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Racconti di DominazioneRacconti Erotici Etero

ammaestrami, disse la volpe…

By 5 Gennaio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

C’eravamo conosciuti un anno prima, circa.
Ad una di quelle ‘cene in piedi’ tra amici e conoscenti, alle quali c’&egrave sempre troppa gente e troppo poco da mangiare.

Alla fine eravamo rimasti in pochi, seduti sui divani, e tra un po’ di vino, qualche superalcolico e anche un paio di canne leggere che erano girate nel gruppo, si era finiti a parlare di sesso.

Avevamo parlato dei rispettivi ‘sogni’, chiamiamoli così, e insomma tra una risata imbarazzata e il darsi di gomito dei maschietti, anche io avevo detto la mia.

– possedere una schiava, anzi, addestrare una schiava, da zero –

Fischi, risate, commenti volgari.

– in che senso? Spiega, spiega!!! ‘ chiese qualcuno
– nel senso che vorrei una donna che accettasse di diventare la mia schiava’ ma non per qualche ora, o una notte’ vorrei prenderla, e addestrarla, fino a che non diventi esattamente come la voglio io –
– eeeeehh’ – disse una voce ‘ ma come fa? Una dovrebbe mollare la vita, il lavoro, tutto’ solo per obbedire a te? –
– diciamo di sì ‘ risposi ‘ poi, la potrei anche pagare, una sorta di stipendio, se questo ti preoccupa’ –

La cosa finì lì.
Altre fantasie, altri racconti, altre battute.

Per oltre un anno, non ci ripensai.

Poi, un giorno, mentre uscivo dall’ufficio, la portinaia mi fermò ‘ dottòro, dottòro’ –
– mi dica, Clementina –
– hanno lassata unàbbusta p&egravellei’ – disse, allungandomi una busta commerciale, gialla, con scritto il mio nome e ‘PERSONALE’.

– hanno detto così di non dàlla al suo ufficio’ solo àllei pessonammente’ – aggiunse la portinaia.
Annuii, presi la busta e la infilai nella tasca interna della giacca.

Avevo una riunione, e quindi presi al volo un taxi, e mi concentrai ripassando documenti di cui avrei dovuto discutere, che tirai fuori dalla cartelletta che avevo con me, dimenticando la busta.

La riunione durò più del previsto, e rientrai a casa tardi.
Mi preparai un’insalata, e andai a cambiarmi.
Come sempre, prima di appendere la giacca nell’armadio controllai le tasche, e ritrovai la busta.
La buttai sul letto, e mi cambiai, mettendomi qualcosa di comodo.
Presi la busta, e mentre mi sedevo a tavola, la aprii.

C’era un solo foglio, bianco, scritto a mano, con una grafia femminile, precisa e stretta.

Ciao,

scusa se ti ho lasciato questa busta alla portineria dell’ufficio, ma il tuo nome e il gruppo per il quale lavori erano l’unico contatto che avevo.
Spero ti ricordi di me. Sono Cristina, ci siamo conosciuti alla cena di XXX, un anno fa.
Scusa se ti disturbo, ma vorrei parlarti di una cosa a cui tengo molto.
Mi puoi scrivere a cristina…@….org

Grazie.

Nient’altro, tranne nome e cognome.
Misi da parte la lettera.
Mangiai, poi ascoltai un po’ di musica, leggendo un libro sull’ipad.
Mentre Lou Reed raccontava in sottofondo la vita dei bassifondi di NY, all’improvviso aprii il browser sull’ipad e inserii nome e cognome che erano nella lettera.

Google e facebook mi aiutarono.

Cristina era proprio la persona che ricordavo dall’anno prima.

Quarant’anni, single, sull’uno e sessantacinque, capelli neri, lisci, lunghi.
Un bel fisco, appena un po’ rotondetta, a giudicare dalle foto in costume aveva reso visibili su facebook, anche senza essere ‘amici’.
Una laurea breve, un impiego apparentemente banale, in una società che faceva, scoprii, valvole industriali.
Non il lavoro più stimolante del mondo.

Vabb&egrave, insomma, era lei.

Sospirai.

Avevo rimesso in sesto la mia vita da qualche anno, dopo che era stata, diciamo così, ribaltata contro il mio volere, e non avevo nessuna intenzione di rimettermi a inseguire gli sbalzi di umore di persone inaffidabili, uomini o donne che fossero.

Andai a dormire.

La sera dopo, però, ammisi a me stesso di essere incuriosito, e decisi di scoprire qualcosa di più.
In fondo, che male c’&egrave, mi dissi.
E le scrissi una mail.

Ciao.
Ho letto la tua lettera.
Come posso aiutarti?

Lei rispose dopo pochi minuti.

Ciao.
Grazie per la risposta.
Possiamo vederci?
&egrave una cosa molto personale.

Sospirai.

Va bene.
Domani.
Vuoi venire in ufficio da me?

Meglio di no.
Un altro posto?

Proposi all’ora dell’aperitivo un posto tranquillo, poco lontano da casa mia.
Accettò.

Arrivai in anticipo, e mi sedetti in un tavolo in un angolo.
Scelsi la sedia che dava verso la sala, così che lei avrebbe avuto davanti solo me e il muro.

Arrivò puntuale, più carina di come la ricordassi, più magra che nelle foto di facebook, con jeans e scarpe col tacco, una giacca e una camicetta.
Truccata con cura.
Mi vide, mi sorrise, mi raggiunse.
Io mi alzai, la salutai, ci scambiammo i baci sulle guance e sedemmo.
Con davanti una birra io e un vino bianco lei, parlammo del più e del meno per qualche minuto.

– senti, Cristina’ – dissi io, guardando palesemente l’orologio ‘ io avrei da fare e quindi’ –
– sì, scusa’ – rispose lei, stringendosi la giacca come se facesse improvvisamente freddo ‘ &egrave che’ non so da dove cominciare’ –

Io rimasi fermo e la guardai.

– ti ricordi ‘ disse lei infine, giocherellando con lo stelo del bicchiere ‘ dei discorsi che abbiamo fatto a cena da XXX, sul divano? –
– bho, sì, qualcosa’ –

Un’altra pausa.
– Cristina, davvero, io devo –
– aspetta ‘ mi interruppe ‘ aspetta solo un minuto’ –

Sospirai e mi appoggiai allo schienale della sedia.

