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14 – Business is business

By 23 Maggio 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Sara uscì dall’aula senza dire nulla.

La lezione di arte era di quanto più noioso potesse immaginare, inoltre in quel momento aveva ben altro per la testa.

Attraversò i corridoi deserti e si diresse verso il bar.

Come aveava immaginato, il professor Maggio era seduto al tavolino.

La sua attenzione era divisa tra il giornale e le tette di Jacqueline, la barista brasiliana.

Si accorse dell’arrivo di Sara solo quando lei si sedette al tavolino di fronte a lui.

“Oh, che sorpresa!”, disse con un sorriso. “Posso offrirti qualcosa?”.

“Sì, un caffè. Dobbiamo parlare”.

Il professore si guardò attorno, ma non c’era nessuno così vicino da sentirli.

Fece un cenno a Jacqueline, si fece portare il caffè e attese che Sara parlasse.

“Dobbiamo metterci d’accordo”, disse la ragazza.

“A proposito di cosa?”.

“Dei tuoi spettacolini, tipo quello che ho visto la scorsa notte”.

Il professore mise una mano davanti alla bocca, intimandole discrezione.

“Sara, per piacere!”.

La ragazza alzò le spalle, zuccherando il caffè.

“Di cosa vuoi parlare? – la incalzò il professore – Prima che tu ti faccia delle idee, ti avviso subito che tutte le persone che partecipano a questi….ritrovi…sono consenzienti e maggiorenni. Quindi non c’è proprio nulla da dire”.

Sara sorseggiò il caffè, lasciando che il professore continuasse.

“Anche quello che hai fatto tu l’hai fatto per chè ti andava, quindi non farti strane idee!”.

Sembrava spaventato e arrabbiato.

“Inoltre – le puntò un dito contro – ti ho vista ieri in webcam con la tua amica Carola, quindi hai poco da fare la santerellina!”.

Sara era stupita.

“Mi ha vista?”.

“Certo, ti ho anche scritto, il mio nick è Asdrubale. Ma eravate troppo intente a toccarvela per leggere i messaggi, evidentemente!”.

Sara allungò una mano verso il cavallo del professore e la appoggiò sopra.

“Sei è eccitato, prof?”.

Maggio le scostò la mano bruscamente.

“Cosa stai facendo? Senti, dimmi cosa vuoi e finiamola in fretta, che ho una lezione”.

Sara sorrise, poi divenne seria.

“Ho una proposta da farle. Ho bisogno di guadagnare dei soldi e devo anche farlo in fretta, quindi pensavo di propormi come…insomma…ha capito, no?”.

Il professore sgranò gli occhi.

“Come escort?”.

Sara arrossì.

“Una cosa del genere. Insomma, non proprio una battona, però se c’è qualche numero da fare, qualche spettacolo, e lei non trova nessuno…”.

Il volto del professore si distese in un sorriso.

“E io che pensavo che volessi ricattarmi!”, disse.

Poi divenne pensieroso e annuì.

“Sì, certo, si può fare. Dipende ovviamente dalla tariffa e da cosa sei disposta a fare”.

Sara scosse la testa.

“Non lo so, non sono pratica. Mi dia delle idee”.

Il professore prese a elencare.

“Rapporti orali?”.

“Certo”.

“Anale?”.

“Va bene”.

“Masturbazione”.

“Sì, ovvio”.

“Doppia penetrazione?”.

“Perchè no?”.

“Sado maso?”.

“Con certi limiti sì”.

“Con una donna”.

“L’ho fatto ieri, lo sa benissimo”.

“Dildo, vibratori?”.

“Va bene”.

Il professore guardò in alto, come per cercare una qualche ispirazione.

“Prof, va bene. Non c’è bisogno che adesso prepari un curriculum, ok? Se lei sente qualcosa, me lo faccia sapere e ne parliamo, ok?”.

Il professore annuì, anche se dalla sua espressione si capiva come il suo cervello fosse ancora a pieni giri.

Sara si alzò e lo salutò, avviandosi nuovamente verso la sua aula.

Si sentiva le gambe molli e la gola secca, si fermò a guardare fuori dalla finestra.

Stava facendo bene?

È vero, doveva tornare in fretta sull’isola per recuperare sua mamma e suo fratello, ma addirittura la puttana?

Le servivano un sacco di soldi, questo era innegabile.

Si era informata on line: il solo biglietto aereo costava circa millecinquecento euro, ma lei non voleva andarci da sola, e quindi era necessario metterne in preventivo almeno tremila.

Poi avrebbe dovuto alloggiare da qualche parte, mangiare, spostarsi.

Doveva recuperare circa cinquemila euro e non ce l’avrebbe mai fatta facendo la baby sitter o lavando i piatti.

Anche la webcam, che pure stava andando bene, non le avrebbe permesso certi guadagni.

Entrò nel bagno delle ragazze e si accese una sigaretta.

Con chi poteva andare sull’isola?

Questo era un altro bel problema.

Un uomo sarebbe stato il giusto accompagnatore, per sentirsi meno vulnerabile, ma chi?

Chiunque fosse, avrebbe dovuto essere informato di tutto quanto, e non erano numerosi i ragazzi di cui avrebbe potuto fidarsi.

Doveva ancora vedere Alessia e capire che intenzioni avesse lei.

Non era più riuscita a contattarla mentalmente, ma non sapeva cosa questo potesse significare.

Il legame mentale era controllabile, come un telefonino che potesse essere spento?

Se era così, lei non sapeva come.

Gettò il mozzicone di sigaretta fuori dalla finestra e fece per rientrare in classe, quando sentii il telefonino vibrare nella tasca posteriore dei pantaloni.

Era un numero non presente in rubrica, proveniva da una rete fissa.

“Buongiorno, sono Ramon, gestore del sito Amici on line; parlo con Sara?”.

Sara confermò di essere lei.

“Ciao Sara, spero che possiamo darci del tu – disse Ramon – Ho ricevuto la tua mail di ieri sera, vorrei parlarti di quello che ci hai scritto. Innaanzi tutto, l’hai scritta tu, vero?”.

“Si, certo, l’ho scritta io”, confermò la ragazza.

“Bene. Sara, vengo subito al punto. Non possiamo fare quello che ci proponi, mi spiace. Noi siamo i numeri uno per quanto riguarda le webcam, come sai; ci piacciono le ragazze esibizioniste come te. Però quello che ci proponi è molto vicino alla prostituzione, abbiamo dei problemi al riguardo”.

“Sì, ma io ho chiesto solo se è possibile incontrare gli utenti, il resto lo farei io”, obiettò Sara.

“Lo so, lo so – ammise la voce al telefono – Però in passato abbiamo avuto qualche guaio per cose di questo genere, preferiamo stare lontani il più possibile da questo tipo di attività”.

Sara era delusa, aveva puntato molto su quel canale.

“Va bene, come non detto. Arrivederci”, disse senza nascondere il proprio disappunto.

“Aspetta! Non ho finito”, la interruppe Ramon.

Sara accostò nuovamente il telefono all’orecchio.

“Dimmi.”.

“Ecco, se il tuo obiettivo è guadagnare dei soldi, abbiamo una novità in cui potremmo inserirti. Stiamo avviando una collaborazione con una Web tv per realizzare degli spettacoli live, è ancora una specie di esperimento”.

“Spiegami meglio”, lo incalzò la ragazza.

“Dobbiamo ancora definire i dettagli, ma in sostanza è un gioco a premi in cui belle ragazze in studio rispondono a delle domande e, a seconda della risposta, si spogliano o fanno qualcosa. Una specie di Colpo Grosso per gli anni Duemila”.

Sara si accese un’altra sigaretta.

“Ci sarebbe da guadagnare con questa cosa?”.

“Si, certo, non te lo avrei proposto. Il guadagno è in funzione di quanto una va in là: prima di ritiri dal gioco, meno guadagni. Pensi che ti possa interessare?”.

Sara sbuffò il fumo fuori dalla finestra.

“Sì, credo di sì. Però per me sono fondamentali i tempi. Mi spiace parlare subito di questo, ma ho veramente urgenza”.

“Guarda, io non mi occupo della produzione, ma siamo veramente agli ultimi dettagli. Nel giro di qualche giorno ci metteremo in contatto con le nostre ragazze più seguite, poi faremo una selezione e si partià. Ti farò sapere, ma i tempi non sono sicuramente più lunghi di una settimana. Posso inoltrare la tua candidatura alla produzione?”.

Sara meditò per qualche secondo, poi annuì, quasi dimenticandosi di essere al telefono.

“Sara, vuoi pensarci ancora un po’?”, chiese Ramon, che non aveva visto il suo gesto.

“No, ma bene. Mettimi pure tra le candidate, e se serve puoi dire che io non sarò sicuramente una che si ritira dopo poco”.

“Bene – disse l’uomo con voce allegra – è proprio di questo che abbiamo bisogno. Mi fa piacere che tu sia della partita: ho visto alcuni dei tuoi live e devo riconoscere che sei sicuramente una che ha qualcosa da dire”.

È una bella maniera per darmi della mignotta, pensò Sara.

 

Sara ricevette la sera stessa un messaggio dal professor Maggio.

“Non ha perso tempo”, pensò mentre prendeva in mano il telefono.

Il testo era molto semplice, diceva: “Domani sera 18.00 trovati in via Gramsci 15. Durerà un’ora, andrà tutto bene, ci sarò anche io”.

“Qualche problema?”, chiese Inna – la nuova moglie di suo padre – interpretando l’espressione perplessa di Sara.

“No – rispose la ragazza senza guardarla – Domani sera vado a prendere un aperitivo con un’amica, non aspettatemi per cena”.

Ripose il telefono, non prima di aver cancellato il messaggio.

Ora era in ballo, chissà se sarebbe riuscita ad andare fino in fondo?

Si presentò all’ appuntamento con qualche minuto di anticipo. La zona centrale era sempre avara di parcheggi e aveva paura di perdere tempo cercandone uno.

Parcheggiò ad un paio di isolati di distanza e arrivò a piedi.

Il professore era ad attenderla sul marciapiede.

Aveva meditato a lungo riguardo cosa indossare.

Come avrebbe dovuto presentarsi: provocante e sexy, quasi aggressiva – ricalcando lo stereotipo della mignotta – oppure avrebbe dovuto essere fedele al suo modo di essere, semplice e in linea con la sua età?

Aveva optato per la seconda opzione.

Si presentò quindi con pantaloni aderenti e camicetta carina, ma senza sembrare una che necessariamente voleva provocare. Si era invece agghindata con intimo di pizzo bianco: su quell’argomento voleva essere all’altezza.

Il professore guardò l’ora, poi le fece i complimenti per la puntualità.

“Andiamo su, il cliente arriverà a minuti e vuole trovare tutto pronto”.

Sara seguì in professore lungo le scale fino all’ultimo piano del palazzo, quindi estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca e aprì una porta senza alcun nome sul campanello, introducendo Sara in un piccolo appartamento.

Era pulito ma decisamente spoglio, a indicare come l’utilizzo del locale fosse tutto tranne che per abitarci.

“Carino qui – disse Sara – Si percepisce l’atmosfera della famiglia”.

“Grazie”, rispose il professore, non cogliendo l’ironia della ragazza.

Il professore la guidò nella camera da letto, priva di qualunque mobile ad eccezione di una rete matrimoniale coperta da un materasso posta al centro della stanza.

“Forza, spogliati!”, disse a Sara.

La ragazza si guardò attorno. “Può uscire, per favore?”.

Il professore la guardò sorpreso, poi uscì scuotendo la testa con disapprovazione.

“Come se non vi avessi mai vista nuda…”, bofonchiò uscendo.

Sara si sedette sul letto.

In quel momento poteva ancora prendere una decisione diversa.

Era vero che le motivazioni che la stavano muovendo erano nobili e capibili, ma se la sentiva?

Non avrebbe forse fatto meglio a tornare alla carica con suo padre, implorandolo magari?

Non sarebbe stato meglio provare a fare anche solo un altro tentativo, piuttosto che darla via per denaro?

Pensò poi a suo padre, che le aveva dato della zoccola e aveva mostrato palese disinteresse per la sorte di sua madre e suo fratello.

Non voleva dargli la soddisfazione di sentirsi dire “grazie”.

Avrebbe fatto tutto da sola, esattamente come aveva pianificato. Costasse quel che costasse.

Si liberò della camicetta e dei pantaloni. Non vedendo postisu cui posarli, li ripiegò e li appoggiò sul materasso.

Il professore fece irruzione nella stanza senza neppure bussare.

