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Quando esco dalla doccia Emma è ancora nel letto. Con ogni probabilità dopo aver aperto un occhio per darmi il buongiorno è tornata nel mondo dei sogni. Io, invece, devo andare a lavoro. Mi infilo silenzioso in camera per recuperare i vestiti. E lei è lì, rotolata nella metà del letto dove dormo io, aggrappata al mio cuscino, con un’espressione serena sul viso.

È bella.

Sorrido, innamorato.

Raccolgo le mie cose senza fare il minimo rumore e torno in cucina. La colazione. Uno dei momenti della giornata che più gradisco. Come una specie di varco attraverso il quale usciamo del mondo empirico ed etereo dei sogni ed entriamo nella solida e indiscutibile realtà. La colazione è un rito di passaggio. E adoro viverlo mentre Einaudi suona Divenire.

Per prima cosa la moka sul fuoco. Poi prendo due fette di pane, le copro di miele (conscio che me ne troverò le dita ricoperte) e le poso delicatamente su un piattino colorato di verde e giallo e viola che porto sul tavolo. Un bicchiere di succo di frutta e aspetto il caffè.

Quiete spezzata dal borbottare della moka. Verso il liquido scuro in un tazzina color cacao, senza manico, e finalmente mi siedo.

«Merda.»

Come immaginavo il miele è infame, cola da tutte le parti. Incluso sulle mie dita.

«Che fai?»

Emma indossa la mia maglia dei Nirvana, quella rossa stinta e qualche strappo qua e là, che le arriva a metà coscia. Faccio mente locale, ma non ricordo che si fosse addormentata con quella. Anzi, se la memoria non mi inganna non aveva proprio nulla addosso quando ci siamo addormentati dopo aver fatto l’amore. Devo riconoscere che quella maglietta non le sta poi così male, anzi.

«Buongiorno amore! Colazione poi lavoro. Ti ho svegliato io?»

Mentre parlo si avvicina, mi stampa un bacio su una guancia e poi fa una cosa che mi lascia inebetito.

Mi prende il polso della mano che mi sono sporcato di miele, mi guida verso di lei e, prima che mi renda conto di cosa sta succedendo, chiude le labbra attorno alle mie dita “smielate”. La osservo mentre sento la sua lingua scivolare sulla mia pelle leccando il denso liquido ambrato. Solo dopo una lenta degustazione lascia la presa. Si lecca le labbra con gusto e mi concede un bacio leggero, sorridendo maliziosa.

«Tutto bene amore?»

«Sì. Beh… mi chiedevo cosa facessi già in piedi a quest’ora.»

Mi costringe a farmi indietro sulla sedia e si mette a cavalcioni su di me. L’orlo della maglietta sale vertiginosamente e, per quanto io conosco bene ciò che nasconde, non posso esimermi dal lasciar cadere lo sguardo. E se sotto non portasse nulla? Un brivido mi sale lungo la schiena e mi infiamma di desiderio. L’immaginazione. È questa che mi frega. Emma è riuscita a imbrigliare la mia ed è un po’ come se avesse imbrigliato me.

«Volevo far colazione con te, non posso?»

Nel dirlo mi cinge il collo con le braccia e sento il suo bacino muoversi in maniera sospetta contro di me. Nei suoi occhi vedo la luce della passione e della malizia.

«Oh… per carità! Puoi fare quello che vuoi.»

Abbassa le mani, le porta entrambe sul mio petto, senza smettere di muovere il bacino. Un movimento che non mi lascia indifferente e sento l’erezione diventare fastidiosa contro il jeans.

«Davvero?»

«Non mi sembra di averti mai dato divieti.»

Non risponde, si piega leggermente in avanti e mi bacia. Il tempo di chiudere gli occhi e mi trovo la sua lingua in bocca. Morbida, avvolgente, invitante. Devo confessarlo. Faccio fatica a baciare. Non so di quale turba mentale io soffra, ma non è detto che se finisco a letto con una persona sia anche disposto a baciarla. Con Emma… qualsiasi occasione è valida per far incontrare le nostre lingue.

Il bacio si interrompe. Ha le guance arrossate, gli occhi lucidi.

«Allora non ti spiace se faccio colazione…»

C’è qualcosa che non sto afferrando, è ovvio.

«Affatto!»

