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Puttanella del mio professore

By 19 Luglio 2021No Comments

Come il mio professore raccontandogli di un’uomo che mi ha sverginato….- Tutto ebbe inizio un pomeriggio di due anni fa, nel quale lui, col permesso dei miei, mi portò all’auditorium cittadino, per assistere a un concerto di musica da camera: il quartetto per pianoforte e archi in sol minore K 478, di Mozart.
Cosa che apprezzai molto dato il mio recente approccio allo studio del piano, fu un’esperienza gradevole, lui, felice di vedermi tanto entusiasta, per coronare quel fine pomeriggio, volle invitarmi a prendere un frappè alla vaniglia in una raffinata cremeria del centro.
Prendemmo posto a un tavolino in un discreto separè del locale, facemmo l’ordinazione e ci servirono dopo poco. Mentre consumavamo la bevanda, mi confessò che da un po’ mi osservava e pensando al fatto di avermi veduta crescere, non si capacitava che la bambina che aveva tenuto sulle ginocchia, da qualche anno si fosse trasformata in una bella e giovane donna.
Parlammo allegramente di episodi comuni vissuti nel passato, ma sull’onda dei ricordi, io iniziai a pensare alle tribolazioni che mi procurava lamia turbolente natura, così mi rabbuiai nel viso.
Vedendomi intristire all’improvviso, chiese cosa mai mi turbasse? Non sapevo se confidarmi, ma poiché da sempre era stato un mio intimo confidente ero molto tentata. Data la delicatezza della cosa, ero assai combattuta, ma dopo le sue accorate insistenze, mi decisi ad aprirgli il mio animo e gli raccontai tutto, con minuzia di particolari. Esattamente come sto facendo ora con lei professore.
– Ho capito, alla fine ti sei aperta con l’affascinante quarantenne. E quale è stata la sua reazione al tuo racconto? –
– Fu sorprendente e inaspettata. Avvicinò la sedia alla mia, quindi si sporse col viso a sfiorarmi l’orecchio e mi sussurrò che il mio racconto l’aveva eccitato. Io divenni rossa per la vergogna e per l’emozione d’averlo così vicino, mi si accelerarono le pulsazioni:emanava un profumo di dopo barba soavemente sexy, inoltre erano anni che provavo un trasporto verso di lui, ero totalmente nel pallone.
Non sapendo che fare o dire, rimasi muta.
Leggendo nel mio sguardo lo stato d’animo in cui versavo, fu lui a prendere l’iniziativa.
Il nostro tavolino era situato in una posizione appartata, non avevamo addosso gli occhi indiscreti degli altri avventori, quindi lui mi baciò sul collo sotto l’orecchio, portavo un abitino leggero e scollato, scese a vellicarmi l’incavo della clavicola con la lingua.
– Sei una donna ormai. Con desideri da grande. – disse mentre coperta dalla tovaglia la sua mano correva sotto l’orlo del corto vestito,risalendo ungo la mia coscia, poi mi baciò.
Io fino a quel giorno avevo limonato solo con qualche compagno di classe, era la prima volta che baciavo un adulto, sapevo a mala pena usare la lingua.
Ma non ci misi molto a capire, mi bastò seguire ciò che faceva lui, era esperto per tutti e due.
Fu un bacio languido, aveva una lingua morbida e mobile, le nostre bocche avevano il sapore della vaniglia,ci inseguimmo con le lingue, succhiandocele, mordicchiandoci le labbra.
La sua mano raggiunse le mie mutandine, allargai le cosce per agevolare la sua ricerca: le scostò e sentì le sue dita dischiudermi le labbra della fica. Mi portai sul bordo della sedia per favorire la sua carezza, giocava con le grandi labbra plasmandole tra le dita, ero fradicia fra i suoi polpastrelli.
Sospirai- Ho tanta voglia, Goffredo. Ma ti prego non infilare le dita dentro,devo restare vergine. –
A questo punto del racconto, vedevo il volto di lei perdersi, con aria trasognata in quei ricordi indimenticati. Senza rendermene conto,avevo portato la mano all’interno della camicetta, spostai il reggiseno e iniziai a stuzzicarmi i capezzoli con le dita.