– parlavamo delle’ fantasie’ sessuali – sussurrò
– sì, ricordo ‘ annuii, dubbioso. La conversazione stava prendendo una piega che non mi piaceva.

Non sono molto felice quando qualcuno, dopo un anno, torna a rinfacciarti le tue (presunte) perversioni confessate in un momento di relax dovuto ad un mix di alcool e cannabinolo’

– tu’ avevi parlato della’ del’ istruire’ una schiava –

Non risposi. Restai fermo.

– e’ che questo poteva essere’ tipo’ un’ lavoro’ –

Sospirai, e la guardai.

– si chiamano fantasie, Cristina. Da bambino sogni di fare il calciatore, o l’astronauta, o la ballerina o la cantante’ poi cresciamo, e diventiamo avvocati, medici, notai, camionisti, panettieri’ e siamo felici lo stesso. Poi, magari, ad una cena con amici, tra uno scherzo e l’altro ti scappa detto che vorresti tanto essere Leo Messi, ma non per questo’ –

– lo so lo so’ non pensare che sia così stupida ‘ mi interruppe, con tono fermo ‘ ma’ ascoltami –

E finalmente parlò.
Insomma, aveva perso il lavoro da un po’.
La crisi, e le avevano offerto una ottima buonuscita, minacciandola che in caso non avesse accettato l’avrebbero licenziata in ogni caso, e avrebbe dovuto imbarcarsi un una causa lunga e incerta.
Aveva accettato.

Poi il suo compagno, dopo oltre dieci anni di convivenza e qualche progetto di matrimonio e figli, aveva conosciuto una, e insomma, da un giorno all’altro era andato a vivere a Isernia (‘Isernia????’, chiesi io, e lei ridendo annuì ‘Isernia”).

Aveva avuto qualche flirt, un paio di avventure poi, come tutti a quest’età, aveva scoperto internet e le chat e i siti di incontri.

Poi, era finita sui siti bdsm.

– sai, sono quei siti che –
– li conosco ‘ la interruppi
– ecco’ e ho scoperto che esiste una’ community’ la chiamano così –

Aveva provato a conoscere qualcuno della community, appunto, ma era fuggita.
– sono tutti ‘ mi disse ‘ o matti, o segaioli, o matti segaioli –

– Cristina ‘ la interruppi di nuovo ‘ sono molto dispiaciuto per te, per tutti i casini che hai avuto, ma davvero, si sta facendo tardi e io –
– ammaestrami ‘ mi interruppe guardandomi negli occhi.

– in che senso? –
– nel senso che hai detto quella sera. Prendimi con te. Non voglio più amare, conoscere, capire, lottare o cercare di fare funzionare le cose, il lavoro, la famiglia’ tutto. Ho ripensato a quello che hai detto quella sera, e mi sono convinta: quella di cui parlavi, sono io –
– Cristina, quelle sono fantasie, te l’ho detto’ – scossi la testa
– ascoltami’ ascoltami un minuto. Ho visto, lo fanno’ su internet’ –
– Cristina’ –
– ci ho anche provato’ a contattare qualcuno di quelli’ ma nessuno mi ha’ sono tutti’ ascoltami ‘ mi disse, guardandomi negli occhi ‘ proviamoci, che ti costa? –
– no, davvero’ –
– non sono matta, non sono una psicolabile, non sono un’assassina’ –

Sorrisi, controvoglia.

– sono solo una donna che ha capito, o almeno credo di aver capito, cosa vuole, e credo che i miei desideri possano incontrarsi con i tuoi –

Non risposi.

– pensaci ‘ mi disse allora lei ‘ io ci ho pensato per quasi un anno, prima di decidere’ pensaci anche tu –

Ci salutammo.

E ci pensai.
Come ho detto, non avevo nessuna voglia di incasinarmi la vita.

Paradossalmente, se Cristina mi avesse proposto di scopare, sarebbe stato più facile, dirle di sì, o di no.

Invece, questo, da un lato mi incuriosiva, eccitava anche, ma dall’altro mi preoccupava.

“Ci ho pensato”

le scrissi dopo qualche giorno, un sabato

“possiamo parlarne. Vieni da me stasera, alle nove.”

Scrissi l’indirizzo.

Alle nove meno cinque il citofono suonò.
Aprii, e socchiusi la porta.
Dopo pochi secondi arrivò, si tolse il cappotto, indossava scarpe alte, chiuse, con tacco, pantaloni neri, un maglione a collo alto.

La feci accomodare sul divano, le offrii del vino, bianco, buono.
Io mi sedetti su una sedia, di fronte a lei.

Restammo così, in silenzio, per quasi un minuto.
Poi lei prese fiato ‘ vedi, io –

La fermai, con un gesto della mano.

– fai parlare me. Rispondi alle mie domande. Vediamo se ho capito bene, ok? –

Lei annuì.

– tu vorresti che ti addestrassi come schiava –
– sì ‘
– come MIA schiava? ‘
– sì ‘
– e per essere addestrata, staresti con me, cio&egrave, dove sto io, a vivere? ‘
– se fosse quello che vuoi, sì ‘
– e in cambio, cosa vorresti? ‘
– nulla. Cio&egrave, se potessi pagarmi una specie di piccolo stipendio, questo darebbe un senso al mio non cercare un lavoro… ‘
– si può fare ‘ annuii

– e cosa fa una schiava, nella tua idea? –

Cristina ci pensò un attimo.
– obbedisce. Soddisfa il suo padrone. Si occupa di lui –
– e cosa ti attrae, in questo? ‘
– la dipendenza. L’obbedienza. La leggerezza. Mi sono stancata di pensare a tutti e a tutto, la mia vita mi affatica. Voglio poter pensare solo ad una cosa, all’obbedienza. Sogno di essere libera da ogni preoccupazione che non sia il soddisfare i desideri del mio padrone ‘

Io annuii – lo sai qual &egrave il più grande problema per i militari che lasciano l’esercito, dopo tanti anni? Proprio questo: dall’oggi al domani si trovano senza avere più qualcuno, chiamiamolo il ‘sistema militare’, che si occupa di tutto in loro nome e conto, chiedendo loro solo di eseguire gli ordini’ –

Cristina sospirò, bevve un sorso di vino, socchiuse gli occhi e spinse la testa all’indietro.
– esatto’ – sussurrò ‘ e io sono stanca’ così stanca’ –

Aprì gli occhi, mi guardò e disse ‘ …ma sono troppo vecchia per fare il soldato… prendimi con te. Occupati di me. Istruiscimi, ammaestrami. Sei la persona giusta. Lo sento –

Io chiusi gli occhi a mia volta.
Parlai, senza riaprirli, scuotendo la testa.

