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Sei amiche in videochat – capitolo 8 di 9

Capitolo 8 –
Chiara mette in discussione
il suo stesso disegno erotico

Per contattarmi, critiche, lasciarmi un saluto o richiedere il racconto in PDF, scrivete a william.kasanova@hotmail.com

La stampante posta in un angolo della scrivania non era una delle più moderne e veloci. Chiara ne avrebbe voluta una di quelle adatte alle stampe di livello fotografico, ma aveva dovuto accontentarsi di una di quelle sufficienti alla pubblicazione di testi su carta di bassa qualità, oltre a condividerla in rete con Marco, sebbene il fratello la usasse ben poco. In realtà, dopo la conclusione della scuola un paio di mesi prima, era la prima volta che ne facesse uso anche lei, e il ritorno in servizio dell’apparecchio fu in occasione della pubblicazione del racconto di Chiara in previsione della videochat in cui avrebbe dovuto raccontare la storia della sua migliore scopata.
La stampante non impiegò molto a completare il suo lavoro. Anzi, fu maggiore il tempo che passò a scaldare l’inchiostro e a preparare le testine rispetto a quello in cui il foglio di carta venne inghiottito e poi vomitato, riportando tutto il racconto vergato dalla ragazza durante la mattina. Con un angolo della bocca inclinato dal disgusto, Chiara prese la pagina e la guardò con desolazione: se sullo schermo del computer sembrava ben poca cosa, nel passaggio dal mondo digitale alla realtà il suo racconto appariva ancora più insulso e inconsistente.
E come avrebbe potuto essere differente? In quella trentina di righe doveva essere scritta la migliore esperienza sessuale della sua breve vita, palesemente vera ma completamente inventata come lo era stato per Anna, Helga e Arianna. Ma quelle tre avevano escogitato delle storie che, per quanto evidentemente false, apparivano non solo credibili ma anche molto erotiche: Anna era brava a scrivere e, con un piccolo aiuto tratto da un manuale di educazione sessuale, aveva ideato una scopata invidiabile; Helga, invece, aveva forse calcato un po’ troppo la mano nel descrivere l’apprezzamento del ragazzo jamaicano nei suoi confronti, ma era comunque, anche questo, un racconto molto eccitante; la storia di Arianna era una cazzata totale, ma l’idea di quella stronza di Cinzia costretta da un bruto a leccarla era, si disse Chiara, un sogno erotico certamente condiviso da tutte loro.
Lei, invece, che cosa portava? La più squallida e abusata delle idee: una ragazza in casa che apre la porta e si trova davanti il tipo del corriere espresso che si presenta con un paio di giorni di anticipo sulla data promessa e che, non avendo a disposizione del denaro, è costretta a usare il proprio corpo per pagarlo.
– Che cagata… – sussurrò Chiara, guardando il foglio di carta con la stessa espressione che avrebbe assunto se, al posto di un racconto erotico privo di qualsiasi grazia, vi fosse stato stampato l’esito di un disastroso esame del sangue. – I trigliceridi alti sarebbero più porno di questa merda…
Con disgusto provò a rileggerlo, ma giunta al punto in cui “dovetti inginocchiarmi davanti a lui mentre con una mano mi spingeva in basso e con l’altra tirava fuori il cazzo dai pantaloni. Era lungo almeno venticinque centimetri e la cappella era grossa e rossa. Mi disse apri la bocca e mettitelo dentro che voglio” allontanò con un fruscio di carta quell’orrore.
Il foglio si stropicciò come se fosse stato colpito da un crampo mentre Chiara lo appoggiava in un angolo della scrivania, quasi stesse cercando di scacciare quello sfacelo di parole. Forse, pensò la ragazza, augurandosi accadesse davvero, avrebbe preso fuoco per autocombustione a causa della vergogna e, quel pomeriggio, avrebbe mandato alle sue amiche la foto della carta annerita e contorta, sostenendo che era stato un atto divino a favore dell’umanità intera.
Ma il rettangolo di carta nell’angolo sembrò improvvisamente destinato a mantenersi perfettamente integro per il resto della durata dell’universo, ed essere la causa della vergogna di Chiara di quella sera.