L’espressione di Rinoldi appariva meno imperturbabile, avrei detto che gli si era colorito il viso, come se sentisse crescere i caldo.
La biondina continuò il suo racconto. – Goffredo mi tranquillizzò,disse di non temere, che mi avrebbe rispettata, sarei rimasta vergine. Poi mi chiese di sfilare le mutandine: lo feci rapidamente,controllando che non arrivasse nessuno, le recuperò dalle mie mani e le portò alle narici inspirandone intensamente il profumo. – Mmhhmm… Meraviglioso. – disse solamente, poi le conservò nella tasca della sua giacca.
Continuavamo baciarci, mentre mi massaggiava le tette, mi mordicchiò i capezzoli eretti attraverso la stoffa leggera, lasciando due aloni umidi in corrispondenza dei rilievi. Mi bagnai ulteriormente, il clitoride tra le sue dita aveva la solidità di una nocciola.
Mi condusse la mano sulla patta dei pantaloni, sentì il rilievo del suo sesso nel rilievo del tessuto era grosso li, la mia voglia tra le cosce pulsava come un cuore tachicardico.
– Vai alla toilette, non chiudere la porta che tra un attimo ti raggiungo. – mi disse all’orecchio. Feci come aveva chiesto: mi alzai e mi diressi alla toilette. Ero senza mutandine e con l’interno delle cosce bagnate di secrezioni, mi sentivo una sporcacciona mentre attraversavo la sala, una troietta di sedici anni che si chiudeva nel bagno di un locale pubblico, a fare le cose porche con un quarantenne. All’interno del piccolo servizio, sotto la luce cruda del neon, attesi qualche momento col cuore che mi faceva capriole nel petto.
Poi la porta si aprì, lui entrò richiudendola con la sicura sulla maniglia. Appese la giacca all’attaccapanni, io mi liberai del vestito, lui mi scoprì le tette sganciando il reggiseno, poi le sue mani mi strinsero i seni e le labbra catturarono, voraci, i capezzoli, succhiando e mordendo con foga.
Ci avvinghiammo, lui fece scorrere la zip dei pantaloni, gli presi in mano il sesso: iniziai a masturbarlo, era teso allo spasimo, con le vene gonfie e in rilievo, le sue mani frugavano il mio sesso escavavano nella la fenditura tra le natiche, ero liquida e bollente.
Mi fece inginocchiare, posizionò il cazzo tra i seni: glielo avvolsi, premendo le mani ai lati, come tra due cuscini di velluto. La cappella iniziò ad andare su e giù fra le mie colline, perdeva goccioline cremose dalla sommità, feci colare della saliva filamentosa tra il suo sesso e la mia carne: con quella lubrificazione il movimento divenne rapido, mi stava scopando le tette.
– Prendilo in bocca, ora porcellina. – disse con voce rauca.
Continuai a tenere le tette unite, avvolgendo i suoi testicoli, mentre abbassavo il capo e risucchiai il sesso nella bocca.
Iniziai a pomparlo lentamente, facendolo scivolare sulla lingua, leccando dallo scroto al filetto sotto il glande, in un lago di bave.
Il sapore salato e l’acidulo, del liquido pre-spermatico, mi riempiva di un gusto organico e animalesco il cavo orale, l’odore del suo sesso denso di feromoni mi inebriava le narici.
La saliva calda mi colava sul mento e sul collo, producevo dei rumori carnali e volgari, mi sentivo una puttanella che fa pompini nei cessi agli uomini grandi.
Poi lui mi sollevò, mi fece voltare e poggiarmi al piccolo lavabo, mi rifilò una serie di sberle sulle natiche, il bruciore e quel rumore erano terribilmente eccitanti.
Dopo fu lui ad abbassarsi piegato sulle ginocchia alle mie spalle, mi divaricò le gambe e sentì la sua bocca incollarsi al mio sesso. Le sue labbra risucchiarono la carne della mia fighetta, la lingua frugava, con un lavorio frenetico, il mio clitoride tumido, la saliva irrorava ogni cosa, avevo il sesso e il buchetto dell’ano completamente fradici.
