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Alla corte del Duca

By 26 Aprile 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Era arrivato il suo turno.
Elena era nuda, sopra una specie di palco. Il suo vestito grezzo, più somigliante a un sacco di juta che a un abito vero e proprio, giaceva accartocciato ai suoi piedi. Davanti a lei una decina di uomini, di tutte le età, la stavano guardando attentamente, scrutando ogni minimo dettaglio del suo corpo, restando seduti su due file di sedie improvvisate in quel locale sudicio, in cui il fumo delle pipe e dei sigari opprimeva l’aria rendendola irrespirabile, e irritando ulteriormente i suoi occhi, di per sé già resi rossi dal pianto.
Era cominciato tutto una settimana prima.
Quel pomeriggio il sole estivo splendeva cocente sui campi assetati d’acqua, la terra spaccata dall’aridità. Elena raccoglieva le patate dal campo, canticchiando allegra come sempre era. Le giornate pesanti passate nei campi non le pesavano, e lei era orgogliosa di essere utile per la sua famiglia. La miseria in quei tempi era all’ordine del giorno, e si faceva spesso fatica a trovare da mangiare qualcosa per la sera. I suoi due fratelli maschi più piccoli, di sedici e quattordici anni, aiutavano il loro padre a coltivare quella terra ingrata, bagnata dal sudore della fatica di 15 ore di lavoro al giorno, senza mai fermarsi. Ma nonostante tutto ciò, sembrava che il lavoro non pagasse mai, anzi….
Alla sera brodaglia con quattro tozzi di pane secco annegati dentro, e poi polenta, e polenta, e ancora polenta. La loro casa comprendeva 3 stanze: la cucina era l’unica in cui compariva la stufa a legna, l’unica che d’inverno veniva riscaldata, e quella in cui si passava la maggior parte del tempo. Poi c’era la camera dei suoi genitori, e per ultimo, su 3 letti a castello, dormivano lei e i suoi fratelli, isolati dalla cucina solo dal tirare di una tenda lercia. Lei, diciotto anni appena compiuti, era praticamente in età da matrimonio, ma non ci pensava minimamente. La casa in cui abitavano, dispersa nelle campagne, era talmente isolata da non permetterle di conoscere i ragazzi, e siccome l’occasione fa l’uomo ladro, così dice il detto, lei di occasioni non ne aveva, e al sesso e al matrimonio nemmeno ci pensava. Certo, qualche volta si era toccata, ma tutto era finito lì.
Quel giorno percorreva come sempre uno dei viottoli sterrati che univano la sua casa ai campi che avevano in gestione dal feudatario, e al quale davano praticamente tutto il raccolto in cambio di quell’alloggio fatiscente e di quel misero stipendio che arrivava solo se la terra fruttava e se niente fosse andato storto. Quella non era una buona annata: non pioveva da quasi due mesi, e le colture erano in uno stato pietoso, seccate in gran parte dal sole. Si profilava un anno di magra, e questo faceva disperare suo padre, che si spellava le mani a furia di lavorare, ma senza ottenere alla fine grandi risultati.
Stava quindi percorrendo i viottoli trascinandosi dietro il sacco di patate appena raccolte, poche purtroppo rispetto alle sue aspettative ma pur sempre una ventina di chili, che per una ragazza dalla corporatura esile e delicata come la sua erano sempre un bel peso, e quando arrivò in vista della sua dimora notò che davanti stazionava un carro, con legati due cavalli al traino. Ricevevano difficilmente delle visite, non avendo niente di niente da offrire a nessuno, e comunque le poche persone all’anno che si avventuravano fino alla loro casa sperduta in mezzo alle campagne arrivavano a piedi, o nella migliore delle ipotesi a cavallo di un mulo, che era già un grande lusso da quelle parti. Incuriosita, accelerò il passo, muovendo velocemente le sue gambe nervose, gli zoccoli di legno che le racchiudevano i piedi a strisciare sul fondo sconnesso del sentiero.
Posò il sacco appena fuori, sulla panca di legno che era sistemata li per godersi un po’ di frescura notturna in quelle notti afose d’estate, e dove la famiglia prima di andare a letto si riuniva per chiacchierare un po’, poi spinse la porta fatta di assi di legno inchiodate tra loro, in cui c’erano più spifferi che formiche in un formicaio, e si trovò nella cucina, dove vide sua madre e suo padre seduti al tavolo con un uomo piccolo e tozzo, la pancia pronunciata, e la calvizie che lo aveva privato completamente dei capelli sulla nuca.
Sentendo il cigolio della porta che si apriva l’uomo, che era seduto di spalle, si girò lentamente a guardarla, scrutandola da capo a piedi, poi si rivolse a suo padre:
-E’ questa la ragazza?
-Si, è Elena, nostra figlia. Elena, saluta il signore!
Elena rimase stupita dal fatto che aspettassero proprio lei
-Buonasera signore!
Disse educatamente, come le era stato insegnato a fare dalla mamma, in una delle molteplici volte in cui giocavano a fare le “signore”, quelle dell’alta società, ricche, ben vestite e curate. In quei momenti si divertivano a fare finta di prendere il the, apparecchiando la tavola con le loro stoviglie in legno intagliato e immaginando che fossero di porcellana, giocando a chiedersi “quante zollette signora?” “due, no anzi tre!!!” “gradisce latte o limone?” e poi scoppiando in fragorose risate, mentre lei o sua madre facevano le facce serie e altezzose.
-Molto carina, complimenti!
Aggiunse quello strano personaggio sorridendole. Lei ricambiò il sorriso, felice per il complimento appena ricevuto; poi il pelato si girò nuovamente verso suo padre, l’espressione che si fece seria
-Vediamo, le posso dare….1000 denari
Suo padre teneva gli occhi bassi, a fissare il pavimento in terra battuta, e sua madre intervenì:
-Ma come? Così poco???
-Signora, io le ho detto quello che per me vale. Posso arrivare al massimo a 1500…..
Sua mamma guardò l’uomo viscido che aveva davanti, poi riprese:
-La ragazza è sana ed è vergine, oltre che essere anche bella, e a quello che ho sentito in giro, vale almeno 5000 denari….
-Vede signora, il prezzo che lei ha sentito è quello di ultimo acquisto, quando la ragazza viene, diciamo così, accasata da qualche parte. Io le ripeto la mia offerta oltre la quale, mi dispiace, non posso proprio andare.
Dicendo questo,l’uomo estrasse dal suo panciotto la pipa e il tabacco, e con molta calma cominciò a riempire il braciere, adocchiando ogni tanto la coppia di genitori che aveva davanti. Lui sapeva bene, perché gli era successo già molte altre volte, che le persone che aveva davanti erano disperate, altrimenti non si sarebbero spinte fino a fare un gesto di quel tipo, vendere una figlia che era sangue del loro sangue. Sicuramente quei due, pensava tra sé e sé, non hanno più niente con cui sfamare loro e i loro figli, e per farlo negli ultimi tempi hanno contratto tanti debiti da strangolarli, e hanno il terrore che quel poco che ancora hanno, quella terra così dura e difficile, venga loro tolto, buttandoli completamente su una strada e senza la possibilità di sopravvivere.
Mille e cinquecento denari era proprio il debito che il padre di Elena in questo momento aveva contratto, e sarebbe riuscito a saldarlo senza nemmeno avanzarci niente. Per fortuna intervenne ancora sua madre, che in fatto di trattative commerciali era decisamente più brava di suo marito, e provò a rilanciare ancora:
-Tremila non è possibile?
-Signora lei è terribile… facciamo così, voglio proprio venirvi incontro ma questa è la mia ultima, e ripeto ultima, offerta….ve ne do 2000 subito, e vado via già oggi con la ragazza. Prendere o lasciare.
Tutto questo avveniva sotto lo sguardo allibito e incredulo di Elena, che aveva assistito a tutta questa strana trattativa.
Nel frattempo la pipa era stata accuratamente riempita di tabacco, e venne accesa subito dopo.
-Vi lascio un po’ di tempo per parlarne, aspetterò qui fuori la vostra decisione.
L’uomo si incamminò con passo tranquillo verso il cortile, passando di fianco alla giovane che lo guardava con aria attonita.
Non appena fu uscito, Elena arrabbiatissima con i suoi genitori cominciò a parlare, quasi urlando:
-Ma che cosa succede??? Non avrete mica intenzione di darmi a quello lì vero????
Sua madre la prese per mano:
-Siediti Elena. Adesso ne parliamo.
E poi, rivolgendosi verso il marito
-Cosa facciamo? Accettiamo?
Lui, sempre guardando verso il basso per non guardare negli occhi sua figlia, fece un cenno di assenso col capo. La madre allora si rivolse di nuovo verso Elena:
-Mi dispiace, figlia mia. Noi purtroppo non ce la facciamo più a mantenerti! Le braccia forti dei tuoi fratelli ci servono per lavorare la terra, mentre tu vedrai, vai a stare bene…
-Ma cosa stai dicendo mamma???? Sono tua figlia, mi stai vendendo a un grasso schifoso!!! Io voglio restare qui, non voglio andare via, voglio restare!!!!
Disse la povera ragazza, le lacrime che le rigavano le guance
-Ti prego papà, fa qualcosa tu!!!
Il padre se ne stava sempre con lo sguardo chino, e con un filo di voce rispose
-Mi spiace piccola – così la chiamava sempre il suo papà – non sai quanto mi dispiace, ma non abbiamo altra scelta….
La madre nel frattempo si era alzata, e direttasi verso la porta, aveva richiamato l’uomo
-Accettiamo!
Aveva detto.
Lui allora aveva preso Elena per il braccio, tenendola con fermezza. Non era la prima volta che faceva quel lavoro, e sapeva bene che a volte le ragazze scappavano, e poi si doveva fare una vera e propria faticaccia per riacciuffarle. Cominciò con decisione a trascinarla fuori, verso il suo carro posteggiato nel cortile, mentra lei piangente ed urlante scalciava in tutte le direzioni nel tentativo di liberarsi, e urlava e implorava che non voleva, e chiedeva ai suoi genitori di aiutarla. Ad un certo punto, ormai vicina al carro, si accorse che non erano nemmeno usciti a salutarla, che la lasciavano andare via così. Allora smise di ribellarsi, anche se sentiva una rabbia ancora maggiore crescerle dentro, e con molto orgoglio salì da sola sul carro. Non appena fu dentro, l’uomo viscido entrò e dopo averla fatta sedere sulla panca laterale, rovistò sotto il sedile, estraendo una cavigliera di metallo fissata ad una catena e con essa al carro: una costrizione robusta, che una volta fissata ai suoi piedi le avrebbe impedito ogni tentativo di fuga.
L’uomo gliela chiuse intorno al piede con un grosso chiavistello, poi scese dal carro richiudendolo con cura, in modo tale che non si potesse vedere da fuori cosa ci fosse all’interno, né tantomeno da dentro si poteva vedere niente del mondo circostante.
Dopo essere rientrato e aver dato l’importo pattuito alla famiglia, l’uomo si mise alla guida del carro, frustando i cavalli. Mentre rapidamente si allontanava, i genitori della ragazza si affacciarono sull’aia, e fecero ancora in tempo a sentire la figlia gridare:
-Mi fate schifo!!!! Mi fate schifo!!!!!
Fu l’ultima volta che sentirono la voce di Elena.
………..
Il carro procedeva tranquillo, lungo quelle stradine sterrate e piene di buche. L’uomo era molto soddisfatto: aveva fatto un ottimo affare! La ragazza la dietro, con quel visino dolce, quegli occhi verdi carichi di espressività, le gambe lunghe e affusolate che terminavano con delle caviglie sottili ed eleganti, e quelle piccole tettine sode le avrebbe reso un sacco di soldi. L’aveva pagata meno di un terzo del valore corrente di mercato, e l’avrebbe rivenduta almeno a 15-20 volte la cifra che aveva dovuto dare a quella famiglia. Non provava nessun rimorso per quella gente, come non provava rimorso o compassione per nessuno. Era il suo lavoro, e lo sapeva fare bene. Ancora qualche anno, e poi sarebbe stato ricco, e avrebbe potuto invecchiare nell’agiatezza, magari comprandosi qualche ragazzino che lo avrebbe soddisfatto sessualmente. Eh si, lui comprava le ragazze, ma a lui non interessavano per nulla. Proprio per questo i suoi acquirenti si fidavano ciecamente di lui, in quanto al corrente che le ragazze sarebbero arrivate a loro senza che le venisse torto un capello, e senza che avessero conosciuto sessualmente altri uomini. Ripensando ancora una volta a quanto avrebbe incassato sorrise tra se e se, e decise che la cosa andava festeggiata con una buona fumata. Riestrasse dal panciotto la pipa, e dopo averla riempita, cominciò a fare delle buone boccate di fumo, con grande soddisfazione.
Elena dietro stava veramente scomoda. La panca di legno duro le faceva sentire nella schiena ogni singola buca del sentiero, e cominciava a sentire il bisogno di urinare.
Chiese ripetutamente che il carro si fermasse, che doveva scendere un attimo, ma non otteneva nessuna risposta. Cercò quindi di trattenersi, fino a quando ad un certo punto non sentì il carro fermarsi. Allora provò a chiamare di nuovo
-La prego, ho bisogno di scendere un attimo! Mi sente?
Non sentì risposta, ma dopo qualche istante vide aprirsi la tenda
-Cosa c’è? Che hai da gridare?
Le disse l’uomo, con tono irratato
-Ho bisogno di scendere un minuto, per favore
L’uomo si mise a ridere, mostrando i suoi denti ingialliti dal fumo:
-E dove devi andare? Devi forse pisciare?
Lei lo guardò con il viso supplichevole, scuotendo in segno di assenso la testa su e giù
-Bella, tu da qui non scendi fino a quando non saremo arrivati a destinazione! Se devi fare qualcosa, fallo pure sul carro, tanto toccherà poi a te dopo pulirlo ahahaha
La tenda si richiuse e lei si decise a resistere fino a quando non fossero arrivati. Si ma quanto ancora avrebbe dovuto restare sul carro? Quanto mancava ancora ad arrivare dove erano diretti? Mentre faceva questi pensieri sentì di fianco al carro il rumore dell’uomo che, fortunato lui, stava svuotando la sua vescica e, pochi istanti dopo, il carro che ripartiva. Tutte quelle sollecitazioni non l’aiutavano, e a un certo punto non ce la fece più, facendosi la pipì addosso e bagnando il vestito sgualfo che portava e la panca sottostante, dove si allargò una pozza di umido.
Erano molte ore che viaggiavano. Lei aveva fame e sete, e l’odore forte della sua urina riempiva il carro chiuso. Aveva dovuto infatti provvedere altre due volte a svuotarsi, ma questa volta era riuscita almeno a non bagnarsi gli indumenti che erano faticosamente asciugati. Intanto il sole aveva lasciato il posto all’imbrunire, e finalmente il carro si fermò davanti ad una locanda. Vide apparire dalla tenda la faccia schifosa dell’omino:
-Bene, per oggi siamo arrivati. Tu dormirai qui, tra poco verrò a darti da bere e da mangiare.
L’uomo fu di parola, e poco tempo dopo lei aveva una brocca d’acqua e un bel tozzo di pane da sgranocchiare. Stanca per la giornata trascorsa, cercò per quanto consentitogli dalla catena che la teneva prigioniera di sdraiarsi sulla panca, e si addormentò rannicchiata su quel legno duro.
Venne svegliata dalla voce di due uomini, fuori l’alba che illuminava nel suo modo strano le cose
-Guarda guarda che c’è qui!
Disse quello coi baffi all’altro
-Una bella puttanella fresca fresca!!!
Sentendo quelle parole lei si era messa seduta, cercando di restare il più lontano possibile dal fondo del carro, dove i due avevano messo la testa dentro la tenda e con le mani cercavano di afferrarla. Lei cominciò come il giorno prima a scalciare, ma poteva usare solo un piede perché l’altro era impedito dalla cavigliera.
-Ora ti facciamo vedere noi puttana! Piantala di scalciare, vedrai, ti piacerà!!
Disse sempre quello coi baffi, mentre l’altro aveva stampato sulle labbra un ghigno maligno.
Elena sentì uno strano sibilo nell’aria; un istante dopo uno schiocco tremendo, e dalla guancia dell’uomo che ora non sorrideva più cominciava a sgorgare copioso il sangue dalla ferita.
-Allora? Quella è roba mia, e non si deve toccare!
Disse l’omino, la frusta ben salda nella sua mano destra. Mentre uno dei due si teneva la guancia con la mano, l’altro estrasse velocemente un coltello
-Brutto bastardo, ora ti apro la pancia!!
E con fare minaccioso, il coltello brandito davanti a sé, fece per avvicinarsi all’omino; ma questi fu più veloce, e la frusta sibilò ancora una volta, avvolgendo la mano che teneva l’arma e subito dopo strattonandola, facendogliela cadere.
-Voi pensate che io possa fare questo lavoro senza potermi difendere e senza poter difendere ciò che è mio?
Disse l’uomo, mentre volteggiava nervosamente la frusta nell’aria.
-Per questa volta non vi uccido, ma posso sempre cambiare idea! In fin dei conti stavate frugando nel mio carro, quindi per me siete due ladri…. Ora filate, e non fatevi più vedere!
I due uomini si allontanarono mestamente dal carro, mentre l’omino infilava la testa nella tenda.
-Va tutto bene?
Elena, spaventatissima, stava ancora rintanata sul fondo del carro, le braccia ad avvolgere le ginocchia in un gesto estremo di difesa: scosse la testa in segno di assenso, mentre lui osservava i capelli arruffati di lei e la sporcizia in cui era obbligata a stare, sentendo nelle narici l’odore acre dell’urina che riempiva il carro.
-Resta buona ancora oggi. Stasera saremo arrivati, e potrai mangiare e lavarti.
Richiuse velocemente la tenda, e pochi minuti dopo il carro riprendeva la sua marcia verso una destinazione ad Elena sconosciuta ma ormai agognata.
………..
Era pomeriggio inoltrato quando il carro finalmente si fermò; Elena aveva sentito gridare “Aprite, c’è il capo!” poi il cigolio di un grande portone, e il carro che di nuovo avanzava per qualche minuto.
Il telone venne finalmente aperto, mentre l’omino la scioglieva dalla catena che per quei due giorni era stata sua compagna di viaggio.
I polmoni della ragazza si riempirono di aria finalmente pura, mentre il suo sguardo correva in lungo e in largo per studiare quel posto.
La grande casa su due piani faceva una grande “U” intorno al cortile dentro cui ora si trovava; tutto intorno sulla balconata in alto gerani rossi coloravano la facciata spoglia, mentre galline, oche e cani scorrazzavano liberamente nell’aia. Sulla destra vide il rimessaggio dei carri, con a fianco la stalla per i cavalli.
-Mamma mia come puzzi ragazza, hai bisogno di una bella ripulita!
La voce della donna la distolse dalla sua analisi, mentre riusciva persino ad abbozzare un sorriso a mò di scusa.
-Seguimi forza!
Elena cominciò a camminare, le gambe intorpidite dalla lunga inattività e i piedi scalzi: le sue zoccole le aveva infatti perse nello scalciare quando era stata portata via da casa sua, dalla sua vita. Fu condotta in una stanza al piano terreno dove una grande tinozza in legno campeggiava nel centro della stanza, già piena d’acqua.
-Spogliati e infilati li dentro! Muoviti, non farmi perdere tempo!
Le disse ancora la donna in modo burbero.
Elena obbedì, togliendosi il vestito che aveva addosso da due giorni; poi salì sulla scaletta e cominciò col mettere un piede nell’acqua, sentendola gelata.
-Ahaha, la principessa voleva un bagno caldo forse?? – La canzonò la donna – dai infilati dentro e comincia a lavarti e fallo bene, non voglio vedere nessun angolo sporco quando esci!
Le ultime parole gliele disse mentre le porgeva una saponetta e una spugna ruvidissima. Poi prese con due dita i suoi vestiti, come fossero infetti
-Questo schifo lo bruciamo subito, prima che ci prendiamo tutti le pulci!
E si allontanò, lasciandola sola.
L’acqua era veramente gelata, e Elena cercò di fare il più veloce possibile a ripulirsi. Grattò velocemente tutta la sua pelle con spugna e il sapone, si sciacquò i capelli e quando finalmente ebbe finito e si tirò su per uscire la sua pelle era tutta arrossata per il freddo e per il forte sfregamento. Nel frattempo la megera era tornata tenendo in mano un vestito che più che tale sembrava un sacco ruvido.
-Tieni, metti questo!
Le disse porgendoglielo. Elena arrossì, poi chiese
-E le mutande?
-La donna si mise a ridere, una risata acida e cattiva
-Bella, qui non è mica una boutique! Metti quello e non rompere!
Rassegnata, la ragazza si infilò quello strano vestito ancora sulla pelle bagnata.
-Seguimi!
La donna si incamminò con Elena dietro; passarono diversi locali, poi presero una scala in discesa che, come scoprì poco dopo la ragazza, portava a un seminterrato che era una specie di prigione. Le stanze piccole erano composte da un tavolato che faceva le veci del letto e un secchio per i bisogni; alla finestra delle robuste sbarre di ferro impedivano eventuali fughe.
-Tra poco vi porto da mangiare! Buona giornata!
Disse la donna, e un secondo dopo la porta si chiudeva a doppia mandata e l’eco dei passi che si allontanavano si fece più lontano.
Nel silenzio più totale, seduta sulla panca, sentì un sussurro:
-Ehi, ragazza nuova! Come ti chiami?
-Dici a me? –rispose, sempre sussurrando come aveva sentito fare all’altra
-Si a te! Come ti chiami?
-Elena e tu?
-Io sono Sabrina
-Siamo solo io e te?
-No, siamo una decina qui dentro!
Elena fu felice di sapere che erano in tante, la cosa le diede un po’ di coraggio. La sua nuova amica continuò:
-Sei fortunata, tra pochi giorni ci sarà il mercato! Pensa che io sono qui da quasi venti giorni!
Una voce interruppe il dialogo:
-Allora?? Lo sapete che è vietato parlare! Silenzio o vengo li!
La conversazione si interruppe volontariamente, per poi riprendere dopo un po’ di tempo. Elena scoprì che a Sabrina e a Giulia, le sue vicine di cella e le uniche che poteva in qualche modo sentire sussurrare, era toccata una sorte simile alla sua. Venivano da posti che lei non conosceva, come loro non conoscevano il posto da cui veniva lei. Passarono i giorni che rimanevano prima del mercato a chiacchierare di tante cose, senza mai peraltro la possibilità di potersi vedere.

