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“Siii?”. Era una domanda pletorica per dire che se n’era accorto della sua presenza. Era autorizzata ad entrare quando voleva. Lui sapeva bene che solo qualcuno del suo ufficio poteva bussare, perché, chiunque altro sarebbe stato preannunciato dalla segretaria per dittafono. Perciò, si aspettava un volto noto. Nanà si affrettò ad aprire la porta, guardando verso la scrivania, in cerca della belva feroce che puntava la preda. Colse il rapido gesto della mano di lei che ricomponeva la gonna portafoglio, pronta a nascondere la veduta inguinale in favore di Gianfranco, che le sembrò un po’ frastornato.
 
“Entra, entra, Nanà!” – e rivolgendosi a Cinzia – “Ecco la mia efficiente collaboratrice. Nanà, conosci Cinzia, del Personale, vero?”. 
“Ma certo.. e chi non la conosce?!” – il cortese sarcasmo poteva essere recepito da un conoscitore del lessico femminile. Nanà sorrise con finta simpatia, ricambiata della stessa moneta dalla collega.
“È qui per approntare il trip planner per la Spagna. L’ho chiamata io. – continuò  – A proposito volevi qualcosa?” 
“Certamente sono della partita. Ero entrata giusto per dirtelo, dato che ho appianato tutto in famiglia.” – confermò Nanà, anche se non era vero che avesse parlato col marito, ma l’accelerazione era d’obbligo per stroncare ogni eventuale complicazione in ufficio. 
 
“Benissimo! Allora Cinzia, predisponi tutto per due e mandami lo schedulato degli orari, come al solito.” – dispose Gianfranco.
“Benissimo”  gli sorrise Cinzia, fornendo  una panoramica della scintillante, bianchissima chiostra della perfettissima dentatura che scoprì sotto quella vellutata di labbra rosse, come il sipario di un teatro. Poi si girò verso di lei, osservandola per un attimo. Poi, come fosse distratta da altri pensieri: “Allora…, per due…!” e lasciò cadere l’affermazione con un accenno di disapprovazione. 
 
“Quella zoccola! Non poteva evitare di mostrare i suoi cosciotti sodi e lucidi a quel baccalà di Gianfranco? Bastava una telefonata, mica una visita ufficiale! – pensò Nanà al colmo della rabbia – È proprio zoccola zoccola!” 
“Vi lascio ai vostri problemi…!” scherzò Cinzia, lasciando il consesso ancheggiando vistosamente per farsi ammirare con quella andatura da modella in sfilata. Naturalmente nell’alzarsi aveva debordato un po’ sulla scrivania di Gianfranco, offrendogli la visione urticante dell’attaccatura del florido seno che tirava in su, contenuto dal push up, secondo Nanà. 
 
“Ma guarda che puttana! Mo’ gli fa vedere le mutande attraverso il reggiseno! Che gran troia! E guarda, guarda come sfila…!” nell’attimo in cui il suo cervello realizzava quella considerazione, il suo piede sollevò l’angolo del tappeto con un impercettibile movimento della punta della scarpa.
Tutta l’armamentario da parata ebbe un sobbalzo, mentre le lunghe pertiche che muovevano il bastimento subivano l’arresto del piede contro la piegatura che s’era formata nel tappeto. Alla inattesa imbardata del vascello durante la tranquilla navigazione sul soffice tappeto, gli astanti si alzarono di scatto. Gianfranco, costernato, per correre in aiuto della donzella, a sostenerla, e Nanà per coprire il misfatto, lisciando col piede la piega di cui era stata l’artefice. 
 
Per fortuna Cinzia non cadde, ma si era scomposta, provocando l’apertura della gonna sulla coscia e il vistoso ballonzolare delle vele di coffa, spinte quasi a forza fuori dal balconcino di ringhiera.
“Che ti succede? – chiese Gianfranco, sinceramente spaventato e ignaro del misfatto, aggirando la scrivania per sostenerla dall’ascella – Ti senti bene?” 
“Sì, sì! Non ti preoccupare…” – farfugliò lei, riprendendo l’equilibrio e mettendo a posto una ciocca di capelli che s’era scomposta. Lui la sostenne con piacere per qualche minuto e lei accentuò la posizione sbilenca, appoggiandosi al suo petto (così malignò Nanà). 
 