Mentre si cibava del mio sesso, mi introdusse le dita nell’ano, iniziò con uno e ne contai ben quattro alla fine. Mi allargò per bene, meno male che ero abituata. Grondavo succhi densi e lui succhiava e leccava tutto per bene, mi sarebbe piaciuto fargli la pipì in bocca, ma era la prima volta che facevamo le cose porche insieme e non mi osai.
– Ma ti piaceva che un uomo adulto, ti facesse quelle cose? – chiese perplesso Rinoldi.
– Si professore, se devo essere sincera, lo desideravo, mi piaceva molto. –
Rinoldi si era allentato la cravatta ed aveva sganciato i primi due bottoni del collo della camicia. Io avevo sollevato la gonnella e avevo la mano dentro le mutandine, giocavo col cordino dell’assorbente tra le grandi labbra. Quella sporcacciona mi stava eccitando, avevo già inzuppato di sughetto gli slip.
Poi, mentre mugolavo, per il piacere, come una cagnetta in calore, lui mi fece sollevare una gamba, poggiandola piegata sul bordo del lavabo e in quella posizione, col bacino tutto esposto all’infuori, mi dischiuse le natiche con le mani e puntò il glande sulla rosetta del mio ano.
– Ora ti faccio il culetto. – disse in un parossismo di voce velata di libidine.
Trattenni il respiro mentre entrava in me, ero tutta scivolosa di succhi, non fece fatica: lo sentì penetrare lentamente, era decisamente più grosso delle cose che ero solita inserirmi lì, mi allargava e mi riempiva totalmente il budello, mi stava sodomizzando con forza.
Mi piaceva da impazzire, era quello che avevo sempre sognato nelle mie fantasie solitarie. – Sii!! Sbattimi, fottimi cosìì! Non fermarti.- lui respirava ansimando come un mantice.
– Sii! Puttanella viziosa, senti come me lo hai fatto diventare duro col tuo racconto. Ora ti sfondo il culetto. – mi scopava con veemenza, mentre io muovevo il sedere per farlo aderire meglio ai suo affondi, sentivo i suoi testicolo battere, in basso, contro il mio sesso, mentre l’asta mi slabbrava l’ano.
Presi a masturbarmi con foga, ero in un delirio dei sensi, sentivo crescere l’onda del piacere, ero sul limite dell’orgasmo. Mugolavo sguaiatamente, dovette mettermi una mano sulla bocca per impedirmi,con i mie versi, di richiamare l’attenzione di qualcuno fuori.
Lo sentì irrigidirsi allo spasimo, poi diede dei colpi ripetuti e devastanti, un rantolo gutturale gli salì dalla gola: stava venendo. Accelerai la mia carezza e mentre lui esplodeva di spruzzi ripetuti dentro il mio intestino, venni anche io con un orgasmo selvaggio che mi schiantò come la scossa di un fulmine.
Rapidamente lui uscì dal mio budello e mi porse il cazzo da succhiare. Lo ingoiai fino ai testicoli, sentì tutto il suo sapore animale: sperma, secrezioni sapide del mio retto e della mia vagina, su tutto trionfava l’odore greve del nostro sudore e del sesso fatto. –
La biondina, si abbandonò sulla poltrona, sfinita quasi esanime, per l’intensità con cui aveva rivissuto quel racconto.
Rinoldi appariva provato, stava sudando, sotto la scrivania vedevo che sulla patta dei pantaloni si era creato un significativo gonfiore.
– Quindi, ti ha posseduta in quella maniera innaturale, pur rispettandola tua verginità. – commentò con voce incerta.
– Si professore, gli avevo chiesto di rispettarmi e lui o ha fatto. –
– Ah! Bèh! Un galant’uomo, senza alcun dubbio. –
– Si, almeno all’inizio, era rispettosa, sosteneva di volermi aiutare.-
– Certo. Diciamo che aveva un metodo tutto suo di farlo. Poi, la cosa tra voi come è andata, si è conclusa così? –
La biondina emise un sospiro, imbarazzata volse lo sguardo in giro perla stanza, poi con sforzo riprese a parlare.
