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135 – Suor Benedicta, i segreti lesbici e incestuosi del convento

By 25 Febbraio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Ero Suor Benedicta, oggi, sono diventata la Signora Clara, ho compiuto da poco i quarant’anni e mi sono allontanata dalla mia missione monacale. L’ho fatto per molti motivi, in convento, mi mancava la libertà, mi mancava il contatto con la gente e mi mancava soprattutto il sesso con gli uomini.
Vi racconto la mia storia.
Ero ancora una ragazzina, quando il più bello della scuola, dopo una corte assidua ed assillante riuscì a portarmi a letto. Rimasi incinta e lui per niente felice della cosa, mi disse che avrei dovuto abortire. Mi feci convincere e di nascosto dai miei genitori, mi recai al consultorio che nel giro di pochi giorni mi fece il raschiamento privandomi dell’embrione del mio bambino. Dopo, lui, ipocrita e vigliacco, mi disse che la nostra storia era finita.
Io, pazzamente innamorata, lo supplicai piangendo, l’aspettai fuori dalla scuola, tutti i santi giorni, ma lui, non mi vedeva più, era come se io non esistessi. Stupida ragazzina, un giorno rimasi un paio d’ore sulla balconata di un altissimo ponte, incerta se buttarmi oppure no, poi, in quel momento, ebbi la folgorazione, pensai che invece di buttare via la mia vita, avrei potuto dedicarmi al prossimo e diventare suora.
Terminai l’anno scolastico e a settembre di quell’anno, mi recai nel convento delle monache ‘Carmelitane scalze’ e chiesi cosa dovevo fare per diventare suora.
Mi fecero entrare e mi ricevette la ‘Priora’, mi fece accomodare nel suo ufficio, arredato in modo spartano, un tavolo in legno massiccio privo di orpelli dietro al quale vi era una sedia con le rotelle, imbottita e ricoperta in pelle nera per la verità parecchio consunta. Davanti al tavolo due sedie normali, la priora mi fece accomodare su una di queste sedie e io aspettando che lei mi parlasse potei ammirare di fronte a me, una enorme libreria a muro stracolma di volumi rilegati sui dorsi dei quali si leggevano delle scritte in oro zecchino.
Mi subissò con mille domande ed infine mi diede dei fogli dov’erano scritti tutti i vari gradi che mi separavano dal divenire una vera suora. Mi rammento che quel giorno, una volta uscita all’aria aperta, mi sentivo estremamente felice, ero sicura e consapevole di fare la cosa giusta, mi era anche piaciuto l’ambiente del convento, l’aria che si respirava, i toni pacati della voce che le suore usavano per parlare fra di loro, il silenzio incredibile, che si percepiva quasi assordante all’interno di quelle mura.
Seduta sull’autobus che mi stava portando a casa, lessi il foglio che mi aveva dato la superiora.

Quando ti rendi conto che sei amata da Dio, vorrai rispondere a questo amore. Chiedi al Signore: Che cosa vuoi da me? Ascolta questa voce misteriosa, pian piano riuscirai a comprenderla, a distinguerla, quindi pondera e quando riconosci che puoi realizzare tale vocazione nella comunità delle Suore Carmelitane Scalze, vieni e fa i seguenti passi.

Vieni in una delle nostre comunità come aspirante. Vieni e osserva. Durante il periodo dell’aspirantato, puoi frequentare la scuola, lavorare in qualche istituzione, ecc.

Dopo alcuni mesi oppure dopo un anno, dipende dall’età, dagli anni scolastici e da altri impegni, vieni accettata nel postulantato che dura 6 mesi oppure un anno. E’ il periodo durante il quale puoi conoscere meglio la nostra vita, ti inserisci nella nostra vita e verifichi la tua decisione.

Se ti convinci che questa è la tua vocazione, chiedi di entrare in noviziato che dura uno o due anni. Durante questo periodo rinsaldi la tua unione con il Signore che ti ama, ti rafforzi nella tua decisione e conosci concretamente la via per seguirLo nella vocazione religiosa.

Al termine del noviziato, con i voti di povertà, castità e obbedienza ti doni totalmente al Signore e alla comunità religiosa. Come segno di questa totale donazione, ricevi l’abito religioso. Nella tua crescita e maturazione spirituale di religiosa ti aiuta la formatrice; con dedizione compi la missione che ti viene assegnata oppure continui gli studi. Ogni anno rinnovi la professione religiosa, con cui confermi la tua fedeltà.