No, si disse, scuotendo lentamente la testa: la scrittura non era il suo campo artistico.
Alzando lo sguardo davanti a sé, sembrò che il tablet volesse ricordarle in cosa fosse davvero brava: il pennino, per qualche motivo, non era nella sua solita posizione, ma giaceva languido davanti al monitor, come a tentarla di prenderlo e usarlo. Chiara lo osservò per qualche istante, poi allungò la mano e lo strinse tra le dita.
Come aveva riflettuto lei stessa in passato, la ragazza sembrava non essere dotata di forza di volontà di fronte alle tentazioni e, per quanto non ricordasse se il serpente avesse dovuto persuadere Eva per mangiare la mela, se ci fosse stata lei nel Giardino, la biscia avrebbe fatto meglio a scappare dal tronco o dopo il frutto offerto avrebbe mangiato anche tutto il resto che pendeva dall’Albero. O, in quel caso specifico, avviato il programma di disegno e aperto il file con l’immagine che aveva creato qualche giorno prima.
Ci aveva lavorato diverse ore durante gli ultimi giorni, prendendo in prestito anche il tempo durante il quale avrebbe dovuto impegnarsi per il disegno “meno compromettente” e che Marco aveva elogiato quasi una settimana prima. I profili dei due protagonisti erano stati completati, e una prima stesura del colore digitale, tutto uguale, era già stata apposta su quella che doveva essere la loro pelle nuda. In seguito, avrebbe aggiunto le ombre e i riflessi delle luci, più sudore e altri liquidi corporei tipici dei rapporti sessuali, oltre i capelli e le iridi.
Chiara lo guardò inclinando leggermente la testa a destra, come sempre, inconsciamente, si comportava quando osservava una sua opera. Non poteva certo dire fosse un capolavoro, qualcosa di cui andare fiera, ma era pur sempre il risultato dello schizzo tracciato mentre era in preda all’eccitazione. E, nonostante l’avesse creata lei stessa, ci avesse lavorato, conoscesse letteralmente ogni singolo tratto, ogni volta che la guardava la trovava eccitante fino alla pazzia. Ogni pennellata digitale le lasciava un brivido di piacere, come fossero state le dita di suo fratello ad accarezzare la sua pelle, ogni riga tracciata sembrava un bacio sulla sua femminilità, come le avevano raccontato le sue amiche… Quando poi aveva dovuto disegnare il sesso della protagonista del disegno, si era chiusa in bagno, aveva abbassato le mutandine e si era fotografata la propria figa, aveva scaricato lo scatto sul tablet, rielaborato nel programma di disegno, tagliato, rimpicciolito e aggiunto in un layer del disegno posizionandolo sull’inguine della ragazza, poi l’aveva letteralmente ricalcato. Quella era lei, e avrebbe avuto la sua stessa figa, si era detta. E aveva fatto lo stesso con i suoi capezzoli.
Era stato eccitante, ma mai quanto il momento in cui aveva deciso di aggiungere i genitali di lui. Non se n’era resa conto, ma per tutto il tempo durante il quale aveva disegnato il tratto di asta che partiva dall’inguine del ragazzo e scompariva tra la figa, aveva morso il labbro inferiore e bagnato la stoffa delle mutandine, un vago capogiro che la faceva sentire come leggermente ubriaca. Finito, aggiunta anche la peluria, si era sentita spossata, come se al posto di un pennino su una lastra di plastica trasparente avesse trascinato un’incudine lungo una rampa di un centinaio di metri. E, nonostante questo, aveva dovuto infilare la mano nei pantaloncini, umidi di desiderio, e simulato quel grosso fallo formato da due brevi righe su uno schermo con un paio di dita. Aveva sussurrato il nome del fratello più volte, immaginandosi lì, sopra il suo bacino, con le mani di lui che la tenevano per i fianchi, tirandola verso il basso perché la penetrasse in profondità, perché tutto il suo cazzo sprofondasse completamente nel corpo della sorella.