Il giorno fatidico era arrivato. Le ragazze vennero a una a una fatte uscire dalle proprie celle, e accompagnate sopra a un nuovo carro, molto più grande di quello che le aveva condotte li, e furono ciascuna fissata per la caviglia.

 

Elena finalmente aveva potuto vedere Sabrina e Giulia. La prima aveva i capelli corvini, gli occhi neri e intensi, la corporatura era più massiccia della sua, ma ci voleva anche poco! Giulia era l’esatto contrario: i capelli biondo cenere contornavano un viso dolce, da cui però risaltavano due occhi di un azzurro glaciale. La corporatura era simile a quella di Elena: magra e slanciata.

 

Il carro procedette per le vie ricoperte dai sanpietrini della città, su di cui rimbombava lo zoccolio dei cavalli, fino a fermarsi davanti ad un caseggiato un po’ lugubre. Elena non lo sapeva, ma in altre occasioni durante l’anno quello era il mercato del bestiame.

 

Furono fatte scendere e accompagnate in un locale abbastanza angusto. Le ragazze, pigiate le une contro le altre, cominciarono ad avere paura e ad agitarsi, proprio come succede con gli animali quando vengono instradati verso il macello. Alcune tremavano, altre piangevano, qualcuna pregava.

 

L’omino, lo stesso che l’aveva portata via sembrava ormai un secolo fa da casa sua, entrò all’interno della stanza

 

-Ragazze, silenzio! Ora tocca a voi! Cercate di comportarvi bene, vedrete che faremo in fretta! Tu – disse indicando Sabrina – tu sarai la prima. Vieni!

 

Prese per il braccio la ragazza spaventatissima, che con lo sguardo supplichevole cercava le amiche, e la trascinò verso una scala che c’era al fondo della stanza. I due scomparvero dietro la porta, e nello stesso momento si sentì il vociare delle persone dall’altra parte, acuito dal forte silenzio in cui erano piombate le ragazze.

 

Elena fu la quinta.

 

Gurdava nuda, tra le lacrime, le file di sedie, solo in minima parte occupate. La voce dell’omino la sentiva distante, come se provenisse da un altro mondo:

 

-Ragazza vergine. Mai avuto a che fare con gli uomini, lo garantisco personalmente. La base d’asta è 10000 denari. Signori, l’asta è aperta!!!

 

Udì una voce dal pubblico:

 

-falla vedere bene!

 

L’uomo sorrise divertito

 

-Avete ragione signori! Allora come vedete – e nel frattempo apriva la bocca della giovane donna – i denti sono bianchi e sanissimi.

 

Poi la fece voltare, commentando anche il suo sedere.

 

Dal pubblico si sentì una voce

 

-Undicimila!

 

-Bene, chi offre di più? Undicimila e uno, undic….

 

-Dodicimila!

 

Elena, lo sguardo basso, stava ad ascoltare l’ascesa dei numeri che indicavano quanto il suo corpo valesse.

 

-Ventimila!

 

Erano già arrivati a una cifra che stava mandando in brodo di giuggiole l’omino che stava accanto a lei.

 

-Ventimila e uno, ventimila e due….

 

-Trentamila!

 

La voce proveniva da una delle file più lontane.

 

-Il signor Duca ha offerto trentamila denari! Qualcun altro vuole offrire di più? Trentamila uno, trentamila due, trentamila tre!!!! Aggiudicata al Duca!

 

Nel momento in cui finiva la frase, dalla sedia di fianco al Duca si era alzato un uomo, anonimo nel suo vestito nero, e si era avvicinato al palco su cui stava la ragazza nuda in bella vista. L’aveva quindi presa in consegna, avvolgendole intorno alle spalle un grosso mantello che la copriva fino alle caviglie, e l’aveva accompagnata a sedersi di fianco a lui, dove notò che c’erano già altre due ragazze sedute che non conosceva.

 

Elena vide il proseguo dell’asta, le altre cinque ragazze messe in vendita. Fu felice quando il Duca comprò anche Giulia, si sentiva meno sola in quella nuova avventura. Alla fine le cinque ragazze tutte coperte da un mantello si avviarono insieme all’uomo chiamato Gerardo verso la carrozza che le portava verso la loro nuova casa. Lui si sedette lì con loro, e per tutta la durata del viaggio, praticamente un giorno intero, non rivolse mai loro la parola.

 

La mattina dopo videro, in lontananza, il castello. Era sopra una collina, le mura spesse che lo racchiudevano e lo proteggevano; al di sotto, come una radice di un albero, era cresciuta la città, le case dei contadini e degli artigiani, in una parola le case dei sudditi che lavoravano tutti quanti per il Duca.

 

Le ragazze vennero accompagnati da servitori tra i corridoi del castello, fino a raggiungere una sala da loro definita da bagno. Li vennero fatte lavare e spalmare con uno strano unguento profumato, che rendeva la pelle morbida e liscia al tatto. Venne loro persino accorciato e ordinato il pelo che avevano tra le cosce, e con una specie di cera venne rimosso quello che qualcuna di loro aveva sulle gambe.

 

Tutto era sfarzoso e pulito, e loro pensavano di essere in paradiso. Mentre facevano il bagno insieme nella grande vasca era forte il loro vociare, mentre si schizzavano addosso spruzzi di acqua tiepida. I servitori le osservavano seri ed inespressivi, mentre i loro giovani corpi nudi si divertivano.

 

Venne poi assegnato ad ognuna di loro un semplice vestitino di stoffa, la gonna che arrivava al di sotto del ginocchio, le maniche corte e appena scollato. La particolarità era che ciascuna di loro aveva un colore diverso. Ad Elena toccò il giallo, e  vide che anche le mutande erano dello stesso colore, gialle.

 

Furono quindi accompagnate in una grande sala, al cui centro campeggiava una grande tavola completamente imbandita di frutta di ogni genere, che rendeva tutto un’esplosione di colori. Le ragazze si accomodarono e cominciarono a mangiare con avidità cose a cui non erano più abituate da tempo. Elena guardava la sua amica Giulia, e i loro occhi erano felici e complici: mai avrebbero pensato di finire in un posto così, dove il cibo non mancava, dove tutto era bello e pulito, dove si potevano spalmare addosso unguenti profumati, dove quel vestito colorato sembrava un vestito da sera, da quanto era bello e da quanto loro non erano abituate a queste cose.

 

Mentre erano alla fine di quel lauto pasto, entrò all’interno della sala una cameriera, o almeno così si sarebbe detto a giudicare dal suo vestito nero, su cui compariva un piccolo grembiulino bianco tutto decorato e dalla coroncina della stessa fattura che aveva sul capo.

 

-Ragazze, per favore, sedete e fate silenzio!

 

Le ragazze si sedettero composte, ognuna al suo posto, e si prepararono ad ascoltare ciò che la signora aveva di dire:

 

-Io sono la persona che si occuperà di voi. Mi chiamo M              argherita e sono la cameriera personale del Duca. Tra poco vi porterò da lui e lo conoscerete. Vi spiegherà tutto lui, ci tiene personalmente a farlo, e per ciò che non capite chiederete dopo a me e sarò felice di spiegarvelo. Io sarò anche quella che vi darà i lavori da eseguire durante la giornata. Solo una cosa, veramente importante: quando sarete dal Duca, comportatevi bene e fate tutto ciò che lui vi dice di fare. Siate educate e obbedienti. Ora seguitemi, possiamo andare!

 

Le ragazze si alzarono dai loro posti, in un silenzio generale rotto solo dallo spostarsi delle sedie sul pavimento. In fila indiana  seguirono all’interno del castello Margherita,  che si muoveva spedita e sicura tra corridoi e stanze bellissime. Ad un certo punto si trovarono di fronte a una porta enorme a doppio battente, finemente intarsiata a raffigurare due cavalli impennati uno di fronte all’altro, e rifinita con cordature dorate.

 

-Siamo arrivate! Ora comportatevi bene, e quando sarete davanti a lui fate l’inchino e salutate con un “buongiorno signore”. Tutto chiaro?

 

Sul volto delle cinque ragazze si leggeva l’agitazione e la tensione per questo incontro. Tutte annuirono, senza dire parola.

 

-Allora andiamo!

 

Margherita bussò tre volte muovendo il grosso anello in ottone che era posizionato sulla porta, segnalando la sua presenza. La porta si aprì, accompagnata da due servitori in livrea.

 

Il Duca era seduto su una specie di trono dall’altra parte della stanza, al di sopra di una scalinata di 5 gradini di marmo. Era un uomo di circa quarant’anni, alto col fisico asciutto, i capelli neri imperlati un po’ di grigio, e gli occhi scuri profondi e indagatori, di quegli occhi che mettono, in chi li guarda, soggezione.

 

Le ragazze entrarono seguendo Margherita fino alla base della scalinata, sotto lo sguardo attento del Duca, e si posizionarono in fila di fronte a lui.

 

-Signore, ecco le ragazze!

 

Annunciò con serietà la cameriera al suo padrone.

 

-Bene, tu puoi andare. Dopo ti manderò a chiamare

 

La donna fece un leggero inchino, poi velocemente si avviò verso l’uscita.

 

-Anche voi potete aspettare fuori!

 

Disse ancora il Duca, rivolgendosi agli uscieri.

 

La porta si chiuse dolcemente dietro di loro, lasciando lui e le ragazze semiterrorizzate da soli.

 

-Bene, vi spiegherò  brevemente le regole che dovrete rispettare per andare d’accordo con me e poter continuare a vivere qui. Prima di tutto io vi ho comprate, al mercato, ed ora voi appartenete completamente a me, che posso anche decidere se farvi vivere o morire, se mi va!

 

Sentendo queste ultime parole le ragazze rabbrividirono, e si guardarono impaurite negli occhi.

 

-Quindi ogni cosa che io voglio che voi facciate, va fatta senza discutere. Se le cose che vi chiedo non vengono fatte o vengono altresì fatte in maniera a me non gradita, verrete punite. C’è una stanza, dentro il castello, adibita proprio a questo scopo, e dopo ve la mostrerò, ma auguratevi di non visitarla più!

