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033 – La famiglia adottiva e la porca di mamma Cinzia

By 11 Marzo 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Sono stato adottato, e portato via dall’istituto per l’infanzia abbandonata, dai miei attuali genitori, all’età di tre anni. La mia famiglia adottiva, è composta da Nicoletta, cinquantacinquenne donna, un po’ cicciotella con grosse tette, non molto alta, sul metro e sessanta, e un culone da vera matrona. Lei comunque è quella che io considero a tutti gli effetti, la mia vera mamma. Poi vi è, mio padre Michele, il classico padre-padrone, parecchio severo e burbero. Lui è un uomo di cinquantotto anni, pelato, alto un metro e settantadue con una pancia prominente e il fisico fatto a tavola. Io ho anche un fratello, che si chiama Mohamed. Ragazzo di colore, nero,nero, anche lui adottato, all’età di tre anni. Mia madre adottiva, per colpa di un aborto interno non riconosciuto, è diventata sterile. Io, sono il più vecchio dei due essendo nato nel 1987. Emanuele è il mio nome, ed è il nome che le suore dell’istituto, mi vollero imporre, quando mi accolsero nella loro fondazione, in un giorno d’estate del 1987. Mia madre mi consegnò alle monache quando avevo pochi giorni senza darmi nemmeno un nome. Mio fratello invece è nato, nel 1991, e la sua mamma, lo consegnò alle suore, essendo nell’impossibilità di mantenerlo quando aveva due anni. Ora lui và per i ventidue anni, è un atleta, si dedica all’atletica leggera ed ha un fisico pieno di muscoli e molto elastico. Il suo corpo è assolutamente privo di peli, tranne che nella zona puberale, liscio come il marmo e scuro come l’ebano. Beh, visto nudo, fa un po’ paura, non per i muscoli, ma per il cazzo nero che gli pende fra le cosce. Io non l’ho mai visto duro, ma più o meno, da molle, sarà attorno ai venti centimetri. Cambiando discorso lo scorso anno, sono stato colto da un improvviso desiderio di cercar di conoscere, chi fossero i miei genitori biologici. Sono andato dalle suore, che mi hanno accolto come se fossi il figliol prodigo. Complimenti, abbracci, carezze ma purtroppo in quella occasione non sono riuscito a saperne nulla. Ho passato poi un anno, divorato dal pensiero fisso di sapere chi erano mio padre e mia madre, quelli veri e dopo aver meditato a lungo, ho escogitato un piano strategico Sono riuscito a contattare un ragazzo che, prima di essere adottato, in quell’istituto ci ha passato molti anni. Cercando di non destare sospetti, l’ho interrogato a lungo, sulla esatta disposizione dei locali interni la struttura e in special modo sulla dislocazione degli uffici e dell’archivio interno. Mi sono poi disegnato una specie di piantina e l’ho studiata a fondo. Poi, finalmente, la settimana scorsa, mi sono recato ancora dalle monache e dopo averle salutate tutte con affetto, ho chiesto il permesso di recarmi nella cappelletta dell’Istituto per pregare e ringraziare la Vergine di avermi fatto trovare una buona famiglia. Loro, ignare del mio piano, me lo hanno concesso. Appena rimasto solo, sperando nelle esatte indicazioni del mio amico, sono uscito dalla cappella ed ho avuto la conferma che l’archivio era situato a pochi metri dalla chiesetta. Vi sono entrato, e sulla parete di fronte a me, ho subito notato degli enormi classificatori, ognuno composto da quattro grandi cassetti scorrevoli, Sul frontale di questi cassetti metallici erano esposte delle grandi etichette sulle quali erano stampati gli anni di riferimento. Con il cuore in gola, ho fatto scorrere il grosso contenitore riferito al 1987. In ordine alfabetico, vi erano delle grandi cartelline appese all’interno, alla lettera E, trovai un Emanuele che però non ero io, mentre, la seconda cartellina, era la mia. Il nome e il cognome di mia madre erano scritti in rosso in alto a sinistra, così, staccai il foglio dal plico sul quale era pinzato , lo piegai e me lo misi in tasca, chiusi rumorosamente il cassetto e uscii. Mi precipitai nella cappella, mi genuflessi e finsi di pregare. La suora, che non mi vedeva più tornare, dopo pochi secondi dal mio ritorno, entrò nella cappella e mi trovò concentrato nella preghiera. Mi alzai e uscii, salutando con una carezza la suora che mi aveva, inconsapevolmente permesso di conoscere il nome di colei che mi aveva partorito. Il giorno successivo, presi la mia utilitaria, e mi recai all’indirizzo segnato sul foglio, ma non ebbi fortuna, i vicini mi dissero che la signora Cinzia, questo è il nome di lei, si era trasferita alcuni anni prima in un’altra città, per motivi di lavoro. Per fortuna, una anziana signora, era molto amica della ‘signora’ in questione e cercando dentro una agendina, trovò il nuovo indirizzo della donna che mi aveva procreato. Il giorno successivo, ripresi la ricerca e mi recai nella città dove avrei potuto trovare mia madre biologica. Quando giunsi all’indirizzo che mi aveva dato l’anziana signora, trovai una villetta di recente costruzione, con il giardinetto di fronte, molti fiori e dislocate sul perimetro, file di siepi, che fungevano da recinzione. Suonai il campanello del citofono in ottone, posizionato su una delle due colonnine di mattoni a vista e attesi. Una voce di donna, rispose il classico””

