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Ci risiamo. Se un amore, un interesse, o una qualsiasi attività che decidi d’intraprendere o d’imboccare, non dura mai più di qualche mese, allora potresti essere oppresso e angosciato da un meccanismo automatico barbicato dentro di te, perché questo consolidato e attecchito congegno, è nientemeno che il condensato, insomma lo schema e il riepilogo della tua fanciullezza. Per la ragione di tale meccanismo, sfortunatamente, non riesci a godere delle attività da svolgere a lungo termine e così molli la presa prima del tempo. Quando qualcosa va per le lunghe, tu cambi aria, orienti molto semplicemente lo sguardo altrove, individuando e agognando nuovi stimoli, che poi regolarmente lascerai in sospeso. Quante attività hai iniziato per poi interromperle? Non si tratta d’una mancata costanza, ma d’un qualcosa di più profondo e radicato, che fino a questo momento hai ignorato. Il tuo destino sembra essere segnato. Tutto quello che fai, dopo un po’, viene interrotto e non sempre consapevolmente. Talvolta la noia divampa mentre in altri casi, s’approfitta della prima difficoltà per mollare tutto. In quest’ultimo caso, molte persone neanche si rendono conto di vivere a oltranza questo meccanismo, perché scatta una giustificazione che può rendere lecito quest’atteggiamento:

 

“Io sono così, se una cosa si può fare bene, altrimenti pazienza. Mi piace andare dritto al sodo, perché se si va per le lunghe, è meglio cambiare strada. Io sono e mi sento un’anima libera, ardita e sfrenata, oserei dire indecente, non mi piace perdere tempo appresso alle cose. Non corro dietro a niente e a nessuno” – così mi rispondevi tu, l’anno scorso, quando tentavo di spiegarti che le cose non erano come tu intendevi, mandandomi persino a quel paese, allorquando tentavo d’aiutarti e d’agevolarti per uscire da quell’incresciosa e malaugurata situazione che ti eri cacciata.

 

Peccato che, sovente le cose e le faccende, potrebbero essere persino attività gratificanti, amori o passioni da coltivare, perché perdere tempo significherebbe soltanto investire il tempo necessario per portare a compimento il progetto, qualsiasi esso sia. Gli amori sono fatti di proporzioni e di contrappesi, non di funambolismi e di destrezze. In casi estremi, potresti anche annoiarti delle relazioni e se non cambi partner, ti ritrovi a dover movimentare in qualche modo la relazione. Sì, perché litigi, disaccordi, diverbi, voltafaccia e scappatelle, cambi d’umore improvvisi erano frequentissimi, però a te piaceva mettere a dura prova il partner per rendere dinamico e vivo il rapporto. Dovresti imparare a godere della serenità, che un rapporto di coppia potrebbe darti. Dopo un po’ che ti ritrovi in una situazione di stabilità emotiva, puoi iniziare a non sentirla più tua. Puoi iniziare a mettere in dubbio tutto. Anzi, inizi a percepirne meno il valore, il senso e più di ogni altra cosa inizi a provare meno interesse. La tua non è inerzia o insensibilità, è unicamente che tu vivi sentitamente la disinvoltura e la vivacità dell’inizio, l’entusiasmo e la freschezza delle prime volte, ma non riesci a emozionarti con il proseguo delle stesse esperienze. Ecco, dopo un po’ una relazione d’amore può farti sentire frustrata. E’ ed era inevitabile, che tu maldestramente ti trovavi nel bel mezzo del caso che ho appena menzionato. Ricordo che mi ripetevi con insistenza affermando:

 

“Alberto, per come ben sai e per come mi conosci, io non adoro perdere tempo a inseguire le cose” – mentre io ti controbattevo, che dopo si finisce con lo sprecare tanto tempo ed energia nelle attività più disparate. Così s’iniziano tanti progetti, tante attività, ma nessuna in modo serio, nessuna con perseveranza.

 

Io cercavo di spiegarti che questo tuo comportamento era sorretto dalla mancanza d’una corretta spinta e da un certo adattamento sbagliato. Tu sei abituata alle emozioni e così, presto o tardi, la stessa attività inizia a puzzare di stantio e se non cambi aria rischi di sentirti demotivata, delusa e insoddisfatta. Le emozioni pronte all’uso ti piacciono tanto, al tal punto che puoi essere portata nello schiacciare un po’ troppo il piede sull’acceleratore, soltanto per far zampillare il brio e la spigliatezza necessaria.

