che tu mi conceda tutto il tuo piacere!”

“Ah, nient’altro? – esclamò lei prima di restare un momento in silenzio, mentre guardava il proprio marito che si limitò a sorriderle, dandole un via libera che le allargò il cuore – beh, diciamo che ci sembra una richiesta che possa essere valutata. Mio marito potrebbe essere d’accordo a proposito dell’indennizzo… con un paio di condizioni però, nel caso…”

“Sentiamo…”

“Il tempo che mi concede con te lo decide lui e … non ti concede il permesso di godere della mia passerina!”

“Come … tutta questa storia per un qualche… intenso bacio?”

“Non ho detto questo caro… niente passerina, ma tutto il resto sarebbe accessibile, sempre che ti interessi ovviamente..”

Marito e moglie ebbero la chiara impressione che l’altro, nella sua camera, avesse inghiottito un litro saliva che quasi l’aveva strozzato.

“Wow Roberta… certo che mi interessa, enormemente direi…ho sognato per tutta la notte quel tuo fondoschiena da urlo fasciato stretto nell’abito rosso ma… non hai paura che ti faccia male?”

Roberta rise ancora della sua presupponenza : “Beh… non credo succederà… anche perché sei un gentiluomo, mi sembra, ed avrai cura di farmi star bene….”

“Si, lo sono, questo è certo. Di a tuo marito che ti darò solo piacere”

“Allora lascia che ne parli con lui e, nel caso, dammi il tempo di prepararmi… per te !”

Mise giù prima che lui potesse ribattere.

 

Rimasero seduti a guardarsi, lui sul divanetto, lei sul bordo del letto. Sapevano che non c’era nulla di cui parlare, che la voglia che aveva preso lei già la stava facendo bagnare tra le gambe, mentre un sensuale affanno le stava accorciando il respiro. Fermarla adesso sarebbe stato crudele, nient’altro che un lasciarle un rimpianto, qualcosa cui avrebbe ripensato nelle lunghe giornate da sola a casa, quando lui è al lavoro e lei tiene a debita distanza i corteggiatori che, ovunque, non mancano mai di proporle una maniera piacevole di passare la giornata. Lui la vuole appagata, soddisfatta di quello che lui le concede, determinata a non prendersi altro alle sue spalle. Ma quella mattina scorse un’ombra negli occhi azzurri di lei…qualcosa di diverso dalle altre volte, che lo spinse ad andarsi a sedere acconto a lei.

“E’ tutto a posto amore” la rassicurò, stringendola a sé, “preparati per lui e vai; io ti aspetto qui, pieno di passione più che mai!”

“Non sono la moglie che meriteresti amore…” gli rispose lei, con le labbra che già fremevano di desiderio.

“Non riesco ad immaginarne una migliore di te!” chiuse lui il discorso, dandole un bacio leggero sulle labbra ed alzandosi per andarsi a sedere sul divanetto, dove prese in mano il giornale, per farle capire che era ora che lei si sbrigasse. Roberta si scosse da un momento di incertezza che pareva averla presa. Si inginocchiò davanti a lui, gli prese il volto tra le mani e lo baciò con voluttà, ringraziandolo con un mare di parole dolci. Poi, come in preda di una adolescenziale eccitazione finalmente liberata dalle catene che l’avevano imbrigliata per mesi e mesi, corse in bagno a farsi la doccia.

Quando lei uscì dal bagno, nuda e splendente, per lui iniziò il momento peggiore da affrontare: la tua donna si prepara con cura per darsi ad un uomo che non sei tu, che la eccita più di te e con il quale di certo proverà un piacere intenso e perverso, poiché impregnato di novità e mischiato con la consapevolezza che tu la aspetti e soffri, umiliato dalla tua stessa eccitazione.

Si era spazzolata i capelli con cura e ricoperta la pelle di creme profumate. Con una fitta al basso ventre, l’aveva vista davanti allo specchio, mentre si spruzzava il profumo nell’interno delle cosce e in quel particolare punto, un dieci centimetri sotto l’ombellico, dove un uomo appoggia il naso mentre ciuccia il bottoncino alla sua donna. Si era anche lavata internamente… là dietro… con la fialetta che le aveva visto o prendere dal trolley. Sembrò soddisfatta di sé stessa e si voltò verso il marito sorridendo, a braccia aperte. Ai piedi aveva i sandali della sera precedente, quelli con il tacco 12, a spillo.

” Sei uno schianto – convenne lui, in tutta sincerità – ma… quale intimo scegli?”

Lei sorrise maliziosa e si infilò l’accappatoio; poi prese dal beauty due condom e la crema lubrificante, quella con un leggero effetto anestetico (meno dolore al sedere per lei, più durata per lui…); sfiorandolo appena con lo sguardo gli disse

“beh… con quel salsiccione che si ritrova, ci vorrà di certo…” ed a lui rimase il dubbio se lei avesse visto o meno il guizzo del suo uccello già duro da un po’ dentro i pantaloni, o se avesse notato la smorfia di dolore che di certo aveva attraversato il suo viso altrimenti impassibile. Apparentemente distratta in ben altri e di certo più eccitanti pensieri, lei infilò il tutto in una tasca dell’accappatoio, porgendogli il telefono:

“Ho idea che sarai avaro di tempo oggi: meno cose mi devo togliere, meglio è!”