‘Chi è??’

‘Emanuele’ risposi io

Sentii, lo scatto del citofono che mi fece capire che la conversazione era terminata, mi stavo apprestando a posare nuovamente il dito sul pulsante di ottone, quando lo scatto della serratura del cancelletto, mi fece comprendere, che la signora, incuriosita mi aveva aperto. Aprii il cancello e dopo pochi metri mi trovai di fronte ad una porta in legno massiccio, al centro della quale vi era un batacchio, anch’esso in ottone. Attesi, di fronte alla porta chiusa e capii, che in quel momento lei mi stava osservando attentamente dallo spioncino. Forse il mio bel viso da ragazzino imberbe le diede fiducia e il pesante battente si mosse. Vidi comparire una bella donna sulla quarantina, vestita con una vestaglia corta di colore rosa, che lei teneva chiusa, tenendo i due lembi uniti con una mano chiusa a pugno, all’altezza del suo seno prosperoso”’.

‘Mi scusi, lei è la signora Cinzia?’

‘Si, sono io, ma lei chi è?’

‘Signora, io credo di essere suo figlio’

Stette in silenzio per un tempo che mi parve interminabile, poi retrocedendo di un passo, fece un gesto con la mano per farmi comprendere di entrare. Varcai la soglia di casa e la prima sensazione, fu quella di essere entrato in una casa di lusso. I mobili, le tappezzerie, i quadri, i tappeti, le varie suppellettili e molte altre cose, mi fecero capire che la mamma era sicuramente una donna benestante. Mi fece accomodare su una poltrona di pelle scura e si sedette sul divano di fronte a me. Accavallò le lunghe gambe e fugacemente vidi un triangolo nero, non compresi se erano le mutandine oppure se era il fitto boschetto della figa””..

‘Le suore, ti hanno chiamato Emanuele?’

‘Si, Emanuele’

‘Ti spiego alcune cose, sai io ti ho cercato per molto tempo, ma le Sorelle non hanno mai voluto darmi il tuo indirizzo e tanto meno il tuo nome e quello dei tuoi genitori adottivi.’

‘Si lo so, me lo hanno detto che mi hai cercato, ma loro non lo possono fare, perché esiste una legge che lo proibisce’

‘Ma io, ora sono felice che sei qui, non so come hai fatto tu a trovarmi, ma, ecco, non so, io vorrei abbracciarti, ma non so se a te va bene, io ti ho abbandonato e me ne sono pentita dopo pochissimo tempo. Ormai era troppo tardi, non potevo più tornare indietro.’

‘Perché lo hai fatto? Perché mi hai lasciato dalle monache?’

‘Io, vivo con tuo padre ancora adesso, lui si chiama Massimo, abbiamo quattro figli, anzi da oggi ne abbiamo cinque. Due femmine e due maschi. Il ragazzo più vecchio, dopo di te, è Alberto, che ha ventiquattro anni, poi sono nati a circa due anni di distanza uno dall’altro, Bruno che ha ventidue anni, quindi, Ginevra che ne ha venti e per ultima Lucia che ne ha compiuti diciotto quindici giorni or sono. Quando sono rimasta incinta di te, io avevo solo quindici anni e tuo padre ne aveva uno di più. Eravamo giovanissimi ed erano altri tempi, non potevo mantenerti e per non farti fare una vita di stenti e duri sacrifici, mia madre e mio padre mi convinsero a consegnarti all’istituto delle suore, affinché loro provvedessero a crescerti e a mantenerti nel miglior modo possibile.’

‘Ma da quel che vedo ora, non siete più poveri, o sbaglio?’

