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LETTERE DA COPENAGHEN – XII IL CAPPUCCIO NERO DI MIRABELLE

By 25 Ottobre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

*Riporto di seguito lo scritto della protagonista.
L’autore Dunklenacht.

Africa Coloniale Tedesca, 1 dicembre 1917.

Volli stendermi sull’erba, nuda, con indosso soltanto le scarpe rosse col tacco a spillo, quelle col laccetto alla caviglia. Tutto questo, per farmi contemplare dal mio uomo e per sentire una lingua, vellutata, che passava sulla pelle, sulla carne, ricoperta di sudore perlato.
Lo invitai nella città fantasma. Egli accettò il mio invito e ci incamminammo appassionatamente sulla sabbia, tenendoci per mano. Eravamo felici, lieti, allegri, tanto, che di tanto in tanto saltellavamo, ci rincorrevamo, canticchiavamo. Il sole era alto nel cielo, dove poche nuvole bianche si rincorrevano, rapite dal vento, lo stesso che carezzava le piccole dune sabbiose.
Non c’era nessuno. Ad un tratto, ci sorprese il cigolio vago di un gallo segnavento, fatto di ferro battuto, che dieci anni di clima africano avevano fatto arrugginire.
Mi ritornava in mente la storiella della sposa, della sposa, vestita di bianco, con i veli e lo strascico. Mi dissi che quella ero io, dovevo essere io, soltanto io, in quel mattino assolato, pieno di brezza e di felicità.
– E’ il nostro paradiso! ‘ dissi al mio amato, al mio gran signore.
Ricordo che per ripararmi dal sole indossavo un lungo mantello nero, con il cappuccio d’egual colore. Quell’abbigliamento faceva risaltare ancor più il mio volto diafano, la mia lunga chioma e le mie labbra scarlatte, degne di una bambola ottocentesca.
Entrammo in quella specie di saloon abbandonato, di cui vi parlai un tempo. La finestra dava sul deserto, aveva il vetro rotto ed era tutta nera. Era una finestra fantasma.
– Ghost, questo &egrave il nome della città ‘ mormorai.
Non mi ero sbagliata. Infatti, attraverso il vetro rotto, potemmo scorgere il cartello di legno, sul quale avevano dipinto con la vernice nera il nome di quel borgo. Quella scritta color della pece su di uno sfondo bigio avrebbe potuto spaventare, parlava di fantasmi, di spiriti, di voci sepolte nel vento, che narravano destini proibiti.
Allora, era come se quegli spettri fossero intorno a noi e ci parlassero. I due amanti ascoltavano attoniti le loro parole, confuse nella brezza misteriosa. Erano spiriti amici, affettuosi, carezzevoli. Qualcuno di loro giocava con i miei capelli e mi faceva dei complimenti, in un tedesco arcaico, che sapeva di Medioevo.
Gli spiriti erano innamorati di me, mi coccolavano, mi facevano compagnia, volevano che abbracciassi il mio amante, che consumassi con lui un accoppiamento sessuale bollente, che lo baciassi sulla bocca, senza mai staccarmi dall’oggetto dei miei desideri.
Mi accorsi che alcuni tetti della città fantasma erano dipinti di nero, le forme erano gotiche, aguzze, simili a quelle delle cattedrali di Lubecca, ma non c’erano draghi, non c’erano figure sinistre, né sculture che raffiguravano scene dell’Oltretomba. La luce del sole rendeva tutto tranquillo. Una pace vaga, la pace del deserto, rasserenava quei luoghi e li rendeva ameni.
– Possiedimi ora! Possiedimi carnalmente! ‘ chiesi al mio compagno d’avventure.
Sì, desideravo ardentemente che si impossessasse della mia carne, delle mie caviglie, delle mie gambe, di quelle mammelle turgide, carnose, che aspettavano sotto il mio mantello nero, col cappuccio, l’unico indumento che mi rimase indosso.
– Non sento freddo ‘ mormoravo. ‘ Ho il caldo della passione, sulla pelle.
Il membro era forte, scarlatto, robusto. Difficile dire quanto fosse lungo. Il piacere correva sulle labbra. Non saprei dire quanto durò. I fantasmi ci danzavano intorno, sì, ci danzavano intorno, cantavano filastrocche nel tedesco che si parlava ad Amburgo, mentre un falco si librava in volo nel cielo e solcava le nubi con le sue ali maestose.
Ah, brividi di fuoco, brividi di passione, brividi bollenti, brividi di carne, brividi d’amore vago, brividi di voluttà, brividi di desiderio che si accoppiava con l’oblio, brividi d’intrigo, brividi, brividi, brividi! Alla fine, il maschio inonda la femmina del suo vischio infuocato, capace di fecondare, come la pioggia feconda la terra dopo la tempesta.
A Ghost, la città fantasma, c’era anche una vecchia latteria abbandonata, die alte Molkerei. Non si sapeva se un tempo vi avessero lavorato latte di vacca, o piuttosto di pecora o di capra. Gli allevamenti di pecore erano assai diffusi in quel piccolo paradiso africano. C’erano mandrie dappertutto. Quei graziosi animali brucavano i pochi cespugli e le rare erbe che crescevano qua e là, tra i ciottoli. Ad ogni modo, non tutto era deserto.

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