– No, non è finita così. Abbiamo continuato per mesi. Lui aveva esigenze sempre crescenti. Era fantasioso. Mi proponeva cose che mi stuzzicavano, finivo sempre con accontentarlo. Poi un giorno mi fece fare una cosa assolutamente depravata. Fu lì che compresi che non mi avrebbe mai aiutato a guarire del mio vizio.
– Ho capito, ha esagerato con la cura. E quindi che ti è accaduto? –
– Un pomeriggio, mi portò a fare un giro sulla sua Mercedes, dopo aver girato per un po’, sentendo musica dall’impianto stereo dell’auto, ci dirigemmo verso un zona precollinare con delle ampie aree verdi, in un rigoglio di piante e alti cespugli.
Era un posto isolato, sapevo che solitamente era frequentato da coppiette, fidanzati o amanti clandestini, o da prostitute che ci portavano i loro clienti. Data la mia minore età non era possibile per noi, durante i nostri incontri, di prendere una camera in albergo, né potevamo recarci a casa di Goffredo, perché lui viveva in un residence, con custode alla reception e personale di servizio in giro, troppa gente e occhi indiscreti, troppo rischioso. Alla fine si sarebbe capito che le mie visite non erano sporadiche, qualcuno si sarebbe chiesto la ragione di quella assiduità, qualche voce sarebbe potuta giungere ai miei, con conseguenze indicibili.
Quindi per vederci eravamo costretti a usare la sua auto come alcova dei nostri convegni: una lussuosa Mercedes 380SL, nera, con interni in pelle beige, in verità era comoda e spaziosa anche per le nostre pomiciate.
Imboscati in luoghi appartati ci abbandonavamo alle nostre effusioni, badando bene di essere riparati da sguardi indesiderati.
Era piacevole fare quelle passeggiate al suo fianco viaggiando su quella macchina comoda e lussuosa, i sedili erano morbidi e avvolgenti, l’abitacolo profumava di pelle e radica, poi c’era quel buon odore che lui aveva sempre addosso e io nelle narici, che mi faceva bagnare solo al sentirlo. Durante le nostre passeggiate su quattro ruote, lui guidava tenendo una mano sul volante e l’altra sulla mia fighetta, la toglieva da lì solo quando gli era necessario cambiare marcia. Per facilitargli la cosa, normalmente sfilavo le mutandine appena salivo in auto.
Cercavamo di continuo nuovi posti dove appartarci: zone isolate della periferia cittadina, piazzali di sosta lungo la tangenziale, oppure nei parcheggi a silos interrati.
Tirava giù il sedile ribaltabile e io mi spostavo sul fondo, dove il poggiatesta si adagiava sui sedili posteriori, lì talvolta mi spogliavo totalmente, altre volte lui voleva che togliessi le mutandine e sbottonassi la camicetta. Allora mi estraeva le tette dal reggiseno senza toglierlo, diceva che così scosciata, con le gambe tutte aperte e la fighetta tumida in vista, mi faceva sembrare una puttana presa per strada: questo lo eccitava molto.
Lui stava inginocchiato sul sedile di guida e voleva che iniziassi a toccarmi, così mi eccitavo anche io: la fighetta mi sbrodolava tutta, iniziavo a carezzarla con le dita a paletta, muovendo la mano in una carezza circolare sulle grandi labbra.
– Massaggiala bene, troietta, spalma il succo su tutta la fica, Fai la porca! Mi fa venire il cazzo duro come una pietra guardarti. – mi diceva con un tono denso di lascivia.
Mentre parlava aveva il sesso in mano e lo carezzava lentamente.
Vedere come gli cresceva e diventava teso quel bastone di carne, mi piaceva da matti, era piuttosto grosso, con la cappella congestionata e turgida, pensare che tra poco lo avrei avuto tutto in bocca da ciucciare mi faceva tremare di voglia.
