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Destini…2 – La chiamata di Europa

By 31 Ottobre 2020Novembre 10th, 2020No Comments

Murda puntò e sparò. Il cannone portatile, un Fiducia generosamente elargito dal Ramingo, fece egregiamente il suo dovere, spedendo il proiettile nel cranio dell’accolito corrotto che avanzava. L’essere inter-dimensionale si arricciò su sé stesso prima di svanire in un baluginio di neutrini sterili in uscita dalla dimensione attuale. Il Cacciatore non era già più lì a guardarlo.
Si era invece lanciato verso altri nemici. Fiducia tuonò tre volte, reclamando le vite di altri tre Corrotti. Poco distante, un Titano avvolto da roventi fiamme di Luce Solare imperversava tra i nemici. Il loro numero non accennava a scemare a dispetto degli sforzi del Guardiano, che tempestava l’orda e i nemici più vicini a colpi di Maglio Ardente. L’arma di Luce Solare saettava, lanciata e ricreata più e più volte.
Un gigantesco Orco torreggiava sulla folla di nemici e sui pochi indomiti Portatori di Luce che ancora tenevano la posizione attorno a una banca. Il colosso avanzava lanciando raggi oculari letali, in modo approssimativo ma costante, implacabile.
Dall’alto di una posizione sopraelevata, Dalyana lo gratificò di un colpo di lanciamissili.
Il Senza Sonno, arma di concezione insonne, liberò il suo proiettile che centrò la mostruosa creatura in pieno volto. L’essere rispose con una salva di raggi, costringendo la Cacciatrice a balzare via dalla posizione.

Murda vide che la situazione stava peggiorando. Ma andava bene. Era parte del piano.