‘Tuo padre, ha continuato gli studi e con molti sacrifici suoi e dei suoi genitori, che sono poi i tuoi nonni, è riuscito a trovare un lavoro interessante. Da diversi anni ha fatto il salto di qualità ed è diventato direttore generale della sede italiana di una grande multinazionale americana.’

‘Sono felice per voi e capisco che non mi avete abbandonato per cattiveria ma lo avete fatto per il mio bene’

‘Si è andata così, ma fino a pochi minuti or sono, avevo un peso sul cuore che mi portavo dentro, dal giorno in cui ti ho lasciato alle suore’

Mia madre, si alzò dal divano e io feci la stessa cosa, lei si avvicinò a me e ci abbracciamo stretti, stretti. Notai che lei era molto alta e che praticamente i nostri visi erano alla stessa altezza. Lei mi baciava sul viso, sul collo e io sentivo le sue lacrime rigare la mia pelle. La vestaglia ora non era più trattenuta da nulla e si era aperta completamente. Il suo corpo nudo si stringeva al mio e io nonostante indossassi maglietta e jeans, sentivo premere contro il mio petto, il suo seno prosperoso e sentivo puntare contro il mio torace i suoi capezzoli duri. Percepivo il suo ventre contro il mio, e il mio cazzo spingeva contro il suo inguine caldo. Mi sentivo emozionato ed eccitato allo stesso tempo. Pensai alla figuraccia che stavo facendo con la mamma che avevo appena ritrovato. Poi lei si staccò e mi accorsi di un suo sguardo sfuggente alle mie parti basse poi”’.

‘Sei proprio bello, amore mio e vedo che tutto ti funziona a dovere!’

‘Eemmmhhh, mamma scusa, non so cosa mi è preso, sono eccitato per averti conosciuta, scusami, non l’ho fatto apposta’

‘Tranquillo, non ti preoccupare, la tua mamma capisce, va tutto bene. Poi è anche colpa mia che sono tutta nuda’

Così dicendo, lei, in modo assolutamente naturale, si aprì la vestaglia con entrambe le mani e facendola scorrere sulle spalle la lasciò cadere a terra. Poi fece una rapida giravolta su se stessa per mostrarmi fugacemente il sul lato B. Quando la vidi nuda , completamente nuda ferma dinnanzi a me potei ammirarne la straordinaria bellezza. Il seno voluminoso di una quarta misura, le stava su combattendo contro la legge di gravità. Le aureole formavano un cerchio frastagliato molto largo, di colore marrone scuro e i capezzoli cilindrici, grossi e sporgenti, sormontavano le due colline con orgoglio e spudoratezza. Credo che la visione di quel seno sarebbe stato oggetto di tentazione anche per un vecchio monaco gay. La vita era sottile il giusto, seguendone i contorni lo sguardo andava ad accarezzare le curve piene dei suoi fianchi opulenti. Il ventre era liscio, la pelle tesa nonostante le molte gravidanze e il monte di venere che si tuffava fra le gambe, era coperto e celato da un folto bosco di riccioli neri, che si interrompeva, lasciando scoperto l’inizio delle labbra chiuse, della sua dolce e morbida fessura. Le gambe erano lunghe, le cosce ben tornite, lievemente muscolose, le ginocchia piccole e puntute, mentre i polpacci erano regolari e ben fatti. Tenendo le mani incrociate sulla patta dei jeans, a cercar di coprire la mia esuberante mascolinità, la guardai ammirato e lei”’

‘Volevo farti vedere com’era tua madre, visto che al contrario degli altri mie figli, non hai mai avuto l’occasione di vedermi nuda.’

‘Mamma, devo farti i miei complimenti, ma quanti anni hai di preciso?’

‘Beh sono vecchia sai?!! Ne ho quarantuno ormai’

‘Non sei vecchia!! Comunque sembri una ragazzina, ma come fai a mantenerti così?’

‘Vieni ti faccio vedere una cosa’.’

Raccolse la vestaglia e la indossò richiudendola e nascondendomi il meraviglioso spettacolo, poi mi prese per mano e mi condusse verso una scala a chiocciola in fondo al salone. Mi lasciò la mano solo per precedermi sulla scala . Alzai lo sguardo e così potei ammirare il suo culetto tondo e sodo, riuscendo a intravedere fra le gambe, la fessura depilata della sua figa. La mansarda, aveva il pavimento coperto da una soffice moquette color verde chiaro e sopra di essa, disposti qua e là, molti attrezzi per ‘ body building’ , panche, pesi, una ‘pectoral machine’ , una panca per gli addominali e una ‘leg machine’ per esercitare i muscoli degli arti inferiori. In un angolo una scrivania a ‘elle’ e sopra ad essa lo schermo del pc e la relativa tastiera, infilata sotto al tavolo, su un piano scorrevole. Quadri alle pareti con disegni colorati con i pastelli, opere di qualche bambino. Probabilmente dette creazioni, erano state realizzate dai miei fratelli.