“Muoviti, sta arrivando!”. Guardò verso Sara, coperta solo più della biancheria intima.

“Togliti quella roba e indossa questo!”, disse, porgendole qualcosa che sembrava della carta appallottolata.

Sara prese l’oggetto dalla mano del professore e si accorse che si trattava di una specie di micro bikini.

Si tolse il reggiseno e le mutandine, sforzandosi di ignorare lo sguardo lascivo del professore, e indossò quella specie di costume da bagno.

Era un due pezzi di fatto di un materiale molto poco resistente, simile a quella biancheria che danno nei centri massaggi.

Il professore prelevò i vestiti di Sara e li ripose in una busta di plastica.

“Questi li metto di là – disse – Ora sdraiati sul letto, da brava”.

Sara si coricò di schiena sul materasso; il professore si avvicinò a lei e, con movimenti esperti, le legò i polsi e le caviglie hai quattro angoli del letto.

Estrasse quindi altri due pezzi di corda e li assicurò alle ginocchia della ragazza, legandoli in maniera tale che lei fosse obbligata a rimanere con le gambe divaricate.

Si avvicinò quindi alla faccia di Sara e le bloccò la bocca con una pallina di plastica dura, assicurata alla testa mediante due strisce di cuoio che legò dietro alla nuca.

Si alzò in piedi e la rimirò soddisfatto, quasi fosse un’opera d’arte.

“Sei proprio una bella ragazza, Sara, mi sa che prima o poi ti scoperò anche io”.

Come a suggello di quella affermazione, le tastò un seno.

Si udì il suono del campanello.

Il professore si girò su se stesso e andò ad aprire.

Sara, dal luogo in cui si trovava, non poteva vedere chi fosse il nuovo venuto; sentiva solo un sommesso parlottio tra i due uomini.

Le due voci confabularono per un paio di minuti, poi sentì la porta di ingresso aprirsi e chiudersi con un colpo secco.

Il professore se ne era andato.

Voltò la testa verso l’uscio. Chi sarebbe arrivato ora?

Il professore aveva agito con giudizio, tenendo conto che lei non era una professionista del mestiere, oppure l’aveva lasciata inerme nelle mani di un essere lascivo e spregevole?

Sentì il suono di scarpe di cuoio, poi un uomo varcò la soglia e la guardò sorridendo.

Contrariamente a quanto aveva immaginato, il nuovo venuto non era uno sconosciuto.

Era il padre della sua amica Camilla.

 

“Ciao, Sara. Lascia che ti dica che è un vero piacere per me”, disse l’uomo entrando nella stanza.

Sara non poteva rispondere la causa del bavaglio che le bloccava la mascella, ma non avrebbe comunque saputo cosa dire.

Cosa ci faceva lì quell’uomo?

Come era venuto in mente al professore di coinvolgere proprio lui, una persona che lei conosceva?

L’uomo si sedette sul letto accanto a lei, accarezzandole il viso con una mano.

“A volte la vita ha dei risvolti sorprendenti – disse sorridendo – Sai, io ti ho sempre trovata bella, fin dalla prima volta che ti ho vista. Non puoi immaginare come mi sono sentito quando il professore mi ha detto che poteva organizzare una cosa con te”.

L’uomo passò una mano sulla pancia nuda della ragazza, provocandole un brivido.

“Ricordo benissimo la prima volta che ti ho vista. Era stata quella volta che mia figlia ti aveva invitata con noi a passare un weekend al mare, ricordi?”.

Sara annuì con la testa.

Ricordava effettivamente quel weekend, era stata una delle prime volte che suo padre le aveva permesso di andare via da sola, seppur presso un’altra famiglia.

Si era fidato proprio perché sapeva che i genitori di Camilla erano persone per bene.

È vero, la vita talvolta è veramente strana.

“Ricordo che la prima volta che ti ho vista in costume ho desiderato di avere anche io la vostra età per poterci provare con te. È per questo che ho chiesto al professore di farti indossare questo bikini, volevo rivivere per un attimo quel momento.”.

Passò una mano sul seno di Sara, provocandole un brivido anche attraverso la coppa del reggiseno.

“Avevo passato tutto il tempo in spiaggia guardandoti. Avevo anche scattato un paio di foto di nascosto”.

Sara si meravigliò, non se ne era minimamente accorta.

“La sera, poi, ero venuto a dare la buona notte a te e a Camilla. Non lo facevo mai, l’avevo fatto solo per riuscire a vederti ancora una volta. E non si era rivelata una mossa sbagliata : avevi addosso una canottiera bianca senza nulla sotto che mi aveva fatto impazzire”.

L’uomo sospirò.

“Quella sera, quando tutti dormivano, ero andato in bagno e mi ero fatto una sega pensando a te. Pensavo che sarebbe stato il massimo del sesso a cui avrei potuto ambire con te”.

L’uomo prese fra le dita la sottile striscia di carta che univa le coppe del reggiseno e, con un movimento rapido, la lacerò, lasciando Sara in topless.

“Sono almeno tre anni che sogno questo momento”, disse a bassa voce, senza staccare gli occhi dai seni della ragazza.

Appoggiò entrambe le mani sulle tette di Sara e prese a toccarle.

Socchiuse gli occhi per assaporare meglio la sensazione.

Sara era schifata da lui, da questo cinquantenne squallido che si faceva le seghe pensando ad una ragazzina, ma allo stesso tempo era lusingata per essere entrata così profondamente nei pensieri di quell’uomo.

Ma come avrebbe reagito sua figlia, Camilla, se avesse saputo cosa stava capitando?

Per non parlare della moglie, una donna forse un po’ noiosa ma molto gentile.

L’uomo di abbassò sul corpo di Sara e serrò le labbra su un capezzolo.

Lo succhiò come fosse un neonato, poi lo strinse leggermente con i denti.

Sara chiuse gli occhi. Non le stava dispiacendo.

L’uomo le appoggiò la mano sul ventre e, lentamente, la fece scivolare dentro le sue mutandine.

Insinuò il dito medio tra le labbra di Sara, provocandole un’immediata secrezione.

“Sei così calda, così invitante!”, disse a mezza voce.

Sollevò rapidamente la mano, strappandole le mutandine.

Sara distolse lo sguardo, si sentiva ancora imbarazzata che il padre della sua amica si stesse eccitando per lei.

Lui non notò il disagio e, senza alcun riguardo, le infilò due dita nella vagina.

Sara era solo leggermente umida, così quel gesto le strappò un lieve lamento.

Il padre di Camilla non sembrò accorgersi del dolore, o forse decise che non era un problema suo.

“Se un uomo va con una puttana è per fare quello che vuole lui, non per far piacere a lei”, pensò Sara.

L’uomo inserì ancora un altro dito dentro di lei, mentre con la mano libera cominciò a slacciarsi i pantaloni.

“Sei contenta, eh? Ti piace quello che faccio?”, domandò.

Sara annuì in silenzio.

Ora si stava bagnando e cominciava a sentire qualche brivido dentro di lei.

L’uomo si abbassò i pantaloni e si liberò anche dei boxer, rivelando un pene alla sua massima erezione.

Tolse la mano da dentro Sara e terminò di spogliarsi, privandosi anche della camicia.

Era decisamente irsuto sul petto, e parecchi di quei peli erano bianchi.

Si inginocchiò sul materasso tra le gambe di Sara e appoggiò il pene sull’inguine della ragazza.

Era molto bagnato e le lasciò una chiazza umida sulla pelle.

“Vuoi scopare?”, le chiese.

Sara non voleva fare sesso con lui, ma – anche alla prima esperienza – intuiva quale avrebbe dovuto essere il codice di comportamento di una prostituta.

Fece cenno di sì con la testa, lieta che il bavaglio le impedisse di parlare. Sicuramente il tono della voce avrebbe tradito il suo scarso entusiasmo.

Il padre di Camilla la penetrò senza altri preamboli.

“Lo so perfettamente che una come te non cerca uno come me – disse cominciando a muovere il bacino – E’ per questo che devo pagare, no?”.

Sara lo guardò senza ribattere.

Lei sarebbe stata in grado di fare sesso con una persona a cui non interessava, facendosi forza solo del denaro?

Non pensava.

L’uomo prese a affondare sempre di più dentro di lei.

A dispetto di un aspetto fisico sicuramente poco avvenente, sembrava fornito di una discreta dotazione.

I seni di Sara si muovevano ritmicamente sotto i colpi pelvici del padre di Camilla, mentre lei inarcava la schiena per godersi fino in fondo quel momento.

Pensava a quell’uomo intento a masturbarsi in bagno pensando a lei, sedicenne, in costume da bagno.

In realtà si era accorta che le aveva fissato il seno quando era andato a dar loro la buona notte e ricordava di essersi sentita in imbarazzo, ma con se stessa.

Si era rammaricata di essersi infilata nel letto così leggera senza prevedere la visita del padre della sua amica.

Che invece l’aveva fatto apposta.

Mugolò qualcosa, impedita dalla pallina di plastica.

“Cosa stai dicendo?”, le chiese il padre di Camilla.

Interruppe il movimento di bacino e le slacciò il bavaglio.

Sara prese fiato prima di parlare.

“Mi ero accorta che mi guardava. Mi aveva fatto piacere”, disse.

L’uomo sembrò colpito da una scossa elettica.

“Veramente? E cosa avevi pensato?”.

Sara deglutì.

“Che se piacevo ad un adulto era perchè stavo diventando donna”.

L’uomo si fermò, lasciando il pene dentro di lei.

“Non eri mai stata con un uomo?”.

“No. In quel momento no”.

L’uomo riprese a muoversi, ma molto lentamente.

“Saresti venuta con me? Voglio una risposta sincera”.

Sara decise che non era il caso di mentirgli. Se ne sarebbe accorto.

“No, mi spiace”.

L’uomo annuì con un po’ di tristezza.

“Lo immaginavo. Grazie per non avermi preso in giro”.

Chiuse gli occhi e ricominciò a stantuffare dentro di lei, come se la conversazione fosse stata una pausa e ora dovesse finire un lavoro.

Anche Sara chiuse gli occhi, ma per non vederlo.

Le spiaceva forse più per lui che per se stessa.

Ma, se nel mondo di sono tante prostitute, è perchè evidentemente ci sono tanti uomini come il padre di Camilla.

L’uomo emise qualche suono gutturale dalla gola, poi finalmente venne. Strinse tra le mani i seni di Sara, spalancò gli occhi, poi si abbandonò sul petto della ragazza.

Rimase lì per un paio di minuti, mentre anche Sara cercava di riportare il suo cuore al regolare battito.

L’uomo spostò indietro il bacino, sfilando il pene – ormai molle – da dentro di lei, poi si sollevò dal letto.

Senza dire una parola si rimise i vestiti, poi si sedette accanto a lei sul letto.

Le fece una carezza, guardandola con tenerezza.

“Vuoi che ti sleghi?”, chiese.

Sara annuì. Cominciava ad avere male ai polsi.

L’uomo la liberò, quindi si sedette accanto a lei.

“Lo fai per soldi, vero?”, le chiese.

Lei annuì. Cos’altro avrebbe potuto dirgli, che le piaceva?

“Ma tu non eri di famiglia ricca? Tuo padre non era un politico o una cosa del genere?”.

“Sì, ma preferirei non parlarne”, gli rispose.

Lui si alzò in piedi.

“Ok, scusa, hai ragione. Ti lascio i soldi qui, sul letto”.

Prese una busta dalla tasca interna della giacca e la appoggiò sul materasso.

“I soldi sul letto – pensò Sara – Proprio come le zoccole”.

Il padre di Sara fece un passo verso la porta, poi si voltò verso di lei.

“Sicuramente non te ne fregherà niente, chissà quanti uomini avrai avuto prima di me, però sono stato bene con te. Volevo che tu lo sapessi”.

Sara annuì.

“Grazie, mi fa piacere. E comunque lei è stato il mio primo cliente. Non ha potuto essere il mio primo uomo anni fa, ma in qualcos’altro è riuscito ad essere importante per me”.

L’uomo esitò, quasi come se volesse tornare indietro, ma si limitò ad annuire.

“Buona fortuna, Sara. Se hai bisogno di qualcosa, sai dove abito”, disse prima di varcare la soglia e uscire sul pianerottolo.

 

Sara aprì la busta e contò i soldi.

C’erano centocinquanta euro.

Erano tanti? Erano pochi?

Entrò il professore, come sempre senza bussare.

“Dai, vestiti, che cazzo aspetti?”, disse.