 

Sorrise, vedendo il pallore aumentare sui giovani volti che aveva di fronte.

 

-Io sono e sarò, a meno che non veniate vendute o per mia stessa diversa volontà, l’unica persona a cui offrirete le vostre attenzioni sessuali. La pena per chi trasgredisce a questa regola è la morte, inflitta con grande, grandissimo dolore. I vostri ulteriori compiti vi verranno illustrati da Margherita più tardi. C’è qualche domanda che volete farmi?

 

Nessuna delle ragazze ebbe il coraggio di alzare la mano o intervenire.

 

Il Duca era estasiato dal vedere la bellezza delle giovani donne che aveva di fronte, e il fatto che fossero sessualmente completamente inesperte lo eccitava ancora di più. I loro seni appuntiti si intravedevano da sotto i loro vestitini colorati. Decise di cominciare a togliersi qualche sfizio.

 

-Blu, vieni qui vicino!

 

La scelta dei  vestiti colorati era stata una sua idea, in modo da poterle distinguere senza dover imparare o chiedere i loro nomi, almeno all’inizio.

 

La ragazza col vestito blu ebbe un attimo di esitazione, proprio come a controllare che fosse proprio lei quella che era stata chiamata. Lo sguardo interrogativo che rivolse al Duca, mentre tutte le sue compagne si voltavano a guardarla, confermò il suo pensiero.

 

-Si tu, forza, vieni qui!

 

Valentina, così si chiamava, cominciò a salire i gradini che la separavano dal suo signore, arrestandosi solo quando fu davanti a lui, a circa un metro di distanza. Lui allungò la mano, prendendo la sua, e la tirò vicino a sé, di lato al trono e rivolta verso le altre, che la guardavano attonite. Il duca cominciò ad accarezzarle il dietro del gamba, il polpaccio, il ginocchio, per poi risalire lungo la coscia, con la ragazza che stava immobile fissando le altre con uno sguardo che chiedeva aiuto. Poi la prese per i fianchi, facendola sedere su una delle sue cosce muscolose.

 

-Allora, come ti chiami?

 

-V-V-Valentina

 

Era molto bella, con i suoi capelli neri e lisci che incorniciavano un volto dai lineamenti abbastanza marcati. Il seno era pronunciato, oggi diremmo che era una terza, e le labbra rosse come il fuoco.

 

-Valentina, ti piace essere accarezzata da me?

 

-La ragazza impietrita rispose con un lieve cenno della testa.

 

-Qualcuno ti ha mai toccata così?

 

Aggiunse il Duca, mentre le solleticava la fichetta da sopra le mutandine. Lui sapeva benissimo che non era mai successo, glielo aveva garantito Osvaldo, l’omino viscido che gliele aveva vendute.

 

La ragazza, mentre avvampava di vergogna, scosse la testa in modo negativo.

 

-Spogliati, voglio vederti nuda!

 

Disse mentre rialzava in piedi la ragazza, accompagnandola con una forte presa sui fianchi. Una volta in piedi, lei con mani tremanti cominciò a sfilarsi il vestito. Il seno rigoglioso, con i capezzoli puntati verso l’alto, fece la sua apparizione. Le areole erano grandi e violacee, mentre il capezzolo piccolino occhieggiava al centro, eretto. Il Duca le prese le mutandine, e gliele abbassò alle caviglie.

 

-Allora, come trovate la vostra compagna? E’ bella secondo voi?

 

Disse rivolgendosi alle altre ragazze che guardavano la scena come fossero in tranche. Un flebile coro di si si alzò dalla base della scalinata.

 

-Non mi sembrate convinte….Tu, gialla – disse guardando Elena – ti piace Valentina?

 

-Si è molto bella!

 

-E tu come sei? Pensi di essere bella?

 

-Io…io non lo so, signore….

 

-Vieni su anche tu!

 

Elena percorse, come aveva fatto poco tempo prima la sua compagna, la scalinata che la separava dal Duca.

 

-Spogliati, vediamo come sei fatta!

 

Mentre si spogliava, lui rimase colpito da quegli occhi verdi, del colore degli abeti, che risaltavano ancora di più sul volto cinereo della ragazza. Le sue tettine erano decisamente più piccole di quelle di Valentina, e la sua carnagione bianca le faceva sembrare di panna. Il piccolo capezzolo rosa puntava dritto nell’aria, mentre la fichetta era contornata da un bel ciuffetto di peli rosseggianti, lasciato li dalla donna che le aveva depilate. La mano del Duca arrivò subito a sfiorare il clitoride di Elena

 

-Hai una bella fica, la sento calda….

 

Poi, rivolgendosi a Valentina

 

-Secondo te ha una bella fica?

 

-Si, signore!

 

-Perché non vieni e gliela guardi più da vicino?

 

La ragazza si avvicinò a Elena con passo incerto

 

-Dai, inginocchiati e guardala bene!

 

La ragazza eseguì l’ordine, posizionandosi col volto di fronte alla vulva di Elena.

 

-Allora?

 

-Si signore, è bella!

 

-Davvero? E allora non ti dispiacerà baciargliela un po!

 

Il Duca si divertiva da morire, mentre guardava le facce allibite delle giovani che aveva davanti.

 

-Cosa stai aspettando?

 

Valentina fece uno sforzo, e cominciò a dare piccoli baci sul monte di venere di Elena. Il Duca si mise a ridere di gusto, vedendo la goffaggine delle due ragazze: una baciava a ripetizione i peli di quella che restava in piedi, rigidissima, con le gambe serrate e le mani piegate all’altezza della pancia, pronta inconsciamente a difendersi da quei baci. Le lasciò proseguire per un altro minuto, poi intervenì:

 

-mmmm, non mi sembra il modo giusto di darle piacere! Vieni tu, come ti chiami?

 

Disse rivolgendosi a Elena

 

-Elena!

 

-Vieni Elena, siedi qui sull’ultimo gradino  e allarga bene le gambe!

 

La prese per mano e la posizionò così come voleva lui, aprendole le cosce con le mani finchè non ritenne che fosse sufficiente. Poi prese per mano la sua amica, che era rimasta ancora in ginocchio, e la condusse a posizionarsi sul gradino inferiore, proprio di fronte alla fessura aperta di Elena.

 

-Ecco, ora baciala tra le gambe, magari sarebbe meglio se ogni tanto, oltre ai baci, le dessi anche qualche leccatina!

 

La ragazza si armò di tutto il suo coraggio, e avvicinò la bocca all’apertura del sesso della sua amica, cominciando a baciarlo dolcemente

 

-Leccala forza!

 

Valentina estrasse la lingua e percorse la spaccatura dall’alto al basso, con un moto istintivo.

 

-Bene, bravissima continua così….

 

Elena sentiva qualcosa nella sua pancia, delle specie di rane, e aveva la sensazione che la sua patata pulsasse e si bagnasse.

 

-Rossa vieni anche tu

 

Giulia, che fino ad allora aveva assistito con lo sguardo a ciò che le amiche erano state costrette a fare, salì la scalinata passando di fianco alle due, che continuavano a eseguire i loro ordini.

 

-Hai mai visto il cazzo di un uomo?

 

La domanda la colse come un pugno nello stomaco

 

-N..n…n…no

 

-Ora vedrai il mio, e sappiatelo tutte, per un bel po’ di tempo sarà il solo che avrete l’onore di guardare!

 

Dicendo questo aveva estratto il suo arnese dai pantaloni. Era grosso e duro, con la cappella lucida e le vene che lo percorrevano per tutta la lunghezza.

 

-Tu sarai la prima che avrà il privilegio di toccarlo e succhiarlo! Vieni, inginocchiati qui davanti!

 

La ragazza eseguì prontamente. Lui le prese la mano, e la accompagnò ad avvolgere con le dita il membro; poi la aiutò con il ritmo della mano a fare su e giù, a dargli piacere.

 

-Su, ora prendilo in bocca!

 

La ragazza avvicinò le labbra a quel coso che aveva davanti, ma al momento di imboccarlo non ce la fece, girando la testa di lato e chiudendo gli occhi. Un sonoro sberlone la colpì sulla guancia, facendola cadere di lato, e la sua mano corse subito sul viso, a coprire il punto in cui era stata colpita e dove sentiva avvampare la pelle.

 

-Se ti do un ordine, e questo valga per tutte, va eseguito. Forza, tirati su, rimettiti qui davanti e comincia a succhiarlo!

 

Questa volta Giulia si mise la cappella nella bocca, e fece ciò che le era stato ordinato.

 

Il Duca, con lo sguardo fisso sulle due ragazze sugli scalini, alla bocca di Valentina incollata alla fichetta di Elena, si alzò in piedi, e cominciò a spingere a fondo il membro nella gola di Giulia, scopandola in bocca. La ragazza cercava disperatamente di resistere, le lacrime che sgorgavano copiose dai suoi occhi arrossati dalla senzazione di soffocamento e dai conati di vomito. Finalmente lui estrasse il cazzo dalla bocca dolorante della ragazza, glielo puntò verso il viso e sotto gli sguardi attoniti delle ragazze cominciò urlando a eruttare un liquido bianco e denso sul viso di Giulia, negli occhi, sul naso e nei capelli. Appena ebbe  cessato di spruzzare, prese i capelli di Giulia e li usò come fossero uno straccio, pulendosi dai rimasugli di sperma.

 

-Bene, ora potete rivestirvi e andare!

 

Lo disse mentre scuoteva un campanellino, che teneva di fianco al trono. Un secondo dopo la grande porta si apriva, lasciando entrare i due uscieri e la solerte Margherita, che come al solito appena entrata si inchinò.

 

 Stasera – disse il Duca guardando Giulia – tu verrai nel mio letto, e diventerai donna. La tua amica gialla ti terrà compagnia in questo momento così importante!

 

E poi, rivolgendosi alla sua cameriera:

 

-Che tutto sia a posto per stasera! Puoi portarle nelle loro stanze.

 

La donna fece un altro inchino, poi intimò alle ragazze di seguirla. Percorsero un grande corridoio e una scalinata che pareva infinita, e finalmente giunsero dove avrebbero vissuto per un bel po’ di tempo.

Il loro alloggio era composto da due stanze molto grandi: nella prima c’erano i loro cinque letti, disposti paralleli sul lato opposto a dove c’erano delle grandi finestre da cui si poteva vedere il cortile del castello; tutto era ordinato e pulito. Nella seconda stanza, quella interna al castello, non c’erano finestre. Grandi tappeti ricoprivano il pavimento, rendendolo caldo e colorato, mentre tutto intorno c’erano divani di ottima foggia, finemente decorati. Un grande camino già con la legna pronta per essere accesa occupava completamente un lato della stanza, con a fianco gli attrezzi necessari per ravvivare il fuoco, in ferro battuto, che pendevano da una struttura di sostegno anch’essa in ferro. Le lampade a candela appese alle pareti illuminavano in maniera calda tutto l’ambiente, con i riverberi del fuoco a rendere l’atmosfera quasi magica. Dopo che le ragazze si furono sistemate e ebbero preso possesso dei propri letti, Margherita le riunì.

-Qui è dove passerete la maggior parte del vostro tempo, soprattutto la sera. E’ in questa stanza che aspetterete che il Duca venga a scegliervi, quando vorrà la vostra compagnia per la notte. Essere scelte, ve ne accorgerete, è un grande, grandissimo onore.

Disse queste parole con aria seria e convinta, sollevando il petto come in un moto di orgoglio.

-La cosa che comunque mi raccomando, e lo dico per voi, è di fare quello che vi dice e di cercare di accontentarlo in tutti i modi!

Una delle ragazze che Elena non aveva ancora praticamente conosciuto prese la parola

-E se non lo facciamo? O se il Duca non è contento di noi?

La donna si girò verso la fonte di quella frase, gli occhi che emanavano una luce sinistra, una luce che era sinonimo di una terribile sventura

-Se non lo fate, nella migliore delle ipotesi, finite nella stanza delle torture!

Le ragazze, con dipinta sul volto la sensazione di terrore che le aveva prese, pendevano dalle sue labbra

-La stanza delle torture è una grande stanza che si trova nel seminterrato del castello. E’ piena zeppa di attrezzi di dolore, alcuni dei quali sono li da duecento anni, da quando è stato costruito il castello. Quando vengono usati, vi posso giurare che le urla di chi li sta provando si sentono praticamente dappertutto, e ti entrano nelle orecchie anche se non le vuoi sentire!

Poi, in un sussurro:

-Se si tratta di voi, il Duca in persona si occupa della vostra punizione’ e vi assicuro che ha la mano molto, molto pesante!.

Finì la frase guardando nel vuoto, le mani che si giungevano come ad abbracciarsi, le dita che si intrecciavano nervosamente lasciando intravedere il biancore delle stesse, troppo pressate le une contro le altre da togliere il sangue, ed emise un lungo sospiro.

-Voi ci siete stata Margherita?

Chiese Elena, e nel momento in cui quegli occhi spaventati le si posarono addosso, capì che forse aveva fatto una domanda che non doveva fare: aveva infatti risvegliato ‘nella donna che aveva di fronte dei ricordi che avrebbe molto volentieri cancellato dalla sua memoria

-Si, ci sono stata, purtroppo’

La risposta affermativa fece crescere la curiosità nelle giovani donne che la circondavano, le quali erano pronte a tirare fuori raffiche di domande, ma Margherita con un cenno eloquente della mano alzata e aperta davanti ai loro occhi le aveva zittite in un secondo, poi quasi con fare implorante, ribadì il concetto

-Cercate di non finire lì, ragazze, fatelo per voi stesse!

Poi si alzò, le mani a sistemare il lungo vestito che portava, stendendone le pieghe dietro le cosce

-La cena vi verrà portata qui, stasera.

Poi, rivolgendosi a Elena e Giulia:

-Subito dopo, verrò qui a prepararvi!

Un attimo dopo la porta si chiudeva lentamente alle sue spalle, lasciandole sole.

Elena si era accorta che, durante tutto questo tempo, la sua amica Giulia era sempre rimasta in silenzio, l’espressione del viso a confermarne l’assenza. Le si avvicinò passandole un braccio intorno alle spalle e fissando quel viso dolce ed infinitamente triste. Notò che alcune ciocche dei sui capelli biondi erano ancora ‘tenute insieme dallo sperma essiccato del Duca, e che aveva una traccia di bianco secco tra l’orecchio e il collo.

-Vieni, ti aiuto a pulirti un pochino’.Vuoi?

La ragazza la guardò, facendo un segno di approvazione con il capo, gli occhi imploranti dentro quelli della sua amica.

Andarono nella stanza da letto, ed Elena si avvicinò al catino che era nell’angolo lontano della stanza: prese la grossa brocca di terracotta e lentamente, per non fare guai, versò acqua nel recipiente, riempiendolo per metà. La sua amica seguiva, immobile, ogni suo gesto.

-Avvicina la faccia, altrimenti facciamo un disastro!

La sua amica rispose alla sua richiesta e al suo sorriso con un sorriso tirato, e si chinò verso il catino.

Elena passò dolcemente le sue mani tra i capelli di Giulia, sul suo viso e sul collo, fino all’attaccatura del seno, in ogni posto che secondo lei era da pulire; poi la asciugò e la accompagnò verso il suo letto, dove la sua amica si sedette e si abbracciò le ginocchia, il mento posato sopra le stesse. Le dita dei piedi erano contratte a pugno, e lo sguardo perso nel vuoto a fissare un punto del cielo oltre le grandi finestre.

-Elena, io non ce la faccio!!

La voce era flebile, quasi un sussurro

-Voglio tornare a casa mia!

Elena cercò di calmarla, passandole una mano tra i capelli in una dolce coccola, ma ormai la sua amica aveva rotto gli argini, e le parole uscirono dalla sua bocca come un fiume in piena

-Io non posso farcela! Quello che è successo oggi mi ha fatto veramente schifo, non voglio vivere una vita così!!!! E poi spiegami perché proprio io oggi? Perché io stasera? Siamo in tante, proprio me doveva scegliere?

Le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi azzurri, e le rigavano le guance dove era ritornato un colorito roseo dovuto, pensò Elena, probabilmente alla rabbia che stava provando in quel momento.

-Guarda Elena, guarda fuori!

