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Entrare e uscire da te come fossi una stanza, così vorrei!
Entrare per sentirmi coccolato dalle ovattate tue pareti,
contento del calduccio che da te promana, quando m’accosto;
le mani sulla tua brace tese, camino acceso che tira
(e come tira), dimenticando il gelo del mondo; il torpore mi prende
e in deliquio mi sento, mentre il desiderio di restare nell’alveo
del tuo tumultuoso corso permane e in me intenso s’accresce.

Le labbra s’accostano alla tua fornace e, liquido, si scioglie
il liquoroso, orale secreto, melassa dolce che ci vincola e c’incastra
in intimo contatto, mentre collassa il nostro self-control indotto
dal duplice, reciproco consenso ad annullare se stesso
e rendere disinibita, sfrontata e impudentemente audace
la nostra voglia infinita del piacere. Così bruciamo di mille
desideri, così la materia si consuma, si disfa e si corrompe,

ma non cede e continua, come fiamma immortale arde il nostro
involucro di cera che rallenta la fiamma, ma non disperde
la volontà di prenderci e di perderci nel vorticoso turbine
che ci invade e a destra e a manca ci sbatte e ci ammacca.
Ma insensibili siamo al nostro dolere, al nostro affanno,
irretiti dall’uzzolo che ci strozza; a reciproca voglia ci conduce
alla finale, pirotecnica bomba ch’esplode e in mille pezzi ci condanna.

Vorrei così, uscire dalla stanza. In mille coccole diffusi ci compiaciamo
di noi stessi; i nostri corpi di carezze copriamo, di baci intensi, ma calmi,
di quella calma che prende dopo la tempesta e ci lascia spossati,
ma meglio ci sentiamo; proviamo la dolcezza di chi rilassato si distende
e pieno del carnale consenso. Così, pian piano, le distanze prendiamo
e ciascuno riprende la sua egocentrica sembianza e torna l’individuale
sentimento che ci spaia. Ed esco dalla stanza, contento, pensando
[a domani.

Nina Dorotea

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