– ho una gran paura che mi pentirò di ciò che sto per dire’ – sospirai ‘ ma va bene. Possiamo provarci. Il prossimo fine settimana, qui da me. Un intero week end di prova, poi deciderò’ decideremo. Ti manderò una mail con le istruzioni. E adesso, per piacere, vai a casa –

Mi alzai.

Cristina si alzò, stupita ‘ adesso’? Subito? Ma io credevo ‘
Sorrisi – la prima regola da imparare &egrave che devi ubbidire, e basta. Non credere, pensare, supporre, suggerire’ ho detto vai a casa –

Cristina sorrise e annuì ‘ sì’ scusa’ vado. Buonanotte. E grazie -.

E uscì alla porta.

Il sabato mattina Cristina arrivò alle nove e mezzo, come le avevo scritto.
Portava una valigia, grossa.

La invitai ad entrare, e la portai nella stanza degli ospiti.
– lascia qui la valigia e il cappotto, vieni di là –

Tornammo in soggiorno, e notai che era vestita come le avevo scritto, scarpe con il tacco, nere, calze, gonna al ginocchio molto formale, camicetta bianca e giacca.

Mi versai un caff&egrave, e mi sedetti.
Lei rimase un momento interdetta: non le avevo offerto una tazza di caff&egrave, non le avevo detto di sedersi.

– allora ‘ le dissi, mentre restava ferma in piedi in mezzo alla stanza ‘ allora’ Cristina’ anzi’ ‘schiava Cristina” come suona? –

– b’ bene’ – rispose

– anzi’ ‘apprendista schiava Cristina’, perché siamo d’accordo che sei qui per diventare una schiava, vero? –

Di nuovo annuì.

– allora, ecco come la vedo io. Sentiti libera di dirmi se qualcosa non ti convince, o non ti &egrave chiaro, d’accordo? –

Di nuovo, lei annuì.

La guardai.

Era in piedi, in mezzo al soggiorno, e non sapeva cosa fare, dove guardare, come muovere le mani.

Pensai di darle un ordine, di dirle cosa fare o come mettersi, ma mi piaceva l’idea di tenerla lì, così.

– il primo passo, nell’addestramento di una schiava, &egrave l’abitudine all’obbedienza. Sembra facile o banale, ma non lo &egrave, per almeno due motivi. Li conosci? –
– nn’ no ‘
– primo, perché nessuno &egrave abituato a obbedire, semplicemente, oggettivamente, a un ordine, senza pensare, giudicare, valutare, interferire. Obbedire meccanicamente, &egrave molto difficile. Secondo, perché &egrave forse ancora più difficile non fare nulla, se non c’&egrave l’ordine di fare qualcosa. Capisci cosa intendo? –
– non proprio ‘
– la vita di una schiava non &egrave sempre piena. Ci sono momenti in cui, semplicemente, il padrone non c’&egrave, o ha altro da fare che occuparsi della schiava, o farle fare qualcosa. E in quei momenti, la schiava, semplicemente, come dire’ ‘non fa’. Non fa nulla. Resta ferma, in attesa dell’ordine del padrone. Anche in questo caso, sembra facile e banale ma, soprattutto all’inizio, &egrave spesso la cosa più difficile per una donna, come te per esempio, che ha una vita piena e non &egrave certo abituata a restare ferma, inattiva, in semplice attesa’ che ne dici? –

– posso provarci. Voglio provarci ‘
– va bene, vedremo. Adesso va di là, e sistema le tue cose in camera, poi torna qui e entriamo nei dettagli del tuo addestramento -.

Cristina se ne andò, e io la osservai, e non potei evitare di immaginare come dovesse essere, senza qui vestiti addosso.
Chissà se ci arriveremo, pensai. E adesso? Mi chiedo.

Perché va bene avere letto qualcosa, o anche più di qualcosa.
Va bene aver frequentato, per un po’, qualche sito con racconti, foto e video.
Va bene aver fantasticato e, magari, con qualcuna, anche giocato al padrone e alla schiava.

Ma qui, qui si deve cambiare completamente approccio.

Insomma, Cristina &egrave in casa mia, mi ha detto, anzi chiesto, di istruirla e ammaestrarla facendola diventare una schiava.

Ho fatto un po’ il fenomeno, diciamo, quando ho proposto un fine settimana di prova, facendole intendere che quella che avrebbe dovuto superare la prova fosse lei. In realtà, mi confesso adesso, quello che deve mettersi alla prova di più, tra i due, sono io.

Non ho idea, lo ripeto tra me e me, di come proseguire e di dove porterà questa storia.

Però sono curioso, questo sì.

Quindi, mi dico alla fine di questa chiacchierata con me stesso, andiamo avanti, un passo per volta, e vediamo come va.

Cristina torna.
Resta in piedi, nel mezzo del soggiorno, mentre io sono seduto sul divano.

– siediti ‘ le dico gentilmente – tutto a posto? –
– sì, ho messo via le mie cose, e ho messo le cose da bagno nel bagnetto piccolo’ –
– hai fatto bene ‘

Silenzio.
Lei aspetta, ferma.
Io la guardo, la osservo.
&egrave una bella donna.
Non di una bellezza speciale, ma certo non brutta.

Ho scoperto che le donne, da giovani, possono essere molto belle, o anche molto brutte.
Ma con il tempo, avvicinandosi e superando i 40 anni, gli estremi si avvicinano.
Quelle molto belle, con il tempo, diventano meno belle, più normali, potremmo dire.
E quelle che erano brutte, anche molto brutte, da giovani, imparano a vestirsi, valorizzarsi, e in generale diventano, per un uomo, molto più interessanti di quanto lo fossero vent’anni prima.

E Cristina &egrave bella come può essere bella una donna che, probabilmente, quindici o vent’anni fa sarebbe stata classificata come ‘bruttina’ o ‘insignificante’, mentre oggi &egrave sicuramente ‘carina’, ‘interessante’ e sicuramente, per come conosco gli uomini, ‘sexy’.

– da cosa vogliamo cominciare’? ‘ le domando
– ‘non so’ tu, cosa dici? ‘ mi risponde, titubante e con un accenno di sorriso

Io ci penso, poi mi dico dai, provaci. Provaci seriamente. Lei &egrave qui perch&egrave vuole provarci, almeno provarci, ma sul serio, e tu non hai il diritto di non prendere sul serio questa’ questa cosa.

