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NOTTE

Tempio di Tlazolteotl, ore 24:30


     L’uomo teneva le mani attorno al collo di Eleonora come a strozzarla, ma non era quello che calamitava l’attenzione della ragazza quanto il grosso cazzo che le stava fottendo la bocca, strappandole suoni viscidi ogni volta che la cappella sprofondava tra le sue tonsille. In realtà, il disgusto che quel suono le aveva provocato all’inizio aveva smesso di tangerla già dopo il quarto uomo che aveva preferito scoparle la faccia, probabilmente perché la sua passera ed il buco del suo culo dovevano grondare ormai sperma come… beh, l’unica immagine che le venne alla mente fu quella sostanza verdognola che si vendeva anni prima, come gioco per i bambini, che assomigliava allo Slimer di “Ghostbuster”…

     Provò a contare quanti uomini avessero posseduto lei e Miriam quella sera, rabbrividendo, quando l’uomo lanciò un grido di piacere ed ebbe l’idea di estrarre il suo cazzo dalla bocca della ragazza. Lei si scoprì a ringraziarlo mentalmente, felice che almeno il suo seme non finisse nel suo stomaco ma in faccia. Infatti, un attimo dopo un liquido caldo e dall’odore nauseabondo piovve sul suo viso e sui suoi grossi seni, anch’essi ormai cosparsi di sperma.

     L’uomo esclamò qualcosa che poteva essere russo o una lingua simile, di certo nulla di educato nei confronti della ragazza attorno al buco di carne in cui aveva trovato un orgasmo, e poi se ne andò. Eleonora si accorse di non avere più lacrime da piangere. Voltò il capo verso Miriam, che sembrava stordita dopo tutte quelle scopate. Anche lei aveva avuto la sua dose di sperma e la splendida faccia ed i capelli di fuoco erano pieni di seme ancora fresco e altro ormai secco.

     L’uomo che la stava scopando grugnì, le diede un sonoro ceffone sul culo che risvegliò completamente la ragazza ed ebbe un tremito mentre si svuotava dentro di lei. Quando ebbe finito ed estratto il suo cazzo, fece un passo indietro e baciò una chiappa di Miriam su un punto in cui, evidentemente, non era ancora piovuto dello sperma.

     – Che galantuomo… – mormorò Eleonora, comunque un filo invidiosa.

     Miriam, con un filo di voce, cercò di sollevare l’umore dell’amica, sebbene anche i suoi occhi brillassero per il dolore psicologico che quelle ore aveva provocato ad entrambe. – È per la Golden Card… quanto ci divertiremo quando l’avremo, quanti vip conosceremo e, magari, ne sedur…

     Le parole della ragazza divennero un grido di dolore quando una ciocca dei suoi capelli rossi si sollevò dalla finta pietra, stretto nel pugno di un uomo alto e muscoloso, portandosi dietro la testa della ragazza. L’ennesimo cazzo le finì in bocca, una bestia di almeno venticinque centimetri che scomparve nelle labbra di Miriam quasi fino alle palle pelose.

     – Succhia, puttana… – disse il tizio, con un marcato accento francese.

     – Cazzo… – sussurrò Eleonora, scoprendo di avere ancora, nascosta in un angolo della sua anima, qualche lacrima con cui bagnare il suo viso sporco di sperma, mentre la sua amica emetteva un suono disgustoso dalla gola e respirava con fatica dal naso pieno di muco.

     La porta si aprì, il nuovo amante di Eleonora fece il suo ingresso. La ragazza sollevò la testa, cercando di vedere chi venisse a scoparla oltre il suo grosso seno, ma l’umidità dei suoi occhi le impedì di vedere bene l’uomo. Ma non ebbe importanza: sembrò fissarla per un attimo, poi si voltò velocemente e la porta si chiuse con un colpo che risuonò nel locale.

     “Devo essere talmente smerdata di sborra da fare schifo”, pensò, e la cosa non seppe se farla ridere o piangere.

     Il tipo superdotato che stava scopando la bocca di Miriam non aveva una durata paragonabile alla lunghezza del suo uccello: in meno di un minuto aveva avuto un orgasmo e abbandonato la ragazza, passando dal fotterla all’ignorarla completamente nell’arco di un secondo.

     – Stai bene, Miri? – le chiede mentre l’uomo se ne andava.