‘Ora comprendo il tuo fisico statuario, con questa attrezzatura e la perseveranza, si ottengono degli ottimi risultati. Hai praticamente una palestra in casa’..’

‘Si, io sono appassionata e maniacale per quel che riguarda la cura del fisico’

‘Già, vedo, vedo’.’

‘Senti è quasi mezzogiorno, ti fermi qui a pranzo da noi?’

‘Ma non vorrei disturbare e poi io ho un’altra famiglia che mi aspetta a casa, sarà per un’altra volta, magari vengo su, un giorno della prossima settimana’

‘Ok non voglio stravolgere la tua vita, è giusto che sia così, un passo per volta. Comunque lasciami il tuo numero di cellulare e io ti do il mio, così rimaniamo in contatto.’

‘Si va bene, dammi il tuo così ti faccio uno squillo e ti rimane il mio memorizzato’

Mi dettò il suo numero che io memorizzai immediatamente sul mio telefonino, poi lo composi e sentii la suoneria della sigla di Zelig, suonare. Lei premette alcuni pulsanti sul suo super telefono tecnologico e mi registrò come ‘Emafiglio’ . Ci salutammo sulla soglia della porta di casa e poi ancora fuori, sul marciapiedi , in prossimità del cancelletto. Lei mi abbracciò, stringendomi a sé con affetto ed io ancora una volta, dimenticai che lei era mia madre. Ancora il suo corpo appiccicato al mio, ancora una erezione flash, ancora il suo pube a contatto con la mia dura virilità. Non avrei voluto mai lasciarla, ma, a malincuore, mi staccai da lei, il mio viso paonazzo, a testimoniare il mio imbarazzo, il suo sorriso e le sue mani che ancora chiudevano la impalpabile vestaglia, poi le nostre labbra si incontrarono per uno schioccante bacio a stampo. Le nostre mani unite, con le dita incrociate fra di loro, che si staccavano al rallentatore, scivolando via. Mi avviai alla macchina e mi voltai verso di lei molte volte, la trovai sempre sorridente a salutarmi, agitando, con grazia tutta femminile, la sua mano destra, protesa verso l’alto. La seguii ancora con lo sguardo fisso sullo specchietto retrovisore, la vidi ancora sporgersi per salutarmi. Poi la macchia rosa della sua veste da camera. scomparve, lasciandomi un vuoto dentro e una terribile erezione fuori.
Non feci cenno a Nicoletta e a Michele del mio incontro, ero indeciso, dubbioso, non sapevo se confessare ai miei genitori adottivi, l’incontro avvenuto tra me e la mia vera genitrice. Telefonai quella stessa sera al Monica, la mia ragazza, e a lei dissi la vera verità. Lei dolcissima, mi consigliò di rivelare l’incontro a coloro che, comunque avevano il sacrosanto diritto di sapere la verità.
In settimana, ho pensato spesso a mia madre e la vedevo sempre nuda, bella e desiderabile, spesso mi chiudevo in camera mia e mi masturbavo lentamente, pensando di possederla, di leccarla e baciarla dappertutto. Ho immaginato di metterglielo nel culo con forza di schizzare la mia sborra sul suo viso e dentro la sua bocca. Almeno una decina di volte schizzai il mio sperma con getti potenti e soprattutto abbondanti e densi. Mi accorsi che se pensavo a lei le sborrate erano più abbondanti, mi eccitava moltissimo e io passavo le mie giornate con il cervello e il cuore pieni di lei. Ai miei genitori adottivi, non riuscivo a dire che avevo conosciuto mia madre quella vera. Mi trovai a tavola con loro, praticamente tutte le sere, e molte volte ero lì per dirglielo e poi tutto ritornava dentro di me. Il venerdì invitai Monica a casa mia affinché mi aiutasse a dichiarare questa situazione ai miei. Così avvenne e fu inizialmente, specie da parte de mio burbero padre, una esplosione, un fulmine a cielo sereno, una sonora e violenta tempesta. Le voci salirono aspramente di tono, ma poi un po’ per volta si placarono e grazie alla presenza di Monica, mio padre divenne più conciliante. Spiegai loro di questa mio desiderio di sapere chi erano i miei genitori biologici e chiarii che questo non avrebbe cambiato nulla, nel rapporto che io avevo con loro. Mamma Nicoletta, mi abbracciò e mi coccolò e anche Michele si fece più accondiscendente, mi diede una pacca sulle spalle e come sempre se ne andò in salotto a vedere la televisione.