Va bene, mi dico infine, mentre la guardo e lei mi osserva, in attesa: va bene, proviamo a fare sul serio.

– cominciamo a mettere delle regole al nostro rapporto’ alla comunicazione, d’accordo? Attenta: per questo come per quello che, eventualmente, decideremo poi, le mie sono proposte, se c’&egrave qualcosa che non condividi o ritieni di non poter accettare, parliamone –
– va bene ‘risponde lei, annuendo
– allora, tu sei la schiava, e io sono’ –
– il padrone? ‘
– esatto, quindi non possiamo comunicare su un piano, diciamo così, di parità’ perciò io ti darò del tu, mentre tu mi darai del lei, ok? ‘
– ok ‘
– poi, per te non ho un nome. Per nome mi chiama chi &egrave al mio livello, una schiava non può permetterselo. Sei d’accordo? ‘
– sì ‘ annuisce lei
– allora, anche se può sembrare banale o da libro soft porno’ direi che quando ti rivolgi a me devi chiamarmi ‘padrone’. Va bene? ‘
– mhm mhm ‘ risponde lei, annuendo di nuovo
– proviamo. Prova a salutarmi, come se fosse mattina ‘
– a’ adesso? ‘
– sì ‘

Cristina resta ferma, un paio di secondi.
Immagino che un conto sia parlare, immaginare, leggere di queste situazioni, e diverso sia trovarcisi dentro.
Il primo passo, &egrave sempre il più difficile, mi dico.

Poi alza lo sguardo e con espressione seria dice ‘ buongiorno padrone, bensvegliato. Come sta? ‘
– bene grazie ‘ rispondo io ‘ e tu? –
– be’ bene’ –
– aspetta ‘ la interrompo ‘ vorrei che tu non parlassi mai in prima persona. Vorrei che usassi la terza persona, come se stessi parlando di un’altra, o di un oggetto: vorrei che ti sentissi, come posso dire, spersonalizzata’ hai capito? ‘
– no’ non credo’ –
– alla domanda come stai, vorrei rispondessi ‘la sua schiava sta bene’, o in ogni altro modo che però non contempli l’uso della prima persona, dell’ ‘io’. Come stai? –

Cristina risponde subito, pronta ‘ la sua schiava sta bene ‘ poi, di sua iniziativa, aggiunse ‘ padrone –

Io annuisco, e sorrido.
Senza pensarci, allungo una mano e mi accarezzo l’erezione che mi si stava gonfiando sotto i pantaloni.
Lei nota il gesto.

Io prima ritraggo la mano, imbarazzato, poi la guardo. E dico – questa cosa mi eccita. Mi piace, e mi eccita. Chiariamolo subito, perché se no poi vien fuori un casino’ io in questo nostro rapporto ci vedo dentro anche il sesso’ parecchio sesso, mi sento di dire’ questo &egrave chiaro? Ed &egrave irrinunciabile. Cio&egrave, non posso pensare di avere’ averti qui’ come’ come’ come schiava, cio&egrave’ e’ e non’ –
– no, &egrave chiaro ‘ mi interrompe. Abbassa gli occhi, imbarazzata ‘ &egrave che’ io non’ –
– aspetta, aspetta. Se siamo d’accordo, per così dire, sul principio ‘ sorrido ‘ allora possiamo andare avanti, e quando sarà il momento, ci penseremo. Cio&egrave, io ci penso parecchio già adesso, ma andiamo per gradi ‘

Cristina sorride, e mi guarda.

– torniamo a noi. Allora, io ti do del tu e tu mi dai del lei, mi chiami padrone, non parli in prima persona ma parli di te come ‘la schiava’, ‘la sua schiava’, ‘questa schiava” Tutto chiaro? –
– chiaro ‘
– ok. Allora, quando mi parli o mi rispondi, devi sempre dire ‘padrone’. Cio&egrave, adesso avresti dovuto dire non ‘chiaro’, ma ‘chiaro padrone’. Chiaro? ‘
– sì ‘
– no. ‘sì PADRONE’ ‘
– ah, sì padrone, mi scusi. Padrone ‘

Io annuisco.

– la seconda cosa che voglio chiarire &egrave l’obbedienza –
Cristina mi guarda, in silenzio.
– come ti ho detto prima, tu devi semplicemente, e ho scelto la parola ‘semplicemente’ con attenzione, obbedire. Non devi pensare, discutere, chiedere, cercare di capire o interpretare. Per te, in ogni ordine che riceverai non c’&egrave nulla, tranne l’ordine stesso e il tuo doverlo eseguire. Non importa, non ti deve importare se abbia senso, se ci sia un motivo, se io ti dia l’ordine per una ragione o un’altra: tu devi solo, semplicemente, ripeto, eseguirlo. Questo &egrave l’essenza dell’obbedienza –

Resto in silenzio. La guardo.
– chiaro? – domando
– sì ‘ annuisce. Io la guardo ‘ sì padrone ‘ si corregge. Io sorrido.
– vediamo. Facciamo una prova. Ricorda, obbedire, semplicemente. Senza pensare. Eseguire. Pronta? ‘
– sì, padrone ‘

Mi fermo.
La guardo.
Seduta sul divano, di fronte a me.
Le gambe accavallate, le mani in grembo, strette; lo sguardo deciso.

– alzati ‘ dico, tranquillo.
Cristina si alza.

– sguardo fisso in avanti ‘ lei esegue
– mani dietro la schiena ‘ esegue
– cammina. Vai fino al muro, quando lo raggiungi fermati ‘
Il mio soggiorno &egrave grande, sarà lungo otto o nove metri.
Cristina cammina, raggiunge il muro e si ferma, con la faccia davanti alla parete bianca.
L’ho guardata, camminare sui tacchi neri, e con la gonna al ginocchio, grigia.
Nella testa mi passano pensieri di sesso, veloci e improvvisi, e immagini più crude, cattive, di dolore e lacrime.
Le scaccio, le une e le altre.

