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La stanza è satura di fumo azzurrino, il tavolo è ingombro dei carri armati di Risiko, ormai inutili dopo la vittoria – l’ennesima – di Marco.

Franco, il mio amico di sempre, stappa una birra, mentre Roberta accende una sigaretta.

“Che facciamo ora?”, chiede lei.

Guardo l’ora: è mezzanotte e mezza, uscire è improponibile, e poi siamo tutti molto giù di giri.

“Facciamo un’altra partita?”, propone Marco.

“Non giocherò mai più a Risiko con te – dichiara Franco incrociando le braccia – Non so come, ma sono sicuro che bari!”.

“Giocate senza strategia, ovvio che perdete”, si difende Marco.

Rimaniamo in silenzio.

“Possiamo fare il gioco della coperta”, propone Michele. Lo dice guardando Roberta ed è chiaro che vorrebbe fosse lei a giocare.

“Lo conosco, non provarci neppure”, lo gela lei.

Michele alza le mani. “Proponevo solo, non ti incazzare”, si difende.

“Io non lo conosco. Che gioco è?”, chiede Cristina.

Cristina è la mia ragazza da circa sei mesi, anche se ho qualche dubbio sul fatto che questo rapporto possa durare.

Quando l’avevo conosciuta mi ero fatto affascinare dalla sua dolcezza e dal fisico molto prorompente, una Kim Kardashan toscana, senza accorgermi che della Kardashan aveva anche il cervello, purtroppo senza possederne il patrimonio.

In pratica sto mantenendo una deficiente, e forse lo sanno anche i miei amici, perchè capiscono subito dalla sua domanda che forse la serata potrebbe diventare interessante.

“E’ molto semplice: noi scegliamo un indumento tra quelli che tu indossi, lo scriviamo su un bigliettino e lo teniamo da parte. Tu ti metti sotto ad una coperta e provi ad indovinare quale è. Se indovini hai vinto e il gioco si interrompe, ma se sbagli devi toglierti l’indumento che hai menzionato”.

“Non sono sicura di avere capito. Mi fai un esempio?”, chiede. 

Una deficiente, appunto.

“Tu nomini la camicetta, ad esempio. Se noi abbiamo scelto quella hai vinto, ma se così non fosse te la devi togliere”.

La vedo riflettere.

Io il gioco lo conosco e so che non può finire bene; mi chiedo a cosa stia pensando lei.

“Dai, è divertente! – la incalza Roberta – Accetta che ci divertiamo!”.

Roberta e Cristina non sono amiche, tutt’altro.

Non è questione di rivalità femminile – anche perchè se Roberta fosse mai stata interessata al sottoscritto me la sarei fatta senza problemi – piuttosto semplicemente non si sono mai prese, e questa frase ne è dimostrazione.

Roberta sta vedendo  l’occasione per mettere Cristina in una situazione imbarazzante e non si sta tirando indietro.

“Tu che ne dici?”, mi chiede.

Io dovrei dirle di rifiutarsi, ma non lo faccio.

Abbiamo litigato questo pomeriggio, è stato l’ennesimo litigio per il mio lavoro.

Vuole che lo abbandoni per trovare qualcosa che mi lasci più tempo da dedicare a lei, come se fosse questo il momento giusto per cambiare lavoro.

E poi che cazzo vuole, sei mesi fa neppure mi conosceva e stava con un altro!

Se non ci arriva a capire che un gioco del genere è solo a perdere sono cazzi suoi.

“Gioca, magari vinci”, le dico.

Franco la guarda come un coccodrillo guarderebbe un coniglietto.

Ricordo una telefonata che mi aveva fatto dopo un aperitivo organizzato apposta per farli conoscere: “E’ un po’ scema, è vero, però ha due tette!”.

Sono certo che anche in quel momento sta pensando alle sue tette e alla inaspettata possibilità di poterle vedere da vicino. 

“Dai, va bene!”, dice infine lei.

Vedo sorrisi di soddisfazione dipingersi sui volti di tutti, Roberta compresa.

La invitano a sedersi sul divano, mentre io vado in camera da letto a prendere una coperta.

Mi sto comportando da stronzo?

Direi di no, anzi: forse è proprio lei che si sta comportando da mignotta visto che – scema o non scema – non può non aver capito che qualche vestito dovrà toglierselo.

E’ più giovane di noi – ha ventuno anni mentre noi siamo tutti sui ventinove, tranne Roberta che ne ha già compiuti trenta – ma non è una bambina. 

E dopo quindi faremo i conti, e magari sarà la volta che litighiamo per l’ultima volta.

Anche perché nel frattempo ho messo gli occhi su una mia nuova collega che non mi dispiace per nulla.

