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Eneide Postmoderno-dell’addio al Regno delle Amazzoni e delle conseguenze.

By 1 Aprile 2020No Comments

Non fu rapida né feroce come si era aspettato Janus, la battuta di caccia. Armati di archi lunghi dalle frecce a punta larga e affilata, lui e la Regina cavalcarono quelle bestie di equina sembianza per boschi e vallate. La caccia, iniziata all’alba, li vide muoversi sino al mattino inoltrato, in cerca di prede che parevano tuttavia sfuggire loro come spettri nella pioggia.
Janus aveva premura di dire alla Regina ciò che aveva visto, ma essa era bella e lui, come sicuramente altri uomini, era rimasto grandemente ammaliato dalla bellezza della femmina che cavalcava ora al suo fianco. Ergo, parlare di addio e partenza era ben difficile.
Eppure, la visione di suo padre e l’annuncio della necessaria separazione erano imperativi, egli aveva un ruolo, un destino da vivere. Non sarebbe stata la sua libido a trattenerlo dal seguirlo.
Nondimeno, la bellezza della Regina era calamita e il desiderio di vivere una vita là, nel regno di Kelraes era una tentazione a cui solo un animo eroico avrebbe saputo resistere.
-È forse uso presso la tua gente insistere in una battuta di caccia fallimentare?-, chiese alla Regina.
Ella, cavalcante accanto a lui, fieramente ritta sul dorso del destriero, sorrise, riconoscendo il tono giocoso. Il suo sorriso pareva raggiante, conferiva ulteriore bellezza al viso stupendo già di per sé.
-Non si usava forse presso il tuo popolo cercare la cacciagione a dispetto dell’apparente assenza?-, chiese lei. Janus scosse il capo.
-Era da secoli che l’arte della caccia più non veniva praticata a Licanes. Solo nei villaggi di frontiera v’erano uomini dediti a tale pratica.-, disse.
-Cosa mangiavate, dunque?-, chiese la Regina. L’Esule parve riflettere, rimembrare.
-Mangiavamo principalmente i frutti della terra, madre generosa che provvedeva alle nostre necessità. Coltivavamo armenti da cui ottenere farina che diveniva poi pane.-, spiegò.
-Ah. Niente carne?-, chiese l’amazzone. Il sorriso era ricomparso.
-Solo quella di donna, nell’amplesso, e neanche un morso…-, disse Janus ridendo.
La Regina rise con lui. Poi alzò lo sguardo. Le risa tacquero.
-Si avvicina una tempesta.-, disse osservando il cielo grigio e nuvolo.
-Invero, dovremmo fare ritorno al palazzo, mia signora.-, osservò Janus.
-Nel tempo di pioggia la tua gente si rifugiava in casa o proseguiva ciò che doveva fare?-, la voce della Regina era ora seria, -Abbandonavano forse i loro doveri, armi e strumenti lasciati sul terreno per timore di bagnarsi? Da noi non é questo l’uso, o Esule!-, diede di sprone alle redini, lanciando il destriero in corda. Janus la seguì rapidamente, pensando che la tempra della Regina non fosse seconda che a una sola donna da lui conosciuta.
-O somma guerriera, potrebbe essere tuttavia saggio ripararsi!-, esclamò raggiungendola mentre la pioggia prendeva a battere. La Regina parve temporeggiare un istante, esitare.
-Invero, potrebbe esserlo. Sicuramente, le nostre prede non saranno all’aperto più di quanto lo fossero prima.-,  disse. Tuoni ruggirono in cielo. La donna vide una caverna indicandola a Janus.
Scesero dalle cavalcature, lasciandole libere senza timore in quanto esse erano addestrate a tornare al richiamo della Regina.

Entrarono nella caverna. Erano bagnati ma non più di tanto.
-Ci vorrebbe un fuoco.-, disse Janus.
-Il fuoco é dentro di noi.-, rispose la Regina con un sorriso. Erano vicini, più di quanto fossero mai potuti essere nel formale e rigido ambiente del palazzo e la bellezza di lei ora era ancor più evidente, Janus si scoprì eccitato da cotanta conturbante magnificenza femminea.
Il suo profumo era un’inebriante, irresistibile malia cui l’Esule non riusciva a resistere…
-È forse proibito dalle convenzioni del tuo popolo fare sesso con una donna che lo voglia?-, chiese.
-No, o sublime.-, rispose Janus.