 

Io la conoscevo ahimè già da svariati anni Cinzia, coniugata assieme al mio più benvoluto e apprezzato amico conosciuto ai tempi dell’università, in quanto non avrei giammai supposto né considerato che sarebbe diventata in conclusione la mia piacevole e soggiogata serva, eppure con intelligenza e perspicacia riuscii a sfruttare un suo periodo di complicazione, poiché ambedue riuscimmo a trovare quello che gradevolmente inseguivamo. Un giorno telefonai al suo consorte e non trovandolo in casa scambiai due parole con lei, che scoppiò rapidamente in lacrime manifestandomi il suo tormentato rancore: in breve mi raccontò delle sue reiterate infedeltà che non le rabbonivano quell’ansia che si portava appresso, tutto perché il mio benvoluto amico la trascurava dal punto di vista sessuale. Io le proposi un incontro per discuterne meglio, perché non pensavo che cosa sarebbe diventata per me. Un pomeriggio ci trovammo in un locale per ragionare e là in quella circostanza venne fuori che, pur avendo avuto tanti uomini, mai nessuno l’aveva realmente soddisfatta accontentandola in pieno. Cinzia supponeva di sentirsi apatica, distaccata e noncurante, ma in cuor suo sapeva che non era vero, perché talvolta da sola si era procurata degli orgasmi davvero possenti e colossali, ciò nonostante nessuno per mano d’un uomo. Non eravamo mai stati in confidenza, ma lei quella sera mi spifferò tutto, snocciolandomi ogni sfumatura, narrandomi ogni tono, come se io fossi il suo amico intimo più tradizionale.

 

In modo inatteso dentro di me si scatenò l’ingegno, scattò l’insperato e sfrenato acume che andavo anelando, perché quella ghiotta congiuntura avrebbe di certo briosamente giovato al mio caso. Io le prospettai se fosse venuta da me un tardo pomeriggio, fingendo d’andare a fare delle compere e le dissi, senza mezzi termini che io l’avrei fatta certamente godere in modo speciale, impegnandosi di garantirmi un’incondizionata obbedienza, è in aggiunta a ciò, che non si sarebbe tirata indietro di fronte a nulla di ciò che le avrei indicato e in ultimo designato di compiere. Cinzia doveva essere alquanto sconfortata e affranta, per il fatto che accettò raccogliendo l’invito senz’incertezze né restrizioni di sorta. Raggiunse la mia abitazione prima delle tre del pomeriggio, io le riferì che sarebbe uscita soltanto alle nove della sera. In quella circostanza Cinzia aveva un vestito leggero abbastanza fasciante, abbottonato sul davanti che le arrivava sopra il ginocchio, con le calze a rete blu scure e dei favolosi e sandali. Come prima cosa le ammanettai i polsi dietro la schiena, mentre la sua occhiata rivelava esprimendo un’inconfutabile apprensione, dopo mi dislocai dietro le sue spalle e iniziai ad accarezzarla sui seni, sul collo e poi sull’inguine, perché dopo con una condotta burbera e sbrigativa la piegai in avanti appoggiandole il mio cazzo già irrigidito nel sedere, dandole qualche colpetto di reni per aumentarne l’effetto.

 

In seguito cominciai a sbottonarle il vestito abbassandoglielo dalle spalle per lasciarla completamente scoperta: portava un reggipetto che le smussava bene il seno, sicché seguitai a toccarla e dopo intrapresi ad addentarle i formosi seni. Maggiore era la veemenza dei morsi, più rilevante era impulsività e l’affanno nel suo respiro; sicché insistei intervallando sia leccate che lievi digradando fino a giungere all’inguine. Con la lingua m’introducevo fra le maglie delle calze sull’inguine che cominciava a essere umettato, ma non ottenevo che sospiri. Subito dopo le ghermii i capezzoli facendoglieli inturgidire, pizzicandoglieli con delle mollette. Questa mistura di dolore e di piacere, cominciò a dare i suoi frutti, perché Cinzia principiò a mugolare e a divincolarsi, io le concessi ancora qualche minuto poi smisi del tutto, lasciandola con un’espressione di disorientamento e di scetticismo.

 

Cinzia era adesso la mia schiava, perché avrei decretato e sancito io in quale tempo e in quale momento avrebbe gioito e in quale attimo avrebbe patito. Appresso le sfilai i collant e le scarpe, le sfilai le manette dai polsi, la feci spogliare intimandole di lavarmi sotto la doccia, cosa che lei eseguì in maniera accurata, egregia e valente. Conclusa la doccia, prima d’asciugarmi le ingiunsi di baciarmi e di leccarmi: iniziò dalle caviglie, poi salì leccandomi le gambe, l’interno delle cosce fino a giungere ai testicoli e al cazzo, che intraprese a succhiarlo tenendolo con le mani. Non ci volle molto per farmi godere, poiché la mia abbondante sborrata le riempii ben presto la faccia e il seno. Cinzia era veramente divina, con una mano mi strofinava straordinariamente i testicoli incrementando il tal modo il mio già poderoso piacere, e con l’altra mi sfregava con la lingua il frenulo. Di seguito si lavò e s’asciugò distendendosi sul letto, dopo io la legai nuovamente, proseguendo a stuzzicarla per parecchio tempo, fino a condurla a un elevatissimo e sublime stato d’eccitazione, Cinzia mi scongiurava che la penetrassi, perché voleva godere pienamente, ma io smisi sia di stuzzicarla che di toccarla, l’imbavagliai e dirigendomi nell’altra camera la lasciai là dentro gemendo per conto suo.