Poi vide la busta e allungò una mano verso di lei.

“Signorina, cinquanta sono per me!”.

Sara lo guardò stupita.

“Per lei? Non ne avevamo mai parlato”.

“Ne parliamo adesso. Cosa pensavi, che avrei organizzato tutto questo perchè non ho un cazzo da fare?”.

Sara lo guardò con odio.

“Va bene, ecco i suoi cinquanta euro. Però sono gli ultimi che vede da me”, disse stizzita allungandole la banconota.

Il professore prese il denaro e lo ripose con calma nel portafogli.

“Certo, immagino quindi che tu sappia come procurarti i clienti, giusto? Cosa farai, ti metterai per strada? Dove andrai a scopare, a casa tua?”.

Sara rimase in silenzio.

“Mentre sei con un cliente, chi farà attenzione affinchè nulla di male capiti?”, proseguì.

Il professore la guardò con un sorriso privo di allegria.

“Sei carina, sei intelligente, ma ora sei una puttana, Sara, e da che mondo è mondo ogni puttana ha il suo protettore. Prima prenderai coscienza di questo, meglio sarà per te”.

Gettò sul pavimento il sacchetto con i suoi vestiti.

“Ora rivestiti, che dobbiamo andare”.

Sara si strinse nella vestaglietta, faceva un po’ freddo.

Solo due giorni prima era stata chiamata da Ramon, l’amministratore del sito Amici On Line.

“Scusa se ti do così poco preavviso – aveva detto l’uomo per telefono – ma i tempi non ci hanno permesso di gestirla diversamente. Potresti venire dopodomani all’indirizzo che ti darò? Ci sarà il casting per quella trasmissione televisiva di cui ti avevo accennato qualche giorno fa”.

Sara aveva subito detto di sì. Non aveva molti impegni era tuttavia sorpresa di dover fare un casting. Glielo disse.

“Lo so che ti avevo dato delle certezze – si era rammaricato Ramon – Purtroppo abbiamo avuto adesioni in numero molto superiore alle nostre previsioni. Io comunque, per quello che potrò fare, cercherò di spingere la tua candidatura”.

E così si era presentata all’indirizzo comunicato.

Erano in tutto sei ragazze, molto diverse tra di loro sia nell’aspetto fisico sia per l’età. Erano state fatte accomodare in una specie di spogliatoio, era stato detto loro di indossare un bikini e una vestaglietta, poi si erano trasferite in una stanza vuota che a Sara ricordò subito un’aula di scuola.

L’atmosfera era carica di tensione, tra le ragazze guizzavano gli sguardi tipici di chi sa che il proprio successo passa anche attraverso il fallimento altrui.

Ad occhio, Sara doveva essere la più giovane del gruppo, anche se un paio di altre erano probabilmente nella sua stessa fascia di età.

Si stupì, piuttosto, di individuare almeno due donne decisamente più avanti con gli anni. Chissà cosa le aveva spinte lì.

Si strinse ancora di più nella vestaglia e guardò l’orologio. Sperava solo che tutto finisse in fretta e che quella tensione la abbandonasse il prima possibile.

Dalla stessa porta da cui erano entrate loro, entrò un uomo.

Aveva un auricolare Bluetooth piantato nell’orecchio e sembrava essere molto impegnato.

“Buongiorno ragazze, benvenute, io sono Piero. Innanzitutto, anche a nome della direzione, voglio ringraziarvi per essere intervenute. Solo tre di voi saranno scelte, ma apprezziamo l’impegno e il coraggio con cui ciascuna di voi si è presentata qui. Vi dico fin da subito che anche le candidature che non saranno prese in considerazione subito saranno comunque registrate e conservate per utilizzi futuri”.

Guardo rapidamente l’orologio, poi consultò una cartelletta e teneva sotto braccio.

“Ora verrete chiamate una ad una di davanti. Parlerete alla telecamera, darete una veloce presentazione di voi – quanti anni avete, la vostra situazione familiare e personale, se volete il motivo per cui siete qui – farete quello che vi chiederò e tutto sarà finito in un attimo. Ci tengo a dire che questo non è il casting di un film porno, per cui non vi saranno chieste prestazioni di quel genere. Tutto chiaro?”

Nessuna delle ragazze parlò, continuavano tutte a scambiarsi l’una con l’altra con sguardi carichi di timore.

“Okay, se non ci sono obiezioni, possiamo cominciare. Verrete chiamate in ordine alfabetico, il tutto durerà un paio di minuti, non di più”.

L’uomo sorrise, cercando di trasmettere serenità, ma la tensione era molta.

Consultò ancora la cartellina

“Bene, si presenti sul palco Chiara“.

 

Alla destra di Sara si alzò una ragazza.

Doveva avere circa venticinque anni, era bruna e portava i capelli lunghi. Avanzò verso l’uomo e si mise accanto a lui, visibilmente imbarazzata.

L’uomo le diede la mano, poi con l’indice indicò la telecamera vi si mise dietro; poi chiese a Chiara di togliersi la vestaglietta.

La ragazza eseguì meccanicamente, si vedeva visibilmente quanto fosse imbarazzata.

Indossava un bikini bianco che evidenziava le sue forme generose.

Doveva avere almeno una quarta di seno e un sedere proporzionato.

L’uomo accese la telecamera e parlò a voce alta in modo da essere nitido nella registrazione.

“Chiara, dicci qualcosa di te”.

La ragazza incrociò le braccia sul petto.

“Scusa se ti interrompo subito – intervenne Piero – ma così non ti si vedono le tette. Metti le braccia lungo i fianchi, per piacere”

Chiara distese le braccia e sorrise imbarazzata.

“Mi chiamo Chiara, ho ventisei anni, vengo dalle Marche – esordì – Ho un fidanzato, ma lui non sa che sono qui e non dovrà mai saperlo”.

“Cosa ti ha spinto a candidarti per questa trasmissione?”.

La ragazza alzò le spalle.

“La verità? Ho un negozio aperto da un anno che non va bene. Devo pagare alcune fatture e rischio di dover chiudere. Lo faccio per i soldi, non lo nascondo”.

“Non c’è niente di male in questo – commentò l’uomo – Se dovessi essere selezionata, porterai qualcuno con te in trasmissione, visto che il suo ragazzo non ci sarà?”.

“Porterò mio fratello, con lui non ho segreti e mi sentirò tranquilla se ci sarà lui”.

“Oltre che per il tuo aspetto fisico, per quale motivo dovremmo selezionarti?”.

“Perché sono molto determinata e non mi farò stoppare dalle difficoltà”.

“Bene, Chiara, ora per cortesia sfilati il reggiseno e ruota su te stessa”.

La ragazza annuì, ma si vedeva come non fosse a suo agio in quella situazione.

Slacciò la chiusura al centro della schiena e rimase con il reggiseno in mano per qualche secondo, prima di decidersi a lasciarlo cadere a terra.

Lentamente si voltò su se stessa e fece qualche passo allontanandosi dalla telecamera.

Aveva bel seno, molto fermo e chiaramente naturale.

Era una bella ragazza complessivamente.

Eseguì qualche passo avanti e indietro, poi venne stoppata dall’uomo.

“Ok, Chiara, può bastare. Puoi rivestirti e andare a casa, o rimanere qui se preferisci”.

L’uomo interruppe la registrazione e consultò nuovamente la cartelletta.

“Venga qui con me Giulia“.

 

Avanzò verso il palco quella che secondo Sara era la più giovane.

Era una ragazza non troppo alta, bruna, con un atteggiamento molto marcato di superiorità.

Si sistemò davanti alla telecamera e, dietro suggerimento di Piero, si liberò della vestaglietta.

Aveva un fisico minuto ma ben tornito, con un paio di tatuaggi disseminati lungo la pelle.

“Giulia, presentati e dicci qualcosa di te”, disse l’uomo.

Giulia mise le mani dietro alla schiena in modo da farsi notare per intero, poi cominciò a presentarsi.

“Mi chiamo Giulia, ho diciotto anni. Sono qui perché non sopporto più la mia famiglia e ho bisogno di andare via. Un mio amico mi ha proposto un lavoro in Germania, ma ho necessità di qualche soldo per poter partire, prendere una casa e vivere qualche giorno li”.

“Come il tuo rapporto con il sesso?”.

“Cos’è, pensate che siccome sono giovane non debba avere abbastanza esperienza?”, chiese con tono risentito.

“Per piacere, limitati a rispondere alla domanda. So io perché te la faccio”, replicò secco Piero.

Giulia scosse la testa e poi rispose. “Faccio sesso da quando ho quindici anni, ho avuto diversi uomini e nessuno si è mai lamentato. Mi piace fare qualunque cosa, sono qui perché penso di saper eccitare chi mi guarda”.

Era decisamente sicura di sé, pensò Sara.

“Hai detto che hai avuto tanti uomini. Più o meno quanti?”.

La ragazza socchiuse gli occhi e prese a contare sulle dita della mano.

“Con ieri sera, siamo a ventuno”.

Sara sentì un mormorio levarsi dal gruppetto di ragazze.

Effettivamente, a diciotto anni sembrava un po’ troppo.

“Presumo quindi – riprese l’uomo – che per te non sarebbe un problema spogliarti in pubblico”.

Giulia alzò le spalle: “Non l’ho mai fatto, ma se sono qui è perché credo che non sarebbe un problema”.

L’uomo la fece camminare avanti e indietro davanti alla telecamera, poi le ordinò di eseguire un giro su se stessa in modo da inquadrarle bene anche il sedere.

Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Giulia chiese: “Allora, mi devo spogliare?”.

L’uomo dietro alla telecamera meditò per qualche istante, poi scosse la testa.

“No, abbiamo già tutto quello che ci serve di te. Puoi andare a posto, grazie; ti contatteremo nei prossimi giorni”.

Giulia raccolse la vestaglietta e la indossò, con l’espressione di chi forse si aspettava qualcosa di diverso.

L’uomo consultò nuovamente la cartelletta.

“Venga sul palco Martina“.

 

 

Si alzò quella che secondo Sara era la più bella ragazza del gruppo.

Era molto alta, probabilmente attorno al metro e ottanta. Aveva lunghi capelli castani e una presenza fisica notevole

La ragazza andò sul palco e, senza che dovesse essere invitata, si liberò della vestaglia.

Aveva un bel seno, probabilmente una quarta, e il bikini rosa faceva risaltare molto la carnagione abbronzata.

“Ok, Martina, guarda nella telecamera, presentati e dicci qualcosa. Hai già visto come si fa”

La ragazza si passò una mano fra i capelli, forse un po’ imbarazzata poi prese fiato e cominciò a parlare.

“Ciao, mi chiamo Martina. Ho venti anni e sono qui perché ho visto un banner pubblicitario in Internet. I miei genitori si stanno separando, io continuerò ad abitare con mio padre, ma in questo momento lui ha bisogno di aiuto per affrontare le spese. Per questo motivo ho pensato di partecipare a questo gioco”.

“Tuo padre sa come hai intenzione di guadagnare questi soldi?”, chiese Piero.

Martina annuì. “Sì, gliene ho parlato e gli sta bene. Anzi, se dovessi parteciparvi si è anche offerto di accompagnarmi qui.”.

“Non si è opposto a questa tua decisione?”.

Martina alzò le spalle. “Ovviamente non ne è felice, ma non abbiamo alternative.”.

C’era molta rassegnazione nelle parole e nel tono di Martina.

“Bene, come giudichi il tuo rapporto con il sesso?”.

“Beh, non sono disinibita come la ragazza che mi ha preceduto, però credo di non avere particolari problemi”.

“La tua pratica sessuale preferita?”.

Martina meditò qualche secondo.

“Mi piace molto il sesso anale”.

L’uomo dietro alla telecamera prese un appunto sulla cartelletta, poi incrociò le braccia sul petto.

“Martina, ti togli il reggiseno per favore?”.

La ragazza portò le mani dietro alla schiena e con rapidità slacciò la chiusura.

Quando il reggiseno cadde, istintivamente si coprì i seni con le mani, poi sorrise e spostò le braccia dietro alla schiena.

Aveva veramente un bel seno, molto sodo e rotondo.

L’abbronzatura bicolore mostrava come non fosse solita prendere il sole in topless.

Anche l’uomo notò quel particolare, perché le disse che, nel caso fosse stata prescelta, avrebbe dovuto cercare di abbronzarsi in maniera uniforme.

Martina annuì, sempre più imbarazzata

“Togliti le mutandine, per piacere”.

Martina non disse nulla, ma si liberò anche dell’ultimo indumento.