Era un bell’uomo, longilineo, una faccia maschia, i capelli di un castano dorato con qualche filo d’argento sulle tempie, li portava lunghi due dita a coprire il collo, con una bocca carnosa e sensuale. Amava tenere un filo di barba, rasandola ad un altezza di pochi millimetri, questo conferiva al volto quell’aria un po’ selvaggia, d’artista, che era la qualità del suo fascino.
Quando con la carezza iniziavo a smaniare perché sentivo montare il piacere, lui mi faceva fermare. Sapevo che avremmo sicuramente iniziato qualche giochino, infatti, dal cruscotto dell’auto estraeva sempre qualcosa di nuovo da provare. Una volta tirò fuori un sacchetto che conteneva degli elastici,alcune mollette da bucato e un grosso “plug” in silicone, di un allegro color pervinca. Era lungo circa quindici centimetri, con un diametro di cinque. Aveva la forma di un goccia rovesciata con la punta arrotondata e si restringeva, nella base, a un diametro di due centimetri, terminando con una placca tonda che, restando al di fuori dell’ano, fungeva da fermo impedendo al plug di scivolare all’interno dello sfintere.
– E cosa ci faceva con quelle cose? – chiese Rinoldi, con voce atona.
Mi mise gli elastici stretti intorno all’attaccatura al busto di ogni seno: in quella maniera sembravano due palloncini con la plastica stretta nel mezzo. Avevo le tette gonfie, con i capezzoli così turgidi da sembrare prossimi a esplodere. Lui prese a leccarmeli e mordicchiarmeli piano, poi applicò una molletta a ciascun capezzolo, facendoli oscillare con tocco delle dita: era una tensione dolorosa e stimolante allo stesso tempo.
Poi mentre stavo sdraiata sul sedile, mi diede da insalivare il plug, lui si inginocchiò a leccarmi la fighetta e l’ano, usava la lingua in maniera meravigliosa, schiudendo con lentezza le grandi labbra, inserendola nella vagina quel poco che consentiva la mia verginità, per poi scendere al buco del culetto, e lì la lingua penetrava tutta, lasciandomelo colmo di saliva.
Quando fui tutta morbida e fradicia di secrezioni, mi introdusse poco alla volta il grosso plug nel culetto. Aveva un bel diametro, ma entrò tutto fino alla placca di fermo, mi sentivo l’intestino pieno, ero tutta aperta, era una sensazione molto soddisfacente, più di quella che provavo con la cannula del clistere.
Mi chiese di cambiare posizione: volle che ruotassi in maniere da avere la testa tra le sue gambe e i piedi in alto, posti sulla spalliera del sedile passeggeri.
Sfilò la cintura dai pantaloni e mi fece spalancare le cosce. Tenendola in mano arrotolata intorno alla fibbia, prese a colpirmi il sesso, con la parte terminale, dando piccole cinghiate.
Sobbalzavo e sospiravo, bruciavano un poco, a ogni colpo contraevo i muscoli pelvici e di riflesso stringevo quelli dello sfintere, aumentando la sensazione di essere dilatata a dismisura dal plug affondato nell’ano.
Volle che gli leccassi i testicoli e gli prendessi il sesso in bocca, mentre mi strizzava i capezzoli, pressando sulle mollette, e continuando a colpirmi la fica aperta.
Gli piaceva farmi quelle cose, aveva il sesso teso e duro, goccioline gustose mi insaporivano la bocca, gli infilavo la lingua fra le natiche, affondandola nell’ano sapido, poi gli prendevo i testicoli in bocca mentre gli penetravo il retto con due dita.
Il suo odore, di sesso e di maschio infoiato mi riempiva le narici, era eroticamente stordente: la situazione, con quelle cose tanto porche, fatte così in maniera clandestina, in quei luoghi nascosti, dove però avrebbero potuto scoprirci in ogni momento, era estremamente eccitante.
Mi sentivo sporca e depravata, ero vergine, ma con tutti gli altri buchi in grado di ricevere oggetti e cazzi di dimensioni incredibili.
