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LETTERE DA COPENAGHEN – XVII LA FESTA DEI FIORI E MIRABELLE

By 28 Ottobre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 11 dicembre 1917.

Il paradiso aveva il mio volto, il volto di Mirabelle e brillava tutt’intorno a me. Non c’erano spazi, né istanti incontaminati dalla felicità.
Ricordo che un giorno ci celebrò la festa dei fiori. Il viale delle capanne di legno, che conduceva alla stazione ferroviaria, era tutto adorno di quei doni della natura, dai petali di mille colori. Erano fiori che venivano dall’Olanda e sapevano di malinconia, di canali nebbiosi, di guglie gotiche, di fanciulle dalle lunghe chiome bionde e dalle bocche inebriate di baci, vestite con i loro costumi e grembiuli tradizionali e con gli zoccoli di legno. Le loro fragranze mi facevano venire in mente i Grachten e i canali delle cittadine dei Paesi Bassi, gli amori perduti di quelle giovani donne, le fatiche del vivere quotidiano, il male di esistere di un tempo ormai lontano.
Ed invero alla festa dei fiori c’erano delle giovani neerlandesi, da poco arrivate dall’Olanda, non so con quale nave, la stessa che aveva portato quei tulipani variopinti, quelle primule d’oro, quei fiordalisi delicati, quelle orchidee che avevano le trasparenze del cielo. Die Blumen’Così li avrei chiamati, nella mia lingua natia. Le donne indossavano davvero i loro costumi tradizionali e si erano radunate in cerchio, sotto le palme grandi. Si tenevano per mano e facevano il girotondo, attorno alle casse piene di fiori bianchi e scarlatti, intonavano i loro canti tradizionali e alcune si davano dei baci, sulle guance. C’era anche un vecchio, che beveva la birra, seduto su un barile di legno.
Io passeggiavo fra i tulipani gialli, dai petali appuntiti, aguzzi, che avevano le sfumature e la mitezza del sole dell’Europa Settentrionale, tenevo un cesto colmo di fiori sottobraccio, mi incantava la vista di un pupazzo di stoffa, anzi, di pezza, che raffigurava un orsacchiotto ed era grande quanto un uomo.
Ad un tratto mi voltai e vidi le giovani neerlandesi che si rincorrevano, che giocavano ad acchiapparsi, come in preda ad una passione amorosa saffica, inspiegabile, indicibile. Oh, sì, sembrava davvero che l’una fosse sessualmente attratta dall’altra; guardandole, avevo l’impressione che si dessero dei baci, che si toccassero le tette turgide, i capezzoli rossi e gonfi, che sporgevano dai loro vestitini, una si era tolta le mutande profumate e le faceva vedere alle altre, un’altra si alzava la sottana e mostrava le belle gambe, un’altra ancora si toccava, davanti a tutti, sospirando di piacere.
Non era una festa di fiori, era una festa della sessualità, della primavera del corpo e dei sensi, del piacere carnale, della femminilità.
Una delle giovani giocava a pettinare una compagna, che aveva una chioma meravigliosa e teneva gli occhi chiusi. Di lei, m’incantarono soprattutto le belle palpebre socchiuse, incorniciate da ciglia nere e lunghissime, le sopracciglia d’egual colore e i due incisivi d’avorio, che spuntavano dalle labbra semiaperte come due denti di castoro. Dava l’impressione di essere sempre in procinto di lamentarsi per il piacere.
Sì, sì, sì, quello che la pettinatrice consumava con la pettinata era una specie di rapporto sessuale, le stava dietro e con un dito la tormentava nella vagina, su e giù, su e giù, dentro e fuori, sempre, incessantemente, ardentemente. Era un coito.
– Ahi! Ahu! ‘ avevo l’impressione di sentire.
In quel piccolo paradiso africano poteva accadere di tutto, di tutto, lo ammetto. La festa dei fiori sarebbe durata dall’alba al tramonto. Nel tardo pomeriggio, si aprirono le danze. Erano danze di colori, di musiche allegre, suonate da flauti di legno e fisarmoniche rozze, musiche da ballo, che evocavano in me le immagini di quell’Europa in cui avevo vissuto i miei primi amori. Il mio amante mi fece da cavaliere e Mirabelle ballò, girando su se stessa, volteggiando intorno al mondo, sospirando per una vita che passava, passava, volava, come i petali dei tulipani appassiti, al vento. Non sapevo se sarei morta, se un giorno la morte si sarebbe dimenticata di me o mi avrebbe rapita, con le sue mani gelide, per condurmi nell’oblio. Mi ero dimenticata di lei, perché tutti mi amavano e mi erano amici e i negretti mi facevano tanta festa, sì, tanta festa’ Ero bianca ma loro mi volevano bene come dei fratelli.
La festa dei fiori proseguì oltre il tempo stabilito, fino a tarda notte. Ebbi la sensazione che avvicinasse molto le persone e le inducesse alla sessualità, alla promiscuità, al rimescolamento del sangue e all’accoppiamento. Infatti, così accadde.

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