Lui impostò il timer e, girando lo schermo verso di lei sorrise nel vedere la sua espressione sorpresa ed imbronciata:

“Ma come , solo trenta minuti? Andare, tornare ed anche una doccetta?

“Beh… non perdere tempo allora!” e con l’indice avviò il timer.

Lei afferrò il telefono, gli fece una linguaccia e scappò verso la porta.

 

In un attimo era fuori ed il rumore dei suoi passi, attutiti dalla moquettes, si perse. Lui restò dunque solo in quella camera che, per trenta minuti, sarebbe stata il suo inferno personale, uno di quelli ai quali si fatica ad abituarsi.

 

Le 11:42….. mancavano 28 minuti e, se stutto andava bene, lei sarebbe ritornata da lui, avrebbero fatto l’amore, avrebbero riso e scherzato di quello che lei gli avrebbe raccontato di quella mezz’ora; come al solito, lui avrebbe fatto la parte di quello che non vuol sapere, ma i dettagli sciorinati con cura da lei gli avrebbero fatto montare un’insana quanto efficace erezione della quale avrebbero entrambi goduto (cosa altro avrebbe voluto lei in fondo – già sessualmente appagata dall’altro – se non essere sicura del desiderio che suscitava nel marito?); poi avrebbero fatto una bella dormita, abbracciati, prima di ritornare a casa, alla loro normale vita di sempre, loro figlio, il lavoro, i fine settimana con gli amici. Irresistibile lei, invidiato lui. Sarebbe stata sempre calda a letto, riconoscente con lui per le libertà che gli concede. Soprattutto gli sarebbe stata fedele, con sincerità. Se qualcuno la corteggiava troppo da vicino ne avrebbero parlato. Se qualcuno le faceva nascere qualche voglia di troppo lui l’avrebbe distratta con i progetti per il prossimo gioco, da fare in tarda primavera, dopo Pasqua magari. Ma sino ad allora, sarebbe stata tutta sua… la donna più bella e sensuale del mondo, tutta sua!! Se tutto andava bene, appunto. Poteva sempre capitare che quella scopata che le stava concedendo lasciasse dentro di lei un aculeo avvelenato, che la spingesse a rivedere quell’uomo… al tradimento. C’era poi quel tarlo con il quale quel mondo bigotto che li circondava poteva rosicchiare giorno dopo giorno l’amore che lei aveva per lui: “non fidarti di luiun uomo che ti concede ad altri… che non ti vuole solo per se stesso… non ti ama veramente… non merita il tuo amore!!!

Pensieri velenosi, dei quali impazzire.

No… non doveva pensare, doveva staccare la mente, entrare in coma… ma non ci riusciva, mai.

Cinque minuti… adesso lei era già da lui, nuda tra le sue braccia. Lui di certo la baciava e lei non glielo impediva… no cazzo, non pensare a lui che le succhia i capezzoli, che la fa gemere spazzolandole la passera con la lingua… di certo lei – ansimante in un falso tentativo di fermarlo, che in realtà è un dirigerlo nel darle piacere – gli tiene la mano sulla testa.

Pensa che mezz’ora è pochissimo… possono fare sesso per poco più di venti muniti: vai, fai la doccia, ritorna.

Otto minuti…. lei ha stretto le gambe per il piacere che la scuote, divincolandosi sotto le leccate di lui, poi ha preso l’iniziativa e adesso, di certo, glielo sta succhiando. Lo sa che per lei le misure non contano, ma alla fine se li sceglie sempre con degli uccelloni da paura… a volte pensa che lo faccia per lui, perché sa quanto si senta umiliato e perversamente eccitato da quei pezzi di carne che la riempiono più di quanto possa fare lui… a lei piace succhiare il cazzo degli uomini, dominarne il piacere, sentirli crescere dentro di se… forse, forse lui non resisterà e verrà subito… si, col cavolo!

Basta!! ha il cazzo duro come il ferro… finirà per venire penosamente sul pavimento, altroché…

Va sotto la doccia, gelata e prova un piacere immenso nel vedere il suo cazzo sgonfiarsi. Brividi di freddo lo costringono a chiudere l’acqua ed ad infilarsi nell’accappatoio. Per un po’ trema saltellando per la camera, poi comincia a riscaldarsi. Dodici minuti… lei è sul letto, a quattrozzampe, trepidante; lui… sta per infilarglielo nel culo… o meglio, sua moglie sta per farsi inculare da un perfetto sconosciuto. Sente la disperazione impossessarsi di lui… a volte gli capita. Seduto sul bordo del letto si prende la testa tra le mani e piange. Gli sembra di vederli, lì, accanto a lui: lui la sta sbattendoo, con ferocia animalesca, mentre la tiene con forza per i fianchi e lei, ad ogni affondo di quel grosso membro dentro la propria pancia emette un urlo strozzato. Sedici minuti. Non vorrebbe, lo sa che non dovrebbe… ma continua a vederli come fossero accanto a lui, come se potesse sentire gli odori che si sprigionano dal loro amplesso, il rumore osceno provocato dal ventre di lui che le sbatte contro le chiappe: lui adesso con una mano cerca di impossessarsi della sua fica, di masturbarla per farla venire: è un porco è vuole farla godere affinché le involontarie contrazioni del suo sfintere lo mungano, elevando all’ennesima potenza il piacere che proverà lui schizzandole dentro tutto se stesso. Un porco pieno di fascino… che a lei piace purtroppo, parecchio. Difatti non si oppone, lo asseconda tirandosi su con il busto: gli offre la propria bocca da baciare, mentre con una mano va tra le proprie gambe, ad aiutarlo. Diciotto minuti: lei ha un orgasmo che le fa contrarre tutto il corpo, seguita da lui che accelera i colpi e si irrigidisce, grugnendo come un cinghiale. Le viene nel culo, riempiendo il condom.