Lui era più in fregola di me, muoveva ila bacino per strusciarmi i testicoli e il cazzo sulle labbra, ansimava per la frenesia, aumentando l’intensità dei colpi al mio sesso.
– Succhia porcellina, succhia che poi ti sborro in bocca. –
Quanto era porco. Mi piaceva che mi trattasse come una troietta a cui riempire la bocca di sborra.
Gli ingoiai il sesso fino a premere il naso contro i riccioli del suo pube, smise di colpirmi e si stese su me nella posizione del sessantanove: mi pose le labbra a ventosa sul clitoride, iniziò a succhiarmi, il mio bottoncino sembrava un piccolo cazzo fra le sue labbra, era duro, infiammato e sporgente, lui ci giocava con labbra e lingua, sentivo la sua saliva el mio ciprigno colarmi fra le natiche inzuppandomi la rosetta anale.
Mentre mi mangiava il sesso, prese col pollice, a spingermi ritmicamente
il plug nel culo, non riuscì più a contenermi, gli squirtai in bocca l’orgasmo liquido che mi esplose nel ventre.
Lui mi venne quasi contemporaneamente: non mi staccai, lasciai che si svuotasse tutto nella mia bocca, lo sperma caldo e cremoso mi invase la gola, ingoiai tutto. Quando uscì dal mio cavo orale, il suo membro era lucido e pulito come un pesciolino rosso che salti fuori dalla sua boccia d’acqua.
– Quindi è per queste cose sconce che, a un certo punto, non hai più voluto che la vostra relazione continuasse? – chiese il professore.
– No professore, queste cose non erano sgradevoli, anzi mi piaceva farle. E’ quello successo tempo dopo che mi ha fatto comprendere quanto la cosa stesse prendendo un deriva poco edificante. –
– Santo cielo! Che altro doveva accaderti ancora, ragazza mia? –
La biondina stava sulla graticola: sbottono i primi tre bottoni della camicetta e rimbocco i polsini delle maniche, aveva caldo in maniera evidente, ciocche di capelli intrisi di sudore incollate alla fronte.
– Devo raccontare? – chiese titubante.
– Devi! – asserì categorico Rinoldi.Durante uno di quei pomeriggi, raggiungemmo una delle solite zone della precollina, inoltrandoci per una stradina sterrata, immersa tra alberi con una lussureggiante vegetazione ai lati.
Ci fermammo in un piccolo spiazzo protetto da cespugli alti e fitti, era un posto tranquillo, ci si potevano fare le nostre cose in tutta calma al riparo da presenze importune, ci eravamo già stati altre volte.
Si era a fine maggio, la stagione era calda, l’erba già alta e l’inflorescenza selvatica di ranuncoli, anemoni e calendule colorava il terreno e profumava l’aria.
La radio era sintonizzata su una stazione che trasmetteva musica classica, Goffredo disse che si trattava di Chopin, per l’esattezza il Nocturne Opera 9 N°2, un brano delicato e romantico che predisponeva il corpo alla serenità e la mente a pensieri elevati.
Infatti il suo primo pensiero fu di infilarmi una mano nella scollatura del vestitino in cotone a delicato disegno provenzale, di Laura Ashley che indossavo quel giorno.
Il mio seno pieno ma compatto, stava su senza necessità di sostegni, infatti con la primavere avanzata, come facevo di solito, avevo eliminato il reggiseno.
La sua mano poteva prendere liberamente possesso delle mie tette, senza incontrare ostacoli, mi sentivo accaldata e l’epidermide sotto la sua carezza era umida di traspirazione.
L’abitacolo dell’auto, non refrigerato dell’aria condizionata, per via che eravamo fermi, iniziava ad avere una temperatura che mal si conciliava con certe calorose attività fisiche, anche Goffredosentiva caldo e aveva sbottonato la camicia fino alla cintola.
Avendo la fortuna di essere su un auto decapottabile, decidemmo di tirar giù il tettuccio apribile, che immediatamente ci consentì di respirare con maggior agio e riprendere in en plein air il nostro discorso intimo.