Il suo braccio era teso verso la finestra, il dito indice che indicava due uccelli che volavano nel cielo terso

-Io vorrei essere libera, come loro! Vorrei volare via da qui, tornare alla mia casa, dalla mia famiglia, e da mio fratello e mia sorella!

Elena ripensò ai suoi genitori, e il ricordo si concentrò istantaneamente all’ultimo giorno, all’uomo seduto nella sua cucina, a suo padre con la testa bassa e sua madre che trattava il prezzo della sua vita. Represse un riflusso di bile che le saliva dallo stomaco, mentre ripensò anche ai suoi due fratelli: l’avevano fatta andare via e lei non li aveva nemmeno più potuti salutare, scompigliargli i capelli come sempre faceva, mentre loro sorridevano e magari la prendevano in giro.

Per evitare di pensarci si alzò dal letto e lasciò sola ai suoi pensieri la sua amica.

Sentiva anche lei, dentro di sé, l’ansia per quello che da li a poche ore sarebbe successo; per stemperare la tensione si diresse verso l’altra stanza, dove erano rimaste le tre ragazze: si sedette e cercò di concentrarsi sui loro discorsi, che riguardavano cibo, vestiti, e ovviamente il castello e il Duca, e le ipotesi più disparate sulla loro vita a venire.

Quando, più tardi, sentì la campana battere sei volte e preannunciare la sera, si affacciò alla porta della camera da letto: Giulia era rannicchiata in posizione fetale, le sue spalle rivolte verso di lei e il respiro regolare delle persone che, in quei momenti, viaggiano nel meraviglioso mondo dei sogni.

-Spero che tu non stia sognando di essere una principessa rinchiusa in un castello’.

Il pensiero ironico rivolto verso la sua amica la fece sorridere e, tranquillizzata, tornò verso le altre. In quel momento la porta si aprì senza preannuncio. Due servitori del Duca portarono uno una zuppiera ricolma, e l’altro un vassoio di frutta mista. Lo lasciarono nella stanza e, silenziosamente come erano entrati, se ne andarono. Le ragazze cominciarono a mangiare quel minestrone di verdura caldo e saporito, mentre Elena andava a svegliare la sua amica

-Giulia, svegliati! E’ arrivata la cena!

-Non mi va, lasciami stare!

Rispose brusca la ragazza, ma Elena non demorse

-Piantala di fare la sciocca e vieni, quelle là altrimenti si mangiano tutto!

La strattonò per un braccio, fino a quando sbuffando Giulia si alzò e la seguì.

Dieci minuti dopo non c’era più niente, la zuppiera e i vassoi erano come lucidati. Le ragazze sonnecchiavano, qualcuna semicoricata sui divani, altre sedute sul tappeto appoggiate a grandi cuscini.

Dopo un lieve bussare alla porta, e senza attesa di risposta, entrò Margherita nella sua solita uniforme blu. Stese sul braccio teneva due camicie da notte, finemente ricamate.

Lo sguardo corse veloce a cercare le due ragazze prescelte

-Elena, Giulia! Forza, togliete quei vestiti ed indossate queste!

Le due giovani donne si alzarono in piedi, e con un lieve senso di vergogna cominciarono a togliere ciò che avevano addosso: nonostante ciò che era successo nel pomeriggio e nonostante la consapevolezza che le altre persone presenti in quella stanza le avrebbero viste nude altre cento, mille volte, e che avrebbero dormito insieme, ancora non si erano abituate a quell’idea.

La camicia da notte le arrivava quasi ai piedi, lasciandole scoperte solo le caviglie. Le altre ragazze le guardavano in silenzio, sentendo anche loro la tensione che permeava l’anima delle due prescelte ed in qualche modo condividendola.

-Allora siete pronte?

Disse Margherita, rivolgendo loro un ultimo sguardo come a voler controllare che tutto fosse a posto: assuntane la certezza, aprì la porta e con la mano indicò l’uscita

-Bene, andiamo!

Percorsero nei corridoi un breve tratto di strada, e si trovarono all’interno di un grande salone; appesi alle pareti moltissimi ritratti di uomini e donne, probabilmente gli antenati del duca. Sul fondo della sala campeggiava un’enorme scala completamente coperta da un tappeto rosso. Quando la imboccarono, Margherita tenne a precisare:

-Stiamo salendo verso gli appartamenti personali del Duca e della Duchessa!

Le due ragazze, sentendo la parola Duchessa si guardarono stupite, ma non ebbero il coraggio in quel momento di fare nessuna domanda alla loro accompagnatrice.

In cima alla scala il corridoio si diramava da entrambi i lati: presero quello di destra, e si diressero verso l’ultima stanza, camminando sofficemente sul tappeto, gli arazzi e gli affreschi che sfilavano via al loro incedere.

Le tre donne si fermarono davanti alla porta. Margherita diede loro un ultimo sguardo in cui si leggevano distintamente tutte le sue raccomandazioni precedenti, poi prese un lungo respiro e bussò tre volte con leggerezza, le nocche delle dita che quasi sfioravano il legno: un attimo dopo sentirono distintamente la voce ‘scura e profonda del Duca

-Avanti entrate!

Era seduto alla scrivania, vestito con una vestaglia di stoffa pregiata, e stava esaminando rotoli di carta con attenzione; Margherita e le due giovani erano entrate e si erano fermate al centro della stanza, senza che lui si fosse nemmeno voltato. Elena guardava il grande letto a baldacchino, il legno finemente intarsiato delle colonne che si stagliavano verso l’alto a reggere la struttura portante; su questa era fissata la leggerissima stoffa che cadeva svolazzante permettendo al Duca di fare sonni tranquilli senza l’incubo di mosche e zanzare a rovinare il meritato riposo.

-Mio signore ‘ disse Margherita con voce sottomessa ‘ ecco le ragazze che ha scelto oggi, Giulia ed Elena

Il Duca adagiò dolcemente la penna d’oca che teneva in mano all’interno del calamaio, poi si alzò dalla sua sedia e lentamente si avvicinò, fermandosi di fronte alle due giovani donne. Le squadrò dalla testa ai piedi con attenzione, mentre dentro di sé pensava che aveva fatto un ottimo affare comprando quelle ragazze di una bellezza quasi disarmante.

-Grazie mia fedele Margherita. Puoi andare, le verrai a riprendere domattina!

La donna fece un inchino sorridendo compiaciuta del complimento e soprattutto del ringraziamento non dovuto che il suo signore le aveva fatto e si allontanò felice, lasciando le due ragazze da sole col loro padrone.

Elena si sentiva sudata anche se non sentiva assolutamente caldo. Era un sudore freddo che faceva coppia con la pelle d’oca che sentiva su tutto il suo corpo, persino nei capelli, e con la quasi totale assenza di salivazione. Non riusciva a guardare negli occhi il Duca, per cui vide solo il fondo della sua vestaglia che si avvicinava alla sua amica, in piedi di fianco a lei e che sicuramente era impietrita quanto lei, se non di più.

L’uomo si avvicinò a Giulia e pose le mani sui fianchi della ragazza. La accarezzava da sopra il tessuto lungo i fianchi, come a voler indovinare al tatto come fossero le sue forme; poi le dita cominciarono a raccogliere la camicia da notte, sollevandola lentamente dalle caviglie e cominciando a scoprire i polpacci e poi le cosce tese. Il duca cominciò a tirare verso l’alto fino a scoprire la giovane vulva e quindi il seno della ragazza, che nel frattempo aveva alzato le braccia per agevolarlo a toglierle del tutto quell’indumento. La camicia da notte finì in terra, di fianco ai suoi piedi, mentre il Duca faceva un passo indietro per poterla ammirare meglio nella sua splendida nudità.

Giulia guardava per terra. Non riusciva a fermare le sue ginocchia che tremavano vistosamente, mentre lei teneva le mani a coprire le sue nudità per l’ennesima volta esposte a un estraneo. Le lacrime cominciarono senza che lei volesse a rigarle le guance, mentre per la paura e la tensione cominciò a battere i denti tra loro, con un rumore che esprimeva tanta pietà e preoccupazione da parte di Elena quanto risultava ‘fastidioso alle orecchie del Duca.

Elena guardava di soppiatto la sua amica nuda di fianco a lei, con la schiena ricurva e le spalle strette, che sommessamente piangeva. Si trovò a pregare nella sua testa per lei, perché riuscisse in qualche modo a calmarsi, anche perché aveva visto lo sguardo piuttosto contrariato del Duca di fronte a quella reazione.

Lui aggrottò la fronte, lo sguardo accigliato, poi si avvicinò a Giulia e con un solo rapido e forte movimento la prese in braccio

-Tu, seguici!

Disse rivolto a Elena mentre si dirigeva verso il grande letto, dove un secondo dopo deponeva senza neanche troppo riguardo la sua amica. Si girò quindi verso di lei e la tirò a sé, tenendola ben salda per i fianchi: la bocca del Duca si avvicinò, fino a deporre le labbra contro le sue, e un attimo dopo sentì la lingua cercare di farsi strada tra i suoi denti stretti. Elena, che prima d’ora non aveva mai baciato nessuno, cercò di capire cosa lui volesse fare. Istintivamente aprì un pochino la bocca: sentì la lingua di lui entrare e cominciare a muoversi, in cerca della sua. Lei cominciò timidamente a muoverla, e in quel momento vide un lampo di soddisfazione negli occhi del suo signore, e capì che stava facendo la cosa giusta. Lui prese la sua vestaglia sollevandola verso l’alto, e lei alzò subito le braccia permettendogli di sfilarla rapidamente. Di nuovo la bocca incollata alla sua, mentre mani sconosciute prendevano possesso del suo corpo, percorrendole la schiena fino ad arrivare ai glutei tesi e sodi e a stringerli con forza.

Elena sentiva puntare contro la sua pancia la potente erezione dell’uomo. Lui si allontanò un attimo e sfilò la vestaglia, restando nudo di fronte a lei con il membro proteso.

-Vieni! Voglio che prepari la tua amica!

Le disse prendendola per mano e accompagnandola vicino al letto, dove un attimo dopo la aiutò a salire. Elena quel pomeriggio aveva fatto tesoro di ciò che aveva visto’ e fatto, e intuì che la parola che il suo padrone aveva usato, ‘preparare’, significava che lei avrebbe dovuto baciare e leccare la giovane e inviolata vagina della sua amica.

Si inginocchiò ai piedi di Giulia, cercando con lei uno sguardo d’intesa. Ma la sua amica continuava a piangere, tenendosi un braccio sopra gli occhi, e non la degnava di uno sguardo nemmeno adesso che lei le aveva preso le caviglie e lentamente la costringeva ad aprire le gambe. Quando ritenne lo spazio sufficiente per infilarsi in mezzo, Elena si chinò verso la vulva di Giulia, le mani a tenerle aperte le gambe e il sedere obbligatoriamente sollevato in alto per la posizione che teneva. Un attimo dopo, le sue labbra si aprirono, e la lingua cominciò dolcemente a correre in lungo e in largo, nei punti che su se stessa altre volte aveva trovato più sensibili.

Il Duca cominciò a far correre la sua grande mano ruvida sulla pelle scoperta di quella ragazza inginocchiata, percorrendo la schiena dall’alto fino ad arrivare a quelle due deliziose fossette che aveva all’altezza delle reni, sopra il culetto bianco e sodo. Era incantato dalla bellezza di quella ragazza dagli occhi verdi, i capelli castani con riflessi sul rosso e dalla pelle liscia come la seta, dalle cosce lunghe e nervose e dalle caviglie sottili. Persino i piedi sembravano essere stati fatti da un artista, e non portavano segni dei tanti anni fatti calzando zoccoli di legno; la mano nel frattempo era corsa lungo il solco delle natiche ed era arrivata a sfiorare superficialmente la fichetta, e il Duca era rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto di averla trovata umida. Il pene gli pulsava fortemente e le vene intorno sembrava dovessero esplodere: decise quindi che era arrivato il momento, e prese dolcemente per i capelli Elena, tirandole su la testa. Lui salì in piedi sul letto e avvicinò il membro al viso di Giulia.

-Succhia e bagnalo bene di saliva!

Lei assentì e provò a fare quello che le era stato detto, ma evidentemente non diede molta soddisfazione al suo Signore, che dopo poco tempo si scostò da lei

-Ahhhh lascia stare, prima che me lo righi tutto! Se vuoi puoi consolare la tua amica, tenerle la mano mentre le rompo la fichetta e la faccio diventare donna!

Mentre si inginocchiava tra le cosce semiaperte di Giulia, il pianto della sua amica aumentò a dismisura, come i suoi tremori. Elena mentre le carezzava i capelli, cercava di sussurrarle parole tranquillizzanti nell’orecchio, ma lei era come se non la sentisse.

Il Duca appoggiò il suo pene, che per la verità era anche piuttosto grosso, all’imboccatura della vagina di Giulia, e lentamente cominciò a spingere cercando di forzarne l’imene. Nel momento il cui la ragazza sentì dolore, con un movimento repentino tirò su la schiena aprendo gli occhi spiritati, le mani protese ad artiglio verso il viso del Duca e un grido agghiacciante riempì la stanza. Un battito di ciglia dopo, le mani del Duca, ora inginocchiato sul letto, correvano sulle sue guance, su ognuna delle quali comparivano in bella evidenza cinque striature rosse.

Elena aveva assistito a tutta la scena, e ora la preoccupazione aveva sostituito la sorpresa. Nuda, guardava la sua amica e ciò che aveva fatto, con le mani che a coprirsi la bocca e gli occhi sgranati. Vide la mano del Duca afferrare per i capelli Giulia, e trascinarla con violenza giù dal letto. Il suo corpo sembrava non pesare mentre lui la trascinava attraverso la stanza, fino ad arrivare a una cordicella che tirò con decisione due volte con l’altra mano.

In un batter d’occhio entrarono di corsa due servi, che nonostante tutto non poterono non far caso alla nudità del loro signore, ma soprattutto alla incantevole bellezza delle due ragazze, una che veniva ancora tenuta per i capelli, e l’altra che era inginocchiata sul letto.

-Portatela sotto! Di lei mi occuperò domani!

Con un ultimo forte strattone il Duca spinse Giulia verso i suoi due servitori, che la presero in consegna sotto lo sguardo inorridito di Elena

-E ora cambiamo programma. Stanotte donna diventerai tu!

Elena si svegliò di soprassalto, completamente sudata. L’incubo che aveva appena avuto la aveva riportata indietro, a quando i suoi genitori l’avevano venduta a quell’uomo viscido, e si era svegliata urlando e scalciando nel vuoto per impedire che lui la caricasse su quel maledetto carro. Ci mise qualche secondo a capire dov’era: un debolissimo fascio di luce attraversava le scanalature degli scuri che ricoprivano la finestra, rendendo la stanza semibuia. In un attimo ricordò quello che era successo la sera prima, e la chiazza di sangue rappreso che vedeva vicino a lei testimoniava il fatto che tutto era accaduto realmente, e non nella sua fantasia; si voltò per controllare la presenza del Duca di fianco a lei, ma vide che su quel grande letto era rimasta sola. Chiuse gli occhi, e cominciò a rivivere nella sua mente gli avvenimenti della notte appena trascorsa: si rivide spaventata a morte per quello che era successo, inginocchiata sul letto, i suoi occhi sgranati a fissare le striature rosse sulle guance del Duca provocate dalla sua amica.

Lui le si avvicinò, il pene ormai molle che gli pendeva tra le gambe, lo sguardo duro e fiero che inceneriva, gli occhi neri incollati a quelli verdi di lei.

-Cosa c’è? Hai intenzione di graffiarmi anche tu? Hai paura?

Le disse il Duca sedendosi sul grande a letto di fianco a lei, e costringendola così a creargli posto raccogliendo a se le ginocchia

-Si, tanta!!

Rispose scuotendo la testa e con  gli occhi spalancati la ragazza

-Non preoccuparti, mica ti mangio!

Le rispose sorridendo lui, che lentamente sentiva svanire la rabbia dentro di sé per la ribellione di Giulia. Vedeva inoltre la grande tensione che attanagliava la giovane donna davanti a lui, e capì che avrebbe dovuto aspettare se voleva anche solo pensare di poter darle piacere. Così impugnò per la seconda volta in quella notte la corda di fianco al letto, e la tirò due volte con energia, sotto gli occhi stupiti di Elena. In un attimo si materializzarono i due servitori di prima, sempre pronti ad esaudire i desideri del Duca

-Hai fame? Sete? Ti andrebbe di mangiare qualche cosa?