-Bene, poiché nel mio regno vige una legge iscritta dalle mie antenate regine: colei che brama il seme di un uomo può ottenerlo in accordo con lui se egli non é servo. E tu non sei servo. Quindi, io bramo, desiderio ed anelo il tuo seme in me. Esaudirai il mio desiderio?-, nel dire ciò si era avvicinata. I loro fiati si mescolavano, le mani della Regina scesero, impugnando il già turgido membro di lui con rapacia. Ah, quanto lo voleva, e quanto lui voleva lei.
-Certamente, o Regina.-, disse. La Regina sorrise e lo baciò voracemente, più di quanto Janus potesse ricordare. Nessuna donna da lui posseduta aveva una simile voluttà, un simile fuoco.
Strinse la donna in un abbraccio, inspirando il di lei profumo, godendo della sua bellezza con tutti i sensi. Gli indumenti caddero a terra. Prima le vesti di Janus, poi gli abiti di cuoio della Regina.
Vederla nuda fu per lui un pugno allo stomaco che fece affluire il suo sangue al bassoventre, annullando tutto tranne il desiderio di farla sua.
-Mia Regina…-, osò proferire lui mentre lei lo manipolava lentamente.
-Athlia. Chiamami con il mio nome, Janus.-, disse lei senza smettere.
-Athlia…-, sussurrò lui, gustando il musicale suono di quel nome. Lei sorrise. Chinò il capo baciando i capezzoli dell’uomo, mordicchiando appena. Lui gemette. Strinse i seni di lei.
Foga lasciò il posto alla tenerezza. Un tuono riverberò lontano. La pioggia cadde a fiotti.
Il freddo e il clima non li riguardavano più da molto. La Regina strinse il pene dell’uomo alla base, impedendone la venuta. Sorrise, prendendo la mano di lui e portandosela tra le cosce.
-Onora la mia vulva, Esule. Leccala, toccala, assaporami come io assaporerò te!-, esclamò.
Janus non disobbedì. Sdraiati nella grotta, con la sabbia fine come letto si diedero piacere oralmente e con le mani. Il sapore della donna era fruttato, ma non lieve. Janus bevve alla sua fonte, lasciando che anche lei suggesse il suo membro finché la Regina, appagata da quell’ottimo e fausto inizio, non decise di prendersi ciò che tanto aveva aspettato.
-Ora, o maschio, sarai mio e io tua.-, disse ergendosi sopra di lui con un sorriso fiero.
Janus la guardò impalarsi su di sé, accogliendo il suo membro turgido nella rovente fornace dell’intimità, riempendo la caverna con gemiti che di umano avevano ben poco. Lui stesso si scoprì a gemere, a stringere, a baciare, a sussurrare parole che nell’estasi solo avevano senso e solo per quella femmina che lo cavalcava sapientemente, il ritmo modulato sulla sua vicinanza all’orgasmo, paziente ma frenetica, dolce ma selvaggia. In un momento imprecisato, l’Esule capì che non c’era più storia ne ranghi, più niente a separarli.
-Mia… Athlia, affinché il mio seme non sia sperperato, chiedo di poterti dominare.-, disse.
-Se tu fossi un mio servo tale frase sarebbe garante della tua morte, Janus.-, osservò la regina gemendo mentre faceva entrare il membro dentro di sé per l’ennesima volta. Aveva i capelli in disordine, una colata mora sulla schiena ambrata.
-Ma sono un uomo libero… E tuo pari, ora come ora.-, disse lui osando qualcosa che a sua insaputa mai era stato detto da uomo vivente ad alcuna regina. Ma Athlia sorrise, benevola.
-E sia, mio virile stallone. Come fanno all’amore le donne del tuo popolo?-, chiese.
-Sono ben meno feroci di quelle del tuo.-, ammise Janus, -In genere forse anche più spente.-.
-Noi siamo guerriere. Anche nel sesso sebbene in modo diverso.-, le unghie della Regina graffiarono il petto dell’uomo, incidendovi solchi. Lui trasalì.
-Presso la mia gente c’era l’uso di diverse posizioni, per favorire l’inseminazione.-, disse.
-Ah. Capisco. Come quella che hai usato con Althea?-, chiese a bruciapelo lei.
-Vedo che ti ha riferito tutto con dovizia di particolari.-, disse lui senza intonazione.
-Suo compito, essendo mia servitrice oltre che lontana cugina.-, precisò l’amazzone non senza fare su e giù. Il ritmo era però rallentato. Janus sospirò.
-Dunque… ecco perché mi pareva tanto simile a te.-, disse.
-Non più di tanto. Noi amazzoni ci somigliamo tutte. È… una tattica. Uccidi una di noi in battaglia e ti sembrerà di non averlo fatto realmente. Siamo un’armata senza volto né identità.-, disse.