     Il volto della sua amica si contrasse in una smorfia di disgusto. – Io… – riuscì a dire, prima di vomitare rumorosamente il contenuto di almeno una ventina di coglioni sul pavimento, il volto che assumeva un’espressione penosa e di ribrezzo. Il corpo della rossa venne scosso da alcuni spasmi mentre dei fili biancastri continuavano a colare dalle sue labbra, fino a qualche ora prima color corallo.

     – Che schifo, porca puttana… – gemette la ragazza, senza fiato e disgustata dalla sua stessa bocca.

     – Che vada a farsi fottere la Golden Card! – sibilò Eleonora, incapace di nascondere la propria disperazione.

     Miriam voltò lentamente la testa verso l’amica. Il suo fiato era fetido. – No, – disse con un filo di voce, – dobbiamo resistere…

     La porta si aprì di nuovo all’ingresso dell’uomo venuto a scoparla, comprese la bionda. E invece, con un moto di sollievo che la imbarazzò, l’uomo si mise tra le gambe di Miriam, che aprì gli occhi quando l’inguine di lui venne a contatto con i suoi glutei.

     – No… non di nuovo il mio culo, vi prego! – gemette senza voce, mentre le dita artigliavano la finta pietra.

     Eleonora avrebbe voluto abbracciare la sua amica, avere il modo di condividere con sé il dolore che Miriam stava provando, quando comprese, dal rumore della porta, che probabilmente anche il suo ano avrebbe conosciuto un nuovo uccello… Alzando la testa, scoprì che erano ben due quelli intenzionati a scoparla e…

     Le sue sopracciglia sporche di sperma si sollevarono quando si rese conto che, quelle entrate, erano due guardie. Che anche loro potessero divertirsi con le idiote che volevano avere la possibilità di entrare in quella cazzo di discoteca?

     Infatti, come a rispondere silenziosamente alla domanda mentale della bionda, una si pose tra le sue gambe e l’altra oltre la sua testa, pronte a scoparla contemporaneamente in due e… ma lo stupore di Eleonora aumentò ulteriormente quando, dai pantaloni, invece del cazzo estrassero ognuna un coltello. Il suo fiato si mozzò quando vide le lame lampeggiare, muovendosi verso di lei, pronte a sacrificarla a qualche divinità blasfema, ma, invece della sua vita, ad essere recise furono le quattro funi che la bloccavano.

     Sorpresa, Eleonora si massaggiò i polsi mentre cercava di alzarsi. Un senso di malessere la colpì quando si sedette, ed uno di disgusto le strinse lo stomaco quando il suo sguardo ebbe la sfortuna di posarsi sul suo stesso sesso rigurgitante sperma di decine di uomini in uno spettacolo ben peggiore di quanto avesse temuto.

     – Seguici – ordinò una guardia mettendo via il coltello.

     La bionda guardò l’uomo che aveva parlato, poi la sua amica, il cui retto stava ancora ospitando il cazzo del tipo che era entrato prima. Sembrava svenuta, la bocca semiaperta con un rivolo di sborra che colava dalle labbra sull’ara sacrificale di plastica. Il suo corpo meraviglioso veniva sospinto in avanti ad ogni colpo infertole con l’inguine dell’uomo, il poco grasso che occupava strategicamente le sue curve scuotersi come se stesse implorando che tutto questo avesse termine.

     – No, lei no – disse la guardia, anticipando la domanda che la ragazza stava per porre, – solo tu.

     Eleonora non si chiese nemmeno dove volessero condurla. L’unico pensiero che le passò per la mente fu il fatto che, con tutta la sborra che le colava dall’inguine, il suo seno non poteva essere nulla di così imbarazzante. In effetti, vi pose le mani sopra solo per massaggiarselo, sentendo lo sperma secco ridursi in scaglie che volarono via. La ragazza si stupì nel trovarlo quasi divertente a vedersi…

Stanza di Eduardo Jiménez, ore 23:50


     Cristina stava cercando di non vomitare mentre l’ennesimo individuo che non era il calciatore le stava scopando la bocca. Il cazzo usava un movimento lento nell’uscire dalle fauci ed un veloce e profondo quando rientrava. Alla ragazza sembrava che avesse una specie di mirino nel compirle tutte le volte l’ugola, causandole un senso di disagio che si irradiava nello stomaco, scendendo lungo la gola e stravolgendo ogni fibra che incontrasse.