Era visibile la lotta che stava vivendo contro se stessa per non coprirsi il pube.

“Immagina di essere in questa situazione di fronte a un paio di centinaia di persone – disse l’uomo – Come ti sentiresti?”.

Martina sorrise e si coprì la faccia con una mano.

“Molto imbarazzata!”.

L’uomo annuì, poi le disse di rimettersi la vestaglietta

“Mi piacerebbe che non ti mettessi nulla sotto per il tempo in cui rimarrai qui nello studio. Lo farai?”.

Martina ci pensò un attimo, poi annuì.

Indossò nuovamente la vestaglietta e si mise a sedere.

L’uomo prese la cartella, con una penna mise un segno di spunta e chiamò il nome successivo.

Era la volta di Monica.

 

Si alzò una donna che Sara aveva già notato prima. Doveva avere una decina di anni più di lei, per tutto il tempo era rimasta seduta a torcersi le mani nervosamente.

Si mise davanti alla telecamera e sorride nervosa.

“Ciao, mi chiamo Monica, ho trentun anni…”.

“Aspetta! – disse Piero – la telecamera non è ancora in funzione. Devi anche toglierti la vestaglia”.

Monica si coprì gli occhi con la mano per nascondere l’imbarazzo.

“Scusate, è che sono molto nervosa”.

Si slacciò la vestaglia, scoprendo un corpo decisamente bene formato.

Anche lei aveva un bel seno, e la tonicità dei suoi muscoli indicava come fosse solita passare del tempo in palestra.

Solo le mani e il collo facevano intuire l’età che aveva appena rivelato.

Guardo verso la telecamera, prese fiato e, sorridendo, ricominciò a parlare.

“Ciao, mi chiamo Monica, ho trentun anni e non ho problemi ad ammettere che sono qui per soldi. Ho una bambina di due anni che ha bisogno di cure mediche, e se dovessi essere selezionata e dovessi vincere, questo potrebbe darci un grosso aiuto”.

“Hai parlato al plurale; ti riferisci a te e tuo marito?”.

Monica alzò la mano sinistra e mostrò la fede alla telecamera.

“Sì, parlo di mio marito. Anche lui, come il padre di Martina, non è contento di questa scelta. Però è l’unica maniera per recuperare dei soldi in fretta”.

“Siete consapevoli che magari gli capiterà di vederti fare del sesso con altre persone? Ritengo sia scontato, ma preferisco avvisarti, visto tutto”, la avvisò PIero.

Monica annuì. “Sì, è chiaro anche a noi e lui è d’accordo. Una parte di me pensa che non gli dispiaccerebbe vedermi fare certe cose; anni fa mi aveva confessato essere una sua fantasia”.

“Quindi lui ti accompagnerà qui in studio?”.

“Sì, verrebbe con me”.

L’uomo rimase qualche istante a riflettere.

“Qual è la cosa più estrema che hai fatto nel campo del sesso, Monica?”.

La donna ci pensò un attimo.

“Una volta, da giovane, sono stata con due uomini contemporaneamente”.

“Ti era piaciuto?”.

Monica arrossì: “Sì, molto. Ricorre ancora spesso nelle mie fantasie”.

“Ti masturbi spesso?”.

La donna portò nuovamente la mano al volto: “Si, abbastanza spesso. A dire il vero, quasi tutti i giorni”.

Si coprì il volto con le mani per la vergogna.

L’uomo sorrise, poi le fece eseguire alcuni giri su se stessa.

“Non è necessario che ti spogli, Monica. Abbiamo già tutto quello che ci serve. Grazie per essere venuta”.

La donna raccolse la vestaglia, la indosso e tornò tra il pubblico.

Ora era la volta di Sara.

 

Sara si alzò.

Era molto nervosa, molto di più di quanto si sarebbe aspettata.

Era rimasta sorpresa dalle altre ragazze, si era aspettata una concorrenza più blanda.

Invece erano tutte potenzialmente dei soggetti interessanti; non poteva permettersi il lusso di essere scartata.

Forse era vero che anche chi non fosse stata scelta in principio sarebbe stata recuperata in futuro, ma lei non aveva tempo.

Si liberò della vestaglia e offrì alla telecamera un primo piano generoso del suo seno.

“Mi chiamo Sara, ho diciotto anni e sono qui perchè ho bisogno di soldi, come più o meno tutte. Devo fare un lungo viaggio per togliere dagli impicci mia madre e mio fratello, e devo farlo il prima possibile, quindi ho bisogno di partecipare a questo gioco”.

“Ti sento molto sicura di te. Cosa ti fa pensare di avere le carte in regola?”.

Sara riflettè un secondo.

Doveva interpretare la parte di quella sicura di sé e spavalda, oppure manifestare insicurezza?

Le era sembrato di cogliere una certa simpatia di Piero verso quelle che erano sembrate più insicure; forse era quello il target che stavano cercando?

Decise di dire la verità.

“Perchè sono abituata a fare certe cose. Da qualche settimana ho iniziato ad esibirmi in webcam e ritengo di aver avuto un certo successo e di essere brava ad esibirmi. Credo che questo tipo di esperienza potrebbe aiutarmi durante lo spettacolo”.

Le parve di udire un certo brusio provenire dalle altre ragazze.

Piero le zittì con un gesto.

“Sei quindi determinata ad andare fino in fondo?”.

“Sicuramente sì”, rispose baldanzosa.

“Faresti qualunque cosa?”.

“Sicuramente sì”.

“Bene. Spogliati!”.

Sara non si aspettava un ordine così bruso, così esitò un attimo.

Guardò verso la telecamera, quindi si liberò del reggiseno e delle mutandine.

Cercò di trasmettere quella sicurezza che poco prima aveva manifestato a parole.

“Cerca di far sì che i tuoi capezzoli si inturgidiscano, per piacere”, chiese l’uomo.

Sara era sorpresa, ma con i polpastrelli se li massaggiò fino ad ottenere il risultato.

“Bene. Martina, puoi tornare un attimo qui?”, chiese Piero.

La ragazza sembrò stupita, ma si avvicinò.

“Apriti un attimo la vestaglia, Martina. Sara, ora lecca i capezzoli di Martina fino a quando non diventano duri anche i suoi”.

Sara guardò Martina in volto e le sorrise. Voleva farle capire che era solo lavoro, che non era interessata a lei.

Martina non la guardò in volto, si vedeva che era nervosa.

Sara accostò le labbra al capezzolo sinistro della ragazza e lo succhiò, portandolo tra i denti.

Lo sentì diventare subito duro.

Le diede ancora una leccata, poi fece lo stesso con quello destro.

Piero inquadrò con lo zoom il petto di Martina, poi quello di Sara.

“Bene, ragazze potete anche andarvi a sedere. Grazie a Sara e grazie anche a Martina che si è prestata”.

Le ragazze raccolsero la vestaglia e si avviarono verso le sedie.

“Sara, mi piacerebbe che tu non ti rivestissi fino alla fine del casting, neppure la vestaglietta. Ce la farai?”.

“Nessun problema!”.

Si voltò e tornò a sedersi.

Non potè fare a meno di cogliere qualche commento sotto voce proveniente dalle sue “colleghe”.

Il più carino era “puttana”.

“E ora, dopo una lunga attesa, venga qui Stefania!”.

 

Si alzò una ragazza magrolina con i capelli corti.

Si sfilò la vestaglia e si posizionò con decisione davanti alla telecamera.

Aveva la pelle molto chiara e un seno praticamente inesistente.

Si vedeva che faceva sport, aveva la pancia piatta e i polpacci duri.

“Stefania, parlaci di te”.

La ragazza partì con decisione.

“Mi chiamo Stefania, ho ventotto anni, faccio la barista e sono qui per espiare”.

L’uomo la guardò perplesso.

“Puoi spiegarti meglio?”.

“Certo. Sono stata lasciata da una persona importantissima per me, e mi ha lasciata perchè mi sono comportata male nei suoi confronti e ho esasperato la relazione. Sono stata stupida perchè ho perso veramente tanto, e così ho deciso di auto punirmi partecipando a questo spettacolo”.

L’uomo sorrise stupito.

“E’ la prima volta che sento una spiegazione del genere, ma va bene. Ritieni di aver perso l’uomo della tua vita, quindi?”.

Stefania scosse la testa.

“No. Era la donna della mia vita”.

Un piccolo brusio si levò dalle altre ragazze, brusio subito zittito da Piero.

“Ok. Per noi la tua sessualità non è un problema, però tu sai che in questo spettacolo potrai avere a che fare con degli uomini, vero?”, le domandò Piero.

“Certo. È per quello che sarà un’espiazione per me. Più ce ne saranno, più soffrirò”.

L’uomo annuì deciso. Sembrava apprezzare la decisione di Stefania.

“Ok. Ora spogliati, per piacere”.

Stefania si liberò dei due pezzi.

Il seno era effettivamente quasi inestitente, ma non sembrava essere un problema per lei.

Portava il pube depilato e non sembrava in difficoltà in quella situazione.

Piero fece qualche inquadratura sul suo corpo.

“Sei stata comunque con degli uomini nella tua vita?”.

Stefania sorrise.

“Fino ai miei ventitrè anni ho avuto una relazion stabile con un ragazzo. Poi ho conosciuta una mia amica e ho capito che fino a quel momento avevo compiuto una scelta sbagliata”.

“E’ questa l’amica che ti ha lasciata?”.

“No. Sono stata con sei donne in tutto; quella di cui parlavo prima è l’ultima”.

Piero la ringraziò e la invitò a accomodarsi a posto.

La tensione sembrava essere un po’ scemata ora che tutte si erano presentate.

“Bene ragazze, siete state tutte fantastiche. Siete state brave perchè ci metterete in difficoltà, sarà dura individuare le migliori”.

Prese una pausa e incrociò le braccia sul petto.

“Però dovremo farlo, quindi ciascuna di voi, nel giro di qualche giorno, riceverà una telefonata con cui le comunicheremo la nostra decisione. Sarà insindacabile e dolorosa anche per noi, spero lo capirete”.

Fece un piccolo inchino, le ragazze si alzarono in piedi.

L’uomo battè le mani mentre uscivano.

“Siete state fantastiche!”, ribadì.

 

 

Il suono del citofono svegliò Sara da una specie di torpore in cui era sprofondata.

Si alzò di scatto dal divano e controllo di essere a posto.

Come da disposizione, indossava una canottiera senza nulla sotto, una minigonna non troppo mini ma neppure troppo lunga, e un paio di sandali. Sotto, un piccolo perizoma nero.

Per fortuna faceva caldo e poteva permettersi un abbigliamento del genere.

Prese la borsetta, il telefonino e scese in strada.

Il professor Maggio l’aspettava in auto con il motore acceso.

“Hai visto che ero in ritardo – disse il professore senza neppure salutarla – non potevi scendere in strada, che avremmo guadagnato del tempo?”.

“Certo, sarebbe stata una splendida idea mettermi sul marciapiede di casa mia vestita in questa maniera. Così anche i vicini avrebbero capito che ora faccio la puttana”, commentò sarcasstica Sara.

“Magari qualcuno ne avrebbe anche approfittato. Bisogna sempre allargare la base dei clienti”, rispose il professore.

Sara non capì se stesse scherzando o no, ma si augurò di sì.

Le mancava solo di sputtanarsi nel quartiere dove abitava. Anzi, peggio: nel quartiere dove abitava suo padre.

“Abbiamo tanta strada da fare? Chi stiamo per incontrare?”.

“È una persona che conosco, ti puoi fidare. Io comunque sarò sempre presente, non dimenticarlo. Ora rilassati, che abbiamo almeno tre quarti d’ora di macchina”.

Sara si sistemò sul sedile, allacciò le cinture e accese la radio; non aveva voglia di parlare con il professore.

Una parte di lei riconosceva l’aiuto che lui le stava dando ed era consapevole che senza di lui avrebbe corso dei rischi nell’esercizio della sua nuova professione; però continuava a non piacerle come lui la trattava, come la considerasse semplicemente una prostituta.

Era vero, quello era ciò che faceva, però era contrariata dal fatto che si comportasse come un magnaccia qualunque, come se lei non fosse stata una sua allieva per anni.

Accese la radio e la sintonizzò su un canale di musica italiana, quindi chiuse gli occhi.

Cosa le sarebbe stato chiesto di fare oggi?

Il professore era molto orgoglioso che lei accettasse anche delle prestazioni strane, ma questo la esponeva potenzialmente a soggetti fuori dal comune.