Torno in salotto, dove lei ha già preso posto sul divano; Marco e Franco si sono posti ai suoi lati, Michele e Roberta sono sulle poltrone.

Cristina non vive con me ma lì è di casa, quindi ha indosso giusto un paio di jeans e una camicetta, oltre all’intimo che però di oggi non ho ancora visionato.

Ride nervosa, Roberta la guarda con sufficienza.

La copro con la coperta in modo che sporga solo la testa, mentre Marco scribacchia qualcosa su un foglietto.

“Ho scritto qui cosa abbiamo scelto”, dice passandomelo.

Gli dedico solo un’occhiata veloce, tanto so già cosa aspettarmi, e passo il biglietto agli altri.

“Cominciamo?”, dice allora Marco rivolto a Cristina.

Lei annuisce.

“A te la scelta, allora”.

Lei sembra riflettere per qualche istante (a cosa starà pensando?), poi sentenzia: “Calzini”.

Marco la guarda con espressione grave, poi scuote la testa.

Cristina fa una smorfia come a dire “lo sapevo”, poi traffica sotto alla coperta e dopo qualche istanti due calzini bianchi cadono a terra.

“Altro giro”, dice Franco.

La mia ragazza sorride e spara: “Pantaloni!”.

Franco la lascia nel dubbio per qualche secondo, poi: “No, mi spiace”

Non so che ragionamento abbia seguito Cristina per arrivare a quella scelta, sta di fatto che ora si è messa nelle condizioni di mostrare le chiappe a tutti, visto che porta sempre e solo perizoma.

Stupida.

La vedo armeggiare sotto alla coperta, e dopo poco i jeans si depositano sul pavimento accanto ai calzini.

“Camicetta!”.

“No cara…mi spiace”, risponde Michele con la erre moscia.

Dall’espressione si vede come invece non gli dispiaccia affatto.

Questa volta è più difficile per Cristina spogliarsi rimanendo coperta, così durante il traffico una spalla nuda emerge dalla coperta. Pur con qualche divincolamento si libera anche di quell’indumento e lo passa a Marco.

Non le è rimasto molto addosso.

“Canottiera?”, chiede con quella C aspirata che tanto mi aveva affascinato all’inizio.

Forse mi sbaglio, ma ora mi sembra un po’ preoccupata.

Ora Cristina è molto seria.

“No, mi spiace”, le dico. Evito di aggiungere “amore mio”, che in quel momento mi parrebbe sconveniente.

Si immerge sotto alla coperta e vi estrae una canottiera bianca, che consegna a Franco.

Ora è rimasta in biancheria intima, e già questo sarebbe un punto critico.

Stiamo assieme da troppo poco e non abbiamo mai fatto una vacanza, i miei amici non l’hanno mai vista neppure in bikini, e ora la scelta è tra il reggiseno e il perizoma.

Deve essere come quando un calciatore sta per battere un rigore e si chiede se sia opportuno tirarlo dove li tira di solito, con il rischio che il portiere ne sia a conoscenza, o se cambiare lato, con il rischio di sbagliarlo.

Reggiseno o perizoma?

Gli amici attorno a lei avranno puntato a vederle le tette o la figa?

“Reggiseno”, dice dopo una lunga meditazione.

Nessuno parla per qualche secondo.

“No, amica mia. Mi spiace”, le dice Roberta con una abbondante dose di ipocrisia.

Cristina sbuffa, ma porta le mani dietro alla schiena e sbottona il gancetto.

Nel fare questo immerge la testa sotto alla coperta, come una tartaruga che voglia proteggersi.

Sporge una mano con cui stringe il reggiseno rosa, Franco è rapido ad afferrarlo.

“Bene, sono stata sciocca – diece – Avrei dovuto prevedere la vostra scelta”.

“Cosa intendi?”, domanda Marco.

“Era evidente che avreste scelto il perizoma”.

“Mica è finita la partita”, obietta Marco.

Lei guarda verso di me, quasi a cercare conforto, poi di nuovo verso di lui.

“Marco, non vorrei vi foste sbagliati. Io ho solo il perizoma addosso”.

“Quindi ci stai chiedendo se su quel foglietto c’è scritto perizoma?”.

“No. Non ci può essere nulla di diverso, se no significa che vi siete sbagliati”.

“Hai solo un modo di verificare. Chiedicelo”.

Marco sorride sornione, lei guarda verso Franco.

“Io non vi capisco, ma facciamo come volete. Avete forse scelto il perizoma?”.

 Sospira con sufficienza, ma la sua espressione muta in incredulità quando Marco fa cenno di no.