I corrotti e le poche creature dell’Alveare rimaste sciamavano lungo la piattaforma d’atterraggio, dirigendosi verso i Guardiani che ancora combattevano.
Sopra di loro, nel cielo della luna saturnina, la scaglia della Piramide incombeva, silente e malevola. Era quella ad attirare là i nemici, la promessa di potere.
Uno stregone entrò nella mischia sparando con un fucile automatico. Cambiò rapidamente arma e si abbatté sui nemici mulinando una spada dalla lama rettangolare stranamente larga.
Arrivò a contatto con l’Orco, sferrando colpi devastanti. Il colosso cercò di usare la propria mole. Murda annuì. Era tempo. Evocò la Luce dentro di sé. La Luce rispose. Indomita e fiera.
La Pistola d’Oro si materializzò nella sua mano. L’arma di Luce Solare fu rapidamente livellata con l’Orco. MUrda non sparò. Non subito.
Prima, ad agire fu Dalyana. La Cacciatrice evocò un arco del Vuoto. Scagliò la sua freccia contro l’Orco. Il colosso ruggì d’ira e sofferenza, mentre l’ancora di Luce lo privava di energie e ne abbassava le difese. I corrotti continuavano ad attaccare, disperatamente.
Ora! Murda sparò. Un singolo colpo di Pistola d’Oro, focalizzato dalla carica solare dell’elmo noto come Falconotte Celestiale che indossava. Il boato fu devastante e l’Orco incassò, venendo vaporizzato all’impatto del proiettile potenziato.
Con la morte di quel campione, i Corrotti e i nemici rimasti persero di coesione. Presero a fuggire, trasportandosi via tramite la loro empia magia.
Sul campo rimasero solo i Guardiani, vincitori. Il Titano ricaricò il fucile con un gesto rapido.
-La mini-banca scoppia! Andatevene di là, state iniziando ad attirare l’attenzione.-, la voce del Ramingo fece capolino dai sistemi di comunicazione.
Dalyana tolse con una manata del liquido orribile dal suo spallaccio destro. La Cacciatrice aveva combattuto come tutti loro, senza risparmiarsi o trattenersi. Avevano vinto, nonostante qualche ferita di poco conto qua e là che gli Spettri stavano già provvedendo a sanare.
Era stato un buon piano, una trappola congeniata con precisione ed efficacia. Una vittoria. Una vittoria di breve durata.
L’idea del Ramingo e di Eris Morn era stata quella di comprendere cosa l’Oscurità, giunta nel sistema sotto la forma di quelle inquietanti navi piramidali, volesse comunicare. Tuttavia, pareva che qualcuno non fosse d’accordo.  La Megera Regina dell’Alveare aveva tentato di impedire ai Guardiani di captare i messaggi. Eris Morn, una Cacciatrice senza Luce ed esperta dell’Alveare e dell’Oscurità, aveva insistito sull’importanza di comprendere i messaggi e, insieme al Ramingo (il gestore di Azzardo e Portatore di Luce ribelle) aveva ideato il piano.
La banca era lo stesso modello usato in Azzardo, con lo stesso scopo.
Raccogliere Oscurità. Alla fonte. Solo così il Seme dalle Ali d’Argento proveniente dall’Albero su Io (una delle lune di Giove nonché l’ultimo posto toccato dal Viaggiatore prima di spostarsi verso la Terra) avrebbe potuto essere caricato per garantire una comunicazione con l’Oscurità senza interferenze. Purtroppo, gli storici nemici dell’Umanità non avevano apprezzato. Molti erano spinti dalla mera disperazione. I razziatori Caduti o i Cabal superstiti potevano ben volentieri bramare quel potere per le promesse che portava, e così anche i Vex, ma l’Alveare e i Corrotti no. Stando a quanto sosteneva Eris, loro agivano su indicazione della Megera Regina.
C’era dissenso tra i nemici della Luce, una frattura che non sembrava possibile né conveniente sfruttare vista l’entità della minaccia attuale. Le Piramidi parevano più intenzionate a un dialogo che a uno scontro ma Murda aveva capito, man mano che lui, Dalyana e gli altri Guardiani avevano aiutato Eris a interpretare quei messaggi, che l’Oscurità era propensa a tentare di convertire i Portatori di Luce tanto quanto era capace di distruggerli in caso di rifiuto. E le parole dell’Oscurità erano… inquietanti.
Inizialmente, dalla Piramide ormai morente sulla Luna, Eris aveva ottenuto dei messaggi.
Comunicazioni semplici ma criptiche, rivelazioni terribili nel loro significato.
Lo scontro con l’Oscurità, questo l’avevano capito tutti, si era inasprito. Ma pochi altri stavano domandandosi se lo scontro non si fosse invece spostato. La battaglia non era più fisica, bensì ideologica. Il Dogma del Viaggiatore di crescita, sacrificio e devozione contro la spietata verità rivelata dalla Piramide: un universo in cui coloro che non possono dimostrare la propria forza sono destinati a soccombere e a essere dimenticati, un universo freddo, privo di concetti morali, dominato dalla Forma Finale.
Lo scontro era antico, più dell’universo stesso a sentire l’Oscurità. Era iniziato ben prima della nascita dell’Universo, in un Giardino con un Albero uguale a quello su Io.
Lo scontro era un gioco. Un gioco di squisita armonia matematica. Un gioco spietato.
Un gioco che, al Giardiniere, al Viaggiatore, era infine venuto a noia.
Il significato di tutto ciò poteva chiaramente essere inventato di sana pianta o manipolato, Murda e Dalyana se ne rendevano perfettamente conto. Come altri non avevano dato cieca fiducia alle parole dell’Oscurità, il Vagliatore come si faceva chiamare.
Di altri, pochi, si diceva non fossero stati così risoluti nella loro dedizione alla Luce.
Un punto a favore dell’Oscurità era stato il non aver tentato di mentire, o di non sembrare crudele. Non aveva mostrato ipocrisia. Da quel lato, era un merito che Murda poteva concedere. Ma il merito finiva lì. L’Oscurità era Oscurità. Non era il male, ma era un pericolo, qualcosa che forse bisognava tentare di capire, ma con cui non si poteva patteggiare, così la vedevano lui e Dalyana. Erano Guardiani ed era compito dei Guardiani difendere l’Umanità dai pericoli. L’Oscurità era IL pericolo. Quello definitivo.
Per quello si erano prodigati per settimane per aiutare Eris Morn e l’Avanguardia ovunque ce ne fosse stato bisogno. Avevano respinto assalti Vex su Io, abbattuto capitani Caduti su Titano e fronteggiato i servi del nemico ovunque li avessero trovati.