 

Dopo mezz’ora di tempo rientrai da lei, le sfilai la benda dagli occhi e Cinzia m’accolse con un’occhiata propriamente adirata, ripeté delle parole che non compresi a causa del bavaglio, ma io le enunciai celermente che la solennità doveva ancora iniziare. La snodai dalla stanga liberandole le caviglie dalla sbarra e arrivammo in camera, dove avevo già allestito il letto con un telo di plastica e con delle catene. La feci distendere, le annodai le caviglie in maniera tale che sembrasse incatenata al letto con le gambe e con le braccia spalancate, con un cuscino sottile posizionato sotto le chiappe, che le rialzava il ventre rendendolo ancora più disponibile.

 

Dopo, con un cubetto di ghiaccio, iniziai la mia opera partendo dal seno, temporeggiando sui capezzoli e dopo sempre più in basso verso la pancia e sull’inguine e sotto le ascelle, sui fianchi poi dall’interno delle cosce fino ai piedi. Quel che rimaneva del cubetto gliel’infilai tra le grandi labbra della sua fica asportandole un duraturo mugolio. Successivamente le levai il bavaglio, glielo strofinai sulla fica penetrandola leggermente, quindi glielo feci inspirare. Avevo scovato che accomunare fermento e malvagità era il sistema giusto per farla godere per bene fino in fondo. Acciuffai il barattolo là accanto della Nutella, tracciandole una linea sottile sul corpo che partiva dall’inguine, disperdendosi a casaccio attorno ai capezzoli. Agguantai una carota di media grandezza, la spalmai con la Nutella offrendogliela da leccare fino a ripulirla, in seguito le lambì la fica che era impregnata al punto giusto, infilandole e sfilandole la carota con cautela, intanto che Cinzia frignava mordendosi le labbra.

 

Cinzia boccheggiava e sobbalzava, era a un passo dall’apice massimo del piacere, allorquando le sfilai la carota. In quel mentre mi supplicò di proseguire garantendomi qualunque cosa, se l’avessi condotta all’orgasmo totale, perché fu in quel medesimo istante, che s’impegnò obbligandosi di diventare la mia personale schiava e di subordinarsi in toto, dipendendo e rassegnandosi a ogni mio piacere, ogni volta che avessi voluto.

 

Io, per gratificarla e per ricompensarla di ciò, abbozzai a manipolarla su tutto il corpo con un balsamo profumato, allorquando fu interamente cosparsa le levai la fasciatura dalle caviglie, così da potersi muovere sul letto. Subito dopo mi denudai ordinandole d’accarezzarsi e di masturbarsi di fronte a me, ma di bloccarsi prontamente non appena io glielo avessi disciplinato. Cinzia eseguì, riuscì due volte nell’intento, perché al terzo tentativo io le asportai la carota, l’imprigionai dietro la schiena punzecchiandole il seno, le sganciai le manette e mi sdraiai sul letto imponendole di farmi godere e di gioire compiacendosi pure lei. Cinzia si scatenò in modo fervido e scostumato, fu smodata ed eccessiva, in quanto proseguimmo per un’ora, dove lei ottenne molteplici orgasmi.

 

Vederla oscillare al mio tocco era veramente allettante per entrambi. Io l’avevo bollata, le avevo impresso il mio individuale marchio, mentre Cinzia s’avvolgeva attorno a me per la piacevolezza di quel poderoso godimento. In ogni caso, quell’evento le sarebbe di certo rimasto impresso e stampato nella mente per lungo tempo. Lei era adesso e per sempre nelle mie mani, in ogni senso. Risalii la schiena con le mie mani scoprendo il collo e la baciai di nuovo, addentandola in conclusione in modo vigoroso. Lo strillo di Cinzia fu nerboruto, notevole e intenso, un richiamo soave d’un lussurioso patimento, il sintomo d’un supplizio dissoluto e inaspettato, eccezionalmente libidinoso e sregolato, mentre lei sogghignava corrugando le ciglia squadrandomi in maniera sgargiante.

 

Io la baciai come per un’equa e una proporzionata consolazione, per l’oggettivo e per l’onesto premio che si era guadagnata. Adesso era sopraggiunta l’ora di ripartire. A malincuore Cinzia mi tallonò uscendo da quel luogo fatato, la discesa era pendente e per rendergliela meno noiosa, infilai la mia mano sotto il suo fondoschiena, premendo con le dita sull’orifizio anale in modo da guidare la mia discesa. Cinzia mi sentiva a fondo, briosamente presente, intanto che ancheggiando si dilatava intorno alle mie dita, facilitando in tale maniera la mia presa.

 

Per oggi Cinzia aveva dato il massimo di sé, era totalmente appagata, avendo acquietato e esaudito pure me stesso, il tempo di rientrare si stava per lei avvicinando, giacché uscì dalla mia abitazione allegra, spensierata e raggiante, d’aver finalmente ottenuto e in definitiva riscosso, quello che le era costantemente e stabilmente mancato nel corso del tempo a livello erotico. Adesso Cinzia era una donna completa, si era arricchita perfezionandosi, in quanto d’ora in avanti m’avrebbe indubbiamente accudito, innegabilmente riverito e senz’altro rispettato.

 

{Idraulico anno 1999} 

 

 

 

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