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LETTERE DA COPENAGHEN – XXXIII LA PIOGGIA SOTTO LE LUCI ROSSE

By 30 Novembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 31 dicembre 1917.

Il cuore mi batteva forte nel petto. Non avrei mai osato sognare di poter avere una vita sessuale tanto appagante e felice, come quella che ebbi nei giorni in cui mi trovai nel quartiere a luci rosse.
I rapporti amorosi venivano consumati per lo più a lume di candela, o nella luce rossastra di lumini ardenti, su letti soffici o su pavimenti profumati, teneramente decorati da tappeti persiani. Questo valeva non soltanto per me, ma anche per le mie vicine, le quali mi abbracciavano e mi coccolavano come se fossero state mie sorelle.
La rissa era stata di breve durata. Gli schiamazzi, i pugni e le grida si erano spenti nella notte, tra i sospiri amorosi, le parole affettuose e care, il rumore dei letti che sobbalzavano dolcemente e l’eco del mare, che il vento del porto recava fin laggiù. I lampioni dalle luci vermiglie brillavano per gli innamorati ed i loro sogni appassionati.
Io non sapevo se Friedrich fosse rimasto ferito o no’ L’animo mio era preoccupato per lui, per la sua incolumità, la sua felicità. Avrei voluto cercarlo, parlargli, confortarlo, ma il poco tempo e la padrona del bordello non mi permisero di fare tutte queste cose. Durante l’ora libera, passai nuovamente dinanzi alla Locanda delle Ancore, con la speranza di rivederlo, di riabbracciarlo, di ritrovarlo’ Ma lo chiamai e lo aspettai invano.
Il pomeriggio seguente, accarezzata malinconicamente da un vento che sapeva soltanto d’inverno, andai dalle parti della bottega dei pescatori, passando vicino al Bordello delle Cinque Sorelle. Ad un tratto, vidi un signore che assomigliava molto al mio amato, almeno di schiena. Gli corsi incontro, gli posai entrambe le mani sulle spalle e dissi forte:
– Friedrich!
Quando si voltò, socchiusi le labbra, come per baciarlo, ma non era lui, ahim&egrave!
– Chi stavate cercando, signorina? Non vi conosco. Lasciatemi in pace, per cortesia, &egrave meglio per voi.
– Scusatemi. Come volete ‘ risposi. ‘ Come volete.
Aprii il mio ventaglio decorato e nascosi il bel volto dietro di esso, onde dissimulare il rossore vago che mi coloriva le guance. Una lacrima di nostalgia scese da una delle mie palpebre, dipinte di celeste. Ero così ben truccata, così ben vestita, che’ Oh! L’amore e il denaro mi avevano dato alla testa, ma non bastavano per consolarmi, no, non bastavano.
Ricordo che una volta, dopo uno dei miei consueti incontri amorosi, mi precipitai fuori dal bordello e presi a correre follemente per le strade, senza voltarmi indietro. Era notte e pioveva dolcemente, tra le luci fredde dei lampioni e delle lanterne. Fu in quell’occasione che incontrai Friedrich nuovamente, per la prima volta, dopo la rissa.
– Tesoro caro, di nuovo insieme! Quanto mi consola rivederti! ‘ gli dissi, senza poter fare a meno di gettargli le braccia al collo. ‘ Stai bene? Sei rimasto ferito? Non mi consolerei mai, se per causa mia ti avessero fatto del male!
Abbracciandolo, piangevo di felicità. Poi, però, mi accorsi che aveva una ferita sulla guancia, un occhio nero e stava in piedi reggendosi ad un bastone.
– Ti hanno picchiato, &egrave così? ‘ esclamai. ‘ Che cosa ti hanno fatto? Che cosa ti hanno fatto, dimmelo! Dimmelo e piangeremo insieme! Sono inconsolabile!
– Lascia perdere ‘ mi rispose lui, ridandomi del tu dopo tanto tempo. ‘ L’ho fatto soltanto per poter godere ancora delle tue premure affettuose e dei tuoi baci.
– E’ per me che hai fatto questo?
– E’ stato per proteggerti e per nient’altro. Ti giuro che lo rifarei, se fosse necessario!
– Sapevo che mi volevi bene’ Anzi, che mi vuoi bene, ma’ Sanguini ancora! Ti hanno pestato duramente.
– No, non &egrave sangue, ti sbagli, sono le luci rosse della città.
– Sono così commossa! Pensa che temevo di non rivederti mai più. Ma mi sbagliavo, per fortuna’ Quanto ti amo! Anche quando mi trovavo tra le braccia degli altri uomini, non sai quanto ardentemente ti desideravo. Era come se amassi te, come se lo facessi con te.
– Non ho molta forza, ma riesco ancora a stringerti, a farti mia, a’
– Non dire altro. Guarirai presto, lo sento! Tornerai ad essere quello di un tempo, bello e affettuoso’
– E che ne sarà del nostro gioco di passione? Vorrai ancora che io giochi con la tua gelosia e tu con la mia?
– Non dire sciocchezze, ora. L’importante &egrave che tu sia sano e salvo!
Non sapevo dove alloggiasse, dove abitasse. Gli chiesi di poter dormire con lui, quella notte. Egli acconsentì. Rimanemmo abbracciati fino all’alba, sì, finché l’affettuosa aurora non ebbe infranto coi suoi raggi dorati la tenebra stellata e ardente.
Dopo quell’episodio, la padrona, o meglio, la signora mi rimproverò non poco, per il mio fare distratto e la mia scarsa produttività. Mi mandò a chiamare e mi fece accompagnare nel suo piccolo ufficio sontuoso, ornato d’oro, di velluto e di pizzo. Mi aspettava seduta su di un’ottomana pregiata, tutta avvolta nella sua vestaglia viola. Non mi diede nemmeno il permesso di sedermi.
– Mi stai deludendo, Mirabelle ‘ mi disse, con un accento ironico e severo ad un tempo.
– Davvero, signora? ‘ le risposi. ‘ Perché mai?
– Tu sai quanto voglio che tu sia bella, ben vestita, profumata, carina. Mi sembri sciupata e soprattutto poco redditizia.
– Ma padrona, avete fumato oppio, per parlarmi così?
– Sta’ zitta! Come osi mancarmi di rispetto? Ti ho già detto di essere educata quando mi parli! Fa’ come se fossi tua madre! Oseresti forse mancare di rispetto a colei che ti partorì? A una madre si parla dandole del voi, con umile sottomissione!
– Io non mi sottometto a nessuno, tanto meno ad una come te, vecchiaccia! E se sarà necessario, cambierò bordello.
– Che cosa hai detto’ – a quel punto, la padrona tirò fuori da un cassetto un frustino da cavallo e lo fece fischiare forte nell’aria. ‘ Come osi! Tu! Ragazzaccia da quattro soldi! A me? Io ti ho dato tutto! Ti ho vestita, agghindata, truccata, fatta bella e in cambio’ Ah, da te proprio non me l’aspettavo, Mirabelle! Questo non me lo dovevi dire!
– Io dico quello che voglio! ‘ le risposi, facendole una linguaccia.
– Adesso io ti frusterò, ragazza mia. Ti insegnerò io chi comanda, chi &egrave la padrona, qui dentro!
Così dicendo, mi lanciò un’occhiataccia. Proprio allora mi accorsi che aveva chiuso l’uscio del suo stanzino con una chiavetta dorata, che teneva appesa al collo. Eravamo sole e arrabbiate, l’una dinanzi all’altra, l’una contro l’altra. Che cosa mai sarebbe accaduto?

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