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Le avventure incestuose di Alice – capitolo 2

By 7 Giugno 2025One Comment

Fu svegliata dal tramestio in corridoio. Gli zii stavano discutendo animatamente su qualcosa, ma non riuscì a cogliere l’argomento di conversazione. Si domandò che ore fossero. Si stropicciò gli occhi, cercando di combattere la sonnolenza residua e scatenando migliaia di stelle colorate di bianco e violetto, che presero residenza dietro alle palpebre. La luce del sole filtrava attraverso le veneziane semiaperte, rendendo vividi i contorni del mobilio lì intorno e illuminando poster di calciatori in maglia bianconera e modelle ammiccanti.

“Sembra la stanza di un tredicenne”, pensò, osservando le pareti.

Voltò lo sguardo alla sua destra: il letto di Paolo era vuoto e disfatto. Doveva essersi alzato presto. Sfilò un braccio da sotto il lenzuolo, per afferrare il cellulare in carica sul comodino, e solo allora si ricordò di essere totalmente nuda.

— Cazzo! — imprecò sottovoce. Doveva essere crollata dopo il secondo orgasmo, dimenticando di rivestirsi.

Tastò il materasso, il versante dirimpettaio al letto di Paolo, alla ricerca della biancheria dispersa e trasalì quando la trovò sopra il lenzuolo: era certissima di averla lasciata sotto.

— Cazzo! — ripeté una seconda volta, e la sua mente volò subito agli scenari peggiori. In uno di questi, Paolo aveva trovato biancheria e maglietta a terra, l’aveva molto diligentemente poggiata sopra il letto e, già che c’era, si era preso il disturbo di sollevare il lenzuolo, guardarla totalmente nuda… e chissà cos’altro. Scacciò via l’immagine di suo cugino.

“Tutta colpa mia e delle mie lotte contro il materasso”, si disse. In effetti, era già tanto che il lenzuolo fosse ancora al suo posto sopra di lei e non da tutt’altra, come di solito accadeva nelle notti più turbolente.

Ingoiò il boccone, preparandosi mentalmente a ciò che l’aspettava e ai vanagloriosi commenti del cugino. La spinta erotica che la sera prima le aveva dato la carica era svanita, anche se persisteva una nota sconosciuta in fondo al suo stomaco: l’essere stata l’oggetto del desiderio di Paolo (lo presupponeva, anche se con la luce del sole non ne era più così sicura).

La cosa che non si spiegava era come mai, di punto in bianco, provasse queste pulsioni strane per lui; che aveva sempre considerato al pari di un fratello, totalmente asessuato come Ken, il compagno di Barbie. Arrotolò questi pensieri in fondo alla lingua e si alzò dal letto, ricordandosi, di nuovo, di essere nuda.

Infilò la biancheria rimanendo sotto le lenzuola. Essere vista in quello stato da zia Mafalda, o peggio, dagli uomini di casa, scarmigliata e peccaminosamente svestita, con le cosce ancora viscose dal doppio orgasmo della sera prima, era l’ultima cosa che voleva. Uscì alla chetichella dalla camera dopo aver indossato dei pantaloncini e scalza, in punta di piedi e con aria colpevole andò in sala da pranzo, dove salutò gli zii e si consolò rifocillandosi con una colazione abbondante e del caffè nero.

— Dof’è ffinito Paolo? — ciancicò con la bocca piena, sputacchiando briciole di biscotti sul tavolo.

— E’ uscito per comprare alcune cose, mi ha detto di dirti che se hai bisogno di un cassetto dove poggiare la tua roba te ne libera un paio, non serve usare il letto, — le rispose zio Gustavo.

— Cazzo, parte tre!

— Cosa?

— No zio, niente… sai quando torna?

Paolo ritornò un’ora dopo, tempo che lei impiegò per lavarsi e trovare una giustificazione scarsamente credibile.

— C’era caldo, — gli disse mentre camminavano per le vie assolate della città, pentendosi di non aver preso l’auto.

Si era legata i lunghi capelli biondo platino in una comoda coda di cavallo e aveva indossato un prendisole bianco molto scollato (senza reggiseno), che le arrivava fino a metà coscia e la faceva apparire più pallida del solito. Ai piedi calzava delle vecchie infradito color salmone. Paolo aveva invece optato per gli stessi pantaloncini orrendi del giorno prima, sostituendo però la camicia con una più comoda t-shirt chiara a mezze maniche.