Adesso, giorni dopo quel fantastico ditalino, Chiara fissava la scena sullo schermo, sospirando all’idea che solo la sua fica fosse la copia di quella vera, mentre per il cazzo di Marco… La ragazza scosse la testa, delusa. Quello era solo un’ipotesi, una teoria basata su quanto aveva sentito dire dalle sue amiche durante i due giorni passati.
“Amiche”. Chiara pensò disgustata al termine che le era passato per la testa più per l’abitudine di usare quella parola con Cecilia e Beatrice che per quello che si erano rivelate essere davvero: traditrici. Stronze. Troie.
Ecco: Cecilia e Beatrice erano due troie che avevano insidiato il suo amato fratello e l’avevano spinto a fotterle. E, con la passera ancora bagnata dalla crema calda di Marco, erano tornate a comportarsi come se nulla fosse accaduto, continuando a fingere con lei di essere delle vere amiche.
La ragazza fece una smorfia a quel pensiero. Erano due stronze, nient’altro, si disse.
Poi il suo sguardo si posò sul disegno, sulla ragazza che cavalcava suo fratello, e quella ragazza era lei, aveva deciso durante la preparazione dell’immagine. Aveva le sue fattezze, era impossibile non riconoscerla. La rabbia che aveva pervaso l’anima di Chiara, a quel punto, però, si sciolse nel suo cuore e nei suoi occhi in angoscia. Quella ragazza non poteva assomigliare a lei. Semmai, avrebbe dovuto avere i capelli castani con riflessi ramati, ondulati, o un seno ben più abbondante e un’espressione del volto ben più strafottente.
Se avesse voluto essere aderente alla realtà, comprese Chiara, con un groppo in gola che sembrava stridere quando respirava, avrebbe dovuto disegnare al suo posto Cecilia o Beatrice. Loro se l’erano scopato davvero Marco. Lei no.
Desolata, come se il mondo le stesse crollando addosso, la ragazza si mise le mani sugli occhi e cadde con i gomiti sulla scrivania. Sentì gli occhi prudere nell’avvicinarsi del pianto, nel percepire come una coltre scura di desolazione calare sulla sua esistenza.
Com’era possibile che qualsiasi puttana potesse fare sesso con suo fratello, desiderosa solo di avere il suo cazzo dentro di sé, mentre lei, la sua amata sorellina, non ci riusciva? Cos’avevano le altre che a lei mancava?
Sapeva che era una domanda retorica, che se la poneva ormai da anni, e da anni aveva capito cosa fosse a mancarle: il coraggio per dichiararsi a Marco… ma la paura che lui ci restasse male scoprendo che lei era innamorata di lui, che volesse fare l’amore con lui… e se, a quella nuova consapevolezza, Marco l’avesse allontanata, non tanto fisicamente quanto emotivamente, smettendo di abbracciarla e trattarla con tutta quella dolcezza?
A cagare, si disse, alzando il viso dalle mani e passandosi un dito sotto il naso che aveva cominciato a gocciolare… Non poteva continuare così, dolendosi nel rischio che qualcosa potesse andare storto se avesse provato. Lui l’amava e la desiderava, ne era certa, ne aveva le prove ogni giorno, ogni volta che lui la guardava, forse quasi quanto lei era desiderosa di avere lui dentro di sé.
“Si segherà pensando a me”. Il pensiero attraversò la sua mente come un fulmine: Marco a letto, nudo, muscoloso, che fissava il soffitto, sussurrando il nome di Chiara, la mano stretta attorno al cazzo, muovendola su e giù, immaginandola nuda, che lo cavalcava, e che gli diceva che era uno stallone e che la faceva impazzire di piacere. Poi lui inalava l’aria con un respiro rumoroso, scosso dall’orgasmo, il nome di sua sorella che si formava un’ultima volta sulle sue labbra, la crema calda che fuoriusciva dalla cappella e scivolava lungo il suo cazzo, imbrattandogli le dita invece di restare custodita gelosamente nella passera di Chiara.
Quell’idea scosse il corpo e l’anima della ragazza come una folgorazione, un colpo che sembrò stordirla. Si sentì strana, quasi male. Il desiderio di suo fratello fu così intenso che le parve di essere sul punto di vomitare e al contempo essere preda di un orgasmo. Alzandosi dalla sedia come se le gambe le stessero cedendo, si avvicinò alla porta, l’aprì appoggiandosi di peso, poi caracollò lungo il corridoio fino al salotto, dove proveniva il suono del televisore.