– adesso ‘ le dico ‘bacia il muro –
Cristina esegue. Non c’&egrave nessuna ragione perché baci il muro, ma glielo faccio fare proprio per questo.
– girati, e cammina fino al muro opposto –
Cristina attraversa il soggiorno.
&egrave consapevole del mio sguardo, si vede, ma cammina lentamente fino ad arrivare alla parete.
Si ferma.
– bacia il muro –
Cristina esegue.
– adesso torna indietro. Continua a camminare, da una parete all’altra. Quando arrivi al muro, bacialo, girati e torna indietro, arriva all’altro muro, fermati, bacialo, e ricomincia. Finch&egrave non ti dico basta. Chiaro? –
– sì ‘ mormora Cristina, e comincia a camminare

Cammina fino alla parete, si ferma, allunga il collo, appoggia le labbra al muro, lo bacia, si gira, riprende a camminare, attraversa il soggiorno, fino alla parete opposta, si ferma, la bacia, si gira, riprende a camminare.

Forse non l’ho detto, ma abito in una specie di villetta, che mi permette di non preoccuparmi di far rumore, del volume della musica o, più semplicemente, di un vicino che possa protestare per un continuo ticchettare di tacchi.

Osservo Cristina.
La osservo compiere una, due, tre, cinque, dieci volte il tragitto.
Osservo ogni particolare del suo corpo, guardo le caviglie, il collo, i polsi, le dita delle mani.

Con il telecomando, accendo la musica.
I suoni distonici di Miles Davis riempiono la stanza, e Cristina sembra ballare, mentre cammina, monotona, nel mio soggiorno.

Mi alzo, ed esco dalla stanza.
Non dico nulla, e Cristina mi vede, mi guarda come a chiedere qualcosa, ma io la ignoro, e lei riprende a camminare.

Rientro, dopo qualche minuto, e riprendo posto sul divano.
Spengo la musica.

Nell’improvviso silenzio, si sente il respiro di Cristina, e il suono dei suoi passi.

Quando &egrave nel centro della stanza ‘ fermati! ‘ le dico
Lei si blocca.
– guardami –
Si volta verso di me, mi guarda.
– ti &egrave piaciuto quello che ti ho fatto fare? –
Cristina prima alza le spalle, poi risponde, incerta ‘ no’ cio&egrave’ sì e no’ mi &egrave sembrato’ strano’ ma’ come hai detto prima, &egrave obbedire, non pensare, e ho provato a non pensare e a ‘
– stop! ‘ le dico, alzando una mano
– sai cos’hai appena fatto? ‘
– io? Nn’ no’ – scuote la testa
– hai appena disobbedito ai miei ordini’ –
– no, no, io non’ –
– non era una domanda ‘
– scusa. Scusi, scusi padrone ‘

Elenco, alzando un dito per ogni punto dell’elenco.

– ti ho chiesto se ti fosse piaciuto, e hai parlato di te usando l’ ‘io’; mi hai dato del tu; hai parlato senza essere interrogata –
– sì’ no’ scusa’ mi scusi’ padrone ‘
– di nuovo, hai parlato senza essere interrogata, e hai usato di nuovo l’io per parlare di te ‘

Questa volta, Cristina non risponde.
Rimane zitta, e ferma.

– hai disobbedito. E questo ci permette di discutere di un altro aspetto, sostanziale, dell’addestramento. Sai qual &egrave? –
– no, padrone ‘
– la punizione ‘

Cristina non dice nulla, ma mi guarda, e io colgo una scintilla di curiosità, di attesa, nel suo sguardo.
Come se fosse ansiosa, come se avesse aspettato questo momento.

– la punizione. Il dolore ‘ spiego ‘ la piena consapevolezza di quali siano le conseguenze di un errore. Perché la paura, il timore della punizione &egrave il modo più efficace di far sì che la schiava non disobbedisca o non commetta errori. Ma perché questo timore sia davvero efficace, la punizione deve essere davvero temuta dalla schiava. Hai capito? –
– sì, padrone ‘ risponde Cristina.

– ecco. Allora, adesso cominciamo l’addestramento introducendo anche le punizioni. Sei pronta? –
– sì, padrone ‘
– e cosa ne pensi?-
– penso che faccia parte dell’addestramento’ –
– no. Hai sbagliato di nuovo. Parli di te. Tu non pensi. Al massimo, ‘questa schiava pensa’ ‘
– sì. No. Mi scusi, padrone ‘
– riproviamo. Cosa ne pensi? ‘
– questa schiava pensa, padrone ‘ Cristina mi guarda, interrogativa, e annuisco ‘ pensa che faccia parte dell’addestramento. Padrone ‘

– brava –
Cristina non dice nulla.
– ringrazia. La schiava ringrazia sempre, quando il padrone le fa un complimento –
– grazie, padrone ‘

– bene. Torniamo alla punizione. Diciamo che hai commesso tre disobbedienze. Quindi meriti di essere punita –

Torno al divano, e raccolgo ciò che ho portato dalla stanza.
Lo mostro a Cristina.

Una cintura, di cuoio, larga.
Lentamente, la piego in due, e ne tengo i capi in mano.
Cristina mi guarda, ma non si muove.

– il dolore ‘ dico ‘ collegare la consapevolezza di un dolore a un comportamento &egrave il modo più veloce per istruire qualcuno a non ripetere il comportamento –

Spiego, mentre cammino intorno a Cristina.

– &egrave abbastanza grezzo, come approccio. Certamente non &egrave educativo, e infatti nelle scuole da tempo sono state abolite, giustamente, le punizioni corporali. Ma noi, qui, non stiamo educando, né insegnando. Io ti addestro ad essere la mia schiava, e il modo più efficace di addestrarti &egrave infliggerti del dolore per ogni errore –

Cristina &egrave ferma, ma sento che il suo respiro si &egrave fatto più profondo.
Deglutisce.

– e poi ‘ aggiungo ‘ non posso negare che mi piaccia, l’idea di punirti facendoti male –

Ancora, nessuna reazione.
Le vado davanti, e la guardo negli occhi.

– sei mai stata sculacciata? Da adulta, intendo –
– no ‘ scuote la testa ‘ no, mai –
– padrone ‘
– padrone ‘ aggiunge in fretta
– mai mai? Nemmeno, chessò, mentre il tuo fidanzato ti scopava alla pecorina, uno schiaffo sul culo? ‘
– no – scuote la testa ‘ no, padrone ‘
– che scopate tristi’ – commento. Lei non dice nulla.