Il discorso bellico non frenava l’amplesso: la Regina continuò a pompare. Su e giù. Ancora e ancora, scivolando lungo il membro lucido di umori suoi e dell’uomo.
-Dunque, questa posizione?-, chiese d’un tratto.
-Beh, ve ne sono diverse, Athlia.-, ammise Janus, -Alcune sono complesse e inadatte a dove ci troviamo…-. La regina sorrise, sfilandosi da lui in un istante.
-Mi reputi tanto delicata? Sono avvezza a fatiche e amplessi ben meno delicati di quanto credi.-, disse con aria di sfida. Janus la guardò alzandosi. Sorrise.
-E sia.-, disse soltanto. Si mosse rapido. Afferrò la donna alla gola, baciandola di forza e infilandole un dito nella rorida vulva. Il tuono riverberò, all’unisono con il ringhio dell’amazzone.
Janus la sgambettò rapidamente. Lei cadde a terra. Divaricò le gambe, compiacente.
Lui entrò, senza fermarsi, tutto in una volta, brutalmente come mai aveva fatto con sua moglie.
-Ahhhh, sìiii!-, la Regina artigliò la terra attorno a sé, stringendo i pugni sotto l’assalto dell’uomo.
-Comprendi che questa é una. Il seme colerà nel tuo ventre, spinto dalla gravità e dalla profondità del mio entrare in te.-, disse Janus mentre pompava. La baciò. Lei lo morse appena. Sentì le unghie di lei nella schiena. Una vera pantera. Già lo sapeva che l’indomani avrebbe avuto la schiena a strisce. La pioggia fuori non la smetteva di scrosciare. Era un temporale di forza inaudita, come mai ne aveva vissuti nella sua ormai distrutta patria.
-Mostramene altre e godiamone finché non ti sarà più possibile…-, sussurrò la Regina.
-Come desideri!-, esclamò lui. Con un ultimo colpo di reni uscì dalla donna e la rivoltò. Lei capì.
Ricordava la posizione in cui l’Esule aveva posseduto Althea. Si mise a carponi.
Lui si posizionò. Cercò la fenditura della vulva e, trovatala e aiutato dalla mano di lei, vi entrò.
Prendendola per le reni, prese a possederla con forza. Athlia gemette, urlando il suo piacere.
I tuoni risposero da fuori. Janus continuò, instancabile, stringendo la chioma di lei come le redini di una cavalcatura. Le mucose dell’amazzone lo stringevano con forza dovuta a molti accoppiamenti, con foga la donna spingeva il bacino contro di lui per farlo entrare di più, sino alla radice del membro che, ormai prossimo al godimento era gonfio e sanguigno.
-Riversa il tuo seme in me, esule!-, supplicò la regina. Lui diede altri colpi di reni. ancora e ancora.
Poi lo sentì, fu come un onda anomala, una tempesta rapidssima e fugace ma potentissima.
Ebbe appena il tempo di affondare interamente nella Regina un’ultima volta volta, poi venne.
La Regina sentì il di lui seme eruttare in lei in cinque roventi schizzi. Godette con lui.
Spossati giacquero sulla nuda terra, l’uno dentro l’altra, ancora avvinti dalle malie del sesso.
Quando Janus ebbe modo di rialzarsi sentì che la pioggia era terminata.
-Dovremmo fare ritorno al palazzo, o Regina.-, disse, -La nostra assenza é stata lunga e presso la mia gente ciò avrebbe dato adito a malelingue e pettegolezzi.-.
-La tua gente, appunto. La mia non commenterà: sono la Regina e ciò che abbiamo appena fatto é tanto dovere quanto piacere.-, ribatté lei. Lui annuì. Lei prese una fiasca dai suoi abiti.
-Bevi.-, disse. Lui eseguì. Vino speziato con miele d’aclisia. Dolce, anche troppo.
-Bevendo dalla coppa da cui hai bevuto ti eleggo mio compagno.-, disse la Regina, bevendo.
Janus improvvisamente assunse un’aria triste. Lei lo guardò, corrucciata.
-Non é forse ciò che entrambi volevamo?-, chiese.
-Mia signora… non é destino che io resti al tuo fianco, sebbene potendo lo farei con grande, enorme piacere, per mille anni!-, esclamò. Lei lo fissò, passione e amore ormai contestati da sospetto, tristezza e paura, evidente conflitto sul bel viso che tanto prima aveva goduto.
-Ma così facendo tradirei la memoria di mio padre, la memoria dei miei avi e il compito che mi fu dato dalle loro ombre, radunate al di là del fiume dei morti.-, disse Janus.