No cazzo… lui non è un finocchio… eppure gli dà piacere immaginare quel grosso membro, per metà piantato dentro sua moglie, pulsante alla radice, lo sperma che parte a fiotti dai testicoli, pompato con violenza attraverso la parte inferiore dell’asta, che si gonfia ritmicamente. Lo sa… non è il membro di quell’uomo che lo eccita… è il sapere che lui sta possedendo completamente sua moglie e le sta dando piacere… la consapevolezza di averlo consentito!

Cadono sfiniti su di un fianco e restano per un po’ a prendere fiato. Lui le dice parole dolci, la vuole rivedere, la scongiura di lasciargli il numero di cellulare (lo fanno tutti… dopo; lei glielo racconta sempre ed in quei momenti la vede così felice e soddisfatta che sente di esserlo anche lui: chi, tra le persone che conoscono, può dire di aver mai reso così felice e completa la persona che ama?).

Lei gli dà un bel bacio sulla bocca e lo ringrazia per la bella scopata… ma per il numero non se ne parla, gli dice. Scappa sotto la doccia. Ventitre minuti. Ora si sta asciugando.

Cerca di ignorare il fatto di avere di nuovo il cazzo duro. Guarda la radiosveglia: le 12:07… lei sta per arrivare. Butta a terra l’accapatoio ed entra nudo sotto le coperte.

Le 12:10…. niente…. le 12:13….. le 12:20….. lei non ha mai ritardato… lo assale il panico. Si alza, pensa di chiamare la camera… no, meglio di no…si infila i pantaloni e la camicia… le 12:23… si infila le scarpe…si sente ricoprire la schiena di un velo di sudore gelato … sta per uscire, per correre a bussare alla porta di camera… le 12:28…. spalanca la porta e… la trova lì dietro, con le guance rosse, senza fiato, gli occhi lucidi di chi sta per piangere.

Gli getta le braccia al collo e nasconde il proprio volto contro il petto di lui.

“Perdonami, perdonami amore! gli dice a perdifiato, piangendo.

“Perché piangi? Cosa è successo? Ti ha fatto del male quel bastardo?”

Lei solleva il mento e gli mostra i propri occhi bagnati, che luccicano di gioia:

“Sono felice amore… felice come non sono mai stata…. ho capito, tutto, finalmente!”

Marco si struggeva di capire cosa stava succedendo, voleva farle mille domande, ma non poteva: sua moglie manteneva la propria lingua intrecciata con la sua, mentre lo aiutava a spogliarsi. Lasciato cadere l’accappatoio, voleva nudo anche lui, desiderava di sentire la propria pelle attaccata alla sua, ne aveva bisogno. Sfilando i suoi boxer si trovò davanti al viso il suo cazzo piccolo piccolo. Non era mai successo che, al ritorno dal letto di altri, lo trovasse “non pronto”. Quando più quando meno, era sempre stato pronto per avere la sua parte di attenzioni dalla moglie. Un paio di volte a lei era parso, forse, di trovare i segni di una recente eiaculazione… una sega insomma, segno che lui non aveva resistito a quella perversa eccitazione di saperla tra le braccia di un altro… ma lei lo sapeva: non era il pensiero di quei membri maschili ad eccitarlo (tutto si poteva dire di suo marito, ma di certo non che lo attraessero gli altri maschi, ne era certa, di quella certezza che solo una donna può avere!): ad eccitarlo era il piacere che provava lei, che in qualche misura lui viveva assieme a lei. Quel seme gettato al vento dunque non la offendeva in alcun modo… anzi, le dava una inconfessabile gratificazione. Quella mattina invece lo aveva ritrovato profondamente turbato. Lo guardò, sorridendogli teneramente, mentre accarezzava quella grossa lumaca ritirata dentro al proprio guscio.

“Dai amore, entra sotto le lenzuola… mi occupo io di te adesso!”

Lui obbedì, mentre lei corse a serrare le tapparelle e, spente tutte le luci nella camera, entrò a sua volta nel letto e si avvinghiò a lui. Bastò che lei appoggiasse la guancia sul petto di lui per sentire che quel battito frenetico del suo cuore iniziava a calmarsi.

“Ho avuto paura Roberta, una paura maledetta, che mi ha fatto star male, come un cane!”

“Lo so amore – rispose lei in un sussurro. Poi mise ancora la propria bocca su quella di lui e continuò a lungo a riscaldare il suo corpo gelato con il proprio. Intanto gli accarezzava il volto e continuava a rassicurarlo con parole tenere che dicevano, in modi diversi, che lei aveva capito, finalmente, di poter amare solo lui, di essere come vaccinata dagli altri.