– quindi, se ho capito bene, non hai alcuna esperienza di dolore, o meglio, di accettazione del dolore inflitto da un’altra persona? –
– no, padrone ‘
– e sei spaventata? O curiosa? O tutte e due? ‘

Cristina ci pensa.
Mi guarda, e accenna un piccolo sorriso, complice.
– tutte due, padrone. Spaventata. E curiosa –

– bene –
Mi sposto dietro di lei.
Le parlo, senza che mi possa vedere.
– adesso ti punirò. Ti colpirò con questa cintura di cuoio. Ci sono altri strumenti, per punire e infliggere dolore, ma credo che siano eccessivi, almeno in questa fase. Ti colpirò cinque volte –

Cristina contrae leggermente le spalle.
Poiché non &egrave mai stata colpita, immagino, non sa se cinque sia tanto o poco; ma certo, un po’ &egrave spaventata.

– ma la cosa più difficile ‘ aggiungo ‘ la cosa che davvero rende questo passaggio importante per il tuo addestramento, &egrave come accetterai il dolore –

Le torno di fronte.

– non sarai né legata, né bloccata, in alcun modo. Sarai ferma come adesso, in piedi, in mezzo alla stanza. Io ti colpirò e tu, indipendentemente dal dolore che sentirai, non ti muoverai. Starai ferma, immobile. Non un passo in avanti, o di lato. Non muoverai le mani a coprire o massaggiare il punto dove ti colpirò. Pensi di farcela? –

Cristina mi guarda, e sussurra ‘ non’ non lo so’ non ho mai’ –
– non ‘io’ –
– sì scusa scusi’ – Cristina sospira; poi mi guarda fisso, e negli occhi ha una luce divertita, curiosa ‘ questa schiava non lo sa, padrone. Questa schiava non &egrave mai stata punita, padrone –
Il respiro di Cristina &egrave pesante, e la voce le trema.
– e non vede l’ora di provare’ – sussurro io

Cristina mi guarda, poi fa un piccolo cenno di sì con la testa, e aggiunge, guardandomi fisso ‘ e questa schiava non vede l’ora di provare’ padrone ‘

– mi raccomando. Ferma, immobile. E dopo ogni colpo, dovrai dire il numero, rinngraziare, e chiedere se puoi averne un altro. Capito? –
– sì, padrone ‘
– proviamo: facciamo finta che ti abbia appena colpito’ –
Cristina esita solo un attimo, poi dice ‘ uno. Grazie, padrone. Posso averne un altro? ‘ e mi guarda, cercando la mia approvazione.
– brava ‘ le dico
– grazie, padrone ‘
– cominciamo. Ferma. Sguardo fisso in avanti. Mani dietro la nuca ‘

Cristina alza le braccia, e incrocia la mani dietro la nuca.
Così facendo la giacca si alza quasi a metà schiena, e io osservo la curva della schiena che si perde nella gonna.

Mi metto alla sua sinistra, a mezzo metro di distanza, perpendicolare.
– pronti – dico

Faccio sibilare la cintura, senza colpirla.
Cristina si contrae, abbassa le braccia.

– ferma, ho detto. Sei pronta? –

Cristina non mi guarda, e con lo sguardo fisso risponde ‘ questa schiava &egrave pronta, padrone ‘
– bene –

Alzo la cintura, e con un movimento fluido carico il braccio e poi la porto perpendicolarmente a colpire il culo di Cristina.
Non ci ho messo molta forza, solo un po’ di velocità.

STACK! Fa la cintura, colpendo la gonna grigia che le copre il culo.

Cristina si alza sulle punte, abbassa appena le braccia, chiude gli occhi.
Poi riprende la posizione.

– cosa devi dire? –
– uno. Grazie padrone. Posso averne un altro? –
– certo’ –

Alzo di nuovo la cintura, e la faccio sibilare in aria.
Cristina si contrae ‘ ferma’ – e poi la colpisco di nuovo.
Questa volta un po’ più forte.

Cristina respira forte.
– du’ due. Grazie padrone. Posso’ averne un altro? –
– certo. Ogni colpo, sarà più forte del precedente’ –

STACK! Questa volta la colpisco senza preavviso, forte.

– ahhhhh! ‘ grida, e si porta le mani sul culo, piegandosi in avanti.
– IN POSIZIONE!!! ‘ urlo

Cristina riprende la posizione, ma si gira verso di me e sussurra ‘ così mi fai male’ –
– non parlami. Devi solo contare, ringraziare, e chiederne ancora. Siamo solo all’inizio del tuo addestramento. Se non ti piace, puoi smettere e andartene, lo sai. Ma se vuoi andare avanti, lo facciamo a modo mio. In questo modo –

– tre ‘ dice a voce alta Cristina, riprendendo la posizione ‘ grazie, padrone. Posso averne un altro? –

I due colpi successivi sono veloci, secchi, e forti.
Cristina ogni volta si muove, si massaggia, urla per il dolore, ma poi riprende la posizione, conta, ringrazia, e poi ne chiede ancora.

Alla fine, appoggio la cintura sul divano, e vedo il suo sollievo.
– adesso, puoi massaggiarti, se vuoi ‘ aggiungo, mettendomi dietro di lei

Lei abbassa le mani e si massaggia il culo.
Io, osservo incantato quelle mani che accarezzano il culo, sfregando dove &egrave stato colpito dalla cintura.

– sei stata brava ‘ le dico
– grazie, padrone ‘ risponde, con il respiro affannoso

Faccio un passo verso di lei, da dietro, e le sussurro all’orecchio ‘ ecco, adesso, dopo averti punito, vorrei premiarti, scopandoti ferocemente ‘

Cristina resta ferma, non si muove, non mi guarda.

Prende un respiro profondo.

– questa schiava vorrebbe tanto che lo facesse, padrone’ -.

Cosa faccio? Mi chiedo.
Cio&egrave, adesso, parliamone.

Sei lì, in casa tua, con una donna che ha deciso che lei &egrave la tua schiava, e l’ha deciso lei, non &egrave un gioco che tu hai chiesto alla tua compagna per una sera di fare uno sforzo e partecipare ad una tua fantasia.

Cio&egrave, questo &egrave reale, o almeno &egrave la cosa più simile al ‘reale’ che probabilmente possa accadere.

E siccome tu non sei il tipo che vive nel mondo bdsm, non hai un dungeon in cantina ‘ al massimo due salami e del vino buono ‘ insomma questa cosa un po’ ti spiazza.

E adesso hai un problema, che poi, se fossero questi i problemi, ma insomma, diciamo che hai un problema.