Dopo 4 o 6 anni emetti la professione perpetua, confermando per sempre la tua fedeltà a Dio e diventi ufficialmente suora.

Pensai che avevo molto tempo per prendere la giusta decisione, e di questo ne fui nuovamente felice. Non era come comprare un vestito, che dopo averlo acquistato, una volta a casa te lo misuri e guardandoti bene, ti accorgi che non ti piace affatto, ma ormai non puoi più portarlo indietro, qui c’era moltissimo tempo per cambiare idea e ritornare sui propri passi.
La sera stessa, tutta raggiante, comunicai la notizia ai miei genitori, fu come un fulmine a ciel sereno. Fu come se avessi detto loro che avevo deciso di fare la puttana. Mio padre si adoperò fino alla noia, per convincermi del passo sbagliato che stavo per compiere, la mamma, anche se un briciolo più accondiscendente, mi disse che comunque il sesso poi mi sarebbe mancato. Insomma, secondo la loro visione della vita, e anche per la enorme conoscenza che avevano della mia persona, mi fecero chiaramente intendere che stavo imboccando la strada sbagliata. A quella età si è fin troppo cocciuti e senza nemmeno terminare la cena, mi buttai sul letto in camera mia e convinta che la ragione stesse ampiamente dalla parte mia, piansi per una buona mezzora. Verso le tre di notte, con lo stomaco aggrovigliato dai morsi della fame, uscii e al buio raggiunsi il frigorifero, prelevai un grosso pezzo di parmigiano e lo misi su di un piatto, quindi frugai nella dispensa e prelevai una pagnotta, quindi una bottiglia d’acqua e ancora nella stanza a spiluccare e a meditare per la notte intera. Al mattino, mi alzai e mi accorsi che la notte non era riuscita a farmi cambiare idea e così, ostinata e caparbia, mi preparai una buona colazione e mi avviai al convento. Giunsi che erano le nove, la suora anziana mi aprì il pesante portone e mi fece entrare. Ancora dalla priora, che volle sapere cosa avessi deciso. Le dissi che ci volevo provare e che volevo continuare a studiare fuori e a venire in convento per il periodo di aspirantato.
La priora mi fece accompagnare da una bellissima suora, di recentissima nomina, a visitare l’intero convento.
L’ambiente non era male, immaginatevi una grossa cascina immersa nel verde.
Un grande giardino, curato in modo meticoloso, siepi di alloro, aiuole di fiori e alcuni sentieri ghiaiosi che serpeggiavano in mezzo al verde. Non era però un giardino tipo quelle ville chic dei ricchi, era semplicemente un posto dove si comprendeva chiaramente che molte mani si erano adoperate per dargli un aspetto così perfettamente in ordine. In fondo, si vedeva una rete che delimitava l’ampio orto e un po’ più in la un ampio recinto dove alcune galline razzolavano tranquille. Dietro, all’interno di una specie di scuderia si intravedeva la testa di un cavallo e po’ più in là alcune vacche brucavano il prato incolto. Mentre passavo, notai un giovane stalliere e un uomo che dall’aspetto pareva un contadino che lavoravano a spargere del letame.
Attorno al perimetro interno del convento, si trovava un porticato con alcuni passaggi che davano sbocco dentro al giardino stesso. Passando sotto a quegli archi mi venne in mente quei film dove i preti passeggiando con in mano il breviario per le preghiere.
Suor Felicina, mi guidò poi verso una porta in ferro battuto lavorato a mano, con la parte in basso in un unico pezzo e la parte superiore formata da arabeschi sempre in ferro battuto dietro ai quali si vedeva un bellissimo vetro a cattedrale che raffigurava al centro Santa Rita da Cascia. Entrammo e ci accolse un corridoio illuminato con lampioncini che emanavano una fioca luce gialla. Mi condusse alla sua cella e così per la prima volta in vita mia vidi una cameretta di una suora. Un letto grande da una piazza e mezza, un, un salottino con la tv e un piccolo bagno privato con all’interno il solo wc.
Uscimmo da quel corridoio e la giovane suora mi fece visitare le parti comuni. Sulla destra una grande cucina molto attrezzata dove un paio di suore con i grembiuli azzurri stavano cucinando un grosso pentolone che profumava di minestra di verdure. Subito appresso la sala da pranzo, con un tavolo lunghissimo che alcune suore stavano apparecchiando già per mezzogiorno. Le vidi stendere una tovaglia completamente bianca come la neve.
Un salotto con alcuni tavolini e delle sedie, sulla parete di fronte, un televisore moderno, extrapiatto che a occhio mi pareva essere sui cinquanta pollici. Svoltando a destra una camera con molti mobiletti e delle panche e Felicina mi disse che li c’era lo spogliatoio.