 

-Quindi?-, chiese Hara. Lo Spettro guardò Murda proprio in viso.
-Torniamo sulla nave.-, disse il Cacciatore noto come “La Lama Paziente”. Ricaricò rapidamente Fiducia e, ripostala, fece lo stesso con il fucile.
-Buona idea. Io rimango in zona, in caso ci sia bisogno di schiacciare qualche altro insetto.-, replicò il Titano. Si chiamava Panzer ed era in giro da parecchio. Un solitario difensore, strenuo nella lotta e schietto. Un umano dal cuore d’oro.
-Io torno alla Città-, dichiarò lo Stregone, Melchor Gran. Era uno nuovo. Un Guardiano divenuto tale solo di recente. Per lui la Guerra Rossa, la momentanea perdita della Luce dovuta ai Cabal, la morte di Cayde-6, l’enigma della Città Sognante e molte altre cose avevano il sapore del mito. Non così per Murda o Dalyana. Loro le avevano vissute.

In realtà, Dalyana era in giro quasi quanto Murda. Il Cacciatore aveva vissuto l’Età Oscura, i Sei Fronti e persino la Grande Catastrofe, il disastro avvenuto sulla Luna ad opera del Divoratore di Speranza, il figlio del Dio-Re dell’Alveare. 

Dalyana poteva collocare la sua rinascita ad appena un ventennio prima della fondazione della Città. Anche per lei l’Età Oscura era stata spietata e l’Era della Città aveva solo portato nuove e più difficili sfide. Melchor invece era, come già detto, estraneo a tutto ciò.
Come Stregone era abile, ma privo dell’esperienza di cui abbondavano invece i Rinati come Murda e Dalyana. Panzer era stato rianimato come Guardiano appena dopo i Sei Fronti.
Il loro gruppo non era omogeneo: si trovavano di tanto in tanto, combattendo a fianco contro i nemici dell’umanità o tra loro nel Crogiolo di Lord Shaxx. SI trovavano bene tra loro ma non erano un team fisso. Ognuno andava per la propria strada, incrociando quella degli altri secondo necessità e possibilità del momento.
Era la vita dei Guardiani, una vita in corsa, di perdita. Pochi legami e mai nessuno sicuro.
Murda lo sapeva bene. Aveva accettato di stare con Dalyana, di farla entrare nel suo mondo, pur consapevole che domani sarebbe potuta morire, definitivamente. Come lui.
Aveva già seppellito molti amici, molti compagni e compagne d’armi.
Ma Dalyana… era speciale.
-Attivo il Trasmat?-, chiese Hara. Murda annuì. Salutò i Guardiani presenti e svanì.

 

Tornare alla Torre e all’Ultima Città fu un viaggio silenzioso, avvolto da qualcosa.
Pena? Paura? Speranza? Forse un miscuglio di quelle tre emozioni.
Dalyana e Murda avevano già parlato molte volte dell’Oscurità e del suo arrivo. Avevano combattuto insieme più e più volte. Si conoscevano ormai al punto tale da essere quasi al di là delle parole. Lei non aveva partecipato ad alcune battaglie o azioni, lui sì e viceversa. Ad esempio, Dalyana non aveva partecipato alla disastrosa sconfitta della Luce sulla Luna, ma Murda non aveva contribuito all’esplorazione delle lande circostanti il Cosmodromo.
Dalyana non aveva combattuto che poche volte sulla Città Sognante, Murda era stato tra i primi a entrarvi. Era stato presente sulla Luna solo quando si era sparsa la voce della Piramide ed aveva ritrovato lì la Cacciatrice con cui aveva affrontato nuovamente l’Alveare.
Entrambi avevano contribuito alla crescita e alla difesa dell’Ultima Città.
La Città che ora, era più a rischio che mai.
Arrivarono alla Città e si materializzarono sul piazzale della Torre. Fecero rapporto a Zavala.
L’Insonne Comandante dell’Avanguardia pareva invecchiato mentre ascoltava.
Murda poteva immaginare. Zavala aveva già perso la Città una volta per mano della Legione Rossa dei Cabal. L’idea che ora fosse arrivata quest’ulteriore minaccia, mille e mille volte peggiore di qualunque alieno, e di non avere la minima idea di come affrontarla doveva essere terribile per quell’uomo che aveva sulle spalle il peso della difesa dell’Umanità.
-Abbiamo sparpagliato eccessivamente le nostre risorse.-, commentò a fine rapporto.
-Dunque, come procediamo?-, chiese Murda.
-Continuate ad aiutare Eris. Ormai le sue comunicazioni con l’Oscurità dovrebbero star fornendo dei dati, per quanto scarni. Dobbiamo assolutamente cercare di sapere di più su questo nemico. Ho affidato ad altri il compito di procedere con l’evacuazione dei nostri avamposti nel sistema. Non possiamo disperdere le nostre forze in questo modo.-, rispose Zavala. Si volse verso il Viaggiatore, ancora silente e immobile.
L’occhiata che Dalyana e Murda si scambiarono fu più eloquente di mille parole.