Monica ed io lasciammo mia madre a sbrigare le faccende ed entrammo in camera mia. Mi liberai dei vestiti e rimasi nudo, poi indossai una tuta leggera e un paio di ciabatte della Nike. Monica aprì il mio armadio e scovò nei cassetti una mia t-shirt e un pantaloncino giallo che io usavo per allenarmi a calcio. Uscimmo dalla camera e passando davanti a mio padre, già mezzo addormentato, aprimmo la porta-finestra che dava sul grande terrazzo esterno e ci sedemmo, uno a fianco dell’altra, sul dondolo e abbracciati, iniziammo a farci coccolare dal dolce dondolio.
Monica era, quella che si può definire, una bella fighetta, delicata, piccola, morbida, dolce fanciulla.
Le mie mani accarezzavano delicatamente il suo corpo acerbo di diciottenne in fase di evoluzione. Lambii le sue tettine e i suoi capezzoli mi risposero ergendosi e puntando contro la maglietta. Gliela sollevai e mi sporsi verso il suo seno, iniziando a leccare e succhiare, quasi a volergli allungare ancora di più i capezzoli. Mentre ero intento, a portare avanti questa operazione, ebbi un flash e il mio cervello visualizzò le grosse tette di mia madre Cinzia. Toccavo Monica ma il corpo che toccavo in quel momento non era il suo ma quello di mia madre. Mi eccitai di più infilando la mia mano sotto i larghi pantaloncini e le mie dita scivolarono dentro la figa della mia giovane ragazza.
Ancora mi comparve la figa di mia madre, sognavo di possederla e difatti spogliai Monica e tenendola sul dondolo mi misi un cuscino sotto le ginocchia e glielo infilai in figa. Mi feci aiutare dal movimento del dondolo e la scopai restando praticamente fermo. Un paio di volte il mio cazzo fuoriuscì del tutto dalla fighetta di Monica e rientrò immediatamente al volo, fino alla radice. Mia madre era lì sul dondolo e io me la scopavo. Il mio corpo era occupato con la mia giovane ragazza mentre la mia mente penetrava mia madre Cinzia. Compresi che Monica stava per venire e accelerai i movimenti del dondolo, forzando il mio cazzo duro nella sua figa fradicia, fino alle palle.
Venne con gemiti soffocati nello stesso secondo in cui, la mia sborra, schizzava dentro di lei riempiendogli la figa. Lo tenni dentro un po’ poi lo sfilai con un ‘plop’ come quando si stura una bottiglia di vino. Gliela leccai raccogliendo la sborra mia e il liquido suo, poi come d’abitudine, ci scambiammo con le nostre lingue i liquidi appena prodotti e ognuno di noi ingoiò la sua porzione di nettare.
La settimana finì senza altre scosse, ma al lunedì mentre io me ne stavo ancora nel letto a dormicchiare, il mio cellulare suonò e io vidi scritto Cinziamamma. Risposi”.

‘Pronto??….’

‘Ciao Emanuele, sono la mamma, Cinzia per capirci”.’

‘Ciao mamma, ti ho pensata tanto, e anche il mio pisello ti ha pensata moltissimo…….’

‘Anche io amore mio’..ti ho pensato e anche la mia patatina ha avuto dei pensieri porcelli su di te. Comunque volevo solo chiederti se avresti voglia di tornare a trovarmi, così conosci anche il tuo papà e i tuoi fratelli’..’

‘Si mamma, ora non ci sono più segreti, l’ho detto anche ai miei genitori adottivi”’

‘Se vuoi, noi saremo contenti di conoscerli, se a loro sta bene”’

‘Mamma, gliene parlo, però io ho anche un fratello, che tra l’altro è un ragazzo di colore, e poi”.non vorrei approfittarne, ma io ho una fidanzatina, Monica e”.’

‘Emanuele, hai visto la nostra casa, che poi è anche la tua, è molto grande e non abbiamo problemi ad ospitare gente. Poi anche i tuoi fratelli e le tue sorelle hanno delle fidanzate e fidanzati quindi, non ti preoccupare. Ah poi volevo dirti, non siamo razzisti, quindi nessun problema per tuo fratello!!’

