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LETTERE DA COPENAGHEN – XXXV EROTISMO NEL QUARTIERE A LUCI ROSSE

By 2 Dicembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 4 gennaio 1918.

Il vento del porto sollevava nebbie vermiglie, scarlatte. Erano brume malinconiche, foriere di silenzio e di mistero, celavano passioni e racchiudevano figure vaghe, di giovani che amoreggiavano, lungo i viottoli sperduti della città.
Di tanto in tanto, la sirena di qualche nave lontana s’udiva persino nel quartiere a luci rosse. Assomigliava ad una parola roca, mal dissimulata dalle voci confuse dei passanti, che ridevano, chiacchieravano, schiamazzavano e, talvolta, piangevano.
Un pomeriggio andai verso il porto, la mia mantella color porpora svolazzava nella brezza leggera dei sogni. Il sorriso mancava alle mie labbra, bramose d’affetto. Era come se la morte mi accarezzasse in quel momento.
Mi appoggiavo ad una ringhiera rugginosa, onde contemplare il paesaggio, fatto di navi e di acque, poi pensavo a quelle bandiere a righe colorate, che volavano, volavano, volavano, nell’etere incantato.
C’era la secca o qualcosa del genere. Un battello faticava alquanto ad avvicinarsi alle bitte. C’erano dodici grosse corde, distribuite lungo i due lati dell’imbarcazione, sul molo più vicino c’era un marinaio per ciascuna e tiravano, tiravano, tiravano’ Qualcuno imprecava, qualcuno vociferava, altri strillavano. Le loro braccia erano forti, tanto forti, che’ Vidi anche il capo, una specie di ufficiale che gridava in disparte, con una voce molto più grossa di quella degli altri e dava degli ordini.
Il battello si muoveva piano piano’ Lo scafo, spostandosi, provocava delle piccole onde, sull’acqua di topazio. A poco a poco, raggiungeva il molo e quasi urtava le bitte grandi. I galleggianti a righe rosse e bianche gli stavano intorno. Ad un tratto, uno dei marinai che stavano alle corde cadde, stremato, sotto il peso della fatica, ma poi si rialzò’ L’equipaggio calò una scala di legno, dalla quale scesero a terra due o tre membri della ciurma.
– Amico del mio cuore, dove sei? Dove sei? Non ti sento più accanto a me ‘ mormoravo al vento.
Mi voltai. Mi toccai con ambo le mani i lunghi capelli, che svolazzavano forte, forte, forte’ La mia fantasia era con i marinai, con il battello che sfidava la secca, con il porto e i suoi venti di passione, con gli uccelli marini, dalle grandi ali e dai becchi gialli. Anche la mia gonna larga, color crema e dai ricami neri volava nella brezza, la cui voce mi raccontava fiabe amorose.
Nel bordello, strinsi una profonda amicizia con una delle giovani, una delle mie sorelle di letto. Si chiamava Ursula ed aveva un corpo disegnato per il fuoco. Un pomeriggio chiacchieravamo insieme, davanti a due bicchieri di champagne pieni di bollicine. Lei stava seduta davanti a me, su di uno sgabello, portava sul volto una maschera d’argento, indossava soltanto le decolleté col tacco a spillo, le calze a rete ed un bustino nero, che metteva in risalto il suo seno enorme e sodo. Così ci raccontavamo le nostre avventure amorose. Parlavamo degli uomini, delle loro dimensioni, delle loro prestazioni, di letti, di notti passate corpo a corpo, consumando amplessi feroci e bollenti.
– Siamo qui per questo, per godercela ‘ mi sussurrò Ursula, mettendosi un guanto davanti a me, con un gesto pieno di charme e di malizia.
Nel bordello, la vita sessuale si svolgeva dolcemente e piacevolmente. I rapporti non si consumavano quasi mai in pubblico: erano vissuti in privato, all’interno di stanzette anguste e con poche luci, senza spettatori molesti. I ragazzi arrivavano per lo più a tarda notte, ci abbracciavano, ci coccolavano, ci pagavano, ci viziavano.
Dalle camerette provenivano dei versi soffocati, dei lamenti femminili e acuti, dei frastuoni di letti e sedie che scricchiolavano, dei rumori di corpi e, a volte, persino delle parolacce. Alcune delle mie compagne si divertivano a tormentare i loro clienti con i gemiti più selvaggi e animaleschi di cui erano capaci. Devo confessare che certi maschi ci sapevano fare e lanciavano dei grugniti, con l’appressarsi dell’eiaculazione.
Quando la padrona assumeva una nuova ragazza, voleva sapere subito se era vergine oppure no. Le faceva togliere le mutande e la ispezionava. Se la giovinetta era davvero illibata, la maliarda si complimentava con lei, le augurava buona fortuna e voleva essere presente al suo primo rapporto sessuale. Di solito, in occasione della loro prima volta, le nuove gridavano forte e quasi piangevano per il piacere, quando si sentivano sfondare e lacerare nell’intimo. Talvolta, poteva accadere che una di noi restasse incinta e’ Non voglio parlarne.
Alcuni clienti volevano essere penetrati con i tacchi a spillo, altri amavano essere frustati. Ursula mi raccontò che una volta un signore le aveva strappato le mutande, l’aveva messa nuda sul letto, le era salito sopra e gliel’aveva ficcato nell’ano. Erano state le sensazioni più forti della sua vita. In quegli istanti, le era parso di essere un somaro, un cagnolino che latrava di piacere e di dolore, aveva grugnito, sì, forte, più e più volte, perché si era sentita spaccare dentro, nell’intestino, nel grembo, nelle viscere, sotto la pelle.
Alcune delle mie compagne lo prendevano in bocca e succhiavano.
Altre, invece, frustavano i loro maschi, provando un intenso piacere nel farlo.
I clienti più esigenti tenevano le donne con le gambe e i piedi all’insù, le spogliavano completamente, le tormentavano con le dita e con le unghie, amavano vedere le loro bocche contratte in smorfie di piacere e di sofferenza. Devo ammetterlo, spesso nel bordello le notti stellate risuonavano di questi versi:
– Ah, ah, ahi, aha, sì, ahu, ah!
Era un erotismo che non avrei mai osato chiedere, perché stava al di là dei miei sogni.
– Sono venuto’ Sono venuto ‘ mi poteva capitare di sentire da qualcuno, alla fine di un amplesso.
– Me ne sono accorta! ‘ gli rispondevo sempre, sorridendo, prima di salutarlo con uno dei miei baci.
Di tanto in tanto, accadeva che nel bordello scoppiassero dei litigi fra le ragazze. Di solito, avvenivano per futili motivi: un profumo rubato, una scarpa col tacco a spillo fuori posto, una chiacchiera di troppo. In quelle occasioni, io guardavo le mie compagne avvinghiarsi e tirarsi i capelli davanti al camino acceso e ridevo.
– Zitta!
– Brutta! Cattiva!
– Ridammelo, non &egrave tuo!
– Chiudi quella boccaccia!
– Sta’ attenta a quello che fai o ti strapperò quella parrucca da pagliaccio e la getterò nel fuoco!
Ricordo che una volta due ragazze si contendevano un cappellino verde, decorato con una piuma d’airone: ciascuna lo stringeva tra le mani e lo tirava dalla sua parte, cosicché alla fine il berretto si ruppe in due pezzi e ognuna delle litiganti ne ottenne una metà.

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