-Ed essi ti obbligano a una cerca forse impossibile, invece che contentarsi del loro riposo nel Cielo? Ti strappano alle braccia di una donna che ti vuole e ti brama come brama un nuovo respiro per portarti a errare tra i mari nemici?-, chiese Athlia.
-O Regina, vorrei poter esser sordo a tale richiamo… Ma non v’é modo di eludere il fato.-, disse lui.
Lei annuì, freddamente.
-Puoi andartene. Oggi stesso dal mio regno partirai. Siccome sei compagno e non servo, tale é il tuo diritto, ma siccome hai infranto il cuore mio con questa tua dichiarazione e visto nei tuoi occhi il fuoco che ti guida, io ti maledico. Per il sangue delle madri che mi precedettero, ti maledico, condannandoti a vagare per mare per anni, prima di giungere laddove desideri e molti dubbi e tribolazioni forgeranno il tuo fato.-, nuda e irata pareva una dea vendicatrice e Janus si sentì stringere il cuore al pensiero di perdere quella donna. Tuttavia nulla poteva contro il destino.
-Mia signora. Se ciò dev’essere sia. Io non posso disattendere il fato.-, disse.
Athlia annuì, rivestendosi in silenzio. Non c’era altro da dire.
Tornarono al palazzo e Janus preparò la nave alla partenza e riunì la sua gente. Vi furono, tra di essi, alcuni che chiesero che le amazzoni potessero seguirli nell’esodo. Janus lo permise.
Poche di esse tuttavia si mostraron disposte a tale separazione e furono viste male delle sorelle.
Non fu un addio lieto. Per nessuno. Per Janus meno ancora, dacché, mentre preparava la nave alla partenza, arrivò Althea. La giovane recava un messaggio.
-La mia signora ti prega di non partire, o Esule. E anche io desidererei tu restassi. Non é forse bello e degno il nostro umile regno?-, chiese.
-Althea… la tua signora é stata ospite magnifica e suprema benefattrice e io auguro al vostro regno mille anni di prosperità e abbondanza! Ma il fato chiama. E ad esso non si sfugge. Rimanendo qui, nel vostro piacevole regno che ho imparato ad amare come fosse il mio, non potrei però assurgere al compito, al dovere per il quale fui risparmiato dall’ecatombe che investì la mia gente. Sarebbe tradimento, del peggior tipo verso il mio popolo e la mia schiatta! Come potrei dormire, mangiare e amare a cuor leggero sapendo di aver mancato al mio dovere, oh Althea?-, chiese Janus.
La giovane annuì, tristemente ma con solennità.
-So che mia cugina ti ha maledetto per la tua scelta. Io non farò lo stesso.-, disse. Si avvicinò appena all’uomo, sfiornandone le lebbra con un bacio fugace, d’addio.
-Possano gli dei antichi e nuovi, della tua e della nostra terra mostrarsi clementi.-, gli augurò.
-Ti ringrazio, Althea delle Amazzoni del Kelreas.-, disse Janus.
La giovane si congedò così, senza altro parlare. Poi, la nave degli Esuli di Licanes lasciò le coste amiche del Kelreas per digersi verso ovest.

La Regina Athlia passò i successivi due giorni a piangere, lamentando la decisione di Janus.
-Mia signora, io ti avvisai.-, disse la Somma Veggente, la sola che fosse ammessa alla sua presenza.
-Tu mi avvisasti! Ma sventurato fu il mio desiderio e quanto bruciante decise di ardere, facendomi soprassedere sui tuoi auspici! Non hai colpa, o nobile anziana.-, disse Athlia.
-Lo stesso non si può dire di me, temo, mia signora.-, disse Althea entrando.
-Cugina, tu…-, le parole non uscirono dalla bocca della Regina.
-Egli ha seminato in entrambe la sua discendenza, non dovremmo forse gioire di questo?-, chiese l’amazzone inginocchiata. La Regina ora pareva furente.
-Come posso gioire sapendo che ogni volta che rimirerò la progenie del tuo o del mio ventre o finanche la prominenza delle nostre pance, ricorderò il suo volto?-, chiese con rabbia, -Mi strapperei questo figlio sventurato dal ventre con le mie stesse mani, e lo stesso farei a te, Althea! Tu che tanto pensi alla discendenza ne ignori il peso!-, le parole della Regina erano ora urlate, furenti. Althea chinò il capo.
-Se la mia signora vuole la mia morte, ben volentieri la offro.-, disse soltanto.
Athlia espirò, contenendosi. Scosse il capo.