Notai , lungo la panca, un paio di armadietti aperti di fronte ai quali, sulla panca, si vedeva le vesti da suora diligentemente piegate. Proseguimmo e lei aprì una porta a vetri mostrandomi le docce. Una sfilza di più di trenta docce comuni, piastrellate in azzurro fin quasi al soffitto, un paio di queste docce erano in funzione e sotto ai getti d’acqua fumante, due sorelle completamente nude si stavano lavando. Percorremmo ancora il corridoio e trovammo alcune porte in legno massiccio, la prima dava accesso alla sala riunioni, la seconda ad una sala che usavano per fare catechismo, quindi alcune aule scolastiche, i bagni per dette aule e infine un salone immenso destinato all’oratorio. Molti ragazzini e ragazzine, bambini e bambine controllati da un paio di suore parecchio anziane. Con il giro che avevamo fatto eravamo in pratica giunte dalla parte opposta del giardino e Felicina aprì una porta in ferro battuto identica a quella precedente e mi mostrò un area esterna dove c’era un campo per la pallavolo e altri spazi per lo svago e la ginnastica. Rientrammo e salimmo una scala di circa dieci scalini che ci condusse di fronte alla chiesetta del convento. Ci affacciammo e sull’altare un prete sui quarant’anni stava dicendo messa per una trentina di suore, che con un ronzio incessante pregavano con le mani giunte.
La mia guida, mi confessò sottovoce, che vi erano un paio di altri locali riservati alle riunioni tra la priora e il vescovo o comunque alle autorità ecclesiastiche, che non si potevano visitare.
Mi dissero poi che sarei dovuta tornare quattro giorni dopo per l’inizio della scuola, un professore si sarebbe occupato di me e di altre cinque aspiranti suore, tra le quali c’era anche Felicina.
Durante l’anno scolastico successero però un paio di episodi che in qualche modo mi fecero riflettere.
Nel periodo di Natale, mi chiesero se volevo trascorrere le vacanze scolastiche all’interno del convento per vivere appieno la vita monacale. Ne fui entusiasta e così salutai i miei, mi preparai la borsa e mi recai in convento. Al mattino, la sveglia suonava molto presto e la prima cosa da fare era la doccia. Con la sola sottogonna addosso, come da regolamento, percorsi assieme ad alcune altre suore e aspiranti suore, il corridoio e mi infilai negli spogliatoi. Mi denudai e con le ciabatte ai piedi trovai una doccia libera ed offrii il mio corpo al massaggio dei getti, non troppo caldi, dell’acqua. Al mio fianco, nonostante che ci fossero decine di docce libere, si venne a piazzare una suora che poteva avere sui venticinque, ventisei anni. Aveva in verità un bellissimo corpo, armonioso e tonico. Tette pesanti ma abbastanza sollevate, un fitto e misterioso intrico di peli scuri che gli adornavano ampiamente il pube e che scomparivano fra le sue gambe lunghe e ben fatte. Si chinò un paio di volte per lavarsi bene i piedi e notai che aveva un culetto veramente fantastico. Mentre sfregavo energicamente il mio corpo con le mani intrise di bagnoschiuma, notai che parecchie volte lei mi osservava di sottecchi. Terminai la doccia e ciabattando un po’ tornai negli spogliatoi che nel frattempo si erano riempiti. Dopo pochi secondi, sentii aprire l’armadietto di fianco al mio, mi voltai e la ragazza di prima era lì vicina a me meravigliosamente nuda. Una piccola avventura con una mia compagna di scuola l’avevo avuta, ma era stata una cosa molto innocente, qualche bacio e un delicatissimo ditalino reciproco. Da quella volta la mia attività con esseri appartenenti al mio stesso sesso erano terminate. Non che l’esperienza mi fosse dispiaciuta, anzi era stato molto bello e poetico farlo con la mia amica e devo dire che mi è sempre rimasto un ottimo ricordo di quell’episodio di lesbismo, ma fu comunque un’unica piccola e ininfluente esperienza.
Aveva gli occhi azzurri la giovane suorina, essi mi guardavano piantandosi dritti, dritti nei miei.
Mi chiese timidamente il mio nome, le risposi che mi chiamavo Clara, lei si presentò come Suor Clotilde, mi disse che da poco aveva confermato i voti e che da sei mesi era ormai una suora. Mi parlava, in piedi vicinissima a me e mi guardava ancora fissa negli occhi. Volle sapere se ero nuova e mi chiese quanti anni avessi. Le dissi che ne avevo quasi venti e lei ne dichiarò ventisette. Mi chiese se dormivo in convento e le spiegai l’esperimento delle vacanze natalizie come accrescimento nel percorso di divenire una suora. Ci rivestimmo e lei mi accompagnò fin davanti alla cameretta che mi era stata assegnata. Mi salutò con una fuggevole carezza sul volto e se ne andò, girandosi nella mia direzione un paio di volte prima di sparire dietro l’angolo del corridoio. La giornata trascorse tra la preghiera e alcuni momenti di socializzazione, giocammo, nonostante il freddo pungente anche a pallavolo, poi la sera la preghiera e il rosario per i morti e quindi in saletta a vedere la tv, poi tutte a nanna. In tutta la giornata Suor Clotilde mi si apprestò al meno una decina di volte. La sera mi buttai sul letto e