“Ma come è possibile? Ho solo questo!”.

“Toglilo e ti spieghiamo il mistero”, ribatte Marco.

Non credevo l’avrebbe fatto, ma dopo un attimo vedo le sue braccia muoversi sotto alla coperta e dopo  qualche secondo consegna a Marco l’ultimo indumento intimo appallottolato.

“Allora?”, dice rintanandosi sotto alla coperta.

Marco prende il bigliettino e glielo sporge senza dire nulla.

Lei lo legge e rimane allibita.

“Come sarebbe a dire? La coperta? Ma non vale!”.

“Sì che vale!”, esclama Marco, e con la mano afferra un lembo della coperta.

Il movimento è rapido e Cristina in quel momento sta solo pensando a coprirsi, così con un gesto repentino il ragazzo la priva dell’unica barriera tra la sua nudità e il mondo esterno.

E’ rannicchiata sul divano, con le gambe raccolte sul petto e le braccia serrate attorno.

“No! – urla – Non fatemi il solletico!”.

Non capisco perchè abbia detto quella frase – nessuno aveva mai parlato di solletico – anche perchè l’effetto che sortisce è esattamente l’opposto, come naturale per l’indole umano.

Franco e Marco le mettono immediatamente le mani addosso, solleticandola sui fianchi e sotto ai piedi.

Lei si mette a ridere e istintivamente serra ancora di più l’abbraccio attorno alle gambe.

Michele si alza e li raggiunge, assieme a Marco le afferra i polsi e scioglie quel groviglio di braccia e gambe che Cristina aveva organizzato per proteggersi.

Franco le afferra le caviglie e tira le gambe nella sua direzione, Marco e Michele fanno altrettanto con i polsi, e dopo poco la mia ragazza è completamente esposta agli occhi di tutti.

Gli occhi di Franco sono fissi sulle sue tette, Marco e Michele guardano più verso la sottile striscia di pelo che Cristina tiene sulla figa.

Franco allunga la mano libera e con le dita le solletica la pancia, Marco e Michele fanno lo stesso sotto le sue ascelle.

Anche Roberta si è alzata e si è avvicinata agli altri.

Io non so cosa fare.

Devo fermarli?

E’ stata lei a mettersi in quella situazione.

E poi mi sto eccitando.

Le dita di Franco risalgono di una spanna, andando a solleticarle le tette.

Cristina non sembra infastidita, o meglio, continua a ridere come prima.

I capezzoli sono duri, gli addominali anche.

Le fa bene la palestra.

Marco guarda verso di me come a trovare approvazione o biasimo, ma visto che io non reagisco in nessuna maniera allunga la mano anche lui.

Sempre con la punta delle dita va ad esplorarle la peluria del pube.

Roberta si intromette, con le braccia circonda una delle coscie di Cristina e la allarga, scoprendole totalmente a figa.

E’ come un via libera, e Marco le appoggia il palmo della mano sopra, massaggiandola.

Nel frattempo anche Michele ha preso coraggio e le sta palpando le tette, senza neppure fingere di farle il solletico.

Marco le infila un dito nella figa, e dopo poco le dita diventano due.

Da come reagisce – o meglio, da come non reagisce – non sembra infastidita da quella penetrazione. 

Sento che tra poco qualcuno si tirerà fuori il cazzo e glielo infilerà da qualche parte, e a questo sinceramente non voglio arrivare.

Batto le mani.

“Ragazzi, mi sembra che vi siate divertiti abbastanza!”, dico.

Si bloccano tutti come dei robot ai quali sia stata tolta l’alimentazione elettrica, poi ritraggono le mani e la lasciano andare.

Michele torna al suo posto, Roberta mi lancia uno sguardo di disapprovazione che sembra dire “coniglio!”.

Cristina si siede sul divano e guarda a terra. Una mano è sul seno e una tra le gambe, come se a quel punto servisse a qualcosa.

“Forse è meglio se andiamo”, dice Marco guardando l’orologio.

Butta la frase lì così, come se avessimo appena finito di guardare un film.

“Mi date un passaggio?”, chiede Cristina chinandosi a raccogliere i vestiti.

“Non ti fermi qui?”, le chiedo stupito.

Al di là del fatto che era in programma che passassimo la notte assieme, in quel momento ho una voglia pazzesca di scoparmela.

Lei scuote la testa e mi passa davanti, diretta verso la camera da letto.

La seguo.

“Che cazzo fai? – le chiedo – Perchè non ti fermi qui?”.

“Vaffanculo! – mi sibila – Tu sapevi benissimo come funzionava sto gioco, e non hai fatto nulla per fermarmi!”.

