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LETTERE DA COPENAGHEN – XVIII LA MALINCONIA DI MIRABELLE

By 30 Ottobre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 14 dicembre 1917.

Quando mi trovavo tra le braccia del mio uomo, ricordavo dolcemente i giorni di felicità, che avevo passato con lui nella lontana Europa.
Erano stati anche giorni di malinconia.
Ricordo quando passeggiavamo insieme, lungo i canali di Amburgo. C’era anche un parco, dove gli inverni sembravano miti, o almeno meno rigidi del solito. Vi andavamo di sovente e quando nevicava o aveva nevicato da poco, lui mi stringeva tra le sue braccia, per non farmi sentire il freddo, che penetrava nella pelle. Così abbracciati e stretti guardavamo le torri e i palazzi gotici, di lontano, li vedevamo avvolti nelle nebbie o nell’ombra diafana delle nuvole tristi dell’inverno. A volte, le finestre s’illuminavano’ Altre, i lampioni si spegnevano.
– Mi amerai così per sempre? ‘ gli chiedevo, languidamente, in quei momenti di intimità.
– Sì, ti amerò ancor di più, se lo vorrai’
– Sì, lo voglio, lo desidero con tutto il cuore, anche se, lo sento, le mie labbra amorose ti mancheranno.
– I tuoi occhi brillano così forte’ Sono loro le vere luci dell’inverno!
– Sei molto buono, se mi parli con queste parole affettuose’
– Dimmi qualcosa di caro, qualcosa di tenero, che sappia di te e delle tue premure tranquille’
– Ti regalerò i primi fiori di primavera, nati dalle lacrime di questi geli!
Ad Amburgo c’era un piccolo stagno, dove d’estate si vedevano guizzare i pesci rossi e nuotavano le rane. In inverno, era spesso gelato e qualche discolo si divertiva a rompere il ghiaccio con un martello.
Ricordo che una volta io e il mio amato avevamo preparato delle barchette di carta e le facevamo galleggiare su quell’acqua. Giocavamo, sì. Era primavera e trovavamo divertente farle navigare allegramente, come se fossero state delle vere barche, simili a quelle che partivano dal porto del silenzio e dei ricordi.
A volte, ci capitava di pensare ai morti. Accadeva quando passeggiavamo mano nella mano per i vialetti tristi del cimitero più grande di Amburgo. C’erano tante tombe, che sembravano senza nome. D’inverno le baciava la neve, d’estate le accarezzava il vento. Il pensiero del destino della vita e dell’uomo rapiva le nostre menti. Era come partire su un treno a vapore, per un lungo viaggio, alla fine si veniva deviati su un binario morto e’ Era come partire in nave, per non ritornare mai più’
Esistevano delle cose tristi, esistevano delle cose tristi. Io e lui ci parlavamo d’amore ma ogni giorno, al mondo, c’erano delle persone che si uccidevano, perché non ne potevano più della vita o per sfuggire a delle malattie orribili, che davano una sofferenza insopportabile. Era facile scambiarsi delle parole affettuose, ma esistevano degli uomini malvagi, che facevano il male per il puro piacere di fare del male, che non amavano, che uccidevano e commettevano dei crimini che non si potevano raccontare, tanto erano efferati.
Nel cimitero di Amburgo, io e il mio amato ci fermavamo sovente davanti alla tomba della mia più cara amica, che avevo perduto da tempo, in circostanze tristissime. Lei era malata ed io le ero stata più vicina possibile, prima che mi lasciasse per sempre. Eravamo state compagne di scuola, compagne di banco, compagne di giochi, d’amori e d’illusioni. Mi diceva sempre che sarebbe guarita, che saremmo state insieme per tutta la vita, come sorelle, avremmo giocato ancora con le bambole, ma poi’ La mia migliore amica era morta, tra le mie braccia.
Io mi inginocchiavo davanti alla sua tomba e baciavo il marmo con le mie labbra morbide, ma questo non bastava a renderle la vita, no, non bastava e un vento gelido mi accarezzava, in quegli istanti di rimpianto! L’avevano sepolta sotto i tigli grandi’ E pensare che i suoi cari non avevano avuto alcun affetto nei suoi confronti, dopo la sua fine. Nessuno più aveva pensato a lei e anzi, le vipere s’erano rallegrate, perché avevano una concorrente in meno nella ripartizione della cospicua eredità paterna.
– Baciami forte ‘ dicevo al mio amato ‘ così fa meno male il gelo della morte!
Io ripensavo a quelle immagini, mentre in quell’Africa paradisiaca ascoltavo la voce affettuosa del mio merlo indiano, che tenevo al sicuro in una gabbietta dorata e lucida. Lo allevavo all’ombra di una palma, vicino a una cassa di noci di cocco, che mi aveva regalato un negretto, affinché dissetassi le mie dolci labbra. Mi piaceva il mare e lo desideravo ardentemente, nella luce di un sole e di un’estate senza fine, sì, un’estate che non moriva mai, non si spegneva mai e brillava di felicità e di eterna giovinezza.

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