     – Ehi, che cazzo ci fai qui? – urlò una voce, quando la porta si aprì all’improvviso.

     Cristina vide l’uomo voltare la testa verso l’origine di quelle parole ma non diminuì affatto il suo lavoro di bacino; anzi, aumentò ancora più la sua velocità.

     La guardia che era comparsa sull’uscio si lanciò verso lo scopatore, afferrandolo per un braccio, mentre una seconda entrava e lo prendeva per l’altro. Il tizio afferrò ancora più strettamente la testa della ragazza, non lasciandola finché non ebbe l’orgasmo che aveva ricercato per un paio di minuti nella bocca di Cristina. Solo quando iniziò a sborrare si lasciò portare via, mentre il suo cazzo usciva e spruzzava seme a fiotti sulla smorfia di disgusto della bionda e sulla seconda del suo seno già lorda di bega proveniente da diversi altri donatori.

     – Cazzo, che stronzo… – mormorò la ragazza, cercando di togliersi la bega dal suo volto con la mano libera ma finendo con lo sporcarsi ancora di più.

     Nel frattempo, le due guardie avevano gettato l’uomo fuori dalla stanza. – Sparisci, coglione! Se ti vedo di nuovo qui ti faccio fare una brutta fine! – gli gridò l’uomo che, si accorse Cristina, era lo stesso che, una vita ed almeno una decina di cazzi in bocca prima, l’aveva portata nella stanza dei Eduardo.

     L’altra guardia guardò sorpresa Cristina, poi il suo collega, che allargò leggermente le mani come a dire che non ne aveva idea. – Portiamola dentro comunque – deliberò, infine.

     L’altra guardia annuì, spostandosi per lasciare libera la porta. Un attimo dopo il malessere sul volto di Cristina venne sostituito dalla sorpresa.

     Una ragazza dai capelli castani e dai grandi occhi del medesimo colore fece l’ingresso nella stanza accompagnata dalla guardia. Il viso era leggermente allungato ma il sorriso che imperava su due labbra piene lo rendeva meraviglioso, anche per Cristina. Si muoveva con la grazia che solo una ballerina poteva vantare, e il suo corpo, esile ma ben proporzionato, trasmetteva una sicurezza che sembrava renderla ancora più bella. O forse era il seno, pensò la bionda, notando che qualcosa stonava in lei: una quarta abbondante, come quello di Eleonora, ma… ma senza essere azzoppato da quella timidezza che la figa di legno possedeva in quantità industriale.

     Dimostrò anche di avere una voce calda quando sorrise alla ragazza nuda, reduce da una lunga sessione di pompini, salutandola. – Ciao, mi chiamo Elisabetta.

     Gli occhi di Cristina erano sgranati, il suo volto che mostrava tutto lo sconcerto sotto la maschera di sborra secca o ancora colante. Si rese conto dopo qualche secondo che non stava respirando. – Cristina – riuscì a dire con un filo di voce, più una risposta automatica che voluta.

     La guardia che l’aveva accompagnata dentro le chiese di spogliarsi quasi con timore che si offendesse e non lo facesse.

     La nuova venuta non se lo fece affatto ripetere. Anzi, annuì con un sorriso. Con una lentezza che sembrava studiata cominciò a sbottonarsi la camicetta, lasciando che il seno prosperoso allontanasse i lembi del tessuto mentre le sue dita affusolate lavoravano con precisione. Giunta in fondo e scalzato l’ultimo bottone, con la camicia aperta che mostrava solo il solco delle generose poppe e la linea centrale degli addominali appena visibili, si voltò a favore dei due uomini alle sue spalle, che fino a quel momento avevano fissato il suo culo. Con un movimento simile ad un esercizio di stretching per distendere le spalle, si fece scivolare la camicetta lungo le braccia, afferrandola con una mano prima che cadesse per terra.

     Le due guardie non notarono affatto quel movimento degno di un prestigiatore, i loro occhi sgranati e fissi sul busto di Elisabetta.

     La ragazza sembrò trattenere una risata mentre allungava la camicetta verso le due guardie, usando di nuovo la sua voce calda per chiedere loro la cortesia di porre il suo indumento da qualche parte.

     Una delle due balbettò qualcosa, cercando di afferrare la camicetta e riuscendoci solo al terzo tentativo, senza nemmeno rendersi conto di cosa stesse impugnando.