— E per il caldo ti sei tolta anche le mutande? E poi ti sei tirata su il lenzuolo?

— … dopo mi è venuto freddo, — tentò inutilmente di giustificarsi Alice, causando solo l’ilarità di suo cugino.

— Se vuoi comprarti delle mutande più alla moda, diciamo alla moda di questo secolo, basta dirlo e ti accompagno.

Gli rifilò un cazzotto; fortunatamente per lui, sulla spalla ancora vergine.

— Dovresti prendere un po’ di sole, comunque, sei più bianca di una mozzarella impallidita per la paura di essere mangiata.

La battuta, a dispetto del pessimo giudizio sulla sua carnagione e dello sguardo licenzioso al suo décolleté, la fece sorridere. Si osservò le cosce e gli diede ragione.

Raggiunsero un negozio di abbigliamento dove Paolo, per scusarsi per le continue prese per il culo, si offrì di regalarle un costume. Alice percorse i corridoi cercando quello perfetto; agguantò tre o quattro modelli, si chiuse in camerino lasciando il cugino a guardia dell’ingresso e, una decina di minuti dopo, uscì trionfante con il vincitore: aveva scelto un costume intero, color blu cobalto, un modello abbastanza casto e coprente. Troppo pudico, per i gusti di Paolo.

— Tiè, scelgo questo. Come un Pokemon. Va’ a pagarlo, — gli disse, porgendogli l’articolo

— Facciamo un giro prima, magari troviamo qualcosa di carino, — le suggerì.

Effettivamente, qualcos’altro di carino lo trovarono. Alice aggiunse al carrellino (che tendeva rigorosamente a sinistra a causa di una ruota malferma) una canotta bianca abbastanza audace, considerando il volume del suo seno, uno smalto nero (“Il rosso non mi piace più!”) e un cappellino con visiera. A due passi dalle casse, fu attratta da una scaffalatura contenente alcuni profumi.

— Ma hai visto che c’è una macchia in questo costume? Vado a cambiartelo con uno uguale.

— Mh, mh, — annuì distrattamente lei, senza distogliere lo sguardo dai prodotti — fai attenzione alla taglia!

Paolo effettuò la sostituzione e pagò gli articoli, inclusi quelli aggiuntivi, mentre lei ancora curiosava tra i flaconi. L’avvertì che dovevano rientrare e uscirono dal negozio. Generosamente, si offrì di portare la busta per lei.

— Sai, mi sono divertito ieri con quelle scommesse, — esordì lui all’improvviso.

— Mh, mh! — Alice finse indifferenza, faticando a celare quelle cazzo di farfalle che avevano ricominciato a solleticarle la fica.

Un centinaio di metri dopo, Paolo interruppe nuovamente il silenzio.

— Replichiamo?

Un riflesso incondizionato la tradì. Si voltò di scatto verso di lui, chiaramente attratta dalla proposta. Non si riusciva a spiegare cosa le stava succedendo. Assecondare queste fantasie non era un problema per lei, abituata a ben altro; ma farle con suo cugino era tutt’altra cosa. In tempi normali non avrebbe minimamente acconsentito, ma ultimamente la sua fica sembrava aver preso il controllo del suo cervello, ed era lei ora a dettar legge. Aspettò un paio di secondi prima di rispondere, per calmare il batticuore e recuperare la sicurezza nella voce.

— Cosa proponi? — si sforzò di non balbettare.

— Stasera c’è Juve contro Atletico Madrid, e da tifoso quale sono non posso non vederla. Il gioco è questo: per ogni goal segnato dalla Juve, ti togli qualcosa, e lo stesso farò io quando segna l’Atletico… in camera, quando siamo soli, a fine partita. — si affrettò a precisare vedendo Alice sguinzagliare le sue rimostranze in formato zio Gustavo e zia Mafalda, — Si parte dalla biancheria intima.

— Aspetta, come ti avevo risposto ieri? Ah, sì! Col cazzo!

— E io ribadisco che sei noiosa, — aggiunse Paolo, — va bene, ti concedo un extra. Oltre ai boxer, indosserò la maglietta e i pantaloncini, così serviranno almeno tre goal dell’Atletico per farmi spogliare totalmente. Tu puoi fare lo stesso.