-Si, se va a Lei, Signore…

Rispose timidamente la ragazza, che nel frattempo aveva afferrato velocemente il lenzuolo e coperto il suo seno nudo dalla vista dei servitori

-Benissimo! Allora avete sentito! Portatemi un altro pezzo di quel meraviglioso arrosto che ho mangiato stasera a cena, e ovviamente una brocca del mio vino migliore!

Non appena sentite queste parole, i due uomini fecero un inchino, e  come erano entrati velocemente uscirono, chiudendo la pesante porta dietro di loro.

Il Duca cominciò a parlare con Elena, chiedendole della sua vita precedente, di cosa le piaceva e cosa no. Inizialmente alla ragazza sembrava un interrogatorio ed era timorosa di dire qualcosa che potesse dispiacergli, poi lentamente capì che non c’era malizia nella domande di lui, ma solo curiosità, per cui cominciò lentamente a rilassarsi e a rispondere alle domande con una certa dovizia di particolari, come se stesse parlando ad un amico. Riuscì persino ad aprire qualche volta la bocca evidenziando il suo sorriso, un sorriso di quelli veri, fatti anche con gli  occhi, che si strizzavano meravigliosamente facendo da contraltare al movimento delle sue labbra. Lui, vedendo lei ridere, sorrideva di rimando, anche lui di un sorriso vero, come raramente gli capitava ormai di fare. Incredibile a dirsi, si stava divertendo per davvero!

Un bussare alla porta fece presagire che i servitori avevano fatto il loro dovere, e che le pietanze erano pronte per essere servite. Il Duca rimise la sua vestaglia e si alzò dal letto, lasciando lei li da sola, sempre coperta con il lenzuolo.

-Mettete pure qui sullo scrittoio, grazie!

Disse, riordinando le tante carte che in quel momento lo occupavano, mentre i servitori restavano in paziente attesa, impeccabili nelle loro uniformi, uno che con le mani tese sosteneva il vassoio dell’arrosto, da cui proveniva un profumo eccezionale, e l’altro con un vassoio identico, con sopra ben disposte la brocca di vino e due bicchieri.

Mangiarono e bevvero con gusto, e il vino fresco ingerito in abbondanza annebbiò leggermente i sensi di Elena, rilassandola.

Alla fine lui la prese per mano e la accompagnò sul grande letto. Le labbra si incollarono a quelle di lei, in un bacio appassionato e coinvolgente, mentre le mani di lui correvano dappertutto ad accarezzare quel giovane corpo nudo, le dolci collinette delle mammelle con in capezzolo rosa proteso all’inverosimile preda delle sue  labbra e della sua lingua, e i fremiti a percorrere il corpo della ragazza. Un dito impertinente cominciò a solleticarle il clitoride  che sfrontato spuntava, teso, tra le grandi labbra imperlate di rugiada.

Quando la fece distendere supina e le allargò le gambe, la paura le fece nuovamente capolino in testa, annullando parzialmente gli effetti dell’eccitazione precedente e dell’alcool. Lui le sorrise, mentre con la mano indirizzava il suo membro verso la piccola apertura di lei, strofinandoglielo sopra.

-Tranquilla, ora resta tranquilla…

Le disse il Duca

-Fa un pochino di male all’inizio, ma finisce quasi subito….

Nel frattempo il membro cominciò a spingere, nel tentativo di forzare l’imene di lei ancora intatto.

-Baciami!

Le disse lui, e nel mentre le loro lingue si attorcigliavano, lui spinse dentro di lei in maniera decisa.

La bocca di Elena si spalancò immediatamente in un gemito di dolore, e gli occhi si sgranarono. Lui le era entrato dentro con la forza di un maglio, e lentamente iniziava a muoversi, regalandole tutta una serie di nuove sensazioni.

Le aveva detto la verità: il dolore era stato questione di poco tempo, e adesso lei aveva richiuso gli occhi, abbandonandosi a ciò che sentiva di piacevole provenire dalla sua vulva. Le spinte avevano cominciato a essere più profonde e veloci, e il ritmo che teneva era costante. Il Duca si drizzò, prese le sue gambe e se le appoggiò sulle spalle, poi appoggiò le sue braccia muscolose ai lati della testa di lei, che aveva riaperto gli occhi e lo guardava. In questo modo il sedere della ragazza si alzò dalla coperta, e il Duca spinse ancora il suo membro bene a fondo di quella giovane vagina, facendoglielo sentire tutto quanto dentro, bene in fondo, lacerando ciò che ancora rimaneva di intatto del suo povero imene, e la vide per un attimo serrare i denti tra di loro, in una espressione di dolore. Quindi lo sfilò per farlo uscire quasi tutto, per poi riaffondare repentinamente in quelle carni umide e bollenti.

Elena si sentiva colare liquido sulle cosce e sul sedere: era sangue mischiato al suo piacere, che adesso provava intensamente, e sentiva la sua pancia contrarsi. Un gemito più prolungato unito a ciò che sentiva provenire dalla vagina di Elena, fece capire al Duca che lei aveva avuto un orgasmo; anche lui non riuscì a resistere, e cominciò a eruttare sperma dentro quella fica così stretta ed accogliente.

Lei sentiva, per la prima volta nella sua vita, il travaso di sperma al suo interno riempirla di calore, mentre  lui spingeva, se possibile, ancora più in profondità il membro con colpi di reni potentissimi.

Sudati e ansanti, si guardarono negli occhi ancora, poi lui la baciò a lungo, carezzandole i capelli e arrotolandone le ciocche, mentre lei, con gesti istintivi, carezzava la schiena glabra e muscolosa di lui,  che continuava a sovrastarla, mentre lentamente sentiva il cazzo dentro di lei perdere consistenza. Dopo che lui si fu tolto, rapidamente la stanchezza, aiutata anche dai fumi del vino bevuto in precedenza, li colse, e si addormentarono vicini.

Elena riaprì gli occhi, sorridendo per ciò che aveva sentito rivivendo nei suoi ricordi quella notte. Quindi si alzò e andò a recuperare la lunga camicia da  notte della sera prima, e delicatamente la indossò. Nonostante il profumo di sapone e pulito che proveniva dall’indumento, lei non poteva fare a meno di sentire dentro le sue narici l’odore di lui e di sesso che emanava la sua pelle.

-Ho bisogno di darmi una pulita!

Pensò mentre cercava silenziosamente di aprire la porta della stanza, indecisa se ripercorrere da sola a ritroso il percorso fatto insieme a Giulia la sera prima, oppure se aspettare che qualcuno, magari Margherita, la venisse a prendere li.

La testa della ragazza fece capolino al fuori della porta, e i suoi occhi percorsero tutto il corridoio in cerca di qualche segno di presenza, ma non notando nessuno. La sua vescica inoltre le stava dicendo che aveva bisogno di svuotarsi, anche con urgenza, per cui prese il coraggio a due mani e cominciò ad avventurarsi nel corridoio con passi lenti e felpati, come se fosse una ladra.

Ne aveva percorso circa metà quando dal pianerottolo che dava sulla scala passò una figura conosciuta: lei agitò la mano per cercare di richiamarne l’attenzione, e non appena la ebbe notata, velocemente Margherita la raggiunse.

-Stavo venendo a prenderti!

Le disse la donna in un sussurro

-Fai piano, che la Duchessa dorme ancora nella sua stanza!

Elena assentì con la testa, e mentre percorrevano con la massima delicatezza possibile il corridoio e quindi la scala che le avrebbe riportate ai piani inferiori, il loro completo e ossequioso silenzio fu rotto da un urlo agghiacciante.

Il Duca era pensieroso e preoccupato. Osservava la giovane donna chiusa nella piccola gabbia metallica, in cui doveva stare raggomitolata in posizione assolutamente innaturale ed in cui era impossibilitata ad alcun movimento; aveva il viso dolce contratto in una smorfia di dolore, e a tratti non riusciva a trattenere le urla, che riecheggiavano all’interno della grande sala. La punizione era necessaria, perché nessuno poteva ribellarsi a lui, ma non aveva nessuna intenzione di rovinarla lasciandole segni permanenti. Oltretutto pensava che questa punizione dovesse servire come monito anche per le altre ragazze, in modo tale che fossero indirizzate verso quella che lui considerava una normale accondiscendenza ed ubbidienza.

 

Così quindi rifletteva, mentre il suo sguardo vagava per la sala, scrutando ad una ad una tutte le attrezzature in essa presenti inventate per dare dolore: dalla serie di fruste, posizionate tutte in ordine bene allineate tra la croce di sant’Andrea e il giogo, agli strazia seni e i vari dilatatori posizionati poco più sotto; dalla grande macchina per le elongazioni, in cui il malcapitato veniva legato mani e piedi, e poi lentamente, centimetro dopo centimetro, allungato con l’ausilio di una grande ruota ad ingranaggi fino a quando non si slogavano le spalle uscendo dalla loro sede e rendendo la persona sotto tortura storpia a vita, alla vergine di ferro, con tutti i suoi aculei metallici affilatissimi, per penetrare facilmente nelle carni.

 

C’era poi quella più terribile di tutte, costituita da una piramide in legno posizionata sopra un sostegno, sopra la quale la malcapitata, dopo essere stata opportunamente imbragata, veniva lentamente calata, avendo avuto ovviamente cura di indirizzare la punta della piramide all’imboccatura della vagina o dell’ano: le carni si aprivano inesorabilmente fino a stapparsi, tra dolori indescrivibili e urla lancinanti. Nella fortunata ipotesi in cui non fosse morta, quelle sue parti restavano rovinate per sempre.

 

In quel momento decise che qualche frustata, data con parsimonia, non avrebbe fatto danni terribili. Si avvicinò alla gabbia, e con passo lento cominciò a girarci intorno, osservando quel giovane corpo nudo, i nervi tesi allo spasimo e i muscoli intorpiditi dai crampi. Il viso di Giulia, schiacciato con una guancia contro la sbarra, era deformato, e dall’occhio si vedevano sgorgare le lacrime. Quando l’uomo entrò nel suo campo visivo e si mise a gambe aperte ad osservarla soffrire, lei raccolse le forze, e tra un singhiozzo e l’altro, disse le parole che il Duca aspettava già da qualche tempo di sentire:

 

-La prego Signore, pietààà, la pregoooo non resisto più!!!!!!!!

 

Giulia non poté vedere il sorriso aprirsi sul viso del Duca, perché nell’attimo in cui si arrendeva aveva chiuso gli occhi; sentì invece i passi di lui che si avvicinavano, e che armeggiavano con il chiavistello che teneva chiusa la gabbia. Un istante dopo il pesante coperchio si apriva

 

-Puoi uscire!

 

La ragazza cercò di tirarsi su, ma i muscoli non rispondevano per niente ai suoi comandi: restava rannicchiata li, il dolore che le percorreva ogni singola fibra, incapace di muoversi.

 

Il Duca si chinò su di lei, e nello stesso istante la afferrò con le sue mani forti per i fianchi, strattonandola verso l’alto: nel momento in cui gli arti di lei si allungavano, un gemito prolungato e gutturale  le uscì dalla bocca.

 

Il Duca la appoggiò sul pavimento e la guardò attentamente, mentre lei cominciava molto lentamente a muovere le braccia e successivamente le belle gambe, segnate così come la schiena, il sedere e il seno dai segni delle sbarre. Quando ritenne che avesse riacquistato una sufficiente mobilità, la aiutò a risollevarsi in piedi, e sorreggendola per un braccio, cominciarono a camminare, lei che faticosamente metteva un piede davanti all’altro.

 

Giulia si era affidata a lui, e aveva poggiato la testa sulla sua spalla. Era stata molto dura come punizione, pensava, ma per fortuna era finita, e sembrava che ora il Duca fosse perfino gentile. 

 

-Cercherò di fare quello che lui vorrà, d’ora in poi….

 

Mentre rassegnata pensava quella frase, non si era accorta di essere ormai arrivata davanti al giogo. Lui la lasciò di colpo, e lei per poco non cadde rovinosamente a terra. Quando i suoi occhi spaventati videro lui avvicinarsi a quella macchina, la disperazione la colse subito, e la supplica partì istantanea quanto nuovamente il suo pianto:

 

-La prego, Signore, non mi punisca ancora. Giuro che farò ogni cosa che lei vorrà, glielo prometto! La prego basta, abbia pietà di me!

 

Le parole le uscivano tra i singhiozzi, ma sembravano lasciare indifferente il suo padrone, che nel frattempo l’aveva afferrata e fatta piegare con le mani e la testa all’interno del giogo appoggiato su due treppiedi, ed ora gli calava addosso la parte superiore e successivamente la fissava, intrappolandola irrimediabilmente.

 

-Sono felice che tu abbia finalmente capito!

 

Disse improvvisamente il Duca, lo sguardo su quelle giovani natiche tra le quali si intravedeva la fichetta, contornata da pochi peli biondi

 

-Questa è la seconda parte della punizione, e te la darò per non fartene più dimenticare!

 

-Lo giuro Signore, sarò buona d’ora in poi, ma non mi punisca più la prego!

 

Le suppliche della giovane donna non sortirono effetto di sorta, e l’uomo si apprestò al tavolo, e cominciò lentamente, sotto gli occhi terrorizzati ed imploranti di lei, a scegliere la frusta che di lì a poco si sarebbe abbattuta sulla sua carne: scelse il gatto a nove code, quello senza le punte di metallo, in modo da fare parecchio male ma da non lasciare segni, quindi si posizionò alle spalle della malcapitata, e cominciò violentemente a colpire.

 

Mano a mano che ci si avvicinava alle dieci scudisciate che aveva in mente, i segni rossi sulla schiena e sul culetto di Giulia si facevano sempre più intensi, e in alcuni colpi alcune strisce di cuoio ruotavano intorno ai suoi fianchi andando anche a colpirle la pancia e le piccole tette, sensibilissime.

 

Le urla della ragazza erano di volta in volta più intense, e quando lui finì la serie lei continuò a singhiozzare sommessamente, le mani che durante i colpi erano strette fortemente a pugno, ora abbandonate sul legno del giogo.

 

Il Duca, dietro, cominciò a slacciarsi i pantaloni, preparandosi alla terza parte di quella punizione, e anche per lui la più piacevole. Il membro svettò in tutta la sua durezza, non appena fu libero.

 

Giulia sentì le mani del suo Signore appoggiarsi sulle sue natiche, per poi aprirgliele con decisione. Sentì lui sputare sul suo ano, e la saliva colarle giù, fino a inumidirle la vergine vagina. Il suo pianto, rassegnato e sommesso, continuò anche quando sentì qualcosa appoggiarsi sul suo sfintere, ma solo dopo che lui, con un colpo di reni deciso, le era penetrato nel culo sfondandoglielo, si tramutò in un urlo disperato fatto con tutto il fiato che aveva in gola.

 

Il Duca, dopo essere entrato, si fermò un momento, per far abituare l’intestino e lo sfintere a quella grossa intrusione;  poi cominciò lentamente a muoversi, e a cavalcare quella giovane giumenta ribelle, facendo quasi uscire tutto il pene per poi reinserirlo bene a fondo.

 

Giulia gemeva, il dolore delle frustate dimenticato, ad opera di questo nuovo che sentiva provenire dal suo povero sfintere: per sua fortuna il Duca era fortemente eccitato, e dopo pochi minuti sentì l’intestino riempirsi di liquido, mentre lui spingeva, se possibile, ancora più a fondo nelle sue carni.

 

Quindi il Duca si sfilò, il pene ancora rigido, e girò intorno alla donna, posizionandosi davanti a lei, in modo tale che lo potesse vedere:

 

-Allora, d’ora in poi mi ubbidirai e farai qualunque cosa io ti ordinerò di fare?

 

Gli occhi della ragazza si abbassarono verso il pavimento, e il suono uscì flebile dalla sua bocca

 

-Si, mio Signore, farò ogni cosa lei voglia, ma la prego basta!

 

-Brava la mia puttanella, spero davvero che tu adesso abbia capito! Ora resterai ancora un po’ qui, io intanto vado a prendere le tue compagne, e davanti a loro lo ripeterai! Sono stato chiaro?

 

-Si Signore….

 

Poi Giulia sentì i passi di lui e la porta aprirsi e poi richiudersi, e cominciò ad attendere con umiliazione l’arrivo delle sue amiche.