 

Dalyana non era nuova a situazioni difficili. L’Età Oscura e una vita passata a combattere le avevano insegnato ad affrontarle. Ma quella che aveva davanti ora era ben altra tipologia di problema. La minaccia dell’Oscurità era grave, ma lo scoramento, la stanchezza che aveva potuto percepire in Zavala erano… inquietanti.

L’avevano già visto scosso o disperato, ma come in quel momento? Mai.
La Cacciatrice cercò di scacciare il presentimento che aveva.
-E ora?-, chiese Melchor.
-Noi torniamo alla Culla, su Io.-, disse Dalyana.
-Bene… Io farò rifornimento, mangerò qualcosa e poi tornerò verso Titano. Panzer potrebbe aver bisogno di aiuto.-, decretò lo Stregone. S’incamminò verso il Bazar.
-Rimaniamo solo noi.-, commentò Murda.
-Già. Andiamo. Il seme è carico. La Culla ci attende.-, disse la Cacciatrice.

 

“Il tempo di un Trasmat è brevissimo ma ti lascia addosso la sensazione di essere incorporeo.”, pensò Murda. E chissà, magari a furia di usare quei maledetti affari, incorporei lo sarebbero divenuti davvero. Consunti. Il Cacciatore sospirò mentre si metteva ai comandi della nave. La navicella era una nave di concezione insonne, dalle linee aggraziate e dai colori caldi in un universo che si era fatto sempre più gelido e impietoso. Dalyana l’aveva trovata nella Città Sognante, all’indomani della morte di Cayde. Le Tecnidi dell’Atollo, le sagge streghe-scienziate del popolo insonne, l’avevano riparata. Era stato un gesto di ringraziamento per lo sforzo della Guardiana nel combattere per la Città Sognante.

La nave di Murda aveva subito l’attacco di un paio di trebbiatrici Cabal ed era attualmente in riparazione. Era già tanto se ce l’aveva fatta ad arrivare alla Torre.
-Siamo messi male, vero?-, osò finalmente chiedere Dalyana. Murda non rispose. Non subito.
La risposta più ovvia era sì: erano messi male. Molto. Affrontavano nemici su più fronti mentre il loro più grande avversario restava immobile, i suoi colpi non erano proiettili o lame ma dubbio e verità alterate. Se poi alterate erano…
E lì stava il problema. L’Oscurità parlava. Diceva la sua. Il Viaggiatore no.
Restava in silenzio. Forse per non imporre la propria volontà alla stregua del suo nemico?
Murda voleva crederci. Voleva credere che fosse per quello. Che il Viaggiatore si fidasse di loro. Perché se c’era una cosa che aveva capito era quella: la Luce gli era stata data per dimostrare che non c’era solo la sopravvivenza. Che nell’universo c’era di più del mero lottare per restare vivi. C’era il sacrificio per altri, l’altruismo, il proteggere i deboli.
Negare l’atroce verità dell’Oscurità proteggendo la Città. Questo facevano i Guardiani.
Quindi la sua risposta a Dalyana sarebbe dovuta essere tipo “No. Non siamo messi male. Non lo siamo perché stiamo ancora combattendo. E finché combatteremo vi sarà speranza.”.
Ma non lo fu.
-Ricordi la squadra del Giardino Nero? I Guardiani che entrarono là per trovare quell’arma che poi ha trovato quel Titano?-, chiese invece lui, -Loro hanno accettato un patto con l’Oscurità.-.
-E abbiamo tutti visto dove li ha condotti.-, replicò Dalyana.
-Già. Ma cosa sarebbe successo se l’Oscurità si fosse palesata durante la Guerra Rossa. Privati della Luce, quanti di noi avrebbero accettato?-, chiese Murda.
Dalyana rimase in silenzio. Sapeva bene che molti, moltissimi, avrebbero potuto fare quella scelta. A fin di bene, certo, ma a che prezzo?
-Ora l’Oscurità ci parla.-, continuò la Lama Paziente, -Ci dice la sua. E ci offre armi e interrogativi misti a risposte. Ci tenta.-.
-Non è nulla di nuovo…-, disse Dalyana, -Ci ha già tentati. Abbiamo forgiato l’arma dannata di Dredgen Yor, l’Aculeo . Uno di noi ha rivendicato l’Ultima Parola e, tutti assieme, abbiamo creato un’arma in bilico tra Luce e Oscurità.-.
-Esatto.-, disse Murda, -Shin Malphur ha osato spingere la Luce nell’Oscurità. Sapeva che questa era la sola via per l’evoluzione. Rischiare la tentazione, sfidare il malessere per ammansirlo e potenziare la nostra Luce tramite l’evoluzione.-.
-Dove vuoi arrivare?-, chiese la Cacciatrice. Si era tolta l’elmo, così come Murda.
-Potremmo essere a pochi passi da un’altra evoluzione. Mille volte più grande.-, rispose lui dopo qualche istante di silenzio.