— Se ci aggiungi i calzini, forse posso pensarci, — suggerì lei, decisamente anti juventina e amante della Spagna. La curiosità era forte e il desiderio erotico, tornato alla ribalta, andava crescendo. Le parole le fuoriuscirono impetuose dalla bocca prima ancora che potesse controllarle e filtrarle.

— Valgono però come un unico indumento. Ah, e dobbiamo restare così tutta la notte. E si fa con le luci accese.

— Luci spente, veneziane socchiuse… o non se ne fa nulla.

Paolo rifletté. C’era sempre la luce del lampione che filtrava dall’esterno. Non era il massimo, non si sarebbe visto praticamente nulla, ma sapere che lei era nuda o quasi, lì accanto a lui, era quanto di più potesse sperare di ottenere da quel gioco.

— Quasi perfetto. Mettiamo un altro po’ di pepe?

— Ancora? Non ti senti soddisfatto?

— Un piccolo extra. Prima della partita scriviamo una punizione che il perdente dovrà affrontare. Niente di esagerato, ovviamente. Le conserviamo e le leggiamo alla fine della partita.

— Sappi che non ho intenzione di guardarti mentre ti fai una sega, così come non voglio fartene una! — si affrettò a chiarire lei.

Paolo arrossì, dalla punta delle orecchie al viso, poi disse che non pensava a nulla del genere. Si strinsero la mano e accettarono le regole di quel gioco.

Alice ragionò su questa nuova scommessa senza parlare, per tutto il resto del tragitto. Qualcosa l’aveva fatta ammattire, non c’era altra spiegazione. Fu tentata un paio di volte di rinunciare, ma l’impulso di lasciarsi andare, di esplorare nuovi limiti e abbatterli come aveva fatto per tutto l’anno, la convinse a tener fede all’accordo. Avrebbe rischiato di mostrarsi totalmente nuda, o di vedere cosa lui nascondeva sotto i boxer, ma si consolò riflettendo che in genere in queste amichevoli estive i giocatori non danno mai il massimo e quindi, con un po’ di fortuna, il risultato non si sarebbe scostato tanto dallo zero a zero.

Arrivati a casa, Paolo le concesse l’uso prioritario del bagno (“Scappa pipì!”). S’infilò in camera, conservò gli acquisti nell’armadio e, tornata Alice, scrissero su un paio di fogli le punizioni per quella sera. Ripiegarono i fogli a metà e li affidarono al cassetto della scrivania. Andarono in sala da pranzo e chiacchierarono amabilmente con gli zii, davanti a una porzione decisamente esagerata di pasta alla norma.

Quella sera, zia Mafalda decise di andare a salutare la cugina che abitava quattro civici più in là, lasciando campo libero ai tifosi. Si stupì di come sua nipote preferisse restare con gli uomini a guardare la partita piuttosto che seguirla in una serata di piacevoli pettegolezzi sui figli dei vari parenti e, tronfia e orgogliosa, uscì di casa in silenzio.

Zio Gustavo si sedette al centro del divano, i due ragazzi alle rispettive estremità. Alice cercò di far tacere quella sensazione frizzante nel basso ventre e il calore improvviso che le si era allargato sul volto, e si concentrò sul pallone.

Dopo neanche cinque minuti dal calcio d’inizio, l’arbitrò fischiò un rigore per la squadra madrilena. Alice esultò in silenzio, poi lo fece di nuovo a voce più alta.

— Ma tu dovresti tifare per gli italiani, — le suggerì zio Gustavo, indispettito.

Il calciatore non sbagliò. Spiazzò il portiere e insaccò la palla in rete; 1 a 0 per l’Atletico e un piccolo vantaggio nei confronti di suo cugino, che tuttavia durò poco. Dieci minuti dopo furono gli uomini a esultare, per il pareggio della Juventus. Alice non sapeva se sperare che la partita finisse così o lasciarsi andare all’abbrivio datole dalla speranza di un altro goal. Iniziò a percepire l’ansia come una piovra che le si aggrappava all’intestino quando, verso la fine del primo tempo, i bianconeri passarono in vantaggio grazie a un rapido quanto inaspettato contropiede. Alice imprecò contro l’arbitro, inneggiando al fuorigioco; sia lo zio che il cugino si stupirono che lei sapesse cosa fosse.