Il problema &egrave che da un lato hai il cazzo duro che ci potresti schiacciare le noci, e lì davanti a te una donna che ha detto che non vede l’ora che tu la scopi.
Che anche questo, siccome la vita non &egrave esattamente come nei film zozzi, non dico non capita mai, ma quando capita, capita con insufficiente frequenza, ecco.

Dall’altro lato, invece, c’&egrave che hai voglia di far sì che questa cosa non sia solo sesso.

Cio&egrave, no, capiamoci.

Hai una voglia che sia sesso che la scoperesti in dieci posizioni contemporaneamente, &egrave chiaro.

Però, hai anche deciso che il sesso, in questa’ chiamiamola ‘cosa’, dovrebbe essere una parte importante, ma non decisiva, di qualcosa di più.

Che detta così, oh, se al posto della sottomissione ci metti l’amore, siamo tutti d’accordo, &egrave una roba che scrivono anche i ragazzini sui diari al liceo, il sesso &egrave importante ma &egrave solo una parte di qualcosa di più.

Il problema, se &egrave un problema, &egrave che qui non si parla della dicotomia sesso / amore, ma della dicotomia tra sesso da un lato, e dominazione e sottomissione dall’altro.

Quindi, adesso abbiamo il seguente quadretto.

Lei, in piedi, con il culo che brucia per aver appena ricevuto le prime cinque cinghiate della sua vita.

A quanto dice, questa esperienza non le &egrave del tutto dispiaciuta, e non vede l’ora di metterci sopra un po’ di cazzo, per dirla semplicemente.

Lui, dietro di lei, ha ancora in una mano la cintura, e nei pantaloni un’erezione che Rocco direbbe ‘complimenti frat&egrave’.

E siccome nell’uomo la quantità di sangue disponibile &egrave quella, quando tanto sangue va a riempire il pisello, &egrave chiaro che il cervello resta meno irrorato del solito’

Non so se si &egrave capito, ma in questo momento cerco di pensare lucidamente, ma sono leggermente spaesato.

Ma mi faccio forza.
E allora mi metto di fronte a Cristina, la guardo negli occhi, e le dico ‘ lo sai cosa vorrei farti? ‘
Lei mi sorride e risponde ‘ lo immagino ‘
-no, non sono sicuro che tu lo immagini davvero’ –

E così dicendo mi allontano da lei.

Basta questo, un passo indietro, per poter riprendere un certo controllo.

– no, non lo immagini’ ma a questo penseremo dopo ‘ le dico, sedendomi sul divano.

Cristina sembra disorientata.

Non credo che le sia successo spesso, di dire a qualcuno che non vede l’ora di essere scopata, e che questo qualcuno non lo faccia.

Mha. Spero di aver fatto la scelta giusta.
Ho deciso.

La scopo.
E che cavolo, mi dico, a un certo punto va bene tutto, ma io non sono un antico romano, lei non &egrave una schiava che ho comprato, e insomma siamo due adulti consenzienti che stanno provando a fare insieme qualcosa che renda un po’ migliori le loro vite.
E se in tutto questo ho ‘ abbiamo ‘ voglia di scopare, scopiamo.

Però, mi dico anche, arriviamo a questa scopata restando il più possibile fedeli a questo copione non scritto che stiamo seguendo.

&egrave anche una sfida, mi rendo conto, vediamo quanto resisto, prima di saltarle addosso’

– adesso proseguiamo con l’addestramento ‘ dico

Cristina non dice nulla.
Ha capito che il momento di lasciarsi andare non &egrave ancora arrivato, e ha capito, mi sembra, che voglio mantenere io il controllo di tutto, tempi e modi compresi.

E resta ferma, in una sorta di ‘attenti’, con lo sguardo fisso e l’espressione vacua.

– vorrei che la mia schiava percepisse una differenza, uno stacco, tra il mondo esterno, e il mondo nel quale vivrà il rapporto con me – dico

Cristina non si muove, ascolta.

– uno dei modi più facili e immediati per creare una separazione netta tra il ‘fuori’ e il ‘dentro’, credo sia il vestire –

Ancora nessuna reazione da lei.

– vorrei che nei tuoi rapporti con il mondo esterno, chiamiamolo così, tu continuassi a vestirti e a proporti come hai sempre fatto. Ti va bene? –
– sì, padrone ‘ rispose, senza esitazione.
– invece’ devo, o meglio dobbiamo, decidere come ti vestirai nel nostro piccolo mondo speciale. Tu cosa ne pensi? ‘
Cristina mi guardò, per un attimo, poi riprese a guardare nel vuoto.
– io’ io penso che’ mi scusi’ questa schiava pensa che’ che quello che decide il padrone andrà bene –

Mi guarda, e sorride.
Anche io le sorrido.
Poi, torno serio.

– va bene, va bene ‘ la guardo fisso.

Proviamo a vedere quanto possiamo giocare, mi dico ‘ adesso vediamo se questa schiava ne vale davvero la pena’ – mi appoggio comodamente allo schienale del divano
– accanto al frigorifero. Preparami un caff&egrave, americano, con la miscela che trovi nel frigorifero, nel sacchetto della torrefazione. La tazza la trovi a sinistra. Nell’anta a destra trovi anche il vassoio –

Cristina si muove verso la cucina, e io la guardo.

Mi piace, mi piace davvero.

All’improvviso, ho voglia di farla sedere, qui accanto a me.
Voglia di farle bere un caff&egrave americano, vedere come tiene in mano la tazza.
Parlarle, condividere, ascoltarla.
Sono curioso di lei.
Non la conosco quasi: di questa donna, alla quale ho appena frustato il culo con la mia cintura, so meno di quanto sappia della centralinista dell’ufficio o della nuova stagista che &egrave appena arrivata’
Forse dovrei parlarle, chiederle, o almeno raccontarle di me: in fondo, &egrave lei che &egrave venuta in casa di un perfetto sconosciuto, una specie di pazzo che dopo mezz’ora la ha presa a cinghiate’ quasi mi spavento, al pensiero di ciò che potrebbe pensare di me.

Adesso, mi dico, la faccio sedere qui, accanto a me, le faccio un caff&egrave e ricominciamo dall’inizio, parlando, conoscendoci, e magari finiamo a piacerci anche di più.

Mi sto per alzare per raggiungerla in cucina, quando lei rientra in soggiorno.

– ecco il suo caff&egrave, padrone ‘ mi dice

Cazzo.
&egrave bellissima.
Mi sembra di vederla per la prima volta, ma la trovo splendida.

