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Spalancai la portiera della mia Jeep, incurante della station wagon parcheggiata accanto. Scesi frettolosamente dall’auto. Aprii il gigantesco ombrello di tela bluastra appartenuto a mia madre. Pioveva a dirotto e le mie All Stars si stavano già inzuppando. Fortunatamente dovevo camminare poco più di due minuti per raggiungere la palestra. Corsi fino all’ingresso. Aprii la porta e mentre strofinavo le scarpe sul tappeto e chiudevo l’ombrello, gridai: – Ciao, ragazzi! –
Qualcuno rispose al saluto, guardando verso di me. Captavo i loro occhi, che brillavano appena mettevo piede nel campo di basket.
Fu allora che lo notai.

Era biondissimo e aveva gli occhi verdi. Benché all’ultimo anno di liceo, come tutti loro, pareva più piccolo. Aveva uno sguardo vagamente triste. Di certo era spaesato. – Kyle! – sentii gridare da uno di loro. Appresi il suo nome. “Kyle”. Si girò verso il compagno di squadra che lo aveva chiamato. Corse via, con la spensieratezza di un daino, a ricevere da lui la palla.
Notai la sua magrezza, la sua statura medio-bassa e i capelli vagamente ondulati.

Suonai il fischietto. Mi sudavano le mani. Si radunarono tutti intorno a me, in semicerchio, stretti tra loro. Si sussurravano a vicenda brevi frasi che non riuscivo a capire. Qualcuno ridacchiava.
– Buongiorno ragazzi, abbiamo un nuovo arrivato, vedo. Ti va di presentarti? –
Guardando il pavimento, Kyle avanzò lentamente verso di me. Sussultai. Tentai di mantenermi distaccato e padrone di me stesso, ma quando sollevò il suo bel visino, quegli occhi smeraldini fissarono i miei ed ebbi un’erezione incontrollabile. L’avrebbero notata? Di sicuro. Ma non potevo farci niente. Decisi di non farci niente.
– Mi chiamo Kyle… Ho diciott’anni. Frequento il liceo statale di Denver. Sono arrivato qui tre settimane fa dall’Arizona. –
– Conosci qualcuno, Kyle, in questo gruppo? –
– Sì, conosco solo Andrew e Mark –
i due interessati risero.
– Bene, Kyle, io sono Reece. Benvenuto nella nostra squadra! Siamo molto forti, dovrai impegnarti moltissimo –
L’erezione mi era passata e mi meravigliai di quanto fossi calmo.

Durante gli allenamenti, divisi la mia squadra in due. Kyle mi attraeva come un magnete e continuavo a guardarlo. Dissimulando. Non potevo fare a meno di notare le sue natiche, così sode in quel fisichino esile. Al contrario, il suo pacco era assai modesto. Lo fissai mentre passava la palla ad Andrew. Si radeva le ascelle. Era il più pallido della squadra, e sembrava così indifeso in mezzo a quei ragazzoni. C’era in lui la tenera riservatezza degli adolescenti di provincia. Cercavo di immaginarmi la sua vita tra i boschi dell’Arizona… “Sarà vergine” mi chiedevo, muovendomi a passi lenti da un capo all’altro del campo, attento a fischiare in caso di falli. La pioggia incessante sul tetto sembrava prolungare in eterno quel dubbio, lasciandolo in sospeso ad ogni nuovo ticchettio.
– Fallo! – urlai dopo aver fischiato. John aveva spintonato Mark, facendolo cadere a terra in un tonfo secco.
Dopo una brevissima consultazione, la squadra lesa decise che spettava a Kyle a tirare il canestro. Tremava. Gli occhi puntati su di lui. Non guardò in faccia nessuno. Vedevo le sue esili braccia ondulare nell’aria, reggendo la palla come se fosse una palla medica. Piegò leggermente le ginocchia ossute. E tirò.
Mancò il canestro per un pelo.
– Sei troppo basso! – gridò Mathias.
– Checca, grazie per aver sprecato la tua occasione! – gli fece eco John, con un ghigno irrisorio.
A quel punto intervenni. Intimai ai due di smetterla. Carezzai il capo di Kyle. Era liscio e vellutato. Mi gettò una rapida occhiata. Le pupille luccicanti, in quelle sfere smeraldine così dolci. – Non importa – gli dissi, quasi sussurrando, leggendo in lui la delusione. Gli carezzai velocemente il collo, liscio e per nulla sudato. Poi fischiai affinché la partita riprendesse.

Al termine dell’allenamento, resistetti alla tentazione di intrufolarmi negli spogliatoi, con un qualsiasi pretesto. Ci sarebbe stata una nuova occasione. Kyle uscì prima degli altri. Non si era fatto la doccia. Non si era nemmeno levato i pantaloncini e la canotta della squadra. “Si vergogna perché ce l’ha piccolo?” . Visibilmente sorpreso, lo bloccai, mentre si stava recando all’uscita.
– Ehi, ragazzo, che intenzioni hai? Sei dei nostri? –
– Penso di sì… – mugugnò poco convinto.
– Ti trovi bene qui a Denver? –
– Mi devo ambientare, ma in generale sì. –
– D’accordo. Ti va di lasciarmi il tuo numero? Per qualsiasi comunicazione… –
Estrassi lo smartphone. Scandiva le cifre con una cadenza nasale e vagamente femminea. Il suo tono di voce era molto basso e lento. La palestra era tutta nostra. Arrossii. Stavo confondendo i numeri. Mi feci ripetere le ultime due cifre. Lo salvai in rubrica. Prima che potesse voltarsi e andarsene lo afferrai per una spalla.
– Non ti scoraggiare, hai giocato bene, dopotutto. –
Mi fissò con quegli occhi lucenti. Notai per la prima volta che aveva delle labbra umide e carnose.
– Pensi che io sia un bell’uomo? –
ero sicuro della risposta, parevo ancora molto giovane, nonostante i miei 36 anni. Mi mantenevo perfettamente in forma, andando a correre col mio labrador nel parco tre volte al giorno.
– Sì – rispose dopo lunghi secondi di imbarazzo. Arrossì.
Poi, inaspettatamente, si chinò sul mio petto. Una lacrima gli scese sul visino delicato. Carezzai i suoi capelli. Lo avevo di marmo. Premeva contro il suo addome delicato.
– Non temere. Sei perfetto così. – gli sussurrai. Osai l’impossibile. Afferrai le sue guance lisce e, chinandomi, le portai alle mie labbra. Un bacio fugace. Notai che il suo pene si eresse, non era poi così piccolo in quello stato. Glielo palpai rapidamente, girandomi di scatto. A occhio e croce qualcuno particolarmente frettoloso poteva avere già concluso la doccia ed essersi cambiato. Fortunatamente, eravamo ancora soli in quella palestra. Lui, con un’audacia non calcolata, infilò la sua mano nelle mie mutande e mi menò il membro. Le sue dita fredde me lo scappellarono bene. Fui sul punto di venire, ma mi trattenni. Non era il caso di mostrare degli strani aloni ai miei giocatori. Feci un passo indietro. Lui levò subito la mano.
– A martedì, Kile. –
– A martedì, Reece. –

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