-La tua morte sarebbe solo un altra perdita per tutti noi. Ma per me, solo la morte può sollevarmi dal dolore che sento. L’offesa troppo grave, il dolore terribile.-, disse.
-Mia signora…-, Althea non riuscì a proseguire la frase.
-Egli ti era caro, Althea. A differenza mia, per te era solo un ennesimo maschio. Il tuo distacco ti ha reso possibile sopportarne la dipartita. Sia tu allora Regina al posto mio, e lascia che io percorra la via della morte col viso in lacrime ma la fulgida gioia di divenire spirito e tormentare i sogni di Janus, l’Esule di Licanes per molto tempo ancora!-, esclamò.
-Mia… Athlia…-, sussurrò Althea, -A tanto ti porta il dolore?-, chiese.
-Il dolore no. La rabbia. La volontà di vendetta.-, disse lei, -Ucciderlo non sarebbe abbastanza. Egli deve patire, deve vedere. Recitate gli scongiuri di vendetta, chiamando Danthae, la Dea nera degli inferi affinché mi conceda questa grazia. Al prezzo della vita mia, io avrò questa grazia!-, dette queste parole, Athlia, Regina delle Amazzoni del Kelraes estrasse la spada e vi si trafisse.
Althea, nuova Regina, ordinò che il corpo fosse bruciato sulla pira funebre e avesse un funerale degno. Il suo regno fu prosperò e la sua discendente, Ethnelia, regnò felicemente per sessant’anni prima di perire di un epidemia che vide la decimazione del regno e la sua annessione al vicino Impero di Gamal Akbar.

La notte dopo la partenza il sonno di Janus fu quieto ma, al terzo giorno, il mare parve ribellarsi ai dettami degli déi e si creò una tempesta come nessuna mai ne videro gli Esuli da quando salparono dalla patria violata per i mari stranieri.
Fu cosa orribili a vedersi e la robusta galea di Janus e compagni fu sballottata da un oceano furente, in balia dei capricci di Poxaidon, onde verdastre alte come muraglie si abbatterono sul ponte, trascinando fuori bordo due degli uomini che lottavano per assicurare le vele.
-A dritta!-, esclamò Janus, ricoperto dagli schizzi di acqua acidula di quel mare così diverso e alieno da non sembrare terrestre. Il timoniere salmodiava inni di protezione e preghiere.
L’anziano sacerdote, Asteius pregava fervidamente. Le amazzoni che avevano coraggiosamente seguito i loro amati nell’esilio si stringevano ad essi, atterrite da contata brutalità.
Non erano un popolo di mare, così come non lo erano gli esuli.
La nave ondeggiò paurosamente, scagliata a destra e sinistra. Nel vento ululante, Janus fu convinto di riuscire a sentire la voce di Athlia, Regina delle Amazzoni che rideva.
Urlando la sua sfida agli dei, chiamò a sé l’equipaggio.
-Uomini di Licanes! Donne di Kelreas! Fratelli e sorelle! Fatevi coraggio! Gli déi non permetteranno che moriremo così, nell’anonimato! Non é questa la nostra fine! Noi cavalcheremo la tempesta! Giungeremo a terra!-, urlò.
-Licanes!-, urlò Asteius reggendo una cima. Manovrò la vela, aiutato da tre giovani profughi. Ai loro sforzi si unì Thelea, una delle amazzoni di Kelreas.
-Non siamo nati per morire ignorati! Scriveremo la nostra storia sino alla fine, piantando il seme di una nuova era!-, ringhiò Attius, il massicio veterano che aveva seguito Janus per ordine di suo padre, -Siamo gli ultimi di un grande regno! Non periremo svanendo nel nulla!-, esclamò.
-Si canterà di questo giorno! E si saprà che le amazzoni di Kelreas non si tirarono indietro dallo sfidare il mare!-, urlò Maghera, una delle guerriere del Regno delle amazzoni. Strinse la cima tra le mani e tirò, orientando la vela. La nave virò, evitando di misura un onda devastante che avrebbe potuto rovesciarla. Altri l’aiutarono e la nave virò ulteriarmente verso babordo.
Altre onde s’infransero su di loro. Il ruggito dell’oceano pareva inesauribile, come se la collera degli déi si fosse abbattuta su di loro.
-Terra!-, urlò la vedetta, -Davanti a noi!-.
-Allora barra a dritta!-, urlò Janus. Il timoniere strinse il timone sino a sbiancarsi le nocche.
Poi, un cavallone più alto, scagliò la nave a riva. Janus crollò in avanti. L’impatto fu micidiale e l’uomo perse i sensi.

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