Iniziammo a baciarci con la consueta passione, la sua mano correva all’interno delle mia cosce a scostare le mutandine, gli piaceva di frugarmi la fighetta senza togliermele subito, perché così si inzuppavano per bene di succo.
Sbottonai completamente il vestito chemisier che indossavo, lui prese a leccarmi il seno surgendo rumorosamente i capezzoli fino a farli scomparire all’interno della bocca, quando si staccava erano lucidi di saliva e duri da far male.
Mi piaceva quando mi faceva sentire il morso delicato di quei denti perfetti: gli stringevo il capo con le mani perché non smettesse e gli chiedevo di morderli più forte.
Anche io mi davo da fare, gli succhiavo il lobo dell’orecchio, scendevo con le labbra lungo il collo, giocavo con la lingua sul petto e sui capezzoli, percorrevo con la bocca tutto il tronco, arrestandomi sul bordo dei boxer che spuntavano sopra la cintura dei pantaloni che ancora aveva addosso.
Infilavo la mano sotto l’elastico delle sue mutande, e trovavo subito il glande turgido che mi lasciava i suoi umori sulla punta delle dita, gli massaggiavo i testicoli gonfi, frugavo nel cespuglio caldo del suo pube e stringevo l’asta tesa del suo sesso.
Ci piaceva indugiare con preliminari prolungati, senza denudarci subito e passare ai giochi più incandescenti e conclusivi.
Così passavo poi ad estrargli il sesso dai pantaloni e mi calavo a prenderlo in bocca, mentre lui mi penetrava il culo con le dita slabbrandomelo soavemente, mentre col pollice mi stuzzicava il clitoride eretto come un piccolo pene.
Tutto questo accadeva mentre Chopin ci cullava di melodie e tutto intorno risuonava un allegro concerto di grilli e cicale, festeggianti la calda stagione.
Come sempre la fica mi pulsava ubriaca di voglia, ero costretta a levarmi il vestito per non rischiare di macchiarmelo di secrezioni standoci seduta sopra, o che mi scappasse uno schizzo di sperma quando lui veniva alla fine di un pompino.
Non sempre lui si spogliava quando facevamo le cose in macchina, il più delle volte abbassava solo i pantaloni e i boxer, quindi quando lo facevo venire in bocca, dovevo fare molta attenzione a non far cadere una goccia dalle labbra, dovevo bere e deglutire tutto per non rischiare di farlo macchiare. –
– Capisco. – la interruppe Rinoldi – Se no chissà che spesa di tintoria. –
– No professore, non è questione di tintoria, lo sperma ha un potere quasi corrosivo, se poi è su un tessuto scuro va trattato con degli accorgimenti altrimenti ti resta l’alone chiaro. –
La biondina evidentemente non aveva colto la battuta ironica di Rinoldi, riprese a raccontare.
Non sempre era facile, perché venendo mi esplodeva in bocca con la potenza esplosiva di un fuoco d’artificio e mi colmava le guance di sperma: dovevo inghiottire molto velocemente per non rischiare di farlo fuoriuscire dalle labbra o sentirmi annegare nel seme. –
– Devi aver vissuto dei momenti terribili, immagino? –
Rinoldi sembrava aver preso gusto a lanciare frecciatine ironiche di cui lei pareva non accorgersi, forse perché la pressione psicologica di quella confessione piccante l’avevano resa poco reattiva e presente a sé stessa.
– Si professore, vivere quel rapporto clandestino mi procurava continue tensioni e patemi d’animo.
Poi a complicare tutto c’era il sentimento che sentivo nascere verso Goffredo: col trascorrere del tempo lo vivevo sempre meno come l’amico maturo con cui confidarmi di un tempo, ma iniziavo a sentirlo come un amante più vecchio di me, in altre parole me ne stavo innamorando.
– Perbacco, questo si che è un bel problema. Immagino che esercitasse, sulla tua giovane mente, tutto il fascino dell’uomo esperto e vissuto. – commentò il professore.
– Non solo, c’era con lui un’intima comunione mentale e soprattutto fisica.