“Il tizio di oggi amore – non lo chiamò per nome, cosa che lui apprezzò – era solo un uomo di gomma, un egoista che neanche sa cosa può desiderare la donna che dice di amare, uno che ci metterei dieci minuti a farlo impazzire per me, ma che vorrebbe solo possedermi, incatenarmi a lui… come tutti gli altri… tutti meno te amore! Io… non potrei mai lasciarti Marco!” La camera era immersa nell’oscurità, ma lui percepì comunque con chiarezza lo sguardo di lei puntato nei propri occhi e sentì che lei era sincera, emozionata, felice e… sessualmente appagata. Quest’ultimo pensiero lo fece sussultare – cosa che lei percepì, stringendolo subito più forte – ma fu solo un attimo… giusto il tempo di pensare che lui, e non quel manzo con l’uccello di un toro, aveva recitato la parte del leone in quei giorni così appaganti per sua moglie. Lui era il regista, l’artefice di quella rappresentazione che era andata in scena e nella quale aveva dato il suo bel contributo (che scopata la sera precedente!).

Si rilassò e sentì il calore fluirgli di nuovo in tutte le parti del corpo. Lei che gli accarezzava il volto, lo baciava leggera sulle labbra , sulle spalle, sui pettorali, aderiva al suo corpo con il proprio, come un fodero che ti protegge. Prima di rendersi conto di essere stremato da quelle emozioni, si addormentò.

Quando lei, dal respiro che si era fatto regolare, si accorse che lui si era appisolato fu invasa da una languida felicità che le riempì gli occhi di lacrime. Lei ed il suo uomo, avvinghiati in quel letto, capaci di affrontare una lotta impari contro la natura complessa dei loro desideri carnali, contro convenzioni sociali che erano così forti da lacerar loro le carni… eppure sempre insieme, sempre legati. Provò a chiudere gli occhi, ma non riuscì ad addormentarsi: il suo corpo era ancora troppo su di giri per le sensazioni fisiche che l’avevano travolta. Anche se provava a non pensarci, le fitte di dolore che le arrivavano a momenti dal suo buchetto martoriato da quel salsiccione fuori misura riportavano subito la sua mente a quei momenti, senz’altro carichi di piacere ed appaganti.

 

Non era andata come si era immaginata. Le altre volte quegli uomini così apparentemente sicuri di loro non si erano ribellati al suo controllo nel dettare i tempi del sesso. Quando era entrata in quella camera, sfilandogli davanti accanto alla porta aperta, lui si era lasciato prendere per mano e condurre accanto al letto. Semplicemente, guardandolo con lo sguardo più porcello di cui era capace, lei aveva lasciato che l’accappatoio cadesse a terra, sollevando le braccia sopra la testa, a sbattergli in faccia tutto quel bendiddio.

L’effetto che ottenne fu quello atteso: per un attimo imbambolato, neanche si accorse che lei, con una spinta sui pettorali, lo aveva fatto cadere sul letto. In un istante gli salì a cavalcioni e, come una furia gli aprì la camicia e, mentre gli mangiava i pettorali gonfi dei manubri che lui di certo aveva fatto poco prima di fare la doccia e vestirsi, gli slacciò i pantaloni e glieli sfilò dal basso. Si e no un minuto ed erano già entrambi nudi e lei aveva già quasi finito l’opera “orale” di motivazione sul “salsiccione”.

“Scusa tesoro – disse lei guardandolo da sotto mentre copriva quello scettro di carne con un condom– abbiamo solo 21 minuti, diamoci dentro!”.

Fu da lì che le cose presero una piega diversa. Lui si tirò su, la prese per le spalle e la fece volare distesa sul letto. In un attimo le fu sopra con il proprio corpo. Si dedicò con passione alle sue tette, che evidentemente già dalla sauna l’avevano acceso parecchio. Lei gradiva e mugolava. Poi si dedicò alle sue labbra, che baciò a lungo, al suo collo, alle sue orecchie. Un attimo e quella lingua saettante se la trovò tra le gambe, a spazzolarle le grandi labbra. Era sua intenzione protestare… che non c’era tempo per fare tutto tutto, che la mettesse a pecorina facesse quello per cui lei era venuta da lui! Ma intanto con la bocca aveva sapientemente preso possesso del suo clitoride e lei riusciva solo a genere ed ansimare. I minuti passavano, cominciava a sentire un gran caldo… un formicolio diffuso dentro la pancia….

“Cazzo tesoro, sto per venire… o sono io che sono particolarmente in giornata, o sei tu che sei proprio bravo…”

Lui la guardò con il sorriso più compiaciuto che lei avesse mai visto, risalì veloce a baciarla e, guidandolo con la mano, appoggiò l’uccello eretto sulla fessura fradiciata di saliva ed umori. Lei, sentendolo entrare, cacciò un secco “No cazzo Joahn! Nella fica no ti abbiamo detto”. Si divincolò di quel tanto che fu sufficiente a far uscire per un attimo l’invasore dalla propria intimità. Ma lui non si arrese: incollò le sue labbra su quelle di lei e, mentre con una mano le teneva bloccate entrambe le mani sopra alla testa, con l’altra riportò il suo attrezzo in posizione. Non fu facile dal momento che lei si divincolava, mentre mugolava disperata, ma l’uccellone dell’uomo ritrovò l’entrata e cominciò a farsi strada dentro di lei.

