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I tamburi suonano, il ritmo perfetto dei battiti scandisce la notte, i fuochi illuminano la scena.
Sento odore d’incenso. Qualcuno l’ha acceso. Cammino piano. Non ho fretta. Non ho motivo di averne.
Il mahamandala é dipinto sotto i miei piedi nudi, sento il freddo della roccia e l’energia della terra.
I tamburi continuano a suonare, un ritmo lento, ossessivo. Mi lascio avvolgere dalla musica.
Ti guardo. Nei tuoi occhi colgo la stessa felicità. La stessa consapevolezza. Anche tu, come me, assapori questo momento. Sei ancora distante da me, ma il solo vederti mi dona gioia.
La tua pelle scura diviene bronze alla luce delle fiamme, é coperta di tatuaggi, scritte ancestrali, antiche e incomprensibili ai più.
La mia pelle bianca, schiarita dalle fiamme, mostra i miei tatuaggi, immagini e motivi altrettanto criptici a chi non sa.
I tuoi capelli, neri come l’ala del corvo, sono raccolti in una treccia che ti arriva alle reni. I miei, castani, sono liberi, e tremendamente ribelli a ogni forma di disciplina, sono più corti.
Il tuo viso é bellissimo, i tatuaggi sulle gote non fanno che impreziosirlo, gli occhi verdi che hai si tuffano nei miei occhi castani, occhi che hanno visto molto.
I tamburi cambiano ritmo. Piano piano, cominciamo a muoverci. Ancheggiamo sul posto, lentamente.
Come me, anche tu vesti solo una sorta di pareo, che per te é annodato appena sopra il seno, mentre per me é annodato all’altezza delle reni. Ancheggiamo e saltelliamo. L’incenso si dirada. Sento il tuo odore, il profumo di una donna. Mi accorgo che sto avendo un principio di erezione.
Il pareo non lo nasconderà. Ma, sorprendentemente non me ne curo. È naturale.
Nessuno potrebbe semplicemente restarti indifferente, e fingere non servirebbe. Tu lo sai e anche io.
Il tuo pareo é bianco, il mio é nero. Perfetta dualità, in rapporto al colore della nostra pelle e a noi.
Balli con me, agitandoti piano, come cerco di fare io (ben conscio di non essere un gran ballerino, per di più). Balli con il viso sorridente. I tamburi rullano un ultimo assolo, poi tacciono.
Ci fermiamo. Immobili. Le braccia distese lungo i fianchi, occhi negli occhi. I miei nei tuoi e i tuoi nei miei.
Sto inspirando, e tu espiri. Stai inspirando e io espiro. Simbiosi. Tutto il resto perde di significato.
Freddo, caldo, sensazioni esterne, tutto diviene piatto. E rimani tu.
I tuoi capezzoli s’intravedono, tendono la stoffa del pareo. Il mio sesso s’inturgidisce creando una protuberanza evidente nel tessuto del mio. Non ha importanza.
In questo momento so che non ne ha. Il biasimo e il perbenismo non hanno luogo qui, non sono graditi, ma neppure lo è l’eccessiva sessualità, la brama animalesca. Non siamo qui per questo.
Ti guardo. Mi guardi. Inspiro, espiri. Espiro, Inspiri. Piano, lenta. Poi parliamo, all’unisono.
-Ti accetto. Ti accolgo. Ti onoro. Onoro la divinità in te.-, parole in lingue antiche, parole semplici ma così potenti da essere lenitive, balsamo per le ferite dell’animo. Ti osservò.
Facciamo un passo, l’uno verso l’altra, l’una verso l’altro.
I tamburi riprendono a suonare. Saltelliamo sul posto, esalando il respiro dalla bocca, all’unisono, insieme a un “aaaahhh” molto profondo. Continuiamo per il tempo necessario.
Sento che il nodo del pareo comincia ad aprirsi. Non ci bado.
Sento come un energia che mi attraversa. Siamo ad occhi chiusi ora. Espiriamo, sempre con quella vibrazione che ci attraversa, generata dallo scuotimento continuo. E il mio sesso turgido tende il pareo, evidente sintomo del desiderio che sento. Non ci bado.
Sono tutto sull’espirazione, sull’esalare, sul fondermi con il momento e con te.
I tamburi tacciono nuovamente. Ci avviciniamo di un altro passo. Ormai siamo a due metri di distanza.
Calpestiamo il mahamandala mentre scivoliamo in ginocchio. Sincronizzati, c’inchiniamo. Prima io a te, poi tu a me. Nell’inchinarmi riverso il mio riconoscerti come la Divinità Femminile.
