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LETTERE DA COPENAGHEN – XXIII IL MERCATO DI AMSTERDAM

By 18 Novembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 21 dicembre 1917.

A volte, capitava che il premuroso Friedrich mi prendesse la bianca mano e la baciasse. Accadeva proprio come un tempo, proprio come quando visitavamo il mercato di Amsterdam.
Dovete sapere che c’era una volta ad Amsterdam un mercato, nel quale non si vendevano né ortaggi, né vivande, bensì ogni sorta di piacere che Natura avesse concesso all’uomo. Le bancarelle erano turchine o dipinte a colori freddi; le allestivano nella piazza dei fuochi d’artificio e lungo i canali, davanti alle case dai muri dipinti di verde scuro e dai tetti spioventi, neri come la pece. Di quando in quando, qualche meretrice faceva capolino da dietro quelle imposte di legno, salutava un passante, tenendo una bugia in mano, per poi scomparire.
Il mercato di Amsterdam si teneva dal lontano ***, tutti i sabati del mese, soltanto in inverno. Talvolta i visitatori venivano sorpresi dalla neve.
Nei giorni di mercato era tutto un cupo vociferare, un miscuglio vago di volti senza volto, di facce da marpione, di femmine che sghignazzavano, di pagliacci, di galli da combattimento, dai piumaggi floridi e variopinti. Sì, avete capito bene, c’erano pure dei clown, che però non divertivano, facevano degli scherzi alquanto fastidiosi ed approfittavano del loro travestimento per molestare le giovani donne. Qualcuno andava su una bicicletta con una ruota sola, altri suonavano la trombetta, ma non era spassoso.
La folla discorreva soltanto di rapporti sessuali violenti, di pratiche erotiche perverse, di frustate assaporate nel bel mezzo di accoppiamenti feroci e carnali, di rapimenti, organizzati a fine di libidine.
Alcuni, sia uomini che donne, portavano in testa parrucche colorate: verdi, rosse e blu. Certa gente si toccava gli organi sessuali, le parti intime, le donne addirittura scoprivano apposta le mammelle e facevano dei sorrisi provocanti.
Poteva capitare di vedere dei gruppi di tre o quattro uomini; di questi, ce n’era uno che si incontrava di sovente.
Ora vi descriverò quei personaggi.
Uno dei ceffi portava sul capo un cappello a cilindro tarlato e sfondato, indossava un frac rosicchiato dai topi ed aveva una mano di legno. Era privo di pelle che gli coprisse le ossa del volto e ogni volta che parlava, mostrava le gengive scarne e i denti aguzzi. Era tutto mascella e mandibola e aveva una voce gutturale. L’altro era un ciccione, con due baffi enormi e l’alito che sapeva di vino e di birra. Sulla camicia strappata portava due bretelle gigantesche ed aveva delle braghe che dovevano aver conosciuto le fauci di un branco di mastini, tanto erano a brandelli. Teneva in spalla una damigiana. Il terzo signore, per contro, aveva l’aria da giocatore, perché teneva in mano due grandi dadi bianchi, ma portava abiti da pagliaccio, a scacchi bianchi e neri, aveva in testa una parrucca verde e una maschera da clown gli copriva il volto. Non lo credereste, ma sotto quelle vesti c’era uno scheletro parlante. I tre sbraitavano in olandese antico, muovevano le mani a turno, come se stessero giocando alla mora e ciascuno gridava un numero, il suo numero. Poi il pagliaccio gettava i dadi sopra un tavolaccio di legno, sul quale avevano messo dei catenacci arrugginiti e un grosso topo, morto. Se veniva pari era vita, se arrivava il dispari era morte.
L’uno sperava di vincere l’anima dell’altro’ E schiamazzavano, s’ubriacavano, passandosi l’un l’altro un fiasco d’acquavite. Poi, veniva il fumo, che li avvolgeva sempre.
In un gennaio lontano, io e il mio Friedrich visitammo il mercato di Amsterdam e la prima cosa che vidi, quel giorno, passando oltre un porticato fatto di spine e mattoncini colorati, fu un gruppetto di giovani donne, incatenate. Erano truccate e seminude, pronte per essere vendute al maggiore offerente. Quale fosse il loro mestiere era fuori di ogni dubbio. Accanto a loro vidi una figura cupa, sì, un vecchiaccio con un occhio solo e una benda nera che gli copriva l’altro. Era vestito come uno spazzacamino e teneva in mano una frusta color della pece. Di tanto in tanto, la usava per sferzare le ragazze, che piangevano. Sembravano degli asinelli’
Lì vicino, avevano ammonticchiato alcuni rovi secchi. Se entro il calar del sole non si fosse trovato un acquirente, le tre meretrici sarebbero state bruciate vive. Era un’usanza del luogo.
– Guarda! ‘ dissi a Friedrich. ‘ C’&egrave persino chi vende burattini!
Mi portai la bella mano sulla bocca, onde nascondere il riso canzonatorio che per un attimo mi vinse. C’erano dei tizi guerci che andavano di orecchio in orecchio, per contrattare.
– Cento monete d’oro!
– No, duecento!
– Centocinquanta per quella femmina!
Una donna poteva essere venduta per un pezzo di pane. Erano antiche usanze pagane, mi dissi, al pari di quella che consisteva nel consumare un accoppiamento sessuale senza vestiti indosso, in pieno inverno, davanti a un fuoco acceso. I due attori si spogliavano nudi davanti a tutti, lei faceva sedere lui su una sedia di legno e si metteva sopra, lasciandosi penetrare a gambe divaricate. Poi, cominciavano a muoversi, come due conigli in amore, noncuranti del freddo e dell’inverno. Tutti godevano, nel vederli e nel sentirli strillare di piacere. Che versi! Che urli! Le tette di lei sobbalzavano senza sosta e i capezzoli sembravano di ferro fuso. Non parliamo poi dell’organo sessuale di lui, delle sue dimensioni!
Al mercato di Amsterdam succedeva anche quello e i visitatori pagavano per stare a guardare.
Vi si vendeva anche l’oppio, sia pure in un quartiere a parte. Il commerciante era un uomo con un teschio al posto del volto, un cappello a cilindro schiacciato come una fisarmonica e la mascella senza denti. Era vestito come un becchino. Lì accanto c’era un altro venditore simile a lui, ma vestito di blu. Teneva in mano una sorta di bilancina d’oro, che usava per pesare la cannabis indica e tutti i suoi derivati. Aveva con sé anche delle piante in vaso. Voi non sapete, ma quell’uomo vendeva anche i semi della prodigiosa pianta, che incantava la gioventù d’Olanda.
Ad un tratto, mi parve di addormentarmi sulla spalla del mio Friedrich. Forse, era per l’innamoramento. Una nuvola ci avvolse, era fumo d’oppio, o forse, di canapa indiana. E s’udiva sempre una musica di violini stonati mescolata al rock and roll, al mercato di Amsterdam.

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