‘Allora senti mamma, credo che tanto prima di sabato sera, la cosa non sia realizzabile, per voi andrebbe bene?’

‘Si perfetto, sabato sera è perfetto’.’

‘Mami, ci aggiorniamo, io chiedo, domando e mi interesso poi ti faccio sapere, magari domani o dopo domani al massimo”

‘Ok aspetto la tua chiamata”

‘Baci mamma a presto..’

‘Ti abbraccio amore mio.. a presto’.’

Parlai con Nicoletta e Michele e dopo mille tentennamenti, acconsentirono. Monica disse che andava bene e anche Mohamed fu d’accordo. Il mercoledì chiamai mia mamma Cinzia e le confermai la nostra visita.

Trascorsi dei lunghi giorni di febbrile attesa, non capivo cosa mi attirasse verso la mia vera mamma e verso la sua famiglia. Non comprendevo, se era stata una specie di normale attrazione verso una bella donna, oppure se questa attrazione fosse sentimento vero, verso la mamma, che nonostante l’affetto e l’amore a me dimostrato dai miei genitori adottivi, era pur sempre sangue del mio sangue.
La nostra comitiva, si mise in moto il sabato sera verso le diciotto. Salimmo tutti sulla macchina di papà Michele e dopo aver impostato il ‘tom-tom’ partimmo. Giungemmo puntuali, alle diciannove, sotto casa della mia famiglia vera. Fui io, naturalmente a premere il pulsante di ottone e attendemmo di sentire la voce di qualcuno. Una voce maschile, rispose al citofono e io comunicai il mio nome. Lo scatto della serratura elettrica fu immediato e prima che noi superassimo i pochi metri, che ci separavano dalla porta di casa, si affacciò sulla soglia un uomo di circa quarant’anni capelli grigi, molto alto, sul metro e novanta, che sorridente e affabile mi salutò abbracciandomi forte.

‘Ciao Emanuele, benvenuto a casa tua, io sono tuo padre ‘.’

‘Ciao papà, finalmente ti conosco”

Poi, ci sciogliemmo dall’abbraccio e iniziammo le dovute presentazioni. Conobbi così i miei due fratelli e le mie due sorelle. Le femmine erano molto simili di viso e di corpo a mamma Cinzia, mentre i maschi avevano ereditato le caratteristiche di mio padre Massimo.
Le due ragazze mi presentarono i fidanzati’..

‘Piacere Marco’..’

‘Piacere Gigi’..’

‘Io sono Emanuele, il vostro nuovo cognato eh, eh, eh’.’