La Duchessa era come sempre sdraiata sul suo letto, dove passava la maggior parte delle sue giornate. L’umore era pessimo, era sempre pessimo, e la depressione avanzava inesorabile nella sua mente, rendendola apatica, abulica, facendole passare la voglia di vivere, che un tempo non molto lontano sgorgava rigogliosa dalle sue vene.

 

Il suo nome di battesimo era Vittoria, ed era la terzogenita del Re. Non era mai stata una donna di grande bellezza, ma il suo sorriso spontaneo riusciva a catturare lo sguardo e la simpatia dei suoi interlocutori, e la sua cultura unita al suo charme facevano il resto, facendola apparire sicuramente più bella di quello che era, e facendo scomparire agli occhi degli altri il fatto che aveva un sedere piuttosto imponente, soprattutto se rapportato alle spalle eccessivamente strette.

 

Aveva avuto un’infanzia molto felice, e essendo un membro della famiglia reale, anche molto agiata: aveva avuto tutto quello che una bambina prima, e una giovane donna poi, avesse potuto desiderare: cibo, vestiti, giochi, servitori e balie. Anche suo padre, il Re, era stato un padre affettuoso: era un fatto decisamente  raro, infatti, che una persona del suo rango riuscisse a trovare il tempo per poter stare con lei e i suoi fratelli, e potesse fermarsi con loro a giocare; oltrettutto suo padre, cosa ancora più rara, amava veramente e infinitamente sua madre, la Regina, e veniva da essa ricambiato, nonostante il loro fosse stato, come tutti i matrimoni nobiliari, combinato.

 

Quando giunse all’età di sei anni, cominciarono le sue lezioni con un precettore. Costui era un prelato di circa quarant’anni, ovviamente molto acculturato e decisamente severo: per tre pomeriggi a settimana, Vittoria era costretta a studiare e ad imparare ciò che lui, Ottavio, le insegnava, e se non aveva studiato volavano come api in un alveare le bacchettate sulle dita.

 

Ottavio era una persona di un forte carisma, e sprizzava autorità e severità da tutti i pori. Era stato, a suo tempo e controvoglia, indirizzato verso gli studi seminaristici, essendo il terzo figlio maschio di una famiglia nobile: allora infatti, per motivi di discendenze ed oggi diremmo anche di eredità, tutto toccava al maschio primogenito. Il fratello di mezzo aveva scelto la vita militare, ed era caduto da eroe in una famosa battaglia che era stata un lago di sangue: a lui era toccata la carriera ecclesiastica, ma fino ad adesso con scarsi risultati riguardanti la carriera, ormai preclusa.

 

Aveva visto crescere e farsi donna la giovane fanciulla che aveva davanti, e questo ora provocava in lui un interesse diverso verso di lei. Anche Vittoria era attratta da quell’uomo con quello sguardo magnetico e severo.

 

Fu così che un giorno d’estate erano come sempre nel salone, soli, seduti a quel tavolino tondo, mentre lei leggeva e traduceva in latino, e lui le fissava il seno rigoglioso, senza riuscire a concentrarsi su ciò che lei in quel momento stava dicendo. Il caldo e l’afa erano opprimenti, e lei, senza volerlo, aveva scoperto parti del suo corpo sempre fino a quel momento tenute celate sotto le lunghe vesti a balze. Si intravedevano infatti le caviglie bianche, fino quasi ad arrivare al polpaccio tornito. Quella visione provocò in Ottavio una forte erezione, e sentiva il suo membro congestionato premere in alto  facendosi notare attraverso la tonaca scura.  Cercò con tutte le sue forze di ritrovare la concentrazione, e si costrinse ad ascoltare ciò che la sua allieva stava dicendo in quel momento: si accorse immediatamente che erano una quantità immensa di castronerie, aveva perfino stravolto il senso del discorso nella traduzione dal latino, prendendo fischi per fiaschi. La reazione di Ottavio fu fulminea, e dato anche il nervosismo provocato dalla sua eccitazione repressa, sicuramente anche spropositata

 

-Ma cosa stai dicendo???? Asina che non sei altro!!!! Stai distruggendo Cicerone!!!! Ma come ti permetti di fare una cosa così???

 

Vittoria smise istantaneamente di parlare, gli occhi bassi e il pallore che la coglieva improvviso mentre, come sempre doveva fare quando sbagliava, porgeva già le sue manine con i palmi rivolti all’insù perché lui potesse colpirli ripetutamente con la bacchetta.

 

Mentre Ottavio colpiva, cominciò a maturare nel suo cervello annebbiato dalla mancanza di sangue che defluiva in tutt’altra parte, un’idea balzana ed ardita, che avrebbe potuto costargli anche la vita. Ma in fondo, pensò, che cosa ho da perdere? Vale la pena di vivere così come sto facendo io?

 

Mentre Vittoria si massaggiava a turno i palmi dolenti delle mani, lui la fissò, poi cominciò il suo strano discorso

 

-Vittoria, sei diventata una donna, e tra qualche tempo i tuoi genitori ti troveranno partito. Lo sai questo vero?

 

-Si!

 

Rispose lei con lo sguardo ancora incollato ai palmi delle sue mani

 

-Ora il latino, la matematica, le conoscenze storiche sono cose molto, molto importanti: infatti sono assolutamente necessarie per essere apprezzata e stimata in società, per non essere raggirata da altri, per condurre e sostenere le discussioni che avrai nella vita con le altre persone del tuo rango, e finanche per poter stabilire la tua supremazia sulle altre persone. Ma sicuramente non ti potranno aiutare quando dovrai fare felice tuo marito. Lo capisci questo?

 

La giovane capiva poco di questo strano discorso, però sentì che avrebbe dovuto acconsentire per non irritare il suo precettore. Per cui alzando il suo sguardo curioso rispose un timidissimo

 

– si signore, lo capisco!

 

-Bene, ne ero sicuro! Sei una ragazza arguta ed intelligente!

 

Ottavio aveva fatto un complimento mirato, in modo da tranquillizzare la giovane e renderla più malleabile. Infatti Vittoria gli aveva sorriso, e lui continuò con grande circospezione il suo discorso

 

-Quando ti troverai da sola con il tuo futuro marito, decisamente non credo che tu possa metterti a disquisire di Cesare o Cicerone, oppure a filosofeggiare di Agostino!

 

La ragazza rise e arrossì, pensando a quello che invece avrebbe finalmente fatto quando sarebbe venuto il fatidico momento

 

-Fa così caldo oggi e qui dentro l’aria è opprimente!

 

proseguì il precettore

 

-Potremmo fare una passeggiata nel parco, così magari facciamo anche un piccolo ripasso di botanica, che ne pensi?

 

Vittoria accolse con grande entusiasmo quella proposta, era ben felice di poter sospendere quelle noiosissime lezioni per poterne fare una all’aperto, per cui accettò immediatamente con grande entusiasmo.

 

Mentre passeggiavano tra i vialetti del giardino, contornati da siepi curatissime e da alberi secolari, e disquisendo di semi, piante, stagioni, Ottavio cercava le parole e i modi per poter continuare l’unico discorso che in quel momento gli stava veramente a cuore, un pensiero conficcato come un chiodo nel suo cervello.

 

-Ho deciso, per aiutarti e  col tuo consenso ovviamente, di approfondire con te l’anatomia, per prepararti a ciò che sarà! E’ una cosa molto interessante non credi? Te la senti di affrontare questo argomento?

 

Aveva cercato, con quella frase, di stuzzicare sia la curiosità della ragazza, sia di far leva sul suo orgoglio

 

Lei non aveva capito per nulla dove lui andasse a parare, ma sapeva che non voleva scontentarlo ed aveva ovviamente paura di contraddirlo

 

-Come dice lei, signore…

 

-Bene – aggiunse lui – allora io ti insegnerò tutto quello che so e che c’è da sapere, e tu dovrai collaborare e seguire attentamente tutto ciò che ti dirò, d’accordo? E mi raccomando, non dire a nessuno quello che ti insegno, perché anche se necessaria è una cosa vietata da insegnare! Saprai mantenere il segreto, mia piccola Vittoria?

 

La giovane donna guardava con aria interrogativa il suo precettore, ma la sensazione di cosa segreta era un viatico forte, per cui, dopo qualche secondo di riflessione, rispose arrossendo

 

-Sicuro, non dirò niente a nessuno!

 

-Molto bene, allora direi di cominciare subito con qualche domanda a cui vorrei che rispondessi in maniera assolutamente sincera! Sei pronta?

 

-Si signore, sono pronta

 

rispose ingenuamente Vittoria

 

-Conosci bene il tuo corpo? Sai bene come è fatto un corpo di donna?

 

La ragazza arrossì violentemente

 

-Sssi, penso di si!

 

-Quindi sai quali sono i tuoi punti più sensibili, quelli dove ti piacciono di più le coccoline?

 

Ancora più rossa e con lo sguardo chino, la ragazza annuì

 

-Piccola Vittoria, ti sei data piacere da sola allora?

 

Ormai paonazza, la principessina annuì nuovamente

 

-E dove ti sei toccata, di grazia?

 

Ottavio incalzava la giovane, che non riuscì a trovare in quel momento le parole per rispondere

 

-Non devi vergognarti, sono cose normali, che fanno tutte le persone, anche se la pubblica morale e soprattutto la Chiesa, organo che io rappresento, condannano. Ora io penso, segretamente, che se nostro Signore ci ha donato un corpo attrezzato per poter provare, e soprattutto per poter donare, piacere, ecco non si fa danno se lo si usa, anzi….comunque direi di continuare questa nostra conversazione segreta domani, va bene?

 

-Si va bene!

 

Rispose la giovane, l’espressione del viso sollevata dal fatto di non dover rispondere, per adesso, a quelle domande così imbarazzanti per lei.

 

I due si congedarono, e Vittoria si ritirò nella sua stanza. La sera, sola in quel grande letto, non potè far a meno di pensare alle domande che il suo precettore le aveva fatto, e a fare esperimenti su di sé per scoprire, se ancora ce ne fosse stato bisogno, i punti più sensibili del suo corpo…. Si percorse delicatamente la pancia con le dita, insistendo vicino all’ombelico, poi la sua mano scese a sfiorare il vello delicato che ricopriva il suo monte di venere. Il pensiero di Ottavio e di ciò che le aveva chiesto la fece sorridere, e quindi desistette da quello che stava facendo. Stropicciando sotto la sua testa il grande cuscino imbottito, si girò di lato e scivolò rapidamente nel mondo dei sogni.

 

Il giorno dopo visse con ansia l’arrivo del suo precettore. Non era più sicura di voler, come diceva lui, apprendere quelle cose che lui si era messo in testa di insegnarle.

 

Quando si sedettero al solito tavolo, lui cominciò la lezione normalmente con il latino, e per una volta Vittoria ne fu sollevata, ma mentre cercava con molta fatica di tradurre il brano che lui le aveva assegnato, sentiva insistente su di sé lo sguardo di Ottavio, e questo la metteva, se possibile, ancora più in difficoltà togliendole la già poca concentrazione che lei riusciva a dedicare a quella materia.

 

Le ore trascorrevano lente, e si era passati dal latino, a lingua, a matematica. La frase di Ottavio giunse completamente inaspettata alle orecchie della ragazza, ormai completamente assorta nella materia che in quel momento stava affrontando

 

-Bene, ora direi di fare una lunga passeggiata nel parco, in modo da continuare il tuo apprendimento dell’anatomia iniziato ieri!

 

Il precettore si alzò dalla sedia, mentre Vittoria lentamente chiudeva i libri che aveva davanti a sé, e li impilava ordinatamente sul tavolo. Pochi minuti dopo percorrevano un lungo vialetto che si snodava attraverso il piccolo boschetto adiacente alla reggia, accompagnati soltanto dal canto estivo ininterrotto degli uccellini e dal crepitio dei ciottoli sotto le loro scarpe.

 

-Allora Vittoria, ieri mi dicevi di conoscere tutti i particolari piacevoli del tuo corpo….ne sei proprio sicura?

 

-Si, credo di si….

 

Rispose incerta la ragazza

 

-Ecco appunto, credi…  ma vedi, io penso che sia necessario verificare se è proprio così, se li hai trovati tutti, e insegnarti anche il modo in cui rendere una cosa piacevole ancora più piacevole…ma per far questo è necessario che ti faccia vedere, anche in pratica, quello di cui sto parlando.

 

Diceva queste parole mentre, appena dopo aver percorso una leggera  curva verso destra, appariva alla loro vista un piccolo capanno di legno, in cui un tempo gli addetti alla manutenzione del giardino stipavano i vari attrezzi di lavoro. Era una costruzione piuttosto logora e pochissimo frequentata, dato che era praticamente in disuso, causa l’isolata posizione. Ottavio prese delicatamente, ma con decisione, la giovane sotto braccio e si diresse verso l’ingresso del capanno, non prima di aver dato una rapida ma attenta occhiata tutto intorno; in effetti il rischio era alto, anzi altissimo, e nel caso fosse stato scoperto, avrebbe fatto sicuramente una bruttissima fine. Ma l’eccitazione che provava in quel momento era più forte della paura e anche della ragione, per cui appena furono dentro, lui velocemente richiuse la piccola porta, voltandosi verso la giovane e sfoderando uno dei suoi migliori e più rassicuranti sorrisi.

 

-Bene, adesso allora, come d’accordo, cominciamo un pochino di insegnamento pratico di anatomia!

 

Disse questo sedendosi su un tronco di un albero lasciato all’interno ad uso panchina, e invitando Vittoria a fare altrettanto. Lei, titubante, prese posto di fianco a lui.

 

-Lascio per una volta a te la scelta – le disse magnanimo il suo precettore – da dove vuoi cominciare? Dal corpo maschile oppure da quello femminile?

 

La giovane, in grandissima difficoltà, non sapeva davvero cosa dire; d’altronde una scelta la doveva fare obbligatoriamente, per cui rispose

 

-quello femminile!

 

-Benissimo… allora cominceremo da quello femminile…

 

Disse Ottavio, trattenendo la sua voglia in modo da non mettere troppa fretta e non forzare spropositatamente la volontà della ragazza che stava seduta lì di fianco a lui, e sembrava pendere dalle sue labbra.

 

-Devi sapere che i posti dove una donna e un uomo provano più piacere, quindi quelli più sensibili, sono sicuramente quelli che segnano marcatamente la differenza tra i due sessi… ed ora vediamo se sei preparata…quali sono questi posti?

 

Rossa come un peperone, Vittoria balbettando cercò di rispondere

 

-beh, direi il…seno….e….sotto….

 

-Sotto dove – replicò ridendo il precettore – i piedi? Le caviglie?

 

Lei sorrise, le labbra sottili che scoprivano i denti bianchissimi

 

-Nooo, sotto, in mezzo alle gambe…..

 

-ah ecco, in mezzo alle gambe….e tu come chiami quello che hai in mezzo alle gambe?

 

-Farfallina….

 

Rispose imbarazzatissima la ragazza

 

-Ora, Vittoria, te la senti di mostrarmi il tuo seno? In questo modo potrò spiegarti, indicandotelo, altre cose che so!

 

La giovane restò immobile, indecisa sul da farsi, per un po’ di tempo.

 

-Stai tranquilla, nessuno saprà niente di niente da me!

 

Al che lei, lentamente, cominciò a sciogliere i lacci che le tenevano stretto il corpetto che portava, fino ad allentarlo a sufficienza.

 

-Bene, brava, ora abbassalo fino a scoprire le tettine!

 

Emozionatissima, cominciò ad abbassare la stoffa che la ricopriva, e lui le fece segno di continuare anche quando aveva scoperto già la punta, voleva vedere le sue mammelle nella loro pienezza

 

Ottavio, alla vista di quel ben di Dio, deglutì un grumo di saliva, e gli occhi gli si annacquarono, mentre cercava di mantenere con grande fatica il controllo di se stesso; pensò di fare una breve introduzione scientifica, in modo da far sembrare ufficiale ciò che di ufficiale non aveva assolutamente niente

 

-Come credo saprai, le tue mammelle, o tette che è come piace chiamarle a me, un giorno quando avrai un bambino si riempiranno di latte, e ti serviranno per nutrirlo e crescerlo. Ma per adesso, come ti dicevo prima riguardo alle differenze, le tratteremo come punti sensibili del tuo corpo, che possono dare e ricevere piacere…. Quello che hai qui, questo bottoncino, si chiama capezzolo…lo sapevi?