Marco era lì, seduto sul divano, che ignorava la trasmissione televisiva ma stava chattando al telefonino. Sorrideva, ma quando notò sua sorella avanzare come ubriaca si alzò in piedi di scatto, la paura che aveva preso il posto dell’allegria sul suo volto.
– Chiara, cos’hai? – esclamò, avvicinandosi con lunghi, febbrili passi alla sorella. L’afferrò e la strinse al suo petto.
Alla ragazza, a quel contatto, sembrò che la testa girasse ancora più vorticosamente. Il profumo della pelle di suo fratello la inebriò, i muscoli contro il suo esile corpo furono come il migliore dei massaggi. Percepì il cazzo di Marco all’altezza del suo ombelico inturgidirsi attraverso diversi strati di tessuto, diventare più caldo e vivo.
Desideroso di possedere Chiara.
Forse niente al mondo avrebbe spinto la ragazza a fare quello che fece se non sentire contro il suo ventre la virilità di suo fratello risvegliarsi e mettersi all’erta grazie a lei.
– Marco… – sussurrò.
Lui, ancora più spaventato, abbassò il volto verso di lei, come a sentire meglio. Un istante dopo le sue labbra venivano intercettate dalla bocca di sua sorella, facendolo sobbalzare. Facendolo sobbalzare ma non troppo.
Chiara non sapeva baciare se non che c’era un contatto tra le labbra delle bocche degli amanti, e che poi una lingua sarebbe entrata nel cavo orale dell’altro. Tutto quello che sapeva lo aveva imparato dai suoi tre pessimi amanti, i tre ragazzetti arrapati che avevano trovato piacere nella sua passera e nella sua ingenuità. Aveva, in passato, pensato a come imparare per non essere impreparata in un momento come quello, in cui avrebbe finalmente unito le sue labbra a quelle di Marco, e l’idea di essere inesperta la tormentava, la terrorizzava, chiedendosi come avrebbe fatto. In quel momento, in cui le sue labbra si erano davvero unite a quelle di Marco, decise che non avrebbe avuto nessuna importanza, e la sua lingua scivolò in suo fratello.
O lui avrebbe accettato il suo amore, o l’avrebbe allontanata per sempre.
Lui l’allontanò. O, almeno per quella briciola di coscienza di Chiara che non era impegnata a scoprire come fosse baciare l’uomo che amava davvero, a godere della sua bocca, ad apprezzare malignamente come la sua passera si stesse bagnando in quell’istante e un odore che non aveva mai sentito, sebbene gli ricordasse vagamente la crema che aveva trovato nella piadina che Cinzia aveva rifiutato, lui ci provò per un istante, i muscoli delle braccia che si irrigidivano per spingerla via, per scacciarla da lui, ma fu un movimento di un millimetro o due.
Chiara si sollevò sulla punta dei piedi, come se questo le permettesse di infilare ancora di più la lingua in suo fratello, appoggiando una mano sulla nuca del fratello ed una dietro un gluteo sodo. All’improvviso anche la lingua di Marco si mosse, scivolando sulla sua, sfregandosi come… Chiara non lo sapeva, non aveva idea di cos’altro potesse dare una sensazione tanto piacevole. Fu bellissimo, indescrivibile.
Ma poi, dopo un attimo che durò quanto tutta la vita della ragazza, i muscoli delle braccia del fratello si tesero davvero, i millimetri divennero centimetri, decimetri, chilometri, e lei si trovò distante anni luce da Marco, il viso un turbinio di emozioni che lei a malapena riusciva a riconoscere prima che venissero sostituite da altre: sorpresa, desiderio, sconcerto, confusione, terrore…
Marco impiegò diversi secondi prima di parlare, come avesse cercato cosa dire. – Chiara… non possiamo fare una cosa simile… io… noi… – Poi si interruppe, fissandola con un’intensità che la ragazza non aveva mai scorto in suo fratello. Lo vide respirare profondamente, come se fosse sul punto di lanciarsi in un burrone e non fosse sicuro che il paracadute che indossava fosse integro o meno.