Il Capo voleva che si sedesse, per prendere un bicchiere d’acqua, ma lei declinò con ferma gentilezza. 
“Devo andare!”, ma, prima d’infilare la porta, mandò un’occhiata di sfida a Nanà, senza che lui capisse il significato di quello sguardo.
Nanà la salutò con finta apprensione:”Attenta al tappeto accanto all’ascensore!” – ebbe il tempo di raccomandare, mentre la porta si chiudeva nervosamente. Poi Nanà si volse al Capo: “Dovresti mandare a lavare il tappeto. Evidentemente ha perduto il giusto appretto.” – raccomandò a Gianfranco. 
“Sì, hai ragione lo dirò a Franca che predisponga il lavaggio.” – e scrutò il tappeto alla ricerca di un indizio che giustificasse la défaillance di poco prima. Esprimendo il suo disappunto, aggiungense che non osava pensare a cosa avrebbe potuto capitare a quella “povera ragazza”. Fu una stilettata al cuore per Nanà. —————————————————
PUBBLICATO
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INVIATO 16/1/19
Nanà dovette affrontare con Roberto l’argomento dell’imminente viaggio in itinere. Naturalmente, glielo prospettò come un’occasione per la sua carriera; come durasse solo quattro giorni; come andasse con il suo capo, Gianfranco, che lui conosceva bene e ne stimava le doti di gentiluomo; che era indispensabile per la sua carriera e bla, bla, blà, bla, bla, blà! Alla fine Roby non si convinse, ma, ob torto collo, accondiscese, vista l’ineluttabilità dell’evento. Roberto, tuttavia, concluse la conversazione con una frase sibillina: “Allora ti sono creditore di un viaggio da solo.” – e questo non le piacque. Ma, ormai era fatta, infoiata com’era col mal…benedetto viaggio col Capo.
 
Tutta la notte cercò di analizzare quel sentimento che le cresceva dentro. Non poteva ridurlo soltanto alla categoria di uno sfizio. Come dannazione succede in tutte le donne il desiderio è concatenato al sentimento. E lei riconobbe che il suo stato d’animo annichiliva ogni resistenza. Proteggeva quello che, “in nuce”, era già un grande amore. Ma di che cavolo stava fantasticando? Doveva scacciare quelle fantasie e concentrarsi sul lavoro. Ma, si sa, la gatta torna al lardo. E le diventò impossibile chiudere occhio per tutta la notte, mentre quello stupido, insulso ometto dormiva della grossa accanto a lei.
 
Avrebbe voluto saltargli addosso e cavargli…! Povero, innocuo Roby. L’aveva considerato sempre un minus abens, da quando aveva dovuto prendere atto delle sue desolanti, scarse doti sessuali. Ma perché, allora, se ne era uscito con quella affermazione cretina sul «credito del viaggio»? Che non fosse lo stesso che conosceva lei? Che intenzioni aveva? E se fosse stato un…”finocchio”? No, no, non era possibile! Non aveva di quelle fantasie e sembrava accontentarsi pienamente dell’ars amatoria di lei. Insomma, il sesso era regolare, fatte le opportune riduzioni in scala delle quantità di durata e di capacità di penetrazione. O forse era lei che pretendeva troppo. Ore di amore, di congiunzione carnale non erano possibili con lui. E poi lei non aveva mai dimostrato tale gradimento. Sì, era lei a pretendere troppo!
 
Occorreva una controprova, una cartina di tornasole che avesse potuto verificare la sua reazione difronte a una situazione più coinvolgente. Cazzo di dubbio! Proprio ora che doveva riposare e cercare di stare più tranquilla possibile. 
Mentre la pallida Aurora distendeva le rosee dita sul soffitto della stanza, lei cadde di colpo in un sonno profondo. Una nube dorata la ricoprì e Giove scese a darle pace. L’avvolse nella soffice coltre e la possedette dolcemente. Tanto era lungo quanto duro lo strumento che la riempiva fino in fondo. E lei si agitava, cercava di uscire dalla costrizione in cui era tenuta. Immobilizzata dal morbido peso che le gravava sullo stomaco e la penetrava profondamente, ipnotizzata da quel dono divino, restava trafitta, offrendosi in olocausto al potente Dio. 
 
Provava ondate di calore che salivano dalle pelvi alla testa, facendole scoppiare le tempie. Il cuore accelerava come un treno che rompeva i freni. La gola le si gonfiava dal desiderio, mentre cercava di assaporare ogni centimetro di quella goduria che le sconquassava il ventre. Ansimava, sbavava, urlava di dolore misto a piacere e udiva le sue grida: “Ancoraaaaa…!”
 
D’un balzo si trovò seduta al centro del letto. Respirava a fatica come dopo una corsa affannosa. Si guardò intorno per rendersi conto di dove fosse. Riconobbe il suo letto, le lenzuola stropicciate che aveva gettato di lato. Accanto non c’era nessuno e la stanza era luminosa. I raggi del sole spiavano dalla serranda appena sollevata. Roberto era scomparso com’era scomparsa la nuvola dorata e il suo fallico contenuto. “O Dio!” – pensò coprendosi la faccia con le mani – “Che male ho fatto per ridurmi in queste condizioni? Assatanata come una ninfomane!”.
 