Non furono le parole di lei, con le quali lo implorava di smetterla a fermarlo, né le sue curate mani che spingevano con inutile disperazione contro i suoi pettorali… fu l’accorgersi che gli occhi di lei si stavano riempiendo di acqua, che a lui parve mossa dal vento. Si bloccò e lasciò che la spinta che lei esercitava sul suo petto lo facesse indietreggiare di quel tanto che il suo cazzo uscì da lei, portandosi dietro il segno dell’eccitazione che aveva pervaso quel corpo di magnifica femmina in calore; un filo viscoso, lucido, della consistenza collosa, rimase a legare come un ponte sospeso quel membro violaceo coperto dal condom e la fessura rosa che si intrevedeva tra le grandi labbra dischiuse, come un fiore che si intuiva odoroso. Per un attimo restarono a contemplare quei segni tangibili del desiderio elettrico che correva tra loro; poi lui trovò negli occhi di lei la traccia di un leggero sorriso e si sentì sollevato.

“Scusa – le disse con dolcezza – sono un totale idiota, perdonami!”

Lei percepì che i muscoli di lui si stavano contraendo per distanziare il suo corpo dal proprio; lo fermò mettendogli la propria mano dietro al collo:

“Puoi metterlo dove vuoi tesoro, ma non qui… qui è di mio marito oggi….”

“Ti farò male Roberta, temo…”. L’ultima frase l’aveva pronunciata con un tono che dall’iniziale sincerità aveva virato subito verso una vena di maschile e compiaciuto sadismo. La femmina sotto di lui non si scompose e, con gesto di rassegnata e consapevole sfida, gli afferrò con una mano il membro teso e lo guidò sino ad appoggiarlo alla sua rosellina, mentre inarcando il bacino spingeva il fondoschena verso di lui:

“il dolore è piacevole talvolta”, disse lei prima di lasciare che lui godesse del suo corpo, inculandola a sangue.

Lui lo fece, ma non nel modo che lei si sarebbe aspettata. Per lei essere inculata rappresentava la pura lussuria, un atto animalesco così facilmente distinguibile dall’intimità dell’amplesso amoroso, qualcosa che il maschio di turno faceva sempre tenendola a quattro zampe sul letto, senza guardare la sua anima attraverso i suoi occhi, afferandola con forza per i fianchi e strizzandole i seni, mentre emetteva grugniti e parole oscene, sino a scaricare dentro di lei il proprio immenso desiderio per la femmina più eccitante mai incontrata… desiderio al quale ogni volta il condom impediva di giungere sino al cuore di lei, e di lasciarvi il pungiglione di un desiderio da coltivare. Così, quando il membro del fortunato maschio le usciva molle dal corpo, lei scappava sotto la doccia a sciacquare via i resti di quei momenti e… finiva tutto lì.

Ma lui fece altro… Al principio non fu cosa semplice infilare la propria cappella gonfia all’inverosimile dentro a quel bocciolo che lei, incrociate le gambe dietro la schiena di lui che le teneva sollevato il bacino afferrandola dietro ai lombi, teneva ben in vista, allargandosi le chiappe con entrambe le mani.

Appena la punta di quall’attrezzo agguerrito iniziava a farsi strada dilatando lo stretto anello, la puntura di un milione di spilli la faceva strillare… e lui si ritraeva preoccupato. Al quarto tentativo interrotto lei capì che di quel passo non ci sarebbe riuscito: alla fine si sarebbe smosciato e lei non avrebbe potuto ricevere il proprio piacere. Prese in mano la situazione: puntò gli occhi sgranati su quelli di lui e gli disse:

“Ficcamelo dentro il culo stronzo… fammi urlare di dolore!”

Come era scontato che fosse, ottenne il suo scopo: sentì la cappella di lui farsi, se possibile, ancora più dura ed un dolore lancinante le esplose nel fondoschiena, attraverso la pancia, su fin dentro il cervello. Capì che stava urlando di dolore quando si accorse che lui le aveva messo una mano sulla bocca, per impedire che i vicini di stanza si allarmassero e chiamassero la reception. Morse quella carne dura, sulla quale di certo lasciò il segno profondo dei propri denti. Era piantato dentro di lei adesso e rimase un po’ fermo; il dolore che lei sentiva – quello che ti provocherebbe un cuneo piantato dentro le ossa – piano piano divenne una sensazione più vaga, che la pervase facendola rilassare.

Attese, con rassegnata trepidazione, il momento che lui, magari giradola di spalle, avrebbe preso a sbatterla con forza, rinnovando quel dolore sino a farlo diventare un comune piacere. Ma lui prese a scoparla piano, come se facessero l’amore, come se le stesse penetrando la fica. Intanto la baciava, intrecciava la propria lingua con quella di lei, le baciava il collo, mordicchiava i suoi capezzoli. Quello non era uno scopare tra animali…quello era fare l’amore, il culo di lei usato come un surrogato della sua ben più pregiata fessura. Ma a lui non bastava godere delle sensazioni che il proprio cazzo trasmetteva al suo cervello… voleva di più. Le prese una mano e se la portò alla bocca, fradiciandole l’indice ed il medio con la propria saliva. Lei capì cosa lui voleva e lo fece contento… in fondo lo desiderava anche lei.