Chiara tentennò, spaventata. Cos’aveva fatto? Perché lo aveva fatto? La cosa sarebbe potuta andare bene o male, o tutte le sfumature di possibilità che si trovavano tra i due estremi, ma comprese che il suo tentativo di sedurre suo fratello era andato peggio che male, l’unica volta che in vita sua aveva tirato fuori le palle e voluto condurre lei il gioco tutto era crollato nel completo disastro.
– Marco, – disse, la disperazione che cominciava a bruciarle gli occhi. – io… mi dispiace… non…
– ‘fanculo, cazzo! – sbottò rabbioso il fratello, stringendo le mani, i muscoli delle braccia che si gonfiavano in quello che sembrava furore assassino, poi fece un passo avanti, le mise una mano dietro la nuca, la strinse a sé e Chiara, mentre si sentiva sciogliere tra le braccia di Marco, finalmente scoprì che quelle troie di Beatrice e Cecilia non esageravano quando magnificavano le capacità di baciatore di suo fratello.
Si aggrappò letteralmente al collo di lui, gustandosi il sapore della lingua che invadeva la sua bocca come se fosse stato il cibo più gustoso che avesse mai assaggiato. Si rese conto che non la stava baciando con quella tecnica che le sue amiche avevano descritto, stuzzicando le sue labbra, ma possedendola… anzi, scopandole la bocca e, per quanto avesse voluto provare la sensazione di un bacio simile, quell’impeto la fece impazzire.
Faceva fatica a respirare, il suo naso emetteva un suono ridicolo quando inspirava, ostruito dal pianto che stava per scoppiare in lei, e qualche goccia le aveva solcato le gote, ma non le importava: avrebbe preferito morire soffocata piuttosto che interrompere quel momento meraviglioso.
E quel momento meraviglioso continuò per dei minuti che parvero allungarsi all’infinito, poi contrarsi in un solo battito di cuore quando prima la lingua e poi le labbra di Marco si allontanarono da lei. Le appoggiò la testa alla spalla sinistra, gli occhi scuri di lui che la guardavano in quelli azzurri della ragazza con una dolcezza che le colmò il cuore di un’emozione tanto intensa che la portò ad un passo dal rimettersi a piangere.
– Sei una sciocca ragazzina – la rimproverò con una dolcezza che contrastava con le parole come il giorno con la notte, – Lo sai che questo è sbagliato.
Chiara si perse negli occhi del fratello. Erano anni che li vedeva, li ammirava, li adorava, ma in quel momento le parve di aver sempre visto solo la versione abbozzata di quanto poteva contemplare in quell’istante. Fu con uno sforzo che riuscì a riportare la sua coscienza alla realtà. – Io ti voglio, Marco – gli confessò, – sono anni che voglio fare l’amore con te. – Fu una fatica ancora maggiore non appoggiare la mano sull’inguine del fratello e tastare quel bozzo che aveva avvertito contro il suo ventre. – Voglio averti dentro di me, voglio che mi ami.
Lui la guardò con quello che Chiara pensò fosse un desiderio simile al suo, poi la baciò con dolcezza. Fu breve ma forse ancora migliore di quello precedente. La ragazza sentì bagnarsi e un fuoco incendiare la sua anima.
– Anch’io, sorellina – disse infine Marco, sorridendole in un modo che lei non gli aveva mai visto. – Non sai quanto voglia ho di amarti e farti…
Chiara restò in attesa, comprendendo che suo fratello stava cercando di scassinare la serratura morale oltre la quale aveva posto i suoi veri sentimenti verso di lei affinché non si trovasse a giacere con lei, entrambi nudi, entrambi felici per aver dato modo ai loro più profondi desideri di esprimersi.
Solo dopo qualche secondo la voce di Marco riuscì a risuonare nel salotto con la parola che lei sperava di udire: – …farti godere.
– Anch’io voglio farti godere, Marco – rispose lei, e le sembrò la cosa più naturale al mondo. E le sembrò la cosa più naturale al mondo, ancora più di pronunciare quelle parole, scivolare in ginocchio davanti a lui e, guardandolo con amore, mettere le mani sul bottone di pantaloni e, con una facilità che la sorprese, farlo uscire dall’asola e poi, inconscia di trattenere il fiato, abbassare la zip.