La mamma era vestita con un tailleur blue, giacchetta corta con sotto una camicetta bianca, scollata sul fantastico seno. La gonna invece era corta con uno spacchetto centrale davanti e uno simmetrico dietro. Si era truccata in modo leggero, non volgare ed era bellissima e desiderabilissima.
Dopo la visita di tutta la comitiva alla casa, lei, che aveva preso il comando delle operazioni, ci assegnò i posti a tavola e magicamente comparvero dalla cucina due cameriere che provvidero a servirci la cena. La mamma Nicoletta era parecchio imbarazzata e stava vicina a Michele, scusandosi con i gesti e il comportamento per la evidente differenza sociale tra le due famiglie.
Ma, a questo punto, io ero un ragazzo povero oppure ero un ragazzo ricco? Non sapendo come risolvere il quesito, pensai ad altro e cominciai a rispondere alle mille domande che mi venivano poste. Michele, che si era presa una bottiglia di ‘Brunello di Montalcino’ e se la teneva vicina al bicchiere, ogni tanto ne versava un po’ a mamma Nicoletta e un po’ lo mesceva per se stesso. Dopo una mezz’oretta, durante la quale si mangiò una quantità industriale di antipasti, arrivò finalmente il primo, anzi, uno dei primi. Anche mio padre Massimo si stava dando da fare a svuotare la sua bottiglia di Brunello. Dopo un periodo di tempo, nel quale, tutti, rispettosamente parlavano sottovoce, i toni della conversazione si erano fatti più alti e le risate sonore avevano preso il sopravvento sulle battute pacate precedenti. Forse il vino buono, stava facendo il suo effetto, scaldando gli animi e non solo quelli. Mio padre Michele aveva perso la sua serietà abituale e si dava di gomito con l’altro mio padre. Anche mia madre, stava stranamente facendo amicizia con Cinzia e le due donne chiacchieravano con una certa vivacità. Quando arrivò in tavola il caffè, erano in molti che avevano abbandonato il tavolo e se ne stavano abbandonati sui divani, distrutti dalla montagna di cibo e di vino che avevano ingurgitato fino ad allora. Io ero uno dei pochi che durante l’intera cena, aveva cercato di assaggiare qua e là senza esagerare e anche con il vino ci ero andato piano. Mi accorsi che le mie sorelline, se ne stavano sedute sulle ginocchia dei fidanzati, mostrandomi con estrema naturalezza le mutandine sotto le gonne corte. Cinzia era parecchio alticcia pure lei e la camicetta, prima scollata, ora era molto più scollata di prima e le tettone vibravano ad ogni risata, rischiando la fuoriuscita dei capezzoli dal bordo dell’indumento.
Monica, mi stava vicino ma non era riuscita a evitare che il Marco, il fidanzato di Lucia, gli versasse continuamente da bere, e quindi anche lei era parecchio brilla e se ne stava seduta con le gambe mezze aperte mostrando sicuramente le mutande di solito poco coprenti.
Ad un certo punto Massimo, si alzò un po’ barcollante dalla sedia e si avvicinò ad uno stereo della Pioneer e pigiò un pulsante, nell’aria si diffuse immediatamente una musica dolce e suadente. Qualcuno si alzò e spostandosi in una zona libera dell’enorme salone, si mise a ballare con il proprio partner. Un po’ per volta si formarono le coppie e quasi tutti si cimentavano nell’eseguire i vari balli, dai più recenti a quelli classici e datati. Ballai anche io, prima con Monica poi con mia sorella Lucia, la più giovane di noi. Mi parve che mi guidasse apposta verso un grosso pilastro che stava verso il fondo della sala. Scomparimmo alla vista di tutti, nascosti dalla colonna, lei mi strinse di più aderendo volutamente al mio corpo, io, ingenuamente, gli parlavo all’orecchio cercando di sovrastare la musica. Aveva lo stesso corpo e le identiche tette della mamma, glielo dissi e lei si aprì la camicetta mostrandomele con orgoglio. Lui, ovvero l’essere che viveva di vita propria dentro alle mie mutande, si sollevò, pronto all’uso. Lei che stava attaccata a me come una cozza allo scoglio, lo sentì contro il ventre e mi guardò con lo sguardo velato di desiderio. La sue mani fino ad allora abbracciate e allacciate al mio collo si disgiunsero e la mano destra scese fra di noi a impugnarmi da sopra i pantaloni leggeri, il cazzo duro. Fu il mio turno a guardarla fisso negli occhi, con lo sguardo velato e lussurioso. Le infilai anche io la mano destra sotto la camicetta abbrancandogli il seno sinistro. Io gli pastrugnavo le tette e lei mi accarezzava a mo’ di sega il cazzo. In un momento di passione così intenso, ebbi la capacità di svegliarmi dal sogno e allontanare la mano rapidamente e staccarmi da lei. Ora non eravamo più appiccicati e io la guardai respirando velocemente, lei ricambiò lo sguardo ma mi riabbrancò come una piovra e questa volta sentii le labbra aperte contro la mia bocca, la sua lingua forzò le mie labbra chiuse e vi si introdusse. La baciai, non capii più nulla, vidi che dietro al pilastro vi era una porta. Mi trovai con lei addossata alla porta e io davanti a lei, poi chiuse a chiave e la camicetta volò sul pavimento, seguita a ruota dalla gonna. Rimase in perizoma nero di pizzo trasparentissimo. Quando si accucciò davanti a me aprendomi la patta dei pantaloni, dichiarai la resa assoluta, smisi di resistere e lasciai che le sue labbra di velluto avvolgessero la mia cappella e la aiutai a prendermelo tutto in bocca. Io avevo un cazzo normale come diametro, ma decisamente lungo e lievemente arcuato verso l’alto. Lucia, si alzò lasciandomi il membro vibrante e gocciolante, si sfilò abilmente le mutandine e arretrando si abbandonò sul letto. Le cosce spalancate, la figa completamente depilata, era lì, si offriva a me a suo fratello per farsi penetrare. Mi spogliai nudo anche io e mi sistemai fra le sue gambe aperte, quando il cazzo si avvicinò al suo roseo orifizio, lei sollevò il bacino e si fece penetrare fino in fondo. La scopai, senza alcun preliminare, fino a quando lei iniziò a gemere più forte, il suo bacino si sollevava al ritmo dei miei colpi, finché capii che stava per godere, fu un orgasmo fisicamente movimentato, ma quasi silenzioso. I suoi gemiti erano controllati, soffocati, strozzati. Poi la vidi, inanimarsi, spegnersi, attendendo solo più il mio piacere. Mi tolsi schizzandogli sul ventre e sulle tette. La pulii dallo sperma usando le sue mutandine. Poi lei mi invitò nel bagno della camera e lì ci lavammo per bene. Ci rivestimmo e raggiungemmo gli altri che continuavano a ballare e che non si erano nemmeno accorti della nostra assenza. Monica, abbandonata sul divano dormiva della grossa. Lucia prima di andare dal fidanzato mi sussurrò”

‘Sei stato grande fratello mio!’