L’uomo faceva ondeggiare piano il corpo di lei affondandole con ritmica dolcezza il proprio membro negli intestini mentre continuava ad intrecciare la propria lingua con quella di lei ed a tormentarle i capezzoli con un sapiente giocare dei polpastrelli; lei intanto si roteava sul clitoride gonfio le proprie dita, adesso bagnate e scivolose non più per la saliva di lui ma dei propri copiosi umori, che ogni tanto andava a pescare affondando tra le grandi labbra generosamente allargata dalla voglia. L’immagine di suo marito che l’aspettava in camera, tormentato ma fiducioso che lei stesse a patti che invece stava violando (quelle dita sulla sua fica erano sue, certo, ma in qualche modo erano nient’altro che uno strattagemma per ovviare ad un divieto che lei stessa aveva accettato), aggiungeva una fitta di dolorosa colpa al piacere che si stava regalando con quel rapporto anale che non assomigliava a nessun altro provato in passato e che tanto sembrava un amplesso d’amore. Avrebbe dovuto dire “basta”… lo sapeva… ma non ce la fece: il piacere che la pervadeva, si trasformò in un dolce orgasmo che la fece vibrare, mentre le meccaniche contrazioni del proprio sfintire mandavano in delirio anche il maschio che la stava possedendo analmente e che con determinazione voleva godere non solo del proprio piacere ma anche di quello di lei.

I fremiti del suo corpo cominciavano a placarsi e lei lo sentiva sempre più duro dentro alla sua pancia, a riempirla di piacere e dolore quando avanzava, a lasciare una caverna di desiderio quando si ritraeva.

“Vieni tesoro, vieni Johan, godi dentro il mio corpo” gli sussurrò con voce tremante.

La sorprese ancora una volta. Estrasse la propria spada da quel fodero di carne – lasciandole per un momento una voragine pulsante sulla quale lei portò subito le dita, scossa da un brivido di sorpresa e di perversa eccitazione nel constatare come l’avesse aperta – sfilò il condom e prese la mano di lei, stringendola attorno al suo scettro pulsante. Lei capì: voleva godere dentro a quella stessa mano, tra quelle dita che avevano dato piacere anche a lei. Gli sorrise con tenerezza e lo fece contento: meno di un minuto di sapiente movimento del proprio polso e, dentro alla propria mano stretta attorno a quel membro teso, percepì le contrazioni dell’orgasmo ed il prepotente scorrere del seme. Lui fece appena in tempo a mandare indietro il busto, appoggiando le palme delle mani sul materasso dietro di sé, mandando così il avanti il bacino a far svettare al massimo il suo cazzo, che iniziò a spruzzare i suoi fiotti bollenti. Lei, ad occhi chiusi, li sentì arrivare: sulla fronte e sulle labbra i primi più potenti; poi sentì caldo sulle tette e sulla pancia. Quando la durezza di quel membro cominciava finalmente un po’ a diminuire, aprì gli occhi ed incrociò i suoi che la guardavano estasiati. Gli sorrise, accorgendosi solo allora che avevano tutti e due un gran fiatone e non si oppose al lungo bacio che lui le dette sulle labbra, noncurante del proprio seme che lì era schizzato. Quando si rese finalmente conto che stava ricambiando con eccessivo ardore quell’effusione post orgasmica e che con le proprie mani gli stava voluttuosamente accarezzando i bicipiti gonfi e la testa, si bloccò e gli diresse uno sguardo che era appagato ma allo stesso tempo eloquente, che diceva “Ok tesoro, sei un manzo da favola ed è stato un botto pazzesco, ma adesso basta, lasciami andare in doccia…”. Lui, ansimante e con i gomiti appoggiati accanto alle spalle di lei non parve proprio aver colto quel messaggio. Il suo sguardo correva dagli occhi di lei, a quelle morbide labbra gonfie per l’eccitazione, a quelle stupende tette ancora scosse dall’affanno. Lo guardò perplessa e la bocca le si contrasse in un fremito quando percepì con chiarezza il suo pene strusciarle sulle grandi labbra: era ancora grosso e duro… e stavolta non si sarebbe accontentato della sua mano. Allora si ricordò di come possa non essere sufficiente un orgasmo per mettere ko un trentenne aitante come quello… quella volta, ad Ibiza – per fortuna che Marco le aveva concesso 60 minuti pieni – quel cameriere l’aveva strapazzata venendole a stretto giro prima davanti e poi dietro; non contento, mentre lei scappava in bagno starnazzando allegramente, lui si era messo a farsi una sega fuori dalla cabina doccia – li ricordava ancora quegli schizzi di crema bianca sul vetro… che poi, si era chiesta ridendone con Marco nel loro letto, dove cazzo lo teneva quel ragazzetto di ventisei anni tutto quello sperma?.

 

Qui invece l’assalì l’ansia: cazzo, stava facendo tardi, non voleva far tardi. Ma quel promettente pezzo di carne continuava a strusciarle lungo la passera gonfia di eccitazione e lei… lei ne aveva una voglia matta… le sembrava persino di aver iniziato ad assecondare i movimenti di lui, affinché la punta della cappella si mettesse di taglio sulla fessura ed iniziasse a penetrarvi. Non doveva…. non doveva… guai rientrare in grave ritardo, farlo preoccupare prima e poi deluderlo con la necessaria ammissione di essersi lasciata scopare la fica… da un cazzo nudo, che di certo l’avrebbe farcita di sperma!!