Ma che ore erano? Si voltò di scatto verso il ticchettio che proveniva dal comodino. Quel cavolo di una sveglia aveva ripreso a suonare! Premette lo snooze prima che il cicalino in crescendo la facesse impazzire. Si abbatté sul letto, sbuffando. Poi le venne in mente: “Non ho visto che ore sono?” e torse il capo verso la radio sveglia sul comodino. Le otto! Cazzo! E si catapultò nel bagno, mentre sfilava il négligé da notte togliendosi le mutandine che volarono sul termosifone. Entrò rapida sotto la doccia, mentre calzava la cuffia per proteggere i capelli dall’acqua. Non aveva il tempo neanche per riprendersi dalla magnifica, onirica cavalcata mattutina. 
 
Solita, grigia trafila quotidiana prima di approdare in ufficio. Attesa per l’ascensore. Fu allora che trasalì. Una mano le toccava l’omero, mentre un braccio le cingeva la spalla. Immersa com’era nei suoi contraddittori dubbi non s’era accorta del pericolo incombente. Guardò di lato. O Dio! Riconobbe il magnifico serpe che le circondava la spalla in un mortale abbraccio. 
“Ciao, tesoro!” – Cinzia la salutò con finto gesto affettuoso e sardonica voce – “Hai dormito bene stanotte, spero?”. Lei avanzò attraverso la porta dell’ascensore che s’era aperta, protetta dalla sua “amica” che la sovrastava di dieci centimetri.
Era portata a divincolarsi, ma avrebbe dovuto spiegare agli occhi dei  compagni di viaggio il perché del suo comportamento. E, infatti, il passo avanti che fece per entrare nella cabina aveva quello scopo. Si astenne, vedendo che lei continuava a “proteggerla” in quel modo insolito. 
 
“Bene, grazie!”- rispose. Guardò in basso, verso il piede dell'”amica” e continuò, dispiaciuta: “Ti fa male, tesoro?”. 
Lei sorrise: “O no, cara! È stato un attimo, poi più nulla. Sai,… la distrazione fa brutti scherzi… a volte!” e le lanciò una stilettata avvelenata negli occhi. Sorrise poi, amabilmente. Era davvero un “angelo”.
“Tuo marito come sta?” fece Cinzia, distrattamente. Nanà la fissò un attimo, mentre pensava: “Che cavolo c’entra ora mio marito? Non se n’è mai occupata! E ora quell’interessamento… suonava strano. Lo conosceva perché s’erano incontrati una volta al ballo aziendale, ma, poi, più nulla. Non aveva neanche ballato con lui!”. Girò la testa davanti a sé, mentre rispondeva: “Bene, bene!” ritenendo che fosse chiuso l’argomento. Cinzia sembrava distratta e, guardando dall’altra parte, cantilenò, quasi con cortesia, ma rifacendole il verso: “Bene, bene…”. Nanà si sentì gelare. Che l’aspide avesse il dente avvelenato e stesse per mordere?
 
Il giorno passò in fretta fra mille adempimenti da portare a termine prima della trasferta. L’indomani sarebbero andati a prendere il volo Ryanair da Orio al Serio delle 14,40 per Saragozza con ritorno il  Martedì successivo. “Vi mando i biglietti e le altre informazioni per Saragozza. Insieme al Voucer per l’albergo.”  – le comunicò Cinzia brevemente al telefono, concludendo “Buon viaggio, cara…” “Grazie!” e troncò,aggiungendo, in un soffio indistinto: “Stronza!”. Aveva avuto cura di chiudere l’interfonico prima di pronunciare l’ultima parola che avrebbe potuto comprometterla.
 
Non poteva disconoscere che in fatto di efficienza fosse perfetta. Chissà se anche in quell’altro… “campo” fosse all’altezza? D’altronde, con l’attrezzatura che si ritrovava doveva essere proprio una vera stronza per non essere efficiente. Finì in fretta il disbrigo delle ultime pratiche della giornata, raccolse i documenti che le servivano per la trasferta, li riordinò e li chiuse nel cassetto. Tanto il giorno dopo sarebbe partita per l’aeroporto alle 11, insieme al capo, con la macchina dell’ufficio. Avrebbe infilato quel che le serviva nella cartella portadocumenti che ricordava di custodire a casa. Salutò Gianfranco con un: “A domani.” per interfonico e uscì dall’ufficio. Erano quasi le diciotto.
 
Mentre guidava, tornando a casa, ripensò a Gianfranco e alla sua gentilezza. Allora le venne in mente. Si morse il labbro e fece un giro più lungo del solito. Doveva passare dalla farmacia! Naturalmente quella più lontana dal suo percorso, dove non la conoscevano. Per quel che doveva comprare non poteva rivolgersi al fornitore abituale a due isolati da casa. Già immaginava le battute ironiche dell’amico farmacista a proposito dell’acquisto. Comprò giusto quel che poteva servirle per il viaggio: la crema corpo, viso e mani. Non scordò il motivo per cui aveva operato la deviazione: la confezione di anticoncezionale che la ginecologa le aveva consigliato, salutandola qualche giorno prima: “Per ogni evenienza, cara!”.
Aveva una strana euforia quella sera.
Nina Dorotea

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