constatai la durezza del materasso con le molle. Erano le ventitrè e sommessamente sentii bussare alla porta. Mi alzai e aprii la porta, suor Clotilde era lì che mi chiedeva di entrare. Le chiesi se non fosse proibita quella cosa, lei mi rispose di si, ma comunque entrò ugualmente. Indossava la sottogonna e il bustino di tela, mi chiese se aveva visto giusto quando le era parso di notare un certo interesse per il suo corpo. Fui sincera e le dissi che avevo notato la sua bellezza, lei allora mi rispose che a sua volta aveva notato la mia. Mi accarezzò il viso, i suoi occhi come fari puntati nei miei, poi sentii le sue mani sul mio seno nudo, la sua bocca fu contro la mia, mi baciò a lungo, anzi per essere ancora una volta sincera, devo dire che ci baciammo a lungo. Mi trovai, quasi senza accorgermene, per traverso sul letto, il suo corpo, libero da indumenti, sopra il mio, mi accorsi che le mie mani percorrevano la sua schiena, lungo la colonna vertebrale, percepii i suoi intensi brividi ed io risposi con i miei fremiti di piacere. La bocca sua sulla mia intimità eccitata, la lingua che mi scandagliava gli anfratti più nascosti, era brava, leccava la mia fighetta sul clitoride, le sue braccia tese in alto mi torturavano dolcemente i capezzoli stramaledettamente duri ed eretti. Sentii un umido calore invadermi il ventre e non capii più nulla, incrociai i piedi sulla sua schiena e la tenni prigioniera, forse per evitare che smettesse.
Dopo la scelta di vita di abbracciare la vocazione monacale e di sposare Dio, avevo anche scelto di essere casta e pura, avevo evitato persino la masturbazione. Erano almeno quattro mesi che non venivo e quando l’orgasmo arrivò credetti di morire, il mio corpo fu scosso da inspiegabili convulsioni, il mio bacino si sollevò moltissime volte mentre la stringevo fortemente a me premendole il capo fra le mie cosce spalancate. Non mi chiese di ricambiare e fece per andarsene soddisfatta del risultato ottenuto. Io la trattenni, le dissi di sdraiarsi e lei lo fece, passai la mia lingua su tutto il suo corpo, centimetro dopo centimetro partendo dai piedi e risalendo fino al collo, dietro le orecchie, e poi a scendere giù sulle sue splendide colline e ancora più in basso, cercando con la punta della lingua di districare il suo foltissimo vello, gliela leccai con la punta della lingua dentro alla figa fradicia. Passai il dito pollice sul clitoride, che sporgeva fremente fuori dal suo minuscolo prepuzio, sfregandolo mentre con la lingua leccavo ancora la sua apertura vermiglia. Insinuai le mie mani sotto le sue natiche tenendogliele sollevate. Le valve della sua ostrica aperta, erano esposte, oscenamente offerte e lucide di umori vaginali. Muoveva il capo sul cuscino sbattendolo ripetutamente a destra e a sinistra, leccai ancora e sfregai il suo bottoncino eccitato, fin quando anche lei raggiunse l’orgasmo. Gridò forte e temetti che avesse svegliato l’intero convento. Venne ancora ponendosi una mano sulla bocca soffocando i suoi urletti goderecci. Velocemente si rivestì e aprì l’uscio, mise la testa fuori e mi salutò allontanandosi precipitosamente. Il brutto di questa situazione venne dopo, quando presi coscienza di aver mandato a monte tutti i miei propositi. Mi vestii e uscii, era l’una dopo mezzanotte e trovai comunque la chiesetta aperta. Entrai e mi inginocchiai al primo banco, pregai a lungo, poi mentre stavo per andarmene, sentii una presenza inquietante dietro di me, mi voltai e vidi una suora sui quarant’anni, che mi osservava, poi con voce calda e suadente mi chiese se il mio peccato era stato così grande. Non parlai ma feci cenno di si con il capo, lei mi posò una mano sulla spalla e mi disse che il percorso era molto duro, pieno di ostacoli e salite impervie, che pregando avrei trovato la pace nella mia anima. Mi disse anche che i peccati che si potevano fare in un convento non erano molti e quei pochi si conoscevano benissimo.
Mi chiese chi era l’altra suora, io mi alzai dall’inginocchiatoio e senza parlare me ne andai.
Con la mia amica, amante Clotilde non successe più nulla, più per volontà mia che per la sua. Credetti di aver risolto il problema e a Gennaio continuai il mio percorso, ma il giorno del lunedì Dell’ Angelo ripiombai nel peccato più nero. Ricordo che era una giornata tiepida, i primi raggi di sole primaverili rendevano l’aria frizzante ed estremamente piacevole. Passeggiavo lungo i sentieri ghiaiosi ed arrivai fino alle scuderie, il cavallo era dentro al suo box e la sua magnifica testa spuntava fuori, mi avvicinai e lo accarezzai, lui si fece accarezzare senza problemi, poi una voce maschile dietro di me, mi girai di soprassalto e vidi lo stalliere. Era proprio carino, io abbassai timida lo sguardo e scusandomi cercai di andarmene. Lui mi chiese:

‘Suor???’

‘Clara’

‘Ah Suor Clara, che giovane suora!! Io sono Giorgio lo stalliere’

‘Ah si piacere, ora dovrei rientrare in convento’

‘Aspetta un attimo, tranquilla mica ti mangio!!’

‘No, sono tranquillissima ma devo rientrare..’

‘Ti faccio vedere il cavallo da vicino vuoi?’

‘Si, grazie, ma solo un attimo, poi veramente devo andare..’

‘Mamma mia che fretta!!’

Aprì la porta del box e fece uscire il cavallo, era un gigante in confronto a me, nero come la pece, con una lunga criniera che pareva lucidata. Lui mi incoraggiò’.

‘Accarezzalo, non ti mangia tranquilla”

Lo accarezzai, poi lui mi chiese se volevo vedere la femmina ed io gli dissi di si, così prese il cavallo gli mise le briglie e lo portò fino a trovare la femmina.
Era una cavalla marroncino chiaro ma altrettanto bella, lei stava in un box molto più ampio e il ragazzo mi spiegò che lo spazio in più serviva per quando c’era la monta. Mi chiese se non avevo mai assistito ad una monta, gli dissi di no ma che adesso me ne dovevo proprio andare. Lui fece entrare il maschio nella posta della femmina e poi rimase a guardarli.
Vidi il cavallo mettersi dietro la femmina e vidi soprattutto il suo enorme pene. Poverina pensai io, poi lui mi disse che loro due si amavano, questo aveva stabilito la natura e che secondo lui non era giusto che una ragazza come me si sacrificasse tutta la vita invece di godersi tutto il piacere che l’esistenza le poteva dare.
Il cavallo era in piedi appoggiato alla groppa della cavalla, la teneva ferma con le zampe davanti e con il suo enorme pene cercava di penetrarla. Infine riuscì a imboccare la giusta strada e le fu dentro, le dava dei colpi profondissimi nitrendo ad ogni affondo. Giorgio mi chiese se non avevo mai visto il membro di un cavallo e io gli risposi che ero nata in città e che in effetti non l’avevo mai visto prima.