Stava succedendo: il cazzo di Johan, ritornato oramai duro al massimo, si stava mettendo di traverso e cominciava a cercare la sua strada tra le cosce aperte di lei.

Con la forza dei suoi muscoli allenati, l’uomo rimaneva saldamente piantato tra quelle cosce aperte mentre con le proprie mani teneva premute le sue contro il materasso, cosicché lei non poteva certo liberarsi e poteva solo, con la coda dell’occhio, gettare occhiate preoccupate sull’ora segnata dalla radiosveglia sul comodino: 12:15… se non sbagliava, avrebbe già dovuta essere in camera con Marco. Non era mai successo che lei non stesse ai patti. Si sentì montare dentro al petto un misto di rabbia, disperazione e rassegnazione; per un attimo la sfiorò un terribile pensiero: quell’uomo stava per scoparle la fica sino a farla venire di nuovo, cosicché i frutti del desiderio che li legava l’uno all’altra si sarebbero mischiati in un momento di piacere che avrebbe trasformato quel loro gioco in una relazione adulterina. Di certo lui avrebbe saputo approfittare del piacere di lei per estorcerle il numero di cellulare e presto se lo sarebbe trovato a Firenze… a scoparla in qualche albergo. Chiuse gli occhi e, pensando a Marco che l’aspettava nel loro letto, si vergognò di se stessa. Per un momento tentò di lottare, di spingerlo via agitando il bacino, ma ottenne solo di agevolare il lavoro del suo membro teso che così trovò la strada che stava spasmodicamente cercando. Sentì che la stava penetrando e le forze la abbandonarono… si arrese, succedesse quel che doveva succedere… lei aveva sbagliato ad andare da lui pur avendo percepito che non avrebbe dovuto farlo… suo marito pure aveva sbagliato: a forza di far entrare tua moglie dentro il letto di uomini prestanti, deve per forza andare a finire così…. capì che quella volta avrebbe goduto piangendo, che il suo matrimonio sarebbe finito con quell’orgasmo, con quel seme che avrebbe profanato il santuario del loro amore.

 

Fu lui a salvare lei, a salvare l’amore di Roberta e Marco. Lo fece con la tipica inconsapevolezza di un maschio arrapato, con la propria visione ingenuamente maschilista delle relazioni tra uomini e donne. Mentre il suo cazzo penetrava oramai incontrastato nell’intimità bagnata fradicia di lei, come in preda ad un frenetico delirio volle parlarle:

 

“Io non lascerei che altri uomini godessero del tuo corpo Roberta… ti amerei troppo per permetterlo e ne morirei se capitasse!”

 

L’aveva detto con quel tono assertivo che lei aveva già conosciuto in altri uomini, in quelli che aveva amato prima di Marco, quelli che lei aveva lasciato sino a trovare l’uomo della sua vita. Uomini convinti che amare una donna equivalga a possederla, a precluderle il godimento di altro che di se stessi. Gli sorrise, più compiaciuta di se stessa che ironica verso di lui, di un sorriso che lo colpì come uno schiaffo. Restò fermo, la cappella intrufolata tra le sue grandi labbra, pronto a spingere tutta l’asta dentro di lei la quale, come fosse di colpo divenuta indifferente alla situazione, lo guardò fisso negli occhi e lo passò da parte a parte con le proprie parole:

“Ok Johan… sei così convinto di essere più bravo e più uomo di Marco, di amare di più tua moglie per il fatto che le neghi l’opportunità di provare tutto il piacere che una femmina merita, che la tieni prigioniera del tuo amore per lei, che non pensi a prenderti cura del suo piacere mentre, come posso vedere di persona, non tralasci niente riguardo al tuo? Mi sembri più bravo con le mogli degli altri che con la tua, tesoro!

Le forze abbandonarono il corpo di lui, come se i suoi muscoli scultorei si fossero svuotati. La pressione che la teneva inchiodata sul materasso svanì e lui non si oppose alla spinta con la quale lei lo spingeva di lato. Lasciò che il proprio corpo massiccio si rovesciasse su un fianco, mentre la guardava sgusciare fuori dal letto e scappare sotto la doccia. Giunta alla porta si voltò verso di lui e, indicando il suo membro svettante, lo colpì di nuovo con l’ilarità più feroce di cui fu capace:

“Stavolta dovrai fartela da solo la sega tesoro… ti lascio la porta aperta… guarda e fai pure!”

 

 

Cap. 4 – IL GIOCO SI CONCLUDE

 

Se ne era stata lì, tranquilla, rilassata e felice, a godere del ricordo di quella mattinata ed a vegliare sul sonno di Marco. Sentiva che tutto stava andando bene nella sua vita, che era la più fortunata delle mogli, che davanti a lei c’erano piaceri e soddisfazioni, da godere sempre protetta dal caldo abbraccio di suo marito. Mai le sarebbe venuto il desiderio di un altro uomo da amare… altri con i quali provare mezz’ore di piacere magari si… ma condividere la vita con un altro assolutamente no, ne era certa. Sentiva l’assoluta necessità di farglielo sapere, ma non lo voleva fare usando le parole. Una donna come lei, nel fiore degli anni, ne aveva ancora di energie da spendere. Quel dolore tra le chiappe però… quello la frenava un po nei suoi attuali bollori. Tuttavia voleva a tutti i costi che anche lui stesse bene, come lei.