-Usare l’Oscurità?-, chiese Hara. Lo Spettro si parò davanti al viso di Murda, -È follia!-.
-Perché? È evidente che si punti verso questo.-, disse il Cacciatore. Il suo Spettro scosse l’involucro con evidente disappunto.
-Usare l’Oscurità porta sempre un prezzo. Anche quando hai creato il tuo Aculeo era così, ricordi?-, chiese. Murda annuì. L’Aculeo aveva richiesto sofferenza, morti di altri Guardiani. Non definitive, essendo avvenute durante delle sessioni di allentamento nel Crogiolo, tuttavia in molti vedevano il Cacciatore come un avversario terribile e spietato a seguito di quegli atti.
-Hai menzionato la Squadra del Centrarca 3. Il loro prezzo è stato molto più alto. Il nostro quale sarà?-, chiese Dalyana.
-Alto. Senza dubbio. Ma purtroppo non c’è scelta.-, rispose Murda, -I nostri nemici bramano il potere dell’Oscurità. Lo cercano. Lo hai visto. Se non lo facciamo nostro, saranno loro a farlo.-.
-E questo ti sta bene?-, chiese la giovane. Il bel viso dalla carnagione scura era ora corrugato in un espressione perplessa, forse persino spaventata.
-Dannazione, no!-, esclamò Murda. La sua Luce, Solare in questo caso, per un istante lo avvolse. Rabbia. Rabbia davanti al languire della Luce, davanti al fato che pareva sempre più inevitabile. Rabbia davanti alla caduta. Rifiuto di cedere.
-Capisco perché abbiamo cambiato tipologia di Luce…-, mormorò Dalyana, -Io ho accettato ma tu… tu no.-. Il silenzio avvolse quelle parole.
-Certo che non accetto! Come potrei?-, chiese lui, -Come puoi?-.
La rabbia promanava ora dal suo tono di voce.
-Persino Zavala sembra… piegato.-, disse lei.
-E sarebbe un motivo per piegarci? No! Noi continueremo a combattere, continueremo a proteggere questa umanità. E se Zavala dovesse piegarsi, noi non lo faremo.-, la voce di Murda era ferma, risoluta. Vibrava di un energia nota alla giovane. Decisione, determinazione.
-È tutto così incerto…-, sussurrò lei.
-Lo è sempre stato! Noi Cacciatori siamo abituati all’incerto. È casa nostra. Fallo tuo.-, replicò l’uomo. Un guizzo di tenerezza si mostrò sul suo viso. La mano del Cacciatore andò a sfiorare la guancia della giovane. Lei strinse la mano con la propria. Come aggrappandosi a lui.
-Io ci sarò per te. Fino alla fine. Quale che sia.-, promise lui.
In quel momento, la nave arrivò nelle vicinanze di Io.

-Trasmat pronto.-, disse lo Spettro di Dalyana, Bela.
-Ricevuto. Vai.-. Nessun’esitazione nella voce della giovane.