Avevamo entrambi la stessa sensibilità sul piano fisico, io a esempio impazzivo per l’odore del suo corpo nelle parti intime. –
– Ah! Quindi sei affetta da Olfactofilia, ovvero quella parafilia che prova un piacere sessuale negli odori viepiù corporali.
– Non so di che malattia si tratti, so solamente che adoravo annusare le sue ascelle, soprattutto se aveva un po’ sudato.
Poi mi si squagliava la fighetta, quando mi trovavo, magari durante un sessantanove, in prossimità delle sue zone intime. Sarà che laggiù c’è sempre una leggera umidità, fisiologica negli uomini come nelle donne, ma se avevo le narici nello spazio tra l’ano e lo scroto, quell’afrore caldo e maschio mi stordiva. Saranno stati i feromoni maschili, ma quell’odore così intenso e carnale mi faceva venire la voglia di fare le cose più porche.
Un po’ come la sensazione che mi dava l’annusare il cannello della peretta con cui avevo subito un clistere, dopo che era stato nel mio culetto. –
– Capisco, devi avere un naso particolarmente sensibile. – aggiunse conciliante il professore.
Si, ma anche lui non era da meno, mi creda. Come dicevo, durante i nostri incontri, non mi levava subito le mutandine, si prodigava a farmi eccitare all’estremo: carezze, leccate, succhiotti, palpeggi estenuanti, in maniera da farmi bagnare fino a quando lo slip era tanto fradicio che si sarebbe potuto strizzare.
La macchia sulle mutandine si allargava sotto tutto il cavallo, dal pube alla metà delle natiche.
Non pago stringeva il tessuto fino a renderlo una striscia e lo tendeva tra le grandi labbra, strusciava orizzontalmente la stoffa sul clitoride turgido, provocandomi una sensazione di voluttuosa lascivia.
Naturalmente stillavo ciprigno come come un acino d’uva spremuto, a quel punto me le sfilava e all’interno, nel mezzo, trovava le mie secrezioni depositate come una patina gelatinosa, iniziava allora a leccarle goloso. Era così porco, avevamo identiche passioni, come piaceva a me.
La cosa più difficile restava la necessità a mantenere il proposito di mantenermi illibata.
– Embè! Non stento a crederlo. – commentò Rinoldi tornando a caricare il fornello della pipa.
– Con tutta quella ginnastica che compivate, è sicuramente un miracolo che tu sia riuscita a tener fede a questo tuo intento. –
La pipa si accese con un corposo sbuffo di fumo che gli avvolse interamente la testa.
Si era davvero difficile, pensi che una delle cose che amava farmi era di strusciarmi il glande, turgido e violaceo per la tensione, proprio sul clitoride. Teneva il sesso con la mano e lo guidava avanti e indietro sulla mia fighetta aperta, scivolando nella mia cremina con quella cappella dura, carezzandomi il grilletto in maniera estenuante, andava avanti anche per mezz’ora senza venire.
Io invece non riuscivo a trattenermi, avevo orgasmi ripetuti arrivando a squirtare come se facessi la pipì, mi sentivo una maiala in calore.
Una variante consisteva nel mettermi carponi sul ribaltabile dell’auto, facevamo lo stesso giochino ma da dietro, muoveva in su e giù, lungo lo spacco della mia vagina, la punta del sesso, fustigando con foga il clitoride e strizzandomi le tette con la mano libera: colavo ciprigno bagnando in maniera vergognosa la pelle del sedile.
Quando ero all’apice del piacere gli chiedevo di infilarmi il cazzo nel culo, allora spostava in alto la cappella e affondava tutto il sesso nel mio ano burroso. Venivamo insieme urlando come animali, col suo sesso che singhiozzava sperma nel mio budello: ne versava così tanto che sovente debordava dal buchetto, colando sul sedile su cui ero poggiata, a mescolarsi con le mie secrezioni. –
– Ma se eri così presa da lui, con il quale avevi un’intesa perfetta, non comprendo cosa possa essere accaduto per interrompere il vostro idillio? –
– Purtroppo è così professore, poi le raccontero’ il seguito …………………per commenti …………ciccina5551@gmail.com

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