 

-Si….

 

Rispose Vittoria, lo sguardo chino a fissare il suo seno, mentre Ottavio aveva avvicinato la mano e aveva l’indice proteso ad indicare ciò di cui stava parlando

 

-Vedi, ora è a riposo, ma se adeguatamente stimolato si ingrossa, si gonfia, diventando ancora più sensibile…

 

Il dito nel frattempo si avvicinava pericolosamente

 

-basta sfiorarlo un pochino – e il dito delicatamente cominciò a sfiorare la punta del capezzolo, che quasi istantaneamente reagì, gonfiandosi – e lui si ingrossa! E’ molto sensibile vero?

 

-Si molto!

 

Rispose la ragazza, mentre un brivido in partenza dal capezzolo le passava attraverso tutto il corpo

 

-Vedi la differenza con quell’altro che ancora non abbiamo stimolato?

 

Disse Ottavio, mentre con due dita torturava il bottoncino di carne

 

-Le dita scorrerebbero meglio se il tuo seno fosse leggermente umido, sai?

 

Lei lo guardava con aria interrogativa, al che lui cominciò ad avvicinare la bocca alla tetta fino ad allora trascurata

 

-Guarda!

 

Le disse, mentre le sue labbra si chiudevano intorno al capezzolo di lei  e la lingua cominciava a giocarci, ed un sospiro usciva dai polmoni di Vittoria, che aveva chiuso gli occhi per godersi meglio quello che lui le stava facendo, in un gesto istintivo che priva il cervello di uno dei sensi in modo da poter amplificare tutti gli altri.

 

Il cazzo barzotto di Ottavio premeva sulla sua tunica, deformandola agli occhi di una donna esperta in modo inequivocabile, ma non a quelli di Vittoria, che in quel momento non ci faceva per niente caso, mentre lui si riempiva la bocca e si beava accarezzando la pelle delicata di quelle tette così giovani, così sode e maledettamente e diabolicamente invitanti. La lunga astinenza causata dal vincolo del sacerdozio, ma soprattutto quella dovuta ai motivi economici dalle meretrici che era solito frequentare, accelerarono all’inverosimile la sua eccitazione, e cominciò a eiacularsi nella tonaca, sentendo distintantemente le contrazioni provocate dai lunghi fiotti che uscivano dal suo membro teso all’inverosimile.

 

-Bene!

 

Disse il sacerdote asciugandosi col dorso della mano le goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte

 

-Oggi hai scoperto l’utilizzo delle tette….domani proseguiremo con un’altra parte, e tu penso immagini già quale, giusto?

 

-Si, penso di sapere quale!

 

Rispose Vittoria, mentre cercava di ricomporsi richiudendo le sue belle tette all’interno dell’opprimente corpetto, e girando la schiena verso di lui in modo tale da farsi aiutare a riallacciarlo

 

-Domani vedrai, se seguirai le mie istruzioni ti accorgerai di quanto sarà piacevole….Ora andiamo che si è fatto tardi….

 

Ottavio aprì lentamente la porta, e dopo aver nuovamente controllato che nessuno fosse nei paraggi, uscì rapidamente trascinandosi dietro lei, in raggiungendo velocemente il centro del vialetto, in maniera che chiunque d’ora in poi li avesse visti, avrebbe pensato che stessero semplicemente passeggiando.

 

-Deve essersi sporcato la tunica dentro il capanno! Chissà di cosa!

 

Disse Vittoria mentre rientravano verso il palazzo, lo sguardo all’altezza della vita di Ottavio che fissava delle macchie biancastre che imperlavano l’abito nero. Ottavio impallidì, abbassando lo sguardo: lo sperma si era seccato ed aveva lasciato una traccia inequivocabile: realizzò quindi immediatamente che non sarebbe potuto rientrare in quelle condizioni, doveva assolutamente smacchiarsi.

 

-Ecco, Vittoria, pensi che sia un problema se rientri da sola? Io vado fino alla fontana a provare a smacchiarmi, sai, ho messo quest’abito pulito stamattina, e mi dispiace di averlo sporcato così in fretta!

 

-Nessun problema

 

Rispose la ragazza, mentre si avviava verso il palazzo.

 

-Bene, allora ci vediamo domani per continuare le lezioni, tutte le lezioni!

 

Rispose di rimando Ottavio, strizzando l’occhio alla sua allieva. Non appena lei si allontanò un po’, lui con ansia e a grandi falcate cominciò a dirigersi verso dove avrebbe potuto rimediare a quel guaio, speranzoso che nessuno lo avrebbe visto.

 

Vittoria era sola nella sua stanza, e dopo essersi lavata ora si stava pettinando i lunghi capelli neri. Ripensava a quello che era successo nel capanno, e sorrideva tra se e se: sapeva benissimo tutta quella storia sul suo seno, sui capezzoli, ma in quel momento era stata al gioco di Ottavio, e aveva fatto finta di non avere mai scoperto di avere i capezzoli…ma figurati, pensò, se non me li ero mai trovati!

 

Comunque le era piaciuto molto, e sicuramente le sarebbe piaciuto rifarlo…anzi non vedeva l’ora di sapere cosa avrebbe fatto il suo precettore al loro prossimo incontro. Oltretutto viveva in questa specie di prigione dorata, sempre controllata da tutto e da tutti, e di occasioni di stare da sola con un uomo ne aveva meno di zero. Questa cosa con Ottavio era stata una piacevole sorpresa, ed inoltre le lezioni di anatomia erano sicuramente più divertenti del latino e non causavano bacchettate sulle mani.

 

Nel frattempo aveva finito di prepararsi, e come sempre si avviò verso la sala dove avrebbe consumato la cena con suo padre, sua madre e i suoi fratelli.

Il giorno seguente il prelato non stava più nell’abito talare, tanta era l’impazienza di proseguire con la giovane allieva il “discorso” cominciato il giorno prima. L’immagine di quel giovane seno, dei capezzoli rosei e tesi all’inverosimile continuava a ritornare prepotente all’interno della sua testa, inebriandogli i sensi e provocandogli continue e dolorose erezioni. Evitò con fatica di masturbarsi, voleva tenere tutto ciò che aveva dentro, tutto il suo latte, per Vittoria, sognando di sporcarle il seno, e perché no, il giovane vello che ricopriva la vagina che lui al momento sognava di poter toccare, osservare e leccare.
Finalmente si fece il momento di andare, e con il cuore che batteva all’impazzata chiuse come sempre a chiave la porta della sua piccola abitazione interna alla canonica, e cominciò a camminare verso quello che era improvvisamente diventato un posto bellissimo, e non più un luogo noioso e in cui doveva per forza fare il suo dovere.
Vittoria si stava preparando con cura.
Si era accuratamente lavata e profumata, non senza difficoltà, avendo dovuto farlo senza farsi accorgere dalle mille persone che sempre la circondavano, cameriere, balie e famigliari vari. Era persino riuscita ad adoperare un profumo molto raro proveniente da chissà quale posto in Asia, gli sembrava di ricordare India, che era stato regalato da ambasciatori in visita a sua madre la Regina.
Aveva ripensato molto a cosa era successo col suo precettore, sola nel suo letto, e ne era ancora ora elettrizzata. Non vedeva l’ora di riprovare quelle piacevoli sensazioni che il tocco di Ottavio le aveva regalato, e il piacere che si era irradiato nel suo corpo quando lui aveva preso il suo capezzolo tra le labbra e lo aveva sfiorato con la lingua.
Ora che si trovava con largo anticipo, come mai era successo, nello studio dove lui le impartiva le lezioni, fremeva di attesa e per ammazzare il tempo riordinava per l’ennesima volta tutti i suoi libri di testo, impilandoli con perfezione quasi maniacale, allineandone i bordi, ora da un lato ora dall’altro, al millimetro.
La porta si aprì improvvisamente, cogliendola di sorpresa con le mani ancora sui libri; la figura di Ottavio si stagliava grande tra i due battenti, mentre lei alzava lo sguardo verso di lui, senza proferire nemmeno una parola. Le guance si colorarono istantaneamente di un rosso imbarazzo, mentre restava immobile con gli occhi lucidi e la bocca semiaperta.
Lui entrò, e come sempre faceva andò lentamente a sedersi al posto che normalmente occupava, facendo segno alla ragazza di sedersi. Fare lezione fu per entrambi una tortura, soprattutto per Ottavio, alle cui narici arrivava il profumo che emanava quella giovane donna, e dato che non lo aveva mai sentito, capì che era stato messo apposta per l’occasione, e se ne compiaque infinitamente.
Non riusciva a togliere gli occhi dalle gambe di Vittoria: lei le teneva accavallate mentre eseguiva gli esercizi di matematica che lui le aveva assegnato, e dondolava continuamente e nervosamente la gamba che stava sopra l’altra, facendo apparire e scomparire porzioni di pelle. Ottavio continuava a immaginare quando di li a poco, se lei fosse stata come il giorno prima consenziente, sarebbe riuscito lentamente a alzare quel vestito, scoprendole le gambe e accarezzandone la pelle liscia e delicata, e forse….forse sarebbe riuscito ad arrivare al posto che lei aveva di più segreto, avrebbe forse potuto realizzare ciò che da ieri sognava, vedere e accarezzare quella giovane fica, avrebbe potuto sentirne il profumo.
Finalmente, dopo due ore parse interminabili, Ottavio trovò di nuovo il coraggio di affrontare il fatidico argomento, e come il giorno precedente esordì
-Oggi è di nuovo una giornata bella e calda, vuoi che continuiamo la lezione fuori come abbiamo fatto ieri?
Lei, che ormai pensava che lui non glielo avrebbe più proposto, alzò gli occhi stupiti dal suo quaderno di esercizi, e con un cenno della testa rispose
-Si, mi farebbe piacere fare una passeggiata fuori!
Le parole tra loro, una volta che camminavano sul vialetto verso il capanno che stava diventando il loro posto segreto, non riuscivano a uscire. Avevano camminato per quindici minuti con Ottavio che sembrava completamente assorto nei suoi pensieri, e lei che ogni tanto lo guardava con la coda dell’occhio, e ne notava la tensione rugargli il viso.
Quando finalmente furono davanti al capanno Ottavio si guardò intorno con attenzione, cercando di capire se qualcuno, magari anche nascosto, li stesse osservando: velocemente la prese per il braccio, e Vittoria si lasciò trascinare all’interno dove prese subito posto sul tronco che era stato la sua sedia il giorno prima. Mentre chiudeva la porta, Ottavio riprese finalmente il discorso
-Ho pensato che ti facesse piacere continuare ciò che ieri abbiamo iniziato. Va bene?
Lei abbassò lo sguardo, e assentì con la testa.
Ottavio sorrise di gioia, vedendola li seduta e arrendevole.
-Allora ti andrebbe, come ieri, di scoprirti ancora i seni, o meglio le tette?
Lei portò le mani dietro di lei e cominciò a slacciare, non senza fatica, il suo corpetto, evitando di guardare Ottavio per la vergogna che comunque provava forte.
Lui capì ciò che lei sentiva, e avvicinandosi si andò a sedere accanto a lei, e le carezzò dolcemente i capelli.
-Vuoi che ti aiuti a slacciare?
-Si grazie
Rispose lei, offrendo alle mani del precettore la sua schiena.
Le mani di Ottavio tremavano leggermente, mentre scioglieva i lacci del corpetto. Una volta che ebbe finito afferrò la giovane per le spalle e la fece girare dolcemente, mentre lei con le mani sorreggeva l’abito che altrimenti sarebbe inesorabilmente caduto lasciando scoperte le sue mammelle. Con decisione, guardandola fissa negli occhi, le prese i polsi e glieli allontanò: nel momento stesso in cui lo faceva, il vestito lentamente scivolava verso il basso, lasciando scoperte nuove zone di morbida pelle. Scese fino a quando non rimase impigliato nei capezzoli già eretti della giovane, che facevano da involontario sostegno. Al che Ottavio avvicinò, come già aveva fatto, la bocca a quelle meraviglie, e mentre la mano liberava del tutto il seno dalla copertura del vestito, le labbra e la lingua cominciavano a giocare con le tette, leccando e baciando la pelle candida e e delicata.
Con l’altra mano cominciò a realizzare il sogno, e partendo con le carezze su una caviglia, lentamente risaliva prima verso il polpaccio, poi nel retro del ginocchio, e infine riuscì ad arrivare ad accarezzare una coscia della ragazza, che nel frattempo sentiva la propria pelle incresparsi sotto il tocco sapiente del prelato.
Il cazzo duro di Ottavio svettava da sotto l’abito, e lei non potè non notarlo e il suo sguardo rimaneva attratto da quella protuberanza.
Finalmente la mano dell’uomo arrivò a solleticare la giovane fica, e lei in un moto istintivo serrò forte le cosce, imprigionandola.
-Stai tranquilla, non ti faccio male….
Le sussurrò Ottavio all’orecchio. Lei, con un sorriso di scuse, lentamente si rilassò riaprendo le sue gambe, e lasciando che la mano che tanto le stava dando piacere continuasse a darglielo.
-Ora vorrei che chiudessi gli occhi e ti abbandonassi ai sensi, mia piccola Vittoria, voglio farti provare il piacere di essere leccata….
Le disse l’uomo, mentre si alzava e si inginocchiava davanti a lei.
-Non so…non so se facciamo bene….ho paura
Le disse lei, in un moto di finta difesa
-Stai tranquilla, davvero….non ti farò nulla che possa pregiudicare la tua verginità, te lo prometto!
Le rispose lui, ben conscio che lei sarebbe dovuta comunque arrivare illibata all’altare. Per cui con decisione le alzò la veste e avvicinò la sua lingua a quel fiore meraviglioso, mentre le sue narici si riempivano dell’odore dell’eccitazione di lei. La lingua lambiva la pelle delicata della vagina, percorreva le grandi labbra e poi quelle piccole, per poi entrare dentro di lei a sfiorare l’imene ancora intatto. Ottavio si gustava il succo che copioso usciva da quell’antro benedetto, per poi risalire e suggere il clitoride eretto.
Vittoria non riusciva più a stare zitta, ed emetteva gemiti mentre sentiva arrivare prepotente l’orgasmo, diverso da quelli che in solitudine si provocava nel suo letto: questo, quando arrivò, fu mille volte più potente e la lasciò per qualche attimo senza fiato, mentre sentiva la sua patatina sciogliersi e l’uomo che continuava, imperterrito, a berla.
Ottavio continuò ancora un po’ a succhiarla, mentre le mani le percorrevano l’interno delle cosce; infine si tirò in piedi, l’erezione che teneva alzato il suo abito e lo deformava in modo ridicolo.
-Vuoi ora vedere come è fatto un uomo?
Fu la domanda che le rivolse a bruciapelo.
Lei, con ancora il fiato ingrossato dall’orgasmo appena vissuto, sorrise
-Si, lo voglio!
Ottavio allora tirò su il suo lungo vestito nero, fino a quando il cazzo non saltò fuori come una molla. Lei a quella vista strabuzzò gli occhi, fissando la cappella congestionata, il filetto che la univa col prepuzio e il prepuzio stesso, più scuro, contornato dalle vene bluastre che lo percorrevano per tutta la lunghezza.
-Ti andrebbe di toccarlo? Su dammi la mano!
Lei obbedì porgendo la sua destra verso quel palo di carne; la mano venne presa dal prete, che la guidò fino a quando non la sistemò con le dita avvolte intorno al suo cazzo.
-Ora impara, Vittoria, per darmi piacere devi muoverlo in su e in giù, dolcemente senza esagerare con la forza….su prova!
Lei iniziò il lento movimento di mano, sentendo se possibile quel palo di carne diventare ancora più duro, ancora più grosso sotto il suo tocco inesperto.
Ottavio si godeva la sega che lei gli stava facendo, e sentiva che se non la interrompeva sarebbe presto venuto, data la lunga eccitazione e attesa che durava sin dal giorno prima.
-Vittoria, tu sai cos’è lo sperma?
La domanda la colse impreparata, no, non lo sapeva proprio che cosa fosse quella cosa li!
Lui lo capì, e mentre lei continuava a menarglielo lentamente, cominciò l’ennesima descrizione scientifica, come se fosse l’unica persona al mondo in grado di saperglielo spiegare
-Vedi, quando un uomo ha un orgasmo come quello che hai avuto tu prima, erutta dal suo pene, o dal suo cazzo come piace chiamarlo a me, un liquido di un colore bianco. Questo liquido, se messo nella tua fichetta, è quello che può fare in modo che tu concepisca un bambino. Ora noi due dobbiamo stare molto molto attenti che questo non succeda, sei d’accordo?
Lei spaventata mosse velocemente la testa su e giù in senso affermativo, mentre la mano continuava a scorrere e a dare piacere all’uomo.
-Bene, quindi quando io proverò il mio piacere, non potendo metterlo dentro te, te lo farò colare sulle tette, così non corriamo nessun pericolo, va bene?
Ottavio si approfittava dell’inesperienza di lei, che continuava ad assentire non togliendo mai gli occhi dal cazzo, sulla punta del quale compariva già la prima perla di liquido prespermatico.
-Per oggi faremo così, poi voglio che tu lo assaggi….ha un gusto buono sai? Ma questo lo faremo con calma, la prossima volta….
Nel frattempo aggiustava con le mani il vestito di lei, in modo da lasciare scoperta anche la pancia…Voleva venirle sulle tette, ma mica poteva imbrattarle il vestito….
Piano piano, si disse tra sé, andiamo lentamente, e la avrò nuda e disponibile sotto di me, e potrò farle quasi tutto quello che voglio. Devo solo giocarmela bene!
-Adesso accelera, muovilo più veloce, brava!
Lei ubbidì, e lui avvicinò la punta del suo cazzo alle mammelle. Non appena fu sufficientemente vicino, esplose il primo getto, che la colpì sul collo, e poi gli altri che lui, dopo essersi afferrato la mazza con la mano, indirizzò verso le tette di panna della ragazza. Lei guardava incuriosita la fuoriuscita di tutto quel seme che andava depositandosi sulle sue mammelle, mentre Ottavio grugniva il suo orgasmo.
L’uomo riabbassò la sua tunica, coprendosi, mentre osservava un rigagnolo di sperma colare lentamente sul seno sinistro di Vittoria, arrivando fino quasi al capezzolo.
-Vorresti assaggiarlo? Io con te l’ho fatto. Vedrai, è buono e mi faresti molto contento!
Così diceva mentre il suo dito risaliva all’insù la striscia bianca, raccogliendone sopra il più possibile.
Porse quindi il dito alla bocca della ragazza, che non sapeva che fare e restava ora immobile a fissare quel dito imperlato di roba biancastra.
-Su da brava, apri la bocca!
Lei ancora una volta, non potendo quasi fare altro, ubbidì. Ottavio le infilò l’indice tutto all’interno, mentre con l’altra mano spingeva in su delicatamente il suo mento in modo da farle chiudere la bocca. Non appena le sue labbra si furono serrate intorno al dito, lui lentamente lo sfilò, ritirandolo pulito.
Lei ora stava con la sensazione di appicicaticcio in bocca, e un gusto salato particolare
-Da brava, ora ingoia! Non vorrai mica sputare vero? Su che è buono!
Lei raccolse tutta la saliva che aveva in gola, la fece girare in bocca e poi come richiestole ingoiò il tutto. Lui quando lo vide le sorrise, e lei sorrise a quel punto di rimando.
-E’ ora che torniamo indietro, ora. Mi piacerebbe insegnarti ancora cose che so, ma tu vuoi ancora impararne?
-Si, mi piacerebbe molto!
Rispose lei, mentre rimetteva le mammelle sotto costrizione.
-Allora te ne insegnerò ancora tante!
Rispose felice Ottavio.
La loro storia durò altri due anni, e divennero amanti fissi. Ogni tanto, anche in pieno inverno, sparivano all’interno del capanno nel bosco. Lui la lasciò sempre illibata di fica, ma le insegnò in pratica tutto il resto. Lei diventò bravissima a leccare il cazzo, a ingoiarlo tutto, e godeva anche mentre completamente nudi, lui la sodomizzava.
Poi un giorno arrivò suo padre, il Re, e le disse che le aveva trovato un marito. Quel giorno fu l’ultimo in cui fecero l’amore lei e il suo precettore nel capanno; e quello fu anche il giorno in cui lui, dopo averla inculata a lungo, le diede le ultime istruzioni su come comportarsi, la prima notte di nozze:
-Mi raccomando, Vittoria, io ti ho insegnato tutto e tu hai imparato molto bene come fare felice me, e quindi come fare felice un uomo. Però ricordati che quando starai a letto con tuo marito, le prime volte, dovrai sembrare completamente ingenua ed inesperta: lui ci terrà molto a insegnarti queste cose, credendoti completamente, in tutto per tutto, ignorante in materia. Dovrai anche opporti a certe pratiche sul momento: ad esempio, se lui volesse dartelo in bocca, dovrai dire “no, non voglio, mi fa senso” o cose del genere, prima di farlo magari in un secondo momento. E dovrai farlo come se non lo avessi mai fatto, dovrai lasciargli l’iniziativa, e anche il pensiero che tu sia incapace. Hai capito?
-Si ho capito benissimo! Mi credi una stupida?
Rispose lei, mentre le labbra si impossessavano ancora un’ultima volta del cazzo di Ottavio.
Una volta sposata col Duca, si era comportata all’inizio esattamente come aveva detto Ottavio, ma poi portata dal piacere si era “sbloccata”, e si erano amati facendo sesso spesso e dappertutto. Poi, con il passare del tempo era subentrato tra loro un grosso, grossissimo problema: lei non riusciva a dare al Duca un figlio, un erede. Niente: non riusciva a rimanere incinta. La depressione si era presa il suo cervello e la sua anima, e si rintanava sempre di più dentro i suoi appartamenti.
Come in questo momento, in cui è come ormai quasi sempre sotto le coperte a cercare di non pensare a nulla. Un urlo disperato le fa riaprire gli occhi, e per una volta presa dalla curiosità, velocemente si alza e si infila la sua vestaglia finemente ricamata, e corre fuori a vedere cosa sia mai successo.