 

La Culla era assediata. I Corrotti agli ordini di Savathûn sciamavano lungo la grotta, tra le stalattiti e gli strati rocciosi dell’ultimo luogo toccato dal Viaggiatore.
Le creature al servizio della Megera Regina assalirono i due Cacciatori appena entrarono nella Culla, al cospetto di quell’Albero dalle Ali d’Argento.
Murda scatenò una raffica furiosa con un fucile automatico, falciando l’orda di Schiavi in arrivo. Dalyana balzò oltre, sparando con un lanciagranate a tamburo, sopprimendo le Maliarde. Le streghe perirono con urla orribili. I due Guardiani si avvicinarono all’albero.
La seconda ondata arrivò loro addosso. Esaurito il secondo caricatore, Murda estrasse il manufatto. L’arma nata da un ramo di quell’albero. Un fucile laser noto come Effige Rovinosa.
Solo tenerlo in mano implicava sentire il freddo gelido dell’Oscurità protendersi verso il centro della Luce. Eppure il potenziale di quell’arma era semplicemente immane.
Murda sparò. Una linea di energia violetta lasciò l’arma, falciando orizzontalmente l’orda in arrivo. Gli schiavi crollarono, ridotti a sfere di Luce del Vuoto. I Cavalieri dietro gli schiavi continuarono l’attacco. Dalyana atterrò al suolo in una capriola, balzò nuovamente in aria e atterrò tra i Cavalieri e altri Corrotti sopraggiunti da fessure dimensionali.

L’Effige Rovinosa trasformava i nemici in sfere di Luce del Vuoto. Sfere che potevano essere letali. La Cacciatrice sbatté la sfera a terra, schiacciandola come fosse un pallone da basket.
L’ondata di Vuoto seguente annichilì i Corrotti per un raggio di due metri in ogni direzione.
I Cavalieri svanirono, gli schiavi si dissolsero. Dalyana eseguì una capriola all’indietro evitando di misura una raffica da parte di un Accolito. Un coltello da lancio di Murda eliminò il Corrotto. Salirono oltre, lungo le pendici della caverna, abbattendo i nemici che vi trovarono.
Un Orco di enormi proporzioni fece la sua comparsa da una fenditura dimensionale.
Dalyana gli sparò addosso con il fucile a impulsi, cambiando arma rapidamente una volta finite le munizioni. Il Senza Sonno completò l’opera. I Corrotti restanti caddero per mano di Murda, a colpi di fucile, lama o granate.
E fu allora che accadde ciò che entrambi i Guardiani si aspettavano.
L’Urlatore inerte, sospeso in aria, si aprì. Sprigionò una salva di colpi. Murda incassò al petto. L’armatura, e la Luce, evitarono danni eccessivi. Ma il dolore c’era. Si riparò dietro una colonna. Hara apparve e lanciò un fascio di luce sulla zona lesa. Dalyana fu colpita a sua volta.
Appena il tempo di curare i Rinati, che li Spettri e i loro protetti furono trasportati in un altro luogo. Fu appena un battito di ciglia e si trovarono in un altro posto. Molto più oscuro.
Il Tronomondo di Savathûn nel Piano Ascendente, il regno della Megera Regina.
Entrambi ci erano già stati. Più volte. Il Piano Ascendente era noto a loro. L’avevano violato già ai tempi della morte di Crota. E poi nella Città Sognante.
Avevano danzato nei regni dei loro nemici, umiliato i loro campioni, trionfato oltre ogni speranza e portato la Luce laddove non era mai arrivata, calpestando la Logica spietata del loro nemico e confermandosi allo stesso tempo come a loro superiori più volte.

Ma quel posto… era diverso. Non era che una trappola. Non era un confronto, ma bensì l’ennesimo tentativo di impedire ai Guardiani di captare i messaggi dell’Oscurità.