     Elisabetta si sporse in avanti, senza piegare le ginocchia, dimostrando la propria flessibilità e iniziando a slacciarsi le scarpe. Le due guardie tornarono a guardarle il culo, senza dispiacere per non poter più fissare le tette. Anche Cristina la osservò, e comprese perché riscuotesse tutto questo apprezzamento: in quella posizione, i glutei si erano allontanati e i fuseaux ricalcavano alla perfezione la nuova conformazione, che aveva assunto la forma di un cuore stilizzato. Sentì lei stessa un prurito alla figa nel contemplarlo.

     La castana si rialzò una volta sciolti i lacci delle scarpe. Sollevò le braccia, prendendo le ciocche che le erano cadute sul seno, spostandole dietro le spalle, muovendo la testa come a sistemarsi meglio i capelli sulla schiena. Da come le due guardie fissavano i seni muoversi, avrebbero potuto spezzarsi un polso segandosi al pensiero di quello spettacolo, pensò con profonda rabbia Cristina. Quando lei si era spogliata, non aveva ricevuto nemmeno un decimo dell’apprezzamento che stavano tributando a quella puttana.

     Improvvisamente, la ragazza si rese conto che la bellezza di quella troia era ben superiore alla sua, incommensurabilmente maggiore. Come… com’era possibile che anche lei si trovasse lì? Tornò a fissarla: Elisabetta aveva finito di spogliarsi, le mutandine ricamate appese ad un dito che allungò ad una guardia. Questa volta non perse tempo e le afferrò come se fossero state un lingotto d’oro, stringendole tra le mani e ammirandole al pari di un’opera d’arte.

     La ragazza guardò un punto sul tappeto, accanto a Cristina. – Mi siedo qui? – chiese.

     Senza attendere una risposta, incrociò le gambe e scese seduta con un movimento fluido che sembrava uscito da un cartone animato degli anni ’40. Sollevò una mano verso la pediera, sorridendo alla guardia. – Immagino dovreste ammanettarmi come lei, giusto?

     L’uomo interpellato impiegò qualche istante a distogliere lo sguardo dal corpo perfetto della mora, incapace di scegliere se contemplare il seno meraviglioso o la righetta di pelo che accompagnava lo sguardo, al termine di un addome piatto, verso la figa della ragazza, prendere le manette e far scattare i due braccialetti. Dietro di lui, convinto di non essere visto, la guardia che aveva scortato Cristina si portò le mutandine al volto, inalando il profumo che la fregna della troia vi aveva infuso. Chiuse gli occhi mentre sembrava inspirare una droga, il bozzo nei pantaloni che aveva cominciato a formarsi parve fremere, poi, con un movimento svelto, le fece sparire in una sua tasca con un sorriso soddisfatto.

     Un attimo dopo i due uomini si voltarono e uscirono, e nonostante cercassero di non farsi sentire, fu impossibile per Cristina non udirli dire: “questa sì che è un pezzo di figa pazzesca” e “mi devo fermare un attimo in bagno”, con l’altro che annuiva comprendendo perfettamente le intenzioni dietro quella battuta, probabilmente deciso anche lui a fare una sosta in un luogo appartato e spararsi una sega mentre si teneva gli slip sulla faccia.

     Anche Elisabetta li aveva sentiti, e quando voltò il suo viso verso la bionda, illuminato da un soave sorriso che lasciava trasparire, dietro la cordialità, una buona dose di derisione, dimostrò nuovamente di avere una voce armonica e sensuale. – È da tanto che aspetti? Mi sembra strano che il signor Jiménez possa far attendere una ragazza bella come te: sai farti apprezzare dagli uomini, mi pare di capire…

     L’unica cosa che impedì a Cristina di cercare di cavare gli occhi a quella troia fu la certezza che, perfetta come appariva, con quel corpo da troia che ogni maschio sognava nel suo letto, doveva aver imparato a difendersi dalle torme di uomini arrapati che la assediavano in continuazione con una mezza dozzina di stili di combattimento corpo a corpo, di certo capaci di sconfiggere ogni suo attacco e probabilmente sodomizzarla con un oggetto qualsiasi a portata di mano.

     Sentì tutta la sua sicurezza, tutte le sue certezze, dimostrare la loro vera natura di illusioni…

CONTINUA…

Per contattarmi, critiche, lasciarmi un saluto o richiedere il racconto in PDF, scrivete a william.kasanova@email.it

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