‘Anche io ce l’ho grosso sai, non come lui ma come uomo sono molto ben dotato, lo vuoi vedere?’

‘No, no, non voglio vedere niente, me ne devo proprio andare adesso!!!’

‘Non ti viene mai voglia di fare l’amore? Dai dimmi la verità!’

‘Cosa c’entra sono anch’io una donna come le altre, ma io voglio donare la mia vita a Dio’

‘Ma Dio mica ti scopa sai!! Lui non ti farà mai godere. Guarda cosa ho qui per te!!’

Lo tirò fuori ed io vidi un pisello come in vita mia non avevo mai visto nemmeno in fotografia.

‘Non hai voglia di toccarmelo?’

Io, con il viso che mi avvampava, non risposi nulla e scappai via.

Per alcuni giorni, mi sentii in colpa, come se fossi stata io a provocare lo stalliere. Pensai che anche in quell’ambiente in teoria totalmente puro, le tentazioni c’erano comunque, mi venne in mente che se quel ragazzo si era comportato in quel modo, forse, anzi, quasi sicuramente, ci aveva già provato con qualcun’altra e magari una di quelle suore pie e devote a Dio aveva acconsentito a toccare il frutto del peccato!!.

Terminarono le vacanze pasquali e io tornai a fare la spola tra il convento e casa mia. Studiai intensamente per l’intero anno scolastico e fui promossa a pieni voti, anche se per ottenere l’agognata maturità dovetti sostenere l’esame in una scuola pubblica esterna. Al termine dell’anno scolastico, ero comunque sempre abbastanza convinta di proseguire, nonostante gli episodi che vi ho appena raccontato.

L’anno seguente terminai l’aspirantato e la Priora mi chiese se volevo entrare nel periodo di postulantato. Questo periodo era sempre di prova ma non ero più libera di uscire e tornare a casa, sarei dovuta rimanere in convento per sei mesi senza mai uscire. Convinta le risposi di si e iniziai a specializzarmi, internamente al convento, studiando materie come la Teologia e la storia delle suore ‘Carmelitane scalze’. In quell’anno di convivenza forzata con le altre suore ebbi alcune esperienze alquanto particolari con delle mie consorelle e con una nuova aspirante suora. Lei proveniva dall’Etiopia, era una bellissima mulatta, non aveva casa in Italia e abitava quindi costantemente in convento. Arrivarono, anch’esse come aspiranti due gemelle romene e proprio con loro una sera ebbi una fugace avventura. Le avevano messe assieme nella stessa camera ed io quella sera ero di turno per il controllo delle ventidue. A quell’ora tutte le luci delle camere dovevano essere spente e, specie le aspiranti, dovevano essere già a letto. Passai davanti a tutte le camere del primo corridoio e aprii la porta di tutte constatando che le luci erano spente. Poi voltai nell’altro corridoio e vidi che sotto la porta della camera delle due romene, si intravedeva una lama di luce. Aprii la porta e rimasi sbigottita. Le due sorelline erano nude sul letto e si abbracciavano molto affettuosamente. Rimasi interdetta e poi mi feci sentire invitandole a spegnere la luce. Loro si voltarono e sfacciatamente mi dissero di entrare che mi dovevano parlare. Mi chiusi la porta alle spalle e chiesi loro cosa volevano.

“Gioca con noi, è bello sai?”

“Siete aspiranti suore non potete fare queste cose e poi siete pure sorelle gemelle, è incesto non ve ne rendete conto??”

“Vieni con noi sul letto, guarda che bella la mia figa!”

Teneva le cosce aperte e mi trattenne per un braccio, l’altra l’aiutò e le loro mani furono sul mio corpo, mi trovai svestita e in mezzo a loro. No, non fu una cosa involontaria, io eccitata da quei due giovanissimi corpi, accettai e fui completamente consenziente. Loro si leccarono e leccarono la mia tenera fighetta per un paio d’ore. Ci erano sicuramente abituate le gemelle a far sesso tra di loro. Uscii da quella camera tre ore più tardi, dopo due orgasmi, tutta goduta e dopo aver collaborato attivamente a far godere anche loro.
Questo fu l’inizio ma poi durante quell’anno”’

Ve lo racconterò la prossima volta’..

Buon sesso a tutti da parte di Ombrachecammina
Mail: alexlaura2620@libero.it

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