Accese l’abatjour sul comodino e mosse le braccia di quel tanto che giudicò fosse sufficiente per svegliarlo.

“Scusa amore, ti ho svegliato!” disse facendo le fusa.

Lui la guardò con lo sguardo di chi ha dimenticato il brutto e ricorda solo il bello. La baciò sulle labbra e fu come dare un pezzetto di bistecca ad una tigre. Lei gli aspirò la lingua tra le proprie labbra e ci giocò succhiandola sino a che un lampo di luce le illuminò lo sguardo: aveva sentito che la grossa lumaca si era fatta un po’ più consistente di prima. Gli lasciò la lingua e, baciando i suoi pettorali prima e gli adddominali poi, scese a riservare lo stesso trattamento al suo uccello barlonzo. Lo faceva con dolce passione, ma non gli faceva sconti, succhiando con forza e facendolo schioccare fuori dalle proprie labbra, strappandogli ogni volta un gemito. Appena lo ebbe fatto diventare duro come uno di quei frutti di alabastro che si vedono nelle case di lusso, si dedicò a leccarlo con deferente amore. Quando poi le sembrò di averlo preparato a puntino, lo imboccò e, lasciando che la sua chioma bionda gli solletticasse gli addominali contratti, avviò un convinto su e giù con testa. Aveva già deciso che l’avrebbe bevuto tutto, sino all’ultima goccia.

“Fermati ti prego!” articolò lui ansimando e mettendole le mani attorno alla testa, “non è lì che voglio godere amore!”.

Lei lo guardò da sotto, sorridendogli, mentre ancora aveva tra le labbra la sua cappella violacea. Sapeva che non poteva deluderlo. Si sistemò sdraiata accanto a lui, le cosce belle aperte:

“Vieni amore, viene a prendere quello che è solo tuo, a lasciare te stesso dove solo a te è consentito farlo! Però… ti prego… con dolcezza, come solo tu sai fare!”

“Fa tanto male?” chiese lui sornione indicando con lo sguardo il buchetto.

“Non hai idea… ci è passato un treno stamattina!” rispose lei sorridendo.

“Ben ti sta!” concluse lui divertito, mentre lei gli mostrava la lingua. Poi lui fu dentro di lei e la scopò a lungo, mentre lei lo baciva, lo mordeva, lo graffiava. Le loro menti erano colme di immagini molto poco convenzionali per una normale coppia sposata, ma certamente molto eccitanti, mentre i loro corpi si intendevano alla perfezione, si incastravano come pezzi appositamente costruiti al tornio. Lui era in estasi; lei a momenti sentiva un male cane al sedere e l’attimo dopo un’ondata di piacere la attraversava risalendole dal ventre alla fronte. Quando il cazzo ancora duro si ritirò portandosi dietro il gorgogliare del seme di cui l’aveva riempita, il corpo di lei era fremente e ribolliva come una caffettiera, mentre lui era sudato fradicio.

Erano felici, di quella felicità completa che dura solo attimi, ma che vale già da sola il senso di un’intera vita trascorsa insieme.

 

Quella cosa che lei già da prima voleva chiedergli… era il momento giusto per farlo.

“Amore, ti volevo chiedere una cosa… che non mi hai mai detto”

“Dimmi Roberta”.

“Mi chiedevo, ecco, quando sei solo che mi aspetti… in quelle mezz’ore o giù di lì che io sto con un altro… insomma, ecco, mi chiedevo…. cosa provi in quei momenti amore?”

Lo sguardo di lui si velò di tristezza, ma forse era solo l’effetto della concentrazione con la quale cercava la risposta che lei gli chiedeva e che, di certo, andava data con estrema cura poiché riguardava l’essenza del loro originale modo di stare assieme, il loro modo di amarsi insomma.

“Tu cosa provi Roberta quando uno di quegli uomini usa il tuo sederino per sfogare la propria lussuria”.

“Beh – rispose lei dopo un attimo di esitazione – una male insostenibile di certo che… però… se sono bravi a letto e se abbiamo messo su bene il nostro gioco… allora si trasforma in un grosso piacere”

Lui la guardò e a lei sembrò che fosse soddisfatto della sua risposta, che fosse quella che si aspettava, o che voleva.

“Allora lo sai già cosa provo io mentre ti vedo prepararti per andare a farti spogliare da un altro, o mentre quello ti sta facendo godere su un letto ed io aspetto che tu ritorni”.

Lei dischiuse le labbra, come sorpresa da un dolore inatteso.

“Allora non lo voglio più fare amore, non voglio che tu soffra ancora per me!”

Ma già lui le sorrideva e con la mano le accarezzava una guancia.

” Io voglio che tu sia mia e che al contempo tu sia libera di provare piacere esprimendo tutta la tua sensualità di stupenda femmina, che tu sia felice insomma… patire un po’ di dolore al fondoschiena ogni tanto mi sembra un buon prezzo da pagare per ottenere queste due cose assieme”.

 

Si guardarono a lungo negli occhi ed ognuno vide in quelli dell’altro il divorante amore che li univa e li consumava. Colmi di lacrime, si abbracciarono forte, come se volessero diventare un’unica cosa.

 

Era stato davvero un weekend memorabile e si appresentavano a ritornare a casa felici, come non lo erano mai stati prima.

Leave a Reply