‘Anche tu sei stata fantastica, sorellina mia’..’

Cercai con lo sguardo mio fratello adottivo Mohamed e non lo vidi da nessuna parte, mi sedetti su una poltrona libera e feci mentalmente la conta. Mancavano infatti all’appello mio fratello vero Bruno e quello adottivo Mohamed. Mi alzai in piedi e con aria indifferente, infilai il lungo corridoio della zona notte e lo percorsi aprendo le porte delle camere da letto. Nell’ultima camera, sentii dei versi un po’ strani e incuriosito abbassai la maniglia della porta. La scena che si presentò ai miei occhi, fu sbalorditiva. Mohamed era completamente nudo sdraiato sul letto a cazzo dritto mentre Bruno, nudo pure lui, stava, alla pecorina., in mezzo alle sue gambe e si stava dando da fare con un pompino tipo gola profonda. Era incredibile come riuscisse a ingoiare tutto il cazzone di Mohamed. Il suo corpo d’ebano sussultava ogni volta che le labbra di mio fratello, quello di pelle bianca, arrivavano a toccargli i peli del pube. I due non si erano nemmeno accorti della mia presenza ed io mi avvicinai alla porta per uscire, ma poi cambiai idea, più silenziosamente possibile, ritornai sui miei passi. Mi avvicinai a loro e tirai fuori dai pantaloni il mio cazzo, poi infilai la mano destra fra le gambe aperte di Bruno e gli presi in mano le grosse palle. Si voltò di scatto e mi vide, mi sorrise e poi, come se nulla fosse, si rimise a lavorare di buona lena con il grosso e lungo cazzo nero. Il membro di Bruno dapprima molle al contatto della mia mano si era indurito, io mi tolsi i calzoni e mi inginocchiai sul letto dietro di lui. Lo insalivai per bene penetrandolo con un dito, lui non fece alcuna obiezione e lasciò fare. Anche quando la mia cappella si fece strada dentro al suo culo, non si lamentò, anzi usando entrambe le mani si allargò per bene le chiappe. Lo inculai a fondo e lo segai passandogli una mano davanti. La sua sborra mi riempì la mano destra e colò sul copriletto, io mi portai alla bocca la sua densa crema e la leccai ingoiandola golosamente. Sentii Bruno annaspare con il cazzo in bocca e compresi che Mohamed aveva provveduto a sborrargli in bocca. Un brivido mi percorse il corpo, quando mi sentii sfiorare la schiena. Mi voltai di scatto e dietro di me, mamma Cinzia mi accarezzava la pelle del dorso per scendere fino alle natiche. Arretrai il bacino e il mio cazzo duro e impennato fuoriuscì con un sonoro plop dal culo di Bruno. Scesi dal letto e mi misi in piedi e lei, la mia Dea, si accucciò davanti a me e me lo prese in bocca, tenendomi le palle in mano me le stringeva dolcemente e mi ingoiava il cazzo fino a farselo penetrare in gola. Non riuscii a trattenermi a lungo e dopo pochissimo tempo, schizzai tutta la sborra che avevo nei coglioni, dentro la sua bocca accogliente. Lei me lo pulì per bene, e lo munse per raccogliere le ultime gocce di liquido che fuoriuscivano dal meato. Si sollevò e mi accarezzò il viso, mentre le mie mani insaziabili si infilavano sotto la camicetta ad accarezzargli il seno. Lei mi allontanò dicendomi che purtroppo di là avrebbero notato la nostra assenza. Si sistemò la camicetta, mi posò due dita sulla bocca e se ne andò. Anche io e gli altri ci risistemammo gli abiti addosso e uscimmo per raggiungere l’allegra comitiva in sala.

La festa continuò fino a notte inoltrata e molte altre situazioni si verificarono quella sera”’

Nel prossimo racconto se ne vedranno delle belle””.

Buon sesso a tutti Ombrachecammina

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