Il cuore iniziò a batterle tanto forte da sentirlo nelle orecchie, immaginando che si sentisse così chi passasse la vita a cercare un tesoro dal valore incalcolabile e, infine, vi si trovasse davanti, il forziere stretto tra le mani e i cardini arrugginiti che stridono mentre il coperchio viene sollevato lentamente.
I jeans calarono sotto il proprio peso una volta persa la resistenza e l’attrito che li teneva sollevati, afflosciandosi come una concertina, ma Chiara, troppo affascinata dalla deformazione del tessuto delle mutande di suo fratello, non se ne accorse nemmeno. Lo guardava estasiata, sentendo scivolare nelle sue narici il profumo che aveva avvertito prima e che ora aveva la certezza fosse l’eccitazione di Marco che lei gli aveva provocato: rendersi conto che lei causava un’erezione a suo fratello fu piacevole quanto ricevere il miglior complimento della sua vita.
Lei era eccitante per suo fratello…
Afferrò con le due mani l’elastico delle mutande e l’abbassò lentamente, trepidante, incapace di trattenersi dallo scoprire la virilità di suo fratello ma, al contempo, conscia che stava per compiere un gesto che non si sarebbe mai più ripetuto e andava eseguito con calma, per poter essere gustato completamente.
All’inizio fu solo pelle con qualche pelo, poi questi aumentarono di colpo, tanti ma tenuti con cura, tagliati corti e… quello… quello era il fondo dell’asta del cazzo di Marco che usciva dal suo inguine! La ragazza si fermò di colpo, affascinata come poche volte nella sua esistenza.
Chiara ebbe l’impressione di vivere un evento storico, di essere lei la protagonista di qualcosa che sarebbe diventato leggendario, ricordato per sempre. Era troppo stordita dall’emozione per chiedersi come si fossero comportate le sue due amiche quando si erano trovate nella sua situazione.
Abbassò ancora l’elastico, scivolando lungo il tronco del pene, liscio ma con una vena che lo percorreva per il lungo, poi la pelle finì e Chiara aprì la bocca nel vedere la cappella comparire davanti a lei. Il cazzo sembrò saltarle in faccia quando finalmente fu libero dalla costrizione dell’intimo, facendo sobbalzare la ragazza.
Marco sembrò trattenere a stento una risata. – Non morde, non preoccuparti.
La ragazza non lo sentì nemmeno. Allungò una mano, toccando con un dito il cazzo che da anni agognava, spingendolo un po’ e facendolo dondolare. Lo accarezzò con delicatezza poi, quasi con rispetto e paura, avvicinò le labbra e lo baciò sulla punta, l’afrore di maschio che le invase l’anima.
– Voglio succhiartelo, Marco – disse, il cuore che rimbombava nella sua testa. Le sembrava impossibile che stesse succedendo davvero, che un sogno che aveva sempre considerato impossibile fosse diventato realtà.
La mano di Marco le accarezzò i capelli. – Sei sicura, Chiara? – le domandò: non aggiunse altro, ma era semplice intuire che, se Chiara l’avesse fatto, non avrebbero più potuto tornare indietro.
Dalla bocca di Chiara non uscì la risposta: piuttosto, vi entrò. Appoggiò le mani sull’inguine di Marco, le labbra sulla cappella, e poi spinse avanti la testa. Poteva essere vero che il cazzo di suo fratello non fosse più lungo del normale, ma da come le colmò la bocca fu pronta a scommettere che in quanto a diametro non scherzava. Lo sentì scivolare sulla sua lingua, il sapore leggermente salato della mucosa vellutata della cappella mentre questa emergeva dalla guaina di pelle che sembrava non riuscisse a mantenere il passo. Scivolò lungo l’asta fino in fondo, prendendo nel cavo orale tutto il cazzo di suo fratello, la cappella che si insinuava tra le tonsille e sollevava l’ugola.