-Siete come infanti attirati dalle fiamme. La Regina non vuole che bruciate. Piegatevi a lei e sarete liberi.-, disse una voce. Murda sospirò. Sia lui che Dalyana conoscevano quella voce.
-Nokris.-, sibilò Eris Morn tramite il canale di comunicazione, -Trovatello di Oryx e fratello esiliato di Crota. Ora è vincolato a Savathûn come catalizzatore della sua interferenza. Silenziatelo.-. Murda annuì. Conosceva Nokris di fama. Lui e Dalyana avevano entrambi avuto modo di conoscere bene i metodi dell’alveare marziano, una frangia deviata, dedita alla necromanzia, traditori della Logica della Spada. Nokris era stato al servizio di Xol, Volontà dei Mille, il più debole degli Dei Lavrali. Almeno finché un team di Guardiani non aveva messo fine a Nokris e a Xol. O così avevano creduto.
Evidentemente, i discendenti del Re dei Corrotti, Oryx, erano duri da uccidere.
Comunque, non era tempo d’indugiare: i due Portatori di Luce arrivarono a un ponte frammentato che si ergeva sull’abisso infinito. Attorno il buio. Nessuna luce, se non la loro.
Seguirono la strada sino a un’entrata che si spalancava come grotta tra due file di statue.
I sussurri incomprensibili e terribili di quel luogo continuavano a bisbigliare. Presto i due Guardiani sentirono le orecchie iniziare a sanguinare.
E infine, in quella che pareva una corte rovinata e sfatta, se lo trovarono davanti.
Emerse da un portale dimensionale, fluttuando a mezzo metro dal suolo.
Enorme, malefico, il suo unico occhio li fissava con emozioni incomprensibili.
-Luce e Oscurità sono lame incrociate. Un ponte con una sola via.-, sibilò.
I due non ribatterono: preferirono far parlare le armi.

Purtroppo Nokris fu tutt’altro che arrendevole o debole. Evocò rinforzi, schiavi, Accoliti, Cavalieri e persino Urlatori dell’Alveare al suo servizio.

In breve tempo, Murda si accorse di star finendo le munizioni. Aveva evocato la sua Luce, spedendo tre colpi di Pistola d’Oro su Nokris ma non erano bastati ad abbatterlo.
Anche Dalyana non era messa bene: con le Lame del Vuoto aveva falciato molti nemici, tuttavia Nokris era ancora immobile, a bersagliarli con i suoi dardi necromantici.
Altri nemici avanzavano.
-L’Albero porta rovina! Abbattetelo, o fatevi sotterrare dalle sue foglie!-, profetizzò Nokris.

 

Per la prima volta dopo molto tempo, Dalyana si sentì disperata. La Luce si affievoliva.
Sparò un’ultima raffica abbattendo altri tre nemici e si gettò al riparo, accanto a Murda.
-È finita. Non ho più munizioni.-, disse.
-Anche io sono a secco. O quasi. Giusto un caricatore.-, ribatté lui.
-Non possiamo vincere. E non possiamo andarcene…-, il timore era percettibile nella voce della giovane. La morte, quella vera, quella definitiva, era vicinissima.
-No.-, disse lui.
-Non… so quanto ancora posso combattere… Sento la Luce sfuggirmi.-, sussurrò lei.
-Allora lascia che la mia Luce si unisca alla tua.-, sussurrò lui.
Dalyana chiuse gli occhi per un minuscolo istante, sfiorando la mano guantata di Murda.
Tra loro passò una scintilla, no; una scossa.
La Cacciatrice inseguì la scossa. La seguì nel profondo del suo animo, nutrendola con la rabbia e la determinazione di Murda e la sua volontà di sacrificio.

 