Durante i quindici minuti di intervallo andò in bagno a sciacquarsi la faccia. Si riscoprì sbiancata in viso e sudata sotto le ascelle, ma la colpa non era del caldo, dal momento che un condizionatore dotato di una discreta potenza, l’unico nella casa, provvedeva ad annullare gli effetti dell’afa. Si trattava di quella scommessa del cazzo: la fonte della sua frenesia e del suo terrore.

— C’è ancora un tempo, — disse alla sua copia allo specchio, — vedrai che finirà così e nessuno dei due dovrà spogliarsi.

“Ma è davvero ciò che voglio?”

Evitò di dar voce a quel pensiero e tornò in sala solo quando percepì che una discreta quantità di colore le era di nuovo affiorata alle guance. Il secondo tempo vide un netto miglioramento delle prestazioni degli italiani, sebbene la situazione rimase invariata fino al sessantanovesimo, quando uno juventino insaccò un missile terra-aria contro la rete avversaria, portando il risultato sul 3 a 1. Alice avvertì le palpitazioni tambureggiare dentro di lei. Si era giocata calzini, maglietta e pantaloncini. Nessun problema, sarebbe rimasta in intimo davanti al cugino, ma la Juve non poteva più permettersi di segnare altri goal.

“Sono una cretina! Posso sempre rifiutarmi.”

Ci ripensò all’istante. Non era da lei imbarcarsi in un’impresa e rinunciarvi per vigliaccheria. Inoltre, quella sottile vocina nella sua testa che reclamava a gran voce la sua dose di lussuria, continuava a spingerla verso la strada già imboccata.

Gli spagnoli accusarono il colpo ma seppero reagire, complice una distrazione della difesa avversaria che permise al trequartista dell’Atletico di sfondare in area di rigore e riaprire i giochi.

— Siamo 3 a 2 eh? — gongolò Paolo pregustando la seconda parte della serata, rivolgendo delle occhiate languide alla cugina.

Ormai il batticuore aveva preso Alice in ostaggio e non accennava a mollarla. La ragazza rimase in silenzio, concentrata sulla partita, chiedendosi come fosse possibile che lo zio, lì accanto, non avesse minimamente avvertito le vibrazioni del suo tremolio. Si sentiva un trattore a pieno regime.

La metà fredda e calcolatrice del suo intelletto sperava che il risultato non cambiasse in quei dieci minuti rimanenti; quella più estrosa, la più depravata, si augurava invece la goleada. Effettivamente, la partita sembrava indirizzata a concludersi in quel modo. I giocatori erano stanchi e non avevano certo voglia di dar fiato alle ultime energie per un’inutile amichevole. Alice diminuì i giri del motore, rallentando i battiti del cuore e calmando l’ansia. Riuscì persino a sorridere, ma il fischio dell’arbitro, esploso con impeto l’istante in cui un difensore spagnolo aveva atterrato l’attaccante juventino in area di rigore, la fece sbiancare di colpo.

Zio Gustavo e il pargolo si scatenarono alzandosi di scatto dal divano e festeggiando a gran voce il rigore concesso. Alice sbraitò, dando all’arbitro del fottuto corrotto. Il bianconero, un serbo dal nome improponibile che Alice fece fatica a leggere, non sbagliò, consegnando la vittoria per 4 a 2 alla Juventus.

La ragazza corse in bagno di volata, evitando come la peste le occhiate lussuriose del cugino. Entrò e, accucciatasi sul gabinetto, svuotò la vescica. Si sciacquò le mani e nuovamente il viso, conscia che di lì a pochi minuti Paolo avrebbe reclamato il suo reggiseno. Era fortunata a non aver perso anche le mutande.

— Un gioco è un gioco, — si disse a bassa voce guardando la sua metà logica allo specchio, — e ora tu non mi sei d’aiuto.

Sciacquò le ascelle, dopo la copiosa sudata aveva bisogno di rinfrescarsi un po’, si inumidì l’incavo del seno con un paio di gocce di profumo e altre due le fece scivolare ai lati del collo. Si guardò nuovamente allo specchio e uscì dal bagno subito dopo, dirigendosi in camera a passi felpati, non del tutto pronta al gioco erotico che doveva affrontare.

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