Fu una sensazione strana, soddisfazione e un senso di disagio che la confondeva. Nonostante questo, Chiara volle mantenere suo fratello dentro di sé fino a quando quel malessere non fu quasi sul punto di diventare un problema imbarazzante, quindi si spostò all’indietro con la testa, sentendo il cazzo scivolare fuori di lei, fino a quando solo la cappella fu tra le sue labbra. Allora afferrò l’asta e, facendola scivolare lentamente avanti e indietro sulla patina di saliva che la ricopriva, alzò lo sguardo verso il volto sorridente di Marco.
– Mi piace il tuo cazzo – gli confessò. – Lo adoro. – E intanto la mano libera, ricordando quanto aveva letto sul manuale mandatole da Beatrice, prese le due grosse palle che pendevano tra le gambe del fratello e cominciò a solleticarle.
– Chiara! – esclamò Marco, mentre il suo volto si illuminava, divertito.
Lei sorrise soddisfatta, quindi tornò al cazzo, leccandosi le labbra. Allungò la lingua e la passò sul bordo del prepuzio, strappando un gemito di piacere a Marco, che appoggiò una mano sulla testa della sorella.
– Ah, Chiara, sì! – esclamò, ed il tremore della voce di suo fratello nel pronunciare quelle parole fece colmare il cuore della ragazza di un orgoglio che non aveva mai sperimentato in tutta la sua vita. Quel sentimento la infervorò, spingendola a fare del suo meglio. Improvvisamente si sentì in diretta competizione con Beatrice e Cecilia: da quel momento avrebbe fatto di tutto perché suo fratello dimenticasse quelle due troiette e pensasse solo a lei come amante.
Chiuse le labbra sulla cappella e la lingua cominciò a saettare e accarezzare la zona attorno al meato, ed ogni colpo strappava un gemito di piacere a Marco che sembrava si accumulasse nel cuore di Chiara, colmandolo di gioia.
Il ragazzo non durò a lungo, ma la cosa fece solo piacere a Chiara. Lui la amava, la desiderava così tanto che non sapeva resistere alle sue tecniche basilari e approssimative, svuotandosi dentro di lei per scoprire come fosse sborrare nella propria sorellina…
Quando lui la avvisò che stava per venire, lei non volle abbandonare il cazzo che aveva in bocca come gli consigliò lui, tra un gemito ed un profondo sospiro. Anzi, abbandonò l’asta su cui stava praticando una sega e le palle che aveva continuato a massaggiare, e messe le mani sui glutei sodi di suo fratello, spingendo contemporaneamente la testa in avanti, mangiando completamente la virilità di Marco, attese con impazienza. Pochi istanti dopo, sentì uno schizzo di liquido caldo esploderle in bocca, qualcosa di colloso finirle sul fondo della lingua e in gola. Lo sentì andarle di traverso ma si trattenne, aspettò che suo fratello spruzzasse tutto il suo seme dentro di lei.
– Grazie, Chiara… – disse Marco, come svuotato di ogni forza, – sei stata meravigliosa…
La ragazza lasciò scivolare il cazzo fuori dalle sue labbra, gustandosi il sapore di sperma che abbandonò sulle pupille gustative, poi, sebbene sorridesse soddisfatta, con una mano sulla bocca, iniziò a tossire fino alle lacrime. Sentì, ad ogni espettorazione, qualche goccia di sborra di suo fratello risalirle la gola.
Marco si inginocchiò, il viso che lasciava indovinare la preoccupazione, appoggiando la mano su una spalla della sorellina. – Stai bene?
Lei fece un sorriso e, tra un colpo di tosse e l’altro, rispose con la voce rauca: – Ci sarà un motivo se si chiama soffocotto…
Fu lieta che l’apprensione di suo fratello venisse sostituita da una risata. Lo vide alzarsi, tirarsi su slip e pantaloni, quindi porgerle una mano per mettersi in piedi anche lei.
– Adesso vedrai come ti ricompenso, Chiara – le promise con un occhiolino, e sebbene lei non sapesse cosa intendesse, fu sicura che sarebbe stato qualcosa di fantastico. Quando Marco le prese il volto e la baciò con passione ebbe la sicurezza che sarebbe stato invece qualcosa di memorabile.

Continua…

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