Elena e Margherita erano appena arrivate nella stanza delle ragazze quando comparve il Duca: l’uomo si stagliò sulla porta, la sua figura resa ancora più imponente dal fatto che la luce filtrava alle sue spalle, rendendolo una figura massiccia quasi senza volto.

–          Voglio che veniate con me, vi devo mostrare una cosa davvero importante!

 

Le ragazze guardarono tutte Margherita, la quale con un cenno della testa fece loro capire che dovevano prepararsi in fretta, molto in fretta: qualcuna corse a infilarsi le scarpe, qualcun’altra si infilò la vestaglia di ordinanza, e in men che non si dica erano tutte pronte a seguire diligentemente il Duca. Si erano persino disperse nell’aria le mille domande che tutte avevano da fare a Elena, che era appena tornata da una misteriosa e intrigante avventura…ora la mente di tutte era stata catturata dalla personalità forte e magnetica del loro signore e padrone, che le attendeva con impazienza.

Vedere il gruppo di persone che percorreva i corridoi e le scale del castello, era come vedere un gregge composto da belle ragazze e da una signora un po’ più attempata seguire il loro pastore: il Duca faceva l’andatura, stando 5 passi più avanti di tutti, e subito dopo in ordine sparso, camminando velocemente cercando di tenere l’andatura, tutte le donne.

Man mano che camminavano il percorso si faceva sempre più buio e lugubre; i riflessi delle fiamme delle torce appese alle pareti facevano risaltare l’umidità delle stesse: rigagnoli di acqua colavano, goccia dopo goccia, nei punti di giunzione delle pietre, e  chiazze di muschi e muffe prolificavano aiutate dall’umidità.

Finalmente il Duca si fermò all’imboccatura di un portone massiccio, realizzato in maniera grezza ma robusta: era la porta che introduceva alla sala delle torture, la porta che nessuno tranne i boia aveva il piacere di attraversare.

 

–          Bene signore – cominciò a parlare il Duca – oggi vi mostrerò la sala delle torture. Non so se siete già state informate – e il suo sguardo si andò a posare prima su Elena e subito dopo su Margherita – ma una delle vostre compagne ha già avuto il dispiacere di capitarci ieri sera!

Le ragazze ignare si voltarono verso Elena, che involontariamente confermò quanto detto dal Duca con un lieve storcere delle labbra e abbassando gli occhi verso il terreno: le ragazze, che non si erano ancora poste la domanda, capirono immediatamente dove fosse finita la loro compagna Giulia.

Mentre il silenzio regnava, si udirono in lontananza dei passi, che si facevano sempre più vicini: tutti si girarono verso l’imboccatura del corridoio, dove poco dopo cominciarono a distinguere una figura femminile molto aggraziata, con i fianchi un po’ larghi avvolta in una vestaglia di seta finemente ricamata.

La Duchessa si avvicinò al gruppo nel silenzio generale, e quando fu loro vicina, senza nessun comando, le ragazze si disposero su due ali con le spalle verso il muro, e fecero insieme alla solerte Margherita un inchino appena accennato, mentre la Duchessa si fermava di fronte a suo marito.

–          Così queste sono le nuove concubine che ti sei comperato! Fammele vedere bene….

Si girò indietro e cominciò ad analizzarle passando di fronte ad una ad una, scrutandole negli occhi. Rimase colpita da un paio di occhi verdi come lo smeraldo….

–          Sono scesa perché ho sentito un urlo disumano provenire da qua sotto….che cosa è successo?

–          Una delle ragazze mi ha disobbedito – e nel pronunciare questo il Duca indicò con l’indice le striature ormai cicatrizzate sulla sua guancia – e quindi stamattina è stata punita. Ora ho portato le altre a vedere quello che non devono fare

–          Bene, sono curiosa di vedere anche io. Andiamo pure.

Inaspettatamente anche per il Duca, la sua consorte lo prese sotto braccio e insieme varcarono la soglia di quella stanza tanto temuta da tutti. Con la mano libera il Duca fece  segno di seguirlo, e diligentemente le ragazze si accodarono in silenzio.

Ora si trovavano tutti in semicerchio intorno alla giovane Giulia, ancora con la testa infilata nel giogo: le ragazze pallide guardavano la loro compagna, o meglio il corpo della loro compagna: delle striature rosse le percorrevano quasi completamente la schiena, arrivando fino alle natiche pallide; sulle stesse, in corrispondenza del solco, compariva qualche traccia di sangue e di sperma, con striature rosso-bianche rapprese che proseguivano giù lungo le cosce, fino all’incavo delle ginocchia.

Il Duca percorse con lo sguardo tutto il gruppo al suo seguito, e poi si andò a posizionare davanti al giogo, in modo che la sventurata potesse vederlo, o meglio stanca e provata com’era, potesse vedergli i piedi. Con la mano afferrò i biondi capelli che aveva davanti, e strattonando leggermente la costrinse ad alzare la testa ed a guardarlo negli occhi.

–          Bene, ora voglio che ripeti davanti a tutte le tue compagne quello che mi hai detto poco fa!

 

La ragazza deglutì, raccolse le forze, e pronunciò le parole che forse la avrebbero salvata da tutto quel dolore e umiliazione patiti fino al quel momento

 

–          Signore, giuro che non le mancherò più di rispetto e che ubbidirò sempre qualsiasi cosa Lei voglia chiedermi, la prego abbia pietà di me!

Il Duca vide con soddisfazione lo sguardo attonito ed impaurito delle altre ragazze, che erano ulteriormente impallidite al sentir pronunciare quelle parole dalla loro compagna Giulia. Fece un piccolo movimento che indicava la sua volontà a liberare la sventurata, quando intervenne Vittoria

–          Caro, ma tu sei proprio sicuro che abbia imparato la lezione a dovere? Non ti conviene metterla alla prova e vedere se quello che dice è verità?

L’uomo guardò la donna che tanto tempo prima aveva sposato, e gli si accese una fiamma negli occhi che per lei non si accendeva da molto, forse troppo tempo.

–          Che cosa hai in mente Vittoria?

La Duchessa, che fino ad allora era stata in disparte, lentamente si incamminò girando intorno al giogo e mettendosi di fianco all’uomo. Giulia poteva ora vedere entrambi i piedi.

–          Penso che questa ragazza potrebbe dimostrare seduta stante a tutte le altre ragazze che ti obbedirà ciecamente, che sarà docile e remissiva, che non avrà più moti di ribellione.

Il Duca guardava la moglie con aria sempre più incuriosita, aspettando che lei  definisse meglio il suo pensiero.

Lei gli mise una mano dietro la nuca, in modo tale che la sua testa si abbassasse e che l’altezza del suo orecchio coincidesse con la sua bocca, e con un filo di fiato segreto disse

–          Fossi in te, glielo darei da succhiare….da leccare….e poi la costringerei a ingoiarlo tutto quanto, a tenerlo tutto in gola…Quale miglior prova di dedizione se si lascia soffocare da te senza stringere i denti e la bocca? Quale miglior insegnamento davanti alle altre?

Il Duca si ricordò improvvisamente di come una volta lui e la Duchessa giocassero insieme, delle porcherie che facevano a letto, prima che lei cominciasse a deprimersi….

Il sorriso che comparve sul suo volto fece capire a lei di aver fatto centro, che il suo piano sarebbe stato messo in pratica.

Il Duca cominciò a sbottonare i calzoni, mentre illustrava a Giulia quello che da li a poco sarebbe successo:

–          Hai l’occasione di dimostrare quanto hai affermato. Ora dovrai succhiarmi il cazzo, dovrai farlo con passione e devozione, dovrai trattarlo come fosse la cosa più bella del mondo. Dovrai succhiarlo ed ingoiarlo senza porre obiezioni, dovrai farlo come vorrò io….sei pronta?

Due lacrime rigarono le guance della ragazza, che rispose con un flebile si signore, sono pronta.

Il Duca fece posizionare le ragazze due per lato, in modo che potessero osservare per bene l’intera scena; Margherita invece si tenne da parte e si posizionò sola e pallida in un angolo della stanza: se non chiamata in causa, per nulla al mondo avrebbe voluto vedere quella sconceria.

La Duchessa prese in mano il pene semirigido del marito, e lo mosse su e giù in una morbida sega per farle acquisire il massimo dell’erezione; poi prese i capelli di Giulia sollevandole la testa, e accompagnò il cazzo tra quelle labbra calde che si aprirono all’istante facendosi violare.

Vittoria cominciò a ordinare alla ragazza quello che avrebbe dovuto fare: le intimò di tirare fuori la lingua e di leccare prima il filetto, poi tutto intorno la cappella, poi di succhiare dolcemente la punta e di ruotare la lingua nella bocca per dare più soddisfazione al Duca.

Giulia sentiva il cazzo pulsare tra le sue labbra mentre eseguiva docilmente tutto quello che le veniva ordinato, sentiva il gusto salato del liquido prespermatico che usciva dalla punta di quel pene teso all’inverosimile.

–          Adesso è ora che le scopi la bocca. Dai piccola, spalanca bene la bocca che deve entrarti tutto dentro!

Giulia obbedì e allargò al massimo le mascelle, e il Duca lentamente cominciò a entrarle nella bocca centimetro dopo centimetro. I conati di vomito la presero insieme al senso di soffocamento e alle lacrime che sgorgavano copiose, ma lei era sicura che piuttosto di essere ancora punita, avrebbe preferito morire e quindi mai e poi mai avrebbe mollato.

La bava avvolgeva copiosa il cazzo del suo signore quando lui lo sfilò, e finalmente l’aria le riempì di nuovo i polmoni, e lei tornò a vivere per qualche secondo, prima che lui lo reintroducesse in fondo alla sua gola.

Il Duca accelerò il movimento, sentendo che stava salendo l’orgasmo; mentre lui si muoveva in maniera forsennata tra le labbra della ragazza, la Duchessa si avvicinò al suo orecchio

 

–          Mi raccomando, ingoia tutto!

Lo disse piano, ma abbastanza forte da essere sentita sia dal Duca che dalle ragazze che fissavano attonite la scena.

Con un ultimo affondo l’uomo piantò il suo cazzo in fondo alla gola di Giulia, cominciando ad eruttare 3, 4, 5 copiosi schizzi che finirono direttamente nell’esofago della ragazza, oramai quasi cianotica.

 

 

–          Bene caro, ha dimostrato di essere davvero diventata ubbidiente! Ora la puoi liberare!

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