“Ti hanno spiegato bene come funzionava, avevi tutti gli elementi per capirlo da sola”.

“Non che sarei rimasta nuda davanti a tutti!”.

“Avresti potuto interromperlo, nessuno ti avrebbe obbligata”.

“Avresti dovuto farlo tu, ma forse hai preferito far divertire i tuoi amici piuttosto che aiutare la tua ragazza!”.

“Ma se li ho fermati io!”.

“Sì, dopo che mi avevano già toccata ovunque!”.

Fa per vestirsi, ma si accorge di aver lasciato nell’altra stanza – e più precisamente nelle mani di Franco – gli indumenti intimi.

Per un attimo probabilmente si chiede se sia il caso di tornare di là e offrire un nuovo spettacolo di sè nuda, poi alza le spalle e indossa i jeans senza mutandine e alla stessa maniera si mette la camicetta.

Con un sincronismo bizzarro proprio in quel momento sopraggiunge proprio Franco.

“Forse hai dimenticato questi”, le dice porgendole reggiseno e perizoma.

Cristina li afferra stizzita e li butta nella borsa, quindi si siede sul letto e si mette le scarpe.

“Noi andiamo”, annuncia Marco. Ha già il giubbotto addosso.

“Aspettatemi, mi date uno strappo a casa”, chiede Cristina.

Marco guarda verso di me, chiedendomi silenziosamente come dovesse comportarsi.

“Faccia il cazzo che vuole”, dico a bassa voce.

Più tardi, nel letto, non riesco a dormire.

Sono incazzato con lei, ma se penso alla serata non posso non eccitarmi nuovamente.

La penso nuda, con le mani dei miei amici addosso e forse eccitata.

Cosa sarebbe successo se Franco l’avesse tirato fuori?

Mi sfilo i boxer e mi afferro il cazzo.

Lo avrei fermato, o forse gli avrei consentito di penetrarla?

E a quel punto cosa avrebbe impedito agli altri di fare lo stesso?

Marco glielo avrebbe messo in bocca, poco ma sicuro.

E Michele?

Forse io e Michele avremmo rivolto le nostre attenzioni su Roberta.

Prendo a segarmi immaginando Roberta nuda.

Lei l’ho già vista in bikini, non è niente male.

Ce la saremmo fatta contemporaneamente, poi forse, una volta che gli uomini fossero venuti tutti, le due ragazze si sarebbero soddisfatte tra di loro.

A immaginare Cristina e Roberta assieme vengo, poi mi addormento.

Dieci anni dopo sono seduto davanti a Cristina al tavolino di un bar.

Mi ha chiamato lei un paio di giorni prima: è nella mia città di passaggio e avrebbe voluto salutarmi.

Non posso non notare la fede all’anulare.

“Forse è stato meglio così – dico io – Secondo me non saremmo durati”.

Lei sorride.

“No, non credo proprio. A te piacciono quelle come Roberta, un po’ stronze”.

Mi sfugge una risata.

“Forse hai ragione. E se devo essere sincero, ci ho provato con Roberta qualche mese dopo che ci siamo lasciati, ma mi ha dato il due di picche”.

Anche lei sorride.

“Infatti io ti ho detto che a te sarebbe piaciuta lei, non il contrario”.

Giusto. Forse non era poi così scema.

“Marco e Franco li vedi più?”, mi domanda.

“No. Marco si è sposato e ha un bimbo, ci sentiamo ogni tanto ma non più di due volte l’anno. Franco invece è proprio sparito, non lo sento da anni”.

“Bene. Cioè, mi spiace, ma così posso confessarti anche io una cosa. Ti ricordi la sera del gioco della coperta?”.

Certo, e chi se la dimenticava.

“Ecco, quella sera, quando mi hanno accompagnata a casa, abbiamo scopato”.

“Chi? Tu e chi?”.

Lei mi guarda stupita.

“Come io e chi? Con loro”.

Deglutisco mentre sento il cazzo diventare duro.

“Entrambi? Assieme?”.

Annuisce.

“Ero incazzata con te, volevo ferirti. Ma intuisco che non te l’abbiano mai detto”.

La scena mi si para davanti agli occhi.

Mentre io mi masturbavo pensando a lei con loro, loro stavano realmente scopando.

Allungo una mano e gliela metto tra le coscie, sulla figa.

Lei mi guarda sorridendo e per un attimo mi persuado che forse la serata prenderà una piega interessante, poi lei mi respinge.

“Sono passati dieci anni, Alex. Va bene così. Ci siamo divertiti finchè è durata, ora entrambi abbiamo altre persone”.

Si alza.

“Stammi bene, mi ha fatto piacere rivederti”.

  

 

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