Nel tuo inchinarti, riconosci il mio essere come Divinità Maschile. Ci rialziamo in piedi.
I tamburi tacciono. A cantare siamo noi. Sillabe senza significato, mantra antichi più del tempo.
Ora, i tamburi riprendono. Lenti, solenni. Noto movimenti nelle ombre. Altri uomini e altre donne, il loro rito, la loro danza, è la nostra. E allo stesso tempo non lo è.
Ci avviciniamo ancora. Un passo. Ora stiamo ballando, faccia a faccia. Il tuo odore, sopraggiuntomi prima, mi raggiunge di nuovo. È piacevole, il risultato di una dieta bilanciata con spezie, il tuo profumo naturale, nessuna traccia di un qualche profumo industriale. Nessuna brama di nascondere nulla.
Continuiamo a danzare. Il mio respiro soffia appena sulla tua pelle, come il tuo spira sulla mia.
Improvvisamente, il mio pareo cade. Non faccio una mossa per prenderlo. Inizialmente l’avrei fatto.
Oggi no, ho imparato. Continuo a ballare, conscio del sesso eretto e turgido, bagnato di umori che attende solo di poter entrare in te. E tu continui a ballare, guardandomi.
I tuoi capezzoli sono eretti come punte di matita. Ti piace quello che vedi. Sebbene non possa vederlo, ho ragione di credere che tu sia eccitata tanto quanto me. Il ritmo dei tamburi sale, divenendo implacabile. Il mio muovermi si regola al suono. Ci avviciniamo di un ultimo passo. E il tuo pareo ora cade. Neanche tu fai una mossa per coprirti. Il tuo corpo nudo è un pugno nello stomaco, fantastico. Ti guardo, mi guardi.
Il mio sguardo scivola sul tuo corpo. Il tuo sesso, appena visibile, é depilato, come il mio. Pare aperto.
Mi vuoi. Ti voglio. Il cuore batte forte, eccitazione talmente grande da sembrare insopportabile.
Mi porgi la mano, la prendo, piano, senza forza. Piroetti. Poi piroetto io. Siamo vicinissimi.
I nostri occhi sono fissi, agganciati come magneti opposti. I nostri corpi si toccano.
I tamburi continuano. Nell’oscurità, altre coppie compiono lo stesso rito, piano, riverenti.
Danziamo. Danziamo piano, leggiadri. I nostri piedi si muovono senza pensare. Cadiamo tra le braccia l’uno dell’altra e poi di nuovo. Sento il tuo pube, il tuo sesso, così vicino al mio…
Ti voglio. Mi vuoi. Umori si mischiano. I miei nei tuoi, i tuoi nei miei. La danza continua. Ci allontaniamo e riprendiamo, perdiamo e ritroviamo. Piroettiamo onorando il Divino nell’estasi dell’esistente.
La danza continua. Quanto tempo sia passato non lo so, quanto ne passerà non importa.
Sento il mio corpo pieno di energia. Il mio sesso é solo una parte di essa. E guardandoti so che anche tu senti quel che sento io. Ti sorrido di nuovo. Sorridi a tua volta. Ci avviciniamo. Compiamo una giravolta quasi a contatto. Il mio sesso tocca la tua pelle. I tuoi seni sono così vicini…
Il controllo non é difficile, è ben di più. Al termine della giravolta siamo speculari. I nostri indumenti sono dimenticati altrove. Non c’importa. Abbiamo tutto quello che ci serve con noi. Qui.
Siamo vicinissimi. Ti sei avvicinata tu? O io? Non importa. Il mio membro preme tra le tue cosce, punta contro il tuo pube. E la tua mano, posata sul mio petto come la mia sul tuo, ti rimanda i battiti dei nostri cuori. Ci guardiamo di nuovo. I tamburi salgono ancora di ritmo. Noto che altre coppie sono ferme come noi, alcune invece danzano ancora. Il desiderio di tutti è prepotente: ci sono uomini con i membri eretti, donne con seni prosperosi, e non servono parole per esprimere ciò che tutti proviamo.
Siamo sudati, me ne accorgo. Fa caldo. La grotta ospita alcuni fuochi, e la danza ci ha riscaldati.
Il mio sesso sfiora appena il tuo. Non mi muovo e neppure tu. Ci guardiamo ancora.
I tamburi tacciono. Noi restiamo immobili. Tecnicamente la danza è finita e ora ci sarà chi si ritirerà a meditare, chi a dormire e chi invece si dedicherà al sesso…
Noi ovviamente abbiamo già deciso. Non servono parole: mi prendi la mano e attraversiamo le grotte sino a quella che ti fa da dimora, e che farà da dimora anche a me, da ora.

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