Allo stesso tempo, il Cacciatore agguantò la scintilla, accettando tanto la sua ira e la sua volontà quanto il necessario sacrificio. Suo e di tutti i Guardiani.
La scossa si ripeté. Centuplicata. Luce dell’Arco baluginò sui loro corpi.
Si lanciarono contro l’orda brandendo delle armi di pura Luce. Colpirono con controllo e grazia. Un perfetto equilibrio tra la necessità di accettare l’inevitabile fardello e la volontà, insopprimibile, di creare la propria strada, il proprio fato. Un grido di sfida di pura energia.
L’orda si sfaldò. Nokris cercò di colpire i due Guardiani. Riuscì solo a rallentarli.
Dalyana distrusse uno dei cristalli che proteggevano il necromante. Murda lasciò che la Luce si dissipasse. Alzò il fucile e sparò, scaricando il caricatore nel cranio del figlio rinnegato di Oryx.
Nokris lanciò un grido agonico morendo. Intuendo la disfatta, i suoi seguaci fuggirono, utilizzando la magia per scampare alla morte.
-È finita. Nokris è morto.-, disse Dalyana.
-Nokris è un abominio. Il suo nome è stato cancellato dalla Tomba del Mondo. Avete fatto bene a rimuovere la sua macchia da questa corte decadente.-, rispose Eris Morn.
-Ma perché Savathûn dovrebbe collaborare con lui?-, chiese Bela.
-Collaborare? Norkis è un reietto, piccola Luce. Un necromante-, rispose Eris, -Ma la Megera Regina avrà sicuramente trovato utile il suo aiuto. Rituali di morte per alimentare il gioco del Verme. Non oso immaginare come intenda sfruttare quella conoscenza.-.
-Non dovremmo pensarci troppo.-, rispose Hara. Lo Spettro volteggiò brevemente per la zona, -Non si riprenderà.-.
-È un sollievo saperlo. La caligine di Savathûn è diminuita considerevolmente. Ma non è svanita del tutto. Rimanete lì. Vi recupero.-, appena Eris ebbe detto ciò, Murda percepì qualcosa afferrarlo. Riaprì gli occhi un istante dopo. Lui e Dalyana erano davanti a un paesaggio completamente diverso.

 

La corte decadente di Nokris aveva lasciato il posto a una sala dove, circondata da figure di Caduti, creature dell’Alveare, Cabal e da quelli che parevano Exo, al centro era sospesa a un paio di metri d’altezza dal suolo una piramide. E di botto, gli Spettri dei Guardiani parlarono con voci non loro.
-Lo vedete? È come avevamo annunciato. Nella Luce c’è soltanto debolezza. Soltanto fallimento. Soltanto morte.-, dissero all’unisono. Murda e Dalyana si scambiarono uno sguardo. Alzarono le armi, sebbene inutili, preparandosi a combattere. Ma nulla avvenne.
-Ma quello che la Luce prende, l’Oscurità restituisce.-, continuarono gli Spettri.
-Non sarete più delle pedine. Non vedrete più le vite dei vostri cari andare perdute.-.
Quella frase fu una stilettata. Murda per un istante l’avrebbe voluto, e anche Dalyana.
Scacciarono la tentazione mentre analizzavano il cerchio di figure statuarie in piedi davanti alla piramide. Infine, la voce parlò di nuovo. Un’ultima volta.

-Ricordate nell’Oscurità c’è soltanto forza, soltanto vittoria. Soltanto vita.-. Pausa. Uno stasimo necessario che tuttavia parve pesantissimo. I due Guardiani riposero le armi.
Lo scontro aveva smesso di essere fisico. Da un po’.
-Gli antichi poteri vi attendono su Europa.-, disse la voce. Poi, i due Guardiani furono nuovamente trasportati altrove.

 

Si ritrovarono nella Culla. Eris Morn li aggiornò sulla situazione. Non erano i soli a cui l’Oscurità stava parlando. Altri avrebbero ascoltato. Altri avrebbero accolto i suoi doni.
Dovevano essere pronti. Ripartirono da Io, per tornare verso la Città per prepararsi alla prossima battaglia.

 

La nave era silenziosa. Murda non osò parlare, per un lungo, lunghissimo istante.
Infine, fu Dalyana a farlo.
-Grazie… Ho temuto, ho pensato…-, sussurrò.
-Anche io. Non ringraziarmi. Questo è qualcosa che l’Oscurità non può toglierci. La nostra vera forza.-, rispose lui con un sorriso. La nera sorrise di rimando.
-Europa… dove si trova?-, chiese.
-Non lo so. Dovrebbe essere una luna… di Giove.-, disse Murda.
-Uhm… avrebbe senso. Ho sentito dire che i Caduti hanno costruito una sorta d’impero laggiù. L’Avanguardia non ne sa molto.-, disse lei. Lui annuì.
Caduti, Oscurità, promesse di potere. Tutto conduceva a Europa. Verso il futuro.
-Penso che dovremmo fare una cosa.-, disse Dalyana. Murda annuì di nuovo.
Sapeva a cosa si riferiva. E non intendeva privarsi di quell’ultimo piacere prima di un nuovo scontro contro il nemico che affrontava, direttamente o meno, dal giorno della sua rinascita.
Dalyana lo condusse a una cabina spoglia. C’era giusto una branda