Si alza, appoggia ancora le sue labbra sulle mie per un fuggevole istante e si infila sotto il tavolo della cucina. Non faccio in tempo a parlare che spunta tra le mie gambe.

«Cosa…?»

«Zitto.»

Allunga le mani, mi slaccia i jeans, con una mia certa gratitudine per altro, e non si fa scrupoli a tirarmelo fuori dai boxer. D’altronde perché avrebbe dovuto farseli? D’altra parte non capita sovente che Emma prenda iniziative del genere e questo suo gesto mi fa ben pensare che la discussione della settimana scorsa sia ormai serenamente superata.

Quando il mio membro sparisce dentro la sua bocca non mi resta altro da fare che chiudere gli occhi e abbandonarmi a quelle attenzioni.

«È profumato.»

Sorrido. Quasi mi vien da ridere.

«Ho appena fatto la doccia…»

«Mi piace quando è profumato.»

Non so come rispondere. Quelle poche parole che mi vengono in mente mi muoiono in gola quando Emma inizia a leccarmi il cazzo dalla base fino in cima una, due, tre volte. Ogni volta sale cambiando leggermente angolazione. Alla terza volta, arrivata in cima, se lo lascia scivolare sulla lingua e lo ingoia fino alla base, di nuovo.

Resto senza fiato.

Torna su, ma questa volta si tiene la cappella in bocca. Sento la lingua scivolarmi addosso, stuzzicarmi il frenulo, assaporare la mia lingua. Come se non bastasse con una mano mi afferra il membro e inizia a muoverla in una sega lenta e dolce, sensuale e provocante.

È una situazione che mette a dura prova il mio autocontrollo. Vorrei alzarmi, tirarla su e sbatterla contro il tavolo. Che è poi quello che provo a fare, ma come faccio per alzarmi posa la mano libera sul mio ventre e mi ferma.

Mugugna qualcosa che non riesco a capire.

«Non si parla a bocca piena» le dico.

Si stacca da me, mi guarda. Fa la seria, ma sappiamo entrambi che non le sta riuscendo bene.

«Fanculo.»

Rido. Provo a tirarmi su di nuovo, ma mi ferma.

«Stai buono, ora sto giocando io. Lasciami fare.»

«Se la metti così…»

Alzo il bacino, lei capisce al volo e mi abbassa i jeans.

«Grazie caro.»

«Prego, serviti pure.»

Allargo le gambe, cerco di facilitarle l’arduo compito e non posso far altro che rilassarmi. Emma non tarda un istante e sono suo. Alla faccia di tutti quei maschi con problemi di ego che sostengono che la donna sia succube quando si inginocchia davanti a noi. Altro che schiava sottomessa. In quei momenti è più che mai la nostra regina e non ho nessun problema ad ammetterlo.

Sentire le sue labbra attorno al mio membro, la mano che si muove al ritmo giusto, la lingua che scivola sulla mia pelle… tutte piccole attenzioni che mi trascinano senza fatica in un limbo di piacere e lussuria.

«Amore, ti… ti dispiace se vengo?»

Mugola qualcosa che capisco solo dal movimento del capo.

Sale fino in cima e poi scende giù, prendendolo tutto in bocca tenendo le labbra strette.

È la fine.

Allungo una mano e le accarezzo i capelli.

«Ancora, grazie.»

Lo rifà.

Mi toglie il fiato.

Inizia a muoversi più veloce. I movimenti sono meno esasperati, ma non per questo perdono di intensità.

«Ok. Hai vinto.»

Mi piego in avanti nel momento in cui il mio orgasmo scoppia nella sua bocca. Una, due, tre scariche dritte al cervello che azzerano ogni pensiero. L’universo si espande tutto intorno a me.

Ogni cosa torna lentamente al suo posto.

Emma è ancora lì, immobile, con il mio cazzo in bocca.

«Cazzo.»

Lentamente si sposta. Posa un ultimo bacio delicato in cima. Mi guarda leccandosi le labbra.

«Tutto bene amore?»

«Cazzo. Sì. Cazzo.»

Scivola fuori da sotto il tavolo, mi prende il viso tra le mani e mi dà un bacio delicato.

«Forza tesoro, finisci di prepararti o farai tardi a lavoro.»

E chi cazzo ha voglia di andare a lavoro adesso?

 

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