Mi fermo, non mi alzo.

Da tutti i miei ragionamenti, mi resta solo la forza per una domanda

– sei felice? ‘ le chiedo improvvisamente.

Cristina si ferma un attimo, poi continua a camminare.
Arriva davanti a me.
Appoggia il vassoio sul tavolino.
L’aroma di caff&egrave riempie l’aria.
Cristina si alza leggermente la gonna sopra le ginocchia, e poi si inginocchia davanti a me, senza guardarmi.
Io trattengo il fiato.
Sempre senza guardarmi, prende in mano la tazza di caff&egrave e indicando il vassoio chiede ‘ come lo prende il caff&egrave il mio padrone? Latte? Zucchero? –
– nero. Amaro ‘ rispondo, cercando (inutilmente) di mantenere un tono di voce normale.

Cristina allora prende la tazza con due mani, come se stesse tenendo in mano un vaso delicato e prezioso, e abbassando la testa me la porge.

Resta ferma così, le mani in avanti con la tazza fumante, la testa bassa, gli occhi a terra.

Mi ricorda un’incisione della cerimonia del the giapponese.

Alla fine allungo la mano, e prendo la tazza di caff&egrave.
Non ringrazio.

Senza alzare la testa, restando in ginocchio, Cristina arretra di qualche centimetro, come per lasciare il mio spazio vitale.

Io inspiro il profumo del caff&egrave dalla tazza, e poi soffio piano sulla superficie del liquido caldo.

– ti ho fatto una domanda ‘ le dico, piano ‘ ti ho chiesto se sei felice –

Senza alzare la testa, senza spostare gli occhi da terra, in ginocchio davanti a me, con le mani lungo i fianchi ‘ come poche volte nella vita, padrone ‘ mi risponde.

E all’improvviso tutti i miei pensieri, i dubbi, che mi avevano tormentato fino a un minuto prima scompaiono.

Lei &egrave felice.
Io, sono felice.
Il resto, non conta.
Cerchiamo di farla durare, questa felicità. E basta.

– alzati –
– togliti la giacca –
Cristina esegue.

Sotto la giacca blu, indossa una camicia bianca, a maniche lunghe.

– tira fuori la camicia della gonna –

La camicia &egrave lunga.
Una volta tirata fuori dalla gonna, arriva quasi oltre i fianchi di Cristina.

– girati –
Cristina si gira.
La camicia, dietro, le arriva quasi sotto il culo.

– togliti la gonna –

Questa volta Cristina esita, appena un attimo.
Poi le mani vanno alla zip, e la abbassano.
Afferra la gonna e la abbassa, fino ai piedi.

La guardo.
La camicia, come immaginavo, le copre quasi il culo.
Indossa delle calze autoreggenti, senza che io glielo abbia detto, nella mia mail di istruzioni.
Da quel che vedo sotto la camicia, ha un perizoma nero che scompare tra le natiche.

– alza la camicia ‘ le dico ‘ voglio guardare il tuo culo – aggiungo

Cristina esegue.
Lentamente, la camicia si alza e il suo culo &egrave tutto per me.
Tondo.
Femminile.
Né grande, né piccolo.
Un culo, penso, di quelli che le donne ti dicono ‘non me lo guardare &egrave enooooorme’, e tu invece non vedi l’ora di morderlo, schiaffeggiarlo, scoparlo’

E poi, noto adesso, ci sono quelle meravigliose strisce rosa, lasciate dalle cinghiate di prima.

– girati –

Non lo so, magari sono io.
Magari nella vostra vita capita sempre, e io ho avuto sfiga.

Ma a me, di avere una donna, una bella donna, nel mio soggiorno, in camicia, mutande, autoreggenti e tacchi alti, che sembra non voler fare altro che obbedire ai miei ordini, non capita poi così spesso.

E quindi, guardo Cristina e mi trattengo a stento dal restare con la bocca aperta come un quindicenne, o dal ridere come un idiota.

E riesco a restare serio, e a vedere che anche lei, si trattiene dal coprirsi con le mani, e si impone di non muoversi.

– vieni qui –

Cristina cammina e si ferma davanti a me.
– più vicina –

E’ praticamente in piedi tra le mie gambe.
Alzo la schiena, e i miei occhi sono all’altezza del suo ombelico.
La guardo.
Le appoggio la mano destra all’interno del ginocchio sinistro.
&egrave il primo contatto fisico che abbiamo, se si escludono i baci di saluto e le strette di mano.

Cristina non si muove.
Sempre guardandola, sposto la mano in su.
Mi fermo nel momento in cui il nylon della calza lascia spazio alla pelle.
Accarezzo appena con l’indice il punto in cui la sua pelle fa una piccola piega sull’elastico dell’autoreggente.
La guardo, vedo che deglutisce.
Tiene lo sguardo fisso in avanti.
Muovo la mano verso l’alto.
Mi fermo a un centimetro dalla stoffa, semplice e nera, delle sue mutande.

– chiedimelo ‘ le dico

Cristina abbassa gli occhi, mi guarda, forse non ha capito.

– chiedimelo ‘ ripeto, calmo.

Cristina rivolge di nuovo lo sguardo verso il muro e dice ‘ mi tocchi, padrone, per piacere. Tocchi questa schiava –

E la mia mano arriva alle sue mutande e lei contrae leggermente i muscoli della pancia e delle gambe e poi torna ferma, e io infilo piano un dito sotto l’elastico e scendo e mi appoggio piano nel centro della sua figa, che &egrave calda e morbida.

Mi muovo appena e sento che si apre e il calore che era tenuto chiuso mi riempie il dito e ‘ oddio’ – sospira Cristina e (lo so lo so che sembra un romanzetto per casalinghe ma non so dirlo in modo diverso) &egrave calda, &egrave bagnata, e ripete ‘ oddio -.

Io tolgo la mano.

Lei abbassa la testa, mi guarda fisso.

Prende fiato, e guardandomi negli occhi mi parla.

– mi sento tua, come non sono mai stata di nessuno. Se lo vuoi ‘ mi dice, seria ‘ se lo vuoi, puoi farmi tutto ciò che vuoi. Basta che non smetta mai di farmi sentire una cosa tua -.

E io, come un ragazzino, mi innamoro follemente.
E mi riempio il cuore di lei, e la testa di desideri impuri, che hanno al centro lei.

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