Sentì un piccolo trillo arrivare dal telefonino; lo raccolse e vide che era appena arrivato un messaggio.

Quando vide il mittente sentì il cuore battergli forte: era di Alessia.

 

Cara Sara, ho impiegato due giorni prima di scrivere e mandarti questo messaggio.

Non è stata una decisione facile, ma ritengo di aver agito per il meglio. Il tuo contatto, l’altra settimana, ha determinato un grande sconvolgimento nella mia vita.

Ero tranquilla, vivevo una vita normale e non avevo pensieri. Certo, fare la cameriera in un ristorante non è forse il massimo, ma ero convinta di aver sempre fatto questo e non mi ponevo il problema.

Sapevo di essere stata in vacanza e mi ero accorta di avere dei ricordi poco chiari, ma avevo attribuito questo alle tante feste che avevo fatto.

Un paio di anni fa, a Ibiza, mi era capitato qualcosa del genere e non mi ero stupita. Ma quando mi hai chiamata ho voluto vederci più chiaro.

Ho trovato sull’elenco telefonico un medico ipnotista, ho preso appuntamento e sono andata.

È stata una seduta molto difficile, lunga e stancante, ma alla fine mi sono ricordata tutto.

Mi sono ricordata bene di te, Sara, di quello che abbiamo fatto e del legame che si è creato. Sono stata bene con te, sia a letto che fuori dal letto, e i sentimenti che ci siamo confessate erano e sono autentici.

Però mi sono anche ricordata del resto. Mi sono ricordata dei supplizi, delle torture, delle umiliazioni e del degrado di quel posto, e quello avrei fatto volentieri a meno di ricordarlo.

Cos’è meglio, sapere o non sapere nella vita? Conoscere o non conoscere?

Sino a qualche giorno fa avrei detto che avrei sempre voluto sapere la verità, per quanto sgradevole potesse essere.

Ora non ne sono più sicura.

Da quando ci siamo sentite, la mia vita non è più la stessa.

Sto uscendo con un ragazzo, sai? È un bravo uomo, sincero e mi vuole bene.

Per quanto possa sembrare prematuro, abbiamo anche dei progetti per il futuro.

Ecco, come posso stare con lui senza raccontargli tutto questo? E se decidessi di farlo, le cose tra di noi rimarrebbero uguali a prima ?

Tu pensa che questo ragazzo è anche un carabiniere, credi che potrebbe accettare una cosa del genere?

Io non credo.

Per questo, ho preso una decisione.

Domani tornerò dall’ipnotista e mi farò cancellare i ricordi.

Sarà un atteggiamento codardo, non sarà giusto, pensa quello che vuoi, ma io so che prima di ricordare tutto questo stavo bene, e adesso non più.

Ho pensato anche a te, ovviamente. So che tu hai sull’isola ancora tua madre e tuo fratello, ma non mi sento di caricarmi anche di questo problema.

Le cose tra di noi avrebbero potuto andare anche diversamente, ma ora mi sento di dire che le nostre strade devono dividersi.

Ti auguro tutta la fortuna del mondo e ti raccomando di fare molta attenzione.

Con amore.

 

Sara ripose il telefonino in borsetta e guardò fuori dal finestrino.

Non aveva neppure voglia di rispondere tanto era forte la delusione.

Aveva un problema enorme da risolvere, la sola consolazione fino a un attimo prima era che avrebbe avuto qualcuno con cui condividerlo; e invece ora era di nuovo sola.

Perchè Alessia non aveva neppure aspettato di incontrarla?

Provò a azzerare i suoi pensieri e ad invocare il nome della ragazza nella sua mente, come aveva fatto qualche giorno prima, ma ebbe la precisa sensazione di essere da sola.

Trasse un sospiro e si passò una mano tra i capelli: sarebbe andata avanti, non si sarebbe sicuramente fatta fermare da quello.

“Chi andiamo ad incontrare?”, chiese.

Il professore sorrise: “Guarda, per oggi non porterai che ringraziarmi. Il tuo cliente è un mio ex collega, una persona che ha una decina di anni più di me. Non so se è diventato impotente o sono solo conseguenze della prostata, ma è uno che si limita a guardare. Sarà una passeggiata di salute”.

“Non ho capito, questo qui si limiterà a guardarmi?”.

“Non so cosa abbia in mente, stai tranquilla che andrà tutto bene”.

Sara sorrise amara: negli anni aveva imparato come le batoste peggiori arrivassero sempre precedute dall’espressione “stai tranquilla”.

 

Il professore fermò l’auto in un posteggio piuttosto affollato.

Sara scese dall’auto e capì subito dove si trovavano: a poche centinaia di metri da loro sorgeva la residenza di caccia degli ex re d’Italia, per lunghi anni utilizzata per lo scopo e, dal dopoguerra in poi, adibita ad attrazione turistica.

Si guardò, chiedendosi se non avesse un abbigliamento troppo inopportuno per il luogo.

Forse no: era vero che era in canottiera e minigonna, ma dopo tutto la temperatura era alta e numerosi turisti erano vestiti esattamente come lei.

Il professore si avviò verso il palazzo e Sara lo seguì.

Arrivarono fino alle mura, li videro un uomo calvo e grasso che, una volta individuati, sorrise e si avvicinò a loro.

Strinse calorosamente la mano al professor Maggio e guardò verso Sara.

“È lei?”.

Il professore annuì.

“E’ italiana? “.

Sara si stava già irritando a sentire quell’uomo che parlava di lei come se non ci fosse, come se fosse un animale o un oggetto.

“Sì, è italiana – rispose il professore – si chiama Sara e non è una professionista. Capisci anche tu che queste sono occasioni che capitano pochissime volte”.

L’uomo guardò verso Sara e annuì soddisfatto, anche se ancora si astenne dal presentarsi.

Si guardò intorno, poi allungò la mano verso Sara.

“Vieni, vieni con me!”.

Sara guardò verso il professore, il quale le sorrise e annuì con la testa, come a dire che poteva fidarsi.

“Io vi seguo a distanza – disse il professore – vi guardo ma non vi disturbo”.

Sara si sentì subito tranquillizzata da questo.

L’uomo la guidò verso la facciata dell’edificio.

Lì c’erano alcuni turisti singoli che procedevano con guide in mano e macchine fotografiche, oltre ad alcuni assembramenti di gite di gruppo.

Poco lontano si vedevano grossi autobus entrare nel parcheggio, segno che nel giro di qualche minuto il posto si sarebbe riempito di turisti.

L’uomo guidò Sara verso un lampione della luce e le disse di appoggiare la schiena al palo.

La ragazza eseguì.

“Ora alza le braccia e afferra con le mani il lampione”.

Sara eseguì l’ordine, mentre l’uomo si spostava alle sue spalle.

Lo sentì armeggiare con qualcosa e, dopo qualche secondo, sentì qualcosa di metallico che le toccava il polso.

Con la coda dell’occhio vide l’uomo le aveva assicurato l’anello di una manetta al polso sinistro.

L’uomo fece passare la catena dietro al palo e chiuse anche l’altro anello attorno al polso destro di Sara.

In quella maniera, Sara non poteva abbassare le braccia né, ovviamente, allontanarsi dal palo.

L’uomo si guardò intorno con circospezione, poi si pose di fronte a Sara e cominciò a sollevarle la canottiera.

Quando arrivò a scoprirle la pancia e Sara realizzò che non si sarebbe fermato protestò: “Ehi, è pieno di gente qui! Non ho il reggiseno sotto!”.

L’uomo proseguì il suo movimento senza fermarsi.

“Certo,sono io che ho richiesto che non ti mettessi il reggiseno”.

L’uomo scoprì i seni di Sara, fece passare la canottiera lungo le braccia e la raggomitolò attorno hai polsi della ragazza.

Ora era completamente nuda dalla vita in su.

Sara sbirciò verso il gruppo dei turisti e vide che qualcuno aveva notato la mossa e stava cominciando a guardare nella loro direzione.

L’uomo afferrò con le dita il bottone della minigonna di Sara, quindi lo slacciò e abbassò la cerniera.

L’indumento scese lungo le gambe e si raccolse attorno alle caviglie di lei.

L’uomo sorrise, quindi afferrò con le dita gli elastici del perizoma Sara.

“No, le mutandine no! – implorò Sara – è pieno di gente qui! “.

L’uomo sorrise, con espressione disarmante

“Certo! Se io avessi voluto vedere semplicemente una ragazza nuda sarei andato in un night, non avrei avuto bisogno di te. Ma il professore mi ha detto che con te potevo fare delle cose diverse”.

Allargò l’elastico del perizoma di Sara e, inginocchiatosi, lo fece scorrere lungo le gambe della ragazza; quindi raccolse sia il perizoma che la minigonna e si allontanò di qualche passo.

Ora Sara era completamente nuda, legata in uno dei siti turistici più visitati della sua città!

Vide del movimento in un gruppo di turisti poco distanti.

In tre si staccarono dalla comitiva e si avviarono nella sua direzione.

Si fermarono ad un paio di metri da lei e ridacchiarono, poi estrassero i telefonini e li puntarono nella sua direzione.

Guardarono verso l’ex collega di Maggio, il quale fece loro l’eloquente segno che potevano fare le foto.

Sara cercò di voltare la testa dalla parte opposta per non essere immortalata nella foto, ma l’uomo battè le mani e le indicò di guardare dentro l’obiettivo.

I tre uomini le scattarono diverse foto, poi si allontanarono ancora ridacchiando.

Ma la loro mossa non era stata ignorata dai numerosi altri turisti sul piazzale, che a quel punto divennero più coraggiosi e si avvicinarono anche loro.

Un cerchio formato da una trentina di persone si formò attorno a lei.

“Papà, ma quella signora è nuda!”, disse un bambino al suo genitore.

Sara si sentì avvampare di vergogna.

Una cosa era esibirsi in web cam, dove chi guardava sapeva bene cosa stava cercando, differente era invece esporsi al pubblico sguardo così.

Un ragazzo dall’aspetto nordico si staccò dal cerchio e si avvicinò a lei, seguito da un amico.

Sembrava titubante, quasi si aspettasse che da un momento all’altro Sara si sarebbe liberata e l’avrebbe sbranato.

Si mise accanto a lei e sorrise all’amico, che scattò una foto, come quelle che si possono fare vicino ad una statua o a un quadro.

Quindi allungò una mano e le toccò un seno.

Sara chiuse gli occhi, imbarazzata.

L’amico scattò una nuova foto.

Il ragazzo passò dietro il palo e, dopo averla circondata con le braccia, le posò le mani sui seni.

Alcuni risero, molti scattarono delle foto.

Le mani del ragazzo scesero fin sul suo pube, quindi Sara sentì le sue dita accarezzarla tra le labbra.

Si sentiva veramente violentata e nessuno sembrava rendersene conto.

Ridevano, scattavano foto, commentavano.

Sara chiuse gli occhi, mentre i polpastrelli dello straniero le stimolavano il clitoride.

Lo sentì ingrossarsi, a dispetto della situazione e del disagio che stava provando.

Un altro uomo venne verso di lei, questo sembrava latino.

Si posizionò davanti a lei, quindi appoggiò le labbra sul suo seno destro.

Sara sentì il capezzolo venir risucchiato tra le sue labbra, mentre con la lingua sembrava assaggiarlo.

Deglutì, sentendo il cuore battere sempre più forte.

Le mani dell’ultimo arrivato le corsero lungo il corpo, provocandole un brivido.

Si stava eccitando?

Il pensiero venne interrotto da un urlo fortissimo.

“Andate via! Siete matti, disperdetevi!”.

Sara aprì gli occhi e guardò in quella direzione.

Un poliziotto in uniforme stava avanzando con passo deciso nella loro direzione.

L’assembramento si sciolse in pochi secondi e ciascuno tornò rapidamente da dove era arrivato, come fanno gli uccelli quando sentono uno sparo.

L’agente si avvicinò a Sara, la guardò per qualche secondo.

Cosa le sarebbe successo?

Era evidente che lei era stata legata lì, ma come avrebbe potuto spiegare come era giunta a quel punto?

Non si ricordava, la prostituzione era un reato in Italia, o solo il suo favoreggiamento?

Il poliziotto guardò nella direzione dell’ex collega del professore.

“Vieni qui, Sergio!”, lo chiamò.

L’uomo si avvicinò.

“Ti avevo detto che avrei chiuso un occhio, ma non a quest’ora del mattino, cazzo!”, disse il poliziotto a bassa voce.

L’uomo abbassò lo sguardo.

“Libera sta puttana, dai!”, gli ordinò.

Sergio si spostò verso il palo e sbloccò la serratura delle manette.

Sara lasciò ricadere le braccia e si massaggiò i polsi indolenziti.

“Venite, presto!”, disse l’agente.

Sara si coprì il corpo con le braccia e seguì i due uomini fin dentro un piccolo ufficio che si apriva lungo le mura del palazzo.

Il poliziotto li fece entrare, poi prese Sara per un polso e e fece per trascinarla in una stanza contingua.

La ragazza provò ad opporre resistenza, ma la presa dell’uomo era salda.

Il nuovo ambiente era una specie di cucina, dove probabilmente gli agenti si rifocillavano in pausa pranzo.

“Inginocchiati!”, le disse l’agente.

Sara lo guardò senza capire.

L’uomo scosse la testa come davanti ad una bambina dura di comprendonio.

“Qui abbiamo atti osceni in luogo pubblico ed esercizio della prostituzione. Faccio un verbale o ci mettiamo d’accordo?”.

“Io non sono…è stato lui…”, provò a difendersi Sara.

“Sicuramente hai degli ottimi argomenti – rispose l’agente con sarcasmo – Vuoi parlarne davanti ad un giudice o la chiudiamo qui? Guarda che Sergio non è la prima volta che fa una cosa del genere, ma tu sei la prima che si mette a fare storie. O ti inginocchi, o chiamo i colleghi”.

Sara sospirò e si mise in ginocchio.

 

 

Sara accolse il suono della campanella che sanciva la fine della giornata scolastica con molto sollievo.

Era stanca e non vedeva l’ora di tornare a casa.

Chiuse il quaderno, ripose le penne e, caricata la cartella sulla spalla, si avviò verso l’uscita.

A metà corridoio vide avanzare verso di lei il professor Maggio.

“Spero non proverà a propormi qualche cliente qui, in mezzo a tutti”, pensò preoccupata.

L’anziano docente si avvicinò a lei, poi le disse: “Ti aspetto tra mezz’ora in aula da me. Mangia qualcosa e poi vieni, abbiamo la simulazione della maturità”.

Sara era sorpresa.

“Non ne sapevo nulla. Guardi che se ne stanno andando tutti!”, protestò.

Oltretutto, la maturità sarebbe stata solo alla fine dell’anno scolastico, mancavano ancora parecchi mesi e le sfuggiva il senso di una prova del genere.

Il professore la guardò con una specie di sorriso. “La prova è solo per te, Sara. È proprio vero che senza di me saresti perduta”.

Non le lasciò il tempo di replicare e si allontanò dalla parte opposta.

Sara si comprò un panino al bar e lo mangiò velocemente.

Cosa aveva in mente il professore quella volta?

 

Guardò l’ora: la mezz’ora era passata.

Cosa poteva fare? Provò a chiamare il professore sul telefonino, ma lo trovò spento.

Si caricò quindi della cartella e si avviò verso l’aula.

Quando giunse vicino alla porta della classe sentì un brusio provenire dall’interno.

Accelerò il passo per vedere cosa stesse succedendo, ma il professor Maggio fece capolino da dentro e la fermò prima che varcasse la soglia.

“Mi raccomando, non dire a nessuno che sei pagata – la ammonì – Consideralo un favore personale nei miei confronti”.

Sara non trovò nulla da rispondere; il professore si fece da parte e la invitò ad entrare.

La ragazza aveva intuito che ci fosse qualche persona all’interno dell’aula, ma quando entrò rimase a bocca aperta.

L’aula era stata effettivamente sistemata come in occasione di una prova d’esame.

Sei professori, ciascuno dietro ad un banco, sedevano impettiti rivolti verso il centro della classe; lungo la parete opposta era sistemata un’altra fila sedie, dove erano seduti diversi ragazzi.

Sara guardò i volti e ne riconobbe parecchi, tutti ex allievi che avevano conseguito la maturità negli anni precedenti.

Con uno di loro era anche uscita un paio di volte, pur senza farci nulla.

Si sentì prendere dal panico e guardò verso il professore; questi rispose alla sua occhiata con uno sguado serio e scosse la testa, come a indicare le che non era il caso di fare storie.

Sara venne invitata a prendere posto al centro dell’aula.

“Aspettiamo ancora due minuti che arrivi il secondo candidato”, disse il professore di latino guardando l’ora.

Sara udì dei passi di corsa provenire dal corridoio, e dopo qualche secondo Lorenzo, il suo compagno, fece ingresso in aula.

“Scusate – disse trafelato – sono in ritardo”.

Un attimo dopo entrò nell’aula anche sua madre. “È colpa mia, siamo partiti tardi da casa”.

Sara era perplessa. Possibile che avesse travisato la prova e quella fosse effettivamente una simulazione di maturità?

La professoressa di matematica invocò il silenzio battendo le mani, quindi, quando tutti tacquero, consultò un appunto.

“Bene, iniziamo, che di tempo ne abbiamo perso già troppo. Ricordo ai ragazzi che sono venuti ad assistere che non possono parlare se non direttamente interpellati e li invito a mantenere il silenzio durante lo svolgimento dell’intera prova. Questo è un momento importante per i candidati ed è necessario che voi siate d’aiuto”

Sara era persuasa: quella era realmente una prova d’esame.

Si chiedeva solo in che maniera il professore fosse riuscito a farla pagare, ma questo lo avrebbe approfondito in un secondo momento.

Il professore di chimica prese la parola e sottopose un quesito a Lorenzo.

Il ragazzo balbettò qualcosa, accennò a qualche formula, ma l’espressione sul volto del professore fece chiaramente capire come la risposta fosse altro che corretta.

“Non ci siamo, Lorenzo, non ci siamo. Togliti la polo”, gli disse.

Il ragazzo annuì convinto, quindi si sfilò la maglietta e rimase a torso nudo.

L’attenzione dei docenti si spostò quindi su Sara.

Prese la parola l’insegnante di storia: “Signorina, mi dica la data dell’omicidio di Matteotti”.

“Ma questo non l’abbiamo ancora studiato, siamo ancora all’Unità d’Italia..”, si difese Sara.

“Signorina, la risposta è solo una. O la sa, o non la sa”, fu la risposta secca dell’insegnante.

Sara abbassò gli occhi verso il pavimento e scosse la testa. “Non la so”, mormorò.

“Male. Si tolga la camicetta”, le ordinò.

La ragazza slacciò i bottoni della camicetta bianca e la appoggiò su una sedia accanto a lei.

Prese la parola il professore di fisica e si rivolse a Lorenzo.

“Lorenzo, risponda a questa domanda: che cosa è l’energia interna di un gas perfetto?”.

Apri Lorenzo allargò le braccia sconsolato. “Professore, queste cose non le abbiamo ancora fatte e…”.

Il professore batté una mano sul piano della scrivania. “Non voglio più sentire questa scusa! Le cose si sanno o non si sanno; basta accusare i vostri insegnanti di non aver affrontato certi argomenti! Togliti i pantaloni!”

Il ragazzo non replicò e si liberò dei jeans. Indossava solo un paio di boxer verdi.

Il professore di storia dell’arte prelevò dalla sua valigetta una tavola e la girò verso Sara.

Raffigurava un quadro che non era nuovo per lei, ma di cui non rammentava il titolo.

“Signorina, mi parli di questo quadro, mi dica l’autore e in quale occasione è stato commissionato”.

Era chiaro che il gioco era a perdere, tuttavia Sara provò lo stesso a rispondere.

“È di Raffaello, venne dipinto in occasione della peste di Milano”.

Il professore guardò i suoi colleghi con espressione sia divertita che incredula, poi scoppiò in una risata tanto plateale quanto falsa.

“Sarei quasi tentato di premiare la tua fantasia, Sara, ma non posso mancare di rispetto al tuo compagno che invece ha avuto la dignità di ammettere la propria ignoranza. Togliti i pantaloni!”.

Sara annuì in silenzio e si liberò anche dei pantaloni, rimanendo in biancheria intima.

Quella mattina non aveva immaginato che sarebbe stata esposta, e non poté che essere imbarazzata per la poca qualità degli indumenti che stava indossando.

Era ora il turno dell’insegnante di italiano.

“Lorenzo, mi parli della vita e delle opere di Gabriele D’Annunzio”.

Il ragazzo corrugò la fronte e, sorprendentemente, riuscì a dire qualcosa. Biascicò sulla nascita e citò un paio di opere.

Il professore ascoltò con attenzione, annuì, poi lo interruppe con una mano.

“È lodevole il suo impegno, si vede che questo non è un argomento nuovo per te. Purtroppo per la maturità ci va una preparazione decisamente più approfondita. Togliti i boxer”.

Il ragazzo si denudò completamente.

Sara sbirciò verso la mamma e notò che, contrariamente a quanto si sarebbe aspettata, stava guardando con interesse e stava sorridendo.

Toccava nuovamente a Sara, questa volta con una prova di fisica. Il professore le sparò la domanda a bruciapelo: “Quale relazione c’è tra il potenziale elettrico e il moto delle cariche?”.

Sara era perfettamente consapevole che quella non era una sessione organizzata per saggiare la loro preparazione e, pertanto, era del tutto irrilevante che cosa avrebbero risposto; tuttavia cercò di concentrarsi e dare una risposta almeno parzialmente corretta.

Il professore scosse la testa lentamente, poi – con un sorriso sadico – decretò il fallimento della prova.

“Purtroppo non è corretto – disse – togliti il reggiseno”.

Sara aveva affrontato già altre volte l’essere nuda in pubblico, tuttavia quel tipo particolare di platea la metteva profondamente a disagio.

In primo luogo i professori. Come avrebbe affrontato il resto dell’anno scolastico con loro?

Cosa avrebbero pensato ogni volta che l’avrebbero interrogata realmente? Forse sarebbe loro tornata alla mente quella prova, in cui le avevano chiesto di spogliarsi a ogni risposta sbagliata?

Era un problema solo parzialmente suo. Lei era l’offerta, loro la domanda; e poi aveva bisogno di soldi.

Si slacciò il reggiseno e lo pose sul mucchio degli altri vestiti.

I ragazzi alle sue spalle estrassero i telefonini per scattare delle foto, ma vennero subito redarguiti dal professor Maggio.

“Se sorprendo qualcuno a scattare una foto vi frantumo il telefono e verrà subito espulso!”, tuonò.

I telefonini vennero riposti.

Era nuovamente il turno di Lorenzo, questa volta con l’insegnante di matematica. La donna, una cinquantenne piuttosto trascurata, sembrava sprizzare gioia da tutti i pori.

Pose la domanda e incrociò le braccia sul petto, quasi sfidando Lorenzo a dare la risposta giusta.

Il ragazzo meditò per parecchi secondi prima di ammettere la propria incompetenza.

La professoressa si alzò in piedi e si avvicinò a Lorenzo.

“Metti le mani dietro alla testa!”, gli ordinò.

Il ragazzo ubbidì.

La donna si avvicinò e, con apparente delicatezza, gli passò le mani sul dorso e sulla pancia.

Sara non poté non pensare a quanto tempo doveva essere passato dall’ultima volta in cui la professoressa aveva toccato un uomo così giovane.

O anche un uomo in generale, visto che era ancora da sposare.

“Purtroppo devo punirti per non aver saputo la risposta”, disse con una falsa nota di tristezza.

Aprì la valigetta ventiquattr’ore dove usualmente riponeva i libri e il registro e ne estrasse un oggetto che Sara non riconobbe subito; solo quando la donna lo impugnò capì che si trattava di un frustino.

“Incominciamo con cinque frustate”, spiegò la professoressa.

Si posizionò alle spalle del ragazzo nudo e gli assestò una scudisciata sulla schiena.

Poi una sulle natiche.

Poi di nuovo sulla schiena.

Il ragazzo sopportò il dolore chiudendo gli occhi e mordendosi le labbra, senza lasciarsi scappare un solo lamento.

La professoressa sferrò l’ultima frustata e tornò a posto evidentemente soddisfatta.

Era nuovamente il turno di Sara.

Il professore di storia sembrava meditare su quale domanda porre.

“Signorina, mi dica chi era il ministro degli esteri inglese quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale”.

Questa la sapeva!

“Churchill!”, esclamò soddisfatta.

Era una farsa, l’aveva capito, ma avrebbe venduto cara la pelle.

Il professore la osservò con un sorriso furbo.

“Sapevo che avresti risposto così. Purtroppo la risposta è sbagliata”.

Sara rimase a bocca aperta.

“No, sono sicura! Era Churchill!”.

Il professore scosse la testa. “In tanti hanno la tua stessa convinzione, ma è sbagliata. Era Neville Chamberlain. Ora però togliti le mutandine”.

Sara scosse la testa.

Sapeva che sarebbe finita così, ma la sensazione di aver mancato di poco la risposta corretta la fece sentire male.

Si abbassò le mutandine e le ripose sul mucchio di vestiti.

Un brusio si levò dai ragazzi alle sue spalle, ma finse di non sentirlo.

Pose istintivamente le mani davanti all’inguine, ma le venne intimato di incrociarle dietro alla schiena.

Eseguì l’ordine, sentendosi allo stesso tempo stuprata dallo sguardo dell’insegnante di storia.

Era la prima volta che la guardava in maniera così lasciva, oppure altre volte le aveva posato gli occhi addosso immaginandola nuda?

Forse era più probabile la seconda opzione.

“Lorenzo, vita e opere di George Orwell!”, chiese seccamente l’insegnante di inglese.

Non aveva ancora parlato, ma sembrava molto soddisfatta che quello fosse il suo turno.

Lorenzo scosse la testa senza neppure provare a inventare.

“Non lo so e lo sa benissimo!”, replicò sconsolato.

“Meno insolenza, ragazzino!”, lo ammonì la professoressa. “Siamo qui anche per te”, aggiunse.

“Certo, come no!”, pensò Sara.

L’insegnante si alzò in piedi e si pose di fronte al ragazzo.

Lui rimase impassibile, completamente nudo e con le mani dietro alla schiena.

La donna gli prese il pene e cominciò a palparlo.

Lorenzo guardava fisso davanti a lei, ma si vedeva che il tocco della donna gli era tutto fuorchè indifferente.

Piano piano il suo membro andava inturgidendosi.

La professoressa continuò a far scorrere la mano lungo la sua asta, non nascondendo un sorriso compiaciuto.

Gli scoprì il glande e si allontanò, guardandolo come fosse un’opera d’arte, quindi prese in mano il frustino.

Lo fece sibilare nell’aria un paio di volte.

“Professoressa, la prego – disse Lorenzo con il volto coperto di sudore – Fa male, non me lo merito…”.

La donna non diede segno di averlo sentito; fece un passo verso di lui e sferrò una scudisciata al suo membro eretto.

Il ragazzo si accasciò al suolo urlando.

La donna non disse una parola e tornò al suo posto, visibilmente soddisfatta.

Era nuovamente il turno di Sara.

Prese la parola l’insegnante di matematica.

“Signorina, mi definisca limite, per cortesia”.

Sara non aveva neppure capito la domanda.

“Posso avere un’altra domanda, per piacere?”, chiese.

Lorenzo era ancora a terra dolorante e non voleva fare la stessa fine.

La professoressa le rivolse un sorriso falsamente addolorato.

“Mi dispiace, alla maturità non avrai la possibilità di cambiare domanda. Anche da questo passa la maturazione di una persona”.

Si alzò in piedi e si avvicinò alla ragazza.

“Mani dietro alla nuca!”, le ordinò.

Sara eseguì, scoprendo il torso.

“Hai un bel seno – disse palpandola – Anche io alla tua età ero bella come te”.

Sara dubitava sulla veridicità di quella affermazione, ma si astenne dal rivelarlo.

La donna prese in mano il frustino e lo appoggiò sul capezzolo destro di Sara.

La ragazza sentì il contatto con l’oggetto di pelle e chiuse gli occhi.

Avrebbe sentito dolore.

Sentì l’oggetto staccarsi da lei, segno che la professoressa aveva preso lo slancio per sferzarla.

“Arriva il preside!”, qualcuno urlò dal corridoio.

Sara aprì gli occhi, mentre attorno a lei si scatenava il panico.

Gli insegnanti si erano alzati tutti in piedi e si accalcavano verso l’uscita, gli ex allievi erano saltati in piedi ma sembravano non sapere cosa fare.

Sara guardò verso Lorenzo, il quale si stava infilando i jeans cercando di fare il più in fretta possibile.

Si voltò verso il mucchio dei suoi vestiti, notando con orrore come qualcuno li avesse calpestati e sparpagliati per tutta l’aula.

Non sarebbe riuscita a recuperarli in breve tempo.

“Prendi questo!”, sentì.

Si voltò e vide che la madre di Lorenzo si era sfilata il trench e glielo stava porgendo.

Lo prese senza dire nulla e lo indossò.

Certo, era ancora con le gambe e i piedi nudi, ma era sivuramente meno appariscente di prima.

“Venite!”, disse la donna.

Sara e Lorenzo la seguirono fuori dall’aula, unendosi alla massa che usciva.

Procedettero a passo spedito, oltrepassando con noncuranza un piccolo drappello formato dal preside e un paio di professori.

“Era una lezione supplementare, mi sembrava di averla avvisata”, stava mentendo l’insegnante di fisica.

Uscirono nel posteggio e montarono sull’auto della mamma di Lorenzo.

La donna avviò il mezzo e si portarono in strada.

Sara emise un sospiro di sollievo.

Non avrebbe probabilmente ricevuto soldi, ma era lieta che tutto fosse finito.

Non le piaceva la violenza e aveva la sensazione che quella sessione avrebbe potuto degenerare.

Si rilassò sul sedile e chiuse gli occhi.

Li rieprì qualche minuto dopo, cercando di capire dove fossero.

“Dove stiamo andando?”, chiese.

“A casa nostra”, rispose la donna alla guida.

“No, io voglio andare a casa!”, protestò Sara.

La donna scosse la testa.

“Sei senza vestiti, passeresti un guaio. Vieni da me, ti presto qualcosa di mio, abbiamo più o meno la stessa taglia”.

“Non è il caso, a casa mia non c’è nessuno…”, protestò.

“Mi permetto di insistere, Sara. Non sarei una buona madre se ti lasciassi senza prendermi cura di te”, si oppose la donna.

Una buona madre?

Quella che aveva fatto un pompino a suo figlio e che aveva assistito soddisfatta alla sua umiliazione solo qualche minuto prima?

Sara si permetteva di dubitare che fosse una buona madre, ma non disse nulla.

La donna accostò al marciapiede e spense il motore.

 

 

Sara, Lorenzo e sua madre entrarono in silenzio nell’appartamento.

La donna li precedette in cucina, dove i due ragazzi si sedettero sul divano.

“Vuoi qualcosa da bere? Un bicchiere d’acqua ? un caffè ?”, propose la donna.

Sara scosse la testa. “No, grazie. Anzi, se lei ha voglia di prestarmi una cosa qualsiasi per vestirmi, anche solo una tuta, io poi riprendo la metropolitana e vado a casa”.

“Intanto, per piacere, dammi del tu e chiamami di Silvana. Poi non c’è nessuna fretta di andare via, ti posso anche accompagnare”.

Sara non aveva nessuna voglia di passare del tempo lì.

Silvana era gentile, Lorenzo era suo amico, ma c’era una premessa sgradevole che li aveva portati ad essere tutti e tre assieme e la ragazza voleva scrollarsela di dosso il prima possibile.

La donna si allontanò dalla cucina, Sara la sentì aprire e richiudere dei cassetti per qualche momento, poi tornò da loro con alcuni indumenti ripiegati in mano.

“Qui ci sono alcune cose che ad occhio dovrebbero andarti bene. Non sono forse il massimo della moda, ma sono puliti e sicuramente non daresti nell’occhio. Molto meno di adesso”, aggiunse indicando con un una mano il trench che Sara ancora stava indossando

Sara si alzò in piedi e prese gli indumenti. Vide che in cima c’era anche un completo intimo di pizzo nero.

“Grazie mille, Silvana; non so cosa sarebbe successo senza di te. Però vorrei che quanto accaduto oggi rimanesse un segreto tra di noi, anche se nel futuro dovessimo vederci e frequentarci”, precisò Sara, guardando sia verso la madre che verso il figlio.

“Ecco, già che siamo in argomento, vorrei parlare con te di quello che è successo”, disse Silvana.

La donna prese una sedia e si sedette, quindi con un gesto della mano invitò Sara a fare lo stesso.

La ragazza si accomodò nuovamente sul divano, tenendo il fagotto di vestiti in grembo.

“Senti, io non voglio offenderti – cominciò la donna, forse con una punta di imbarazzo – ma ho l’impressione che ultimamente tu faccia la vita. Mi sbaglio?”.

Sara non capiva. Cosa significava quell’espressione?

Guardò la donna con sguardo interrogativo.

Silvana sorrise e si passò una mano fra i capelli. “Forse è un modo di dire che non si usa più. Intendevo solo dire che mi risulta che tu ti prostituisca”.

Sara sentì un tuffo al cuore. L’ambiente scolastico era proprio quello dentro il quale lei non voleva che si spargesse quella voce.

“Chi te l’ha detto?”, domandò.

“Non me l’ha detto nessuno. Però la prova di esame di oggi avrebbe dovuto prevedere soltanto Lorenzo, e invece all’ultimo sei giunta tu. Quindi ho sentito i ragazzi che sedevano al fondo della classe dire fra loro che avrebbero dovuto pagare. Ho semplicemente fatto due più due”.

Sara rimase in silenzio. Aveva senso negare?

Soprattutto nei confronti di Silvana, che, pur gentile e affabile, non aveva per nulla il profilo della mamma moralista e per bene?

“Sì, è vero – ammise – ma non è una scelta di vita. E’ che ho bisogno urgente di soldi…”.

Silvana la fermò con un gesto della mano.

“Non c’è bisogno che ti giustifichi; volevo solo verificare questa notizia prima di farmi delle brutte figure con te. Adesso che sappiamo di cosa parliamo, possiamo spostare la conversazione su un altro piano”.

“Cioè?”, domandò Sara.

Silvana sembrò esitare qualche secondo, poi la guardò negli occhi e domandò: “Quanto vuoi per essere un’ora a nostra disposizione?”.

Sara non si aspettava la domanda, non sapeva neppure che cosa rispondere.

“Adesso?”, chiese, anche per prendere tempo.

“Adesso”.

Ci pensò per qualche secondo.

“Duecentocinquanta euro”, sparò

La donna annuì. “Va bene. Per un’ora sarai a nostra disposizione e io ti darò duecentocinquanta euro. Alla fine questa ora, tornerai a casa e tutto questo sarà come se non fosse mai successo. Siamo intesi?”

La donna tese una mano verso Sara, lei la prese e gliela strinse.

“Perfetto – concluse la Silvana – a questo punto è meglio che ci spostiamo di là”.

 

Entrarono tutti e tre in quella che doveva essere la stanza di Silvana.

Sara non conosceva lo status di quella donna, ma non le risultava che fosse separata. Ma non erano fatti suoi.

La donna aprì un armadio e ne estrasse un cavalletto su cui era montata una telecamera.

“Silvana, io preferirei non essere ripresa”, disse Sara.

La donna la fulminò con lo sguardo. “Abbiamo detto duecentocinquanta euro e fai quello che vogliamo. Ebbene, io voglio riprenderti. Possiamo arrivare anche a trecento, ma è fondamentale che io ti riprenda”.

Sara rimase in silenzio qualche secondo.

“Non sono fatti che ti riguardano – aggiunse Silvana – ma sappi che questo filmato verrà visto soltanto da noi e da mio marito”.

Sara sospirò. In effetti, non c’era molta differenza tra farsi riprendere da Silvana e mostrarsi di fronte ad una webcam.

Anzi, nel primo caso avrebbe avuto pubblico sicuramente molto più ridotto.

Sara annuì. “Va bene, facciamo trecento e non se ne parla più”.

Silvana non disse nulla, guardò nell’oculare della telecamera, fece qualche regolazione, poi pigiò un tasto sul fianco dello strumento.

Una luce rossa si accese accanto all’obiettivo.

“Spogliati e coricati sul letto”, dispose.

Non era difficile da fare, Sara aveva addosso solo il trench di Silvana.

Slacciò la cintura in vita, lo appoggiò sulla sedia e si sdraiò sul letto.

Guardò dritto nella telecamera, non sapendo cosa fare.

Silvana allungò un braccio e diede una pacca sul sedere di suo figlio.

“Dai, vai anche tu!”.

Lorenzo sembrò destarsi da una specie di torpore.

Si sfilò rapidamente la polo e i jeans, quindi – una volta tolti anche il boxer – si sdraiò sul letto accanto alla sua compagna di classe.

“Dai, ragazzi – disse Silvana – mica devo dirvi tutto io!”.

Lorenzo cinse Sara alla vita e la avvicinò verso di lui, quindi cominciò a baciarla.

Sara sentiva che c’era qualcosa di malato in tutto questo, non trovava normale che una madre amasse vedere il proprio figlio fare sesso; e non trovava sano neppure che si rivedesse il filmato con il marito.

Però quelli erano problemi loro, Sara non era sicuramente lì per giudicare.

Oltretutto, Lorenzo non era neppure un brutto ragazzo e non sarebbe sicuramente stato faticoso fare sesso con lui.

Trovava però la situazione estremamente delicata.

Dal giorno dopo, sarebbero riusciti ad avere un rapporto normale? Oppure lui si sarebbe sentito in diritto di pretendere qualcosa di più da lei?

Nella situazione in cui si trovava, forse era troppo tardi per porsi il problema.

Ricambiò il bacio di Lorenzo e le loro lingue si intrecciarono prontamente.

Premette il suo seno sul petto di Lorenzo, mentre sentiva la mano di lui posarsi sulle sue natiche.

La pressione le fece appoggiare il bacino sui suoi genitali, sentendo come il ragazzo stesse cominciando ad avere un’erezione.

Sara prese a baciare Lorenzo sul collo, mentre con la mano destra gli accarezzava il membro.

Silvana aveva detto che lei sarebbe stata a loro disposizione per un’ora, ma cosa intendeva?

Se avesse finito prima con Lorenzo cosa avrebbe dovuto fare?

Lorenzo si sdraiò sul materasso e chiuse gli occhi. Era chiaro che voleva che lei lo accarezzasse un poco.

Richiesta lecita: lei era la puttana, lui il cliente, e in quel tipo di rapporti non è mai il cliente quello che deve sbattersi.

Sara si protese di lui e con la lingua gli leccò i capezzoli e il petto.

Per fortuna era un ragazzo molto poco irsuto, non le piacevano i peli.

Con la punta della lingua scese lungo il torso di lui, fermandosi qualche secondo per penetrargli l’ombelico con la lingua.

Vide il corpo del ragazzo vibrare come se fosse stato attraversato da un brivido, segno che gli piaceva.

Riprese a baciarlo, scendendo sempre più in basso.

Quando arrivo alla zona dei suoi genitali, evitò di puntare dritta verso l’obiettivo, e proseguì baciandogli l’interno coscia.

Aiutandosi con le mani, fece sì che Lorenzo piegasse le gambe, appoggiando la pianta del piede al materasso.

Sollevò la testa e, con la punta delle unghie, gli accarezzò lo scroto.

Lorenzo aveva gli occhi chiusi e la bocca leggermente aperta, del tutto assorbito da quello che lei gli stava facendo.

Se sua madre voleva il lavoro di una professionista, avrebbe avuto il lavoro di una professionista..

Sara si leccò il dito medio e, lentamente ma senza esitazioni, lo fece scorrere sulla pelle dell’interno coscia di Lorenzo, puntando verso il suo ano.

Quando arrivò lì vicina, lo saggiò con la punta di un dito.

Lorenzo fece un piccolo sobbalzo, ma non cambiò posizione, segno che gli era piaciuto.

Sara appoggiò il polpastrello allo sfintere di lui e cominciò ad esercitare una leggera pressione.

Come aveva supposto, Lorenzo non oppose resistenza e Sara riuscì ad infilare un paio di falangi dentro di lui.

Era la prima volta che lo faceva ad un ragazzo, anche se aveva letto da qualche parte come fosse una pratica abbastanza diffusa.

Lasciò che il dito scorresse per intero dentro l’intestino di lui, mentre con l’altra mano gli impugnò il membro, ora decisamente duro.

Prese a masturbarlo, cercando di accompagnare il movimento della mano destra con quello della sinistra. Ad ogni tocco sul pene corrispondeva un leggero guizzo dentro l’ano.

Lorenzo era quasi paralizzato, gli occhi chiusi e la bocca aperta per il respiro affannoso.

Gli stava dirigendo e non poco.

Sara non osava voltarsi e guardare verso di Silvana, era già abbastanza imbarazzante che lei fosse presente.

Continuò a masturbarlo per dieci minuti, senza che lui desse segni di essere in procinto di venire o di essere stanco.

A dispetto di quanto avesse sempre pensato, evidentemente quel ragazzo doveva avere una vita sessuale discretamente intensa.

Certo, se le ragazze gliele procuravano i suoi genitori…

Sara interruppe il movimento con la mano lungo il pene del ragazzo e avvicinò la sua faccia.

Era vero che non avrebbe voluto che lui venisse subito, ma da un certo punto in poi si sarebbe sentita di appagata a sapere che venendo.

Aprì la bocca e gli passò la lingua lungo il membro.

Lorenzo mostrò di aver notato il cambiamento solo perché prese a ansimare più rapidamente.

Evidentemente non gli dispiaceva un sano vecchio pompino!

Sara prese completamente in bocca il suo membro, continuando nel contempo a solleticarlo con la punta della lingua; nel frattempo non smetteva di esercitare pressione all’interno di lui attraverso l’ano.

Prese a muovere la testa in maniera ritmica attorno al suo pene, cercando di farlo venire.

Proseguì con quel movimento per una decina di minuti, senza che il ragazzo riuscisse a godere.

Oramai era parecchio tempo che lo stava stimolando, non le era mai capitato di dover lavorare così tanto su un uomo per farlo venire.

Si sollevò per un attimo da lui e le venne spontaneo voltare la testa verso di Silvana.

La donna le sorrise, e poi, come se le avesse letto nel pensiero, disse: “È normale, ci va sempre molto tempo con lui. Però gli si può dare qualche stimolazione supplementare”.

Silvana si allontanò dalla telecamera e prese a slacciarsi la camicetta.

Sara ricominciò a masturbare Lorenzo, senza però staccare gli occhi dalla donna.

Silvana si sfilò anche la donna, quindi, tolta anche la biancheria intima, si mise sul letto con loro.

Lorenzo non aprì neppure gli occhi; sua madre si portò vicino a Sara e la prese per la vita, avvicinandola a lei.

Le due donne si trovarono così faccia a faccia, con i seni a contatto fra loro.

“Baciami!”, le ordinò di Silvana.

Sara trovò qualcosa di terribilmente perverso nel baciarla la stessa bocca che un minuto prima aveva contenuto il pene del figlio.

Le due donne accostarono le labbra tra loro, quindi Sara sentì la lingua di Silvana insinuarsi dentro.

Le braccia della donna le cinsero la schiena e, con un movimento deciso, Silvana le premette la base della spina dorsale in modo tale che la vagina di Sara entrasse in contatto la sua.

Sara percepì distintamente come Silvana fosse molto eccitata.

La mamma di Lorenzo si sdraiò sul letto, tenendo Sara per le spalle in modo che la seguisse.

Una volta sdraiata, allargò le gambe in un gesto inequivocabile.

Sara si ritrovò nuovamente a pensare che i ruoli erano definiti: lei era la puttana, lei era quella che doveva procurare piacere.

Si chinò su Silvanaa, e nell’eseguire il movimento sbirciò verso Lorenzo.

Il ragazzo era sempre sdraiato, ma guardava nella loro direzione e con una mano si stava masturbando.

Sara si chiese come potesse durare così tanto sotto continua stimolazione.

Accostò il viso al clitoride di Silvana e vi passò la lingua sopra.

L’organo della donna era incredibilmente sviluppato, forse il più grande che Sara avesse mai visto.

Lo prese tra le labbra e lo succhiò, come fosse un piccolo pene.

Silvana sembrò gradire la mossa, perché inarcò la schiena, chiuse gli occhi e si portò le mani sui seni per stimolarli.

Sara si stava eccitando dalla situazione, trovava tremendamente perverso avere un rapporto orale di con la mamma di Lorenzo di fronte suo figlio.

Portò la mano verso il suo inguine e introdusse le un dito tra le sue labbra.

Anche lei era eccitata.

Intensificò il lavoro di bocca, sentiva l’eccitazione crescere dentro di sé e avrebbe voluto che Silvana venisse assieme a lei.

Forse perché era così concentrata sulle sensazioni sue e dell’altra donna, non aveva notato che Lorenzo si era messo in ginocchio e si era spostato dietro di lei.

Si accorse della presenza del ragazzo solo quando sentì le sue mani stringerle i fianchi e, un istante dopo, il suo membro penetrarla senza nessuna delicatezza.

Sentì il sesso del ragazzo penetrare in lei fino in fondo, sorprendendosi per quanto la stava riempiendo.

Guardo verso Silvana che ancora con gli occhi chiusi, attendeva che lei continuasse a leccarla. Non si era accorta della mossa del figlio, oppure non le importava.

Sara si chinò nuovamente su di lei, allargando con le dita le labbra e leccando con la punta della lingua all’interno.

Silvana prese ad ansimare, segno che era forse molto prossima a venire.

Lorenzo continuava a entrare ed uscire da lei, emettendo suoni come un animale e provocandole del dolore per quanto intensamente le stringeva i fianchi.

Il lavoro ritmico divenne sempre più intenso e anche il respiro del ragazzo, sino a quando, senza alcun tipo di preavviso, non uscì da lei e senza grazia la spostò di lato.

Sara cadde su un fianco sul materasso accanto a Silvana, e vide Lorenzo protendersi sul corpo della madre e penetrarla senza dirle neppure una parola.

La donna aprì gli occhi, vide che era lui e gli circondò il corpo con le gambe e le braccia.

Lorenzo chiuse gli occhi, si morse le labbra e, finalmente, venne.

 

Silvana si accese una sigaretta e porse il pacchetto verso Sara, che rifiutò.

“Tu pensi che io sia una madre di merda, immagino”, disse.

Dal bagno attiguo proveniva il rumore della doccia sotto cui Lorenzo si stava lavando.

Sara scosse la testa.

“Non sono io che devo giudicare. Faccio sesso per soldi, come potrei permettermi di dare giudizi?”.

“Puoi comunque farlo. Mi chiedo solo come tutto questo possa essere giudicato da un’altra persona”.

Sara si alzò e cominciò a vestirsi.

“Io, che ho solo diciotto anni, fino ad ora ho fatto sesso con mio fratello, mia madre e mio zio, oltre che con un numero imprecisato di sconosciuti e sconosciute. A volte l’ho fatto per denaro, altre volte perchè mi piaceva. Questa non è sicuramente la situazione più strana che ho conosciuto”.

Si infilò i pantaloni che Silvana le aveva prestato e misurò la camicetta. Le stava abbasanza bene.

“Ora vorrei andare, se non ti dispiace”, disse con tono di voce piatto.

Voleva uscire prima che Lorenzo tornasse dalla doccia.

Non sapeva come avrebbe potuto guardarlo in faccia a partire dal giorno dopo.

Silvana si diede una manata sulla fronte.

“Certo, devo pagarti!”, disse.

Si alzò di scatto e, ancora nuda, prese a frugare nella borsetta.

Ne estrasse un po’ di banconote, le contoò e le mise in ordine.

“Sono trecento euro – disse porgendole a Sara – Per quello che può interessarti, sono stata bene con te e mi sei piaciuta. Se lo vorrai, mi piacerebbe organizzare un altro incontro”.

Sara prese i soldi e li mise in tasca.

“Non lo so. Ne parleremo quando sarà il momento”, disse.

 

Uscì in strada e montò su un taxi, quindi sentì il telefonino che vibrava.

Il numero era “sconosciuto”, sperò non fosse il professore.

“Pronto?”, rispose.

“Sono Ramon, di Amici On Line – sentì dall’altra parte del telefono – Sei stata presa per la trasmissione, ci vediamo tra un paio di giorni!”.

Sara si rilassò sul sedile del taxi.

“E’ una bella notizia, sono contenta. Cosa devo fare?”.

“Nulla di che, dovete solo presentarvi nello stesso posto della volta scorsa e registreremo subito. Per i vestiti non preoccuparti, ci pensiamo noi”.

“Va bene. Non ho capito però perchè hai detto dovete” .

“Perchè dovete essere in due, ognuna ha un accompagnatore che sarà con lei in trasmissione. Non te l’abbiamo detto?”.

Sara si sentì prendere dallo sconforto.

“No, non ne sapevo niente!”.

“Mi dispiace, deve esserci stato qualche fraintendimento. È un problema per te? Vuoi tirarti indietro?”.

Sara riflettè per un paio di secondi.

 

“No, ci sono. Non preoccuparti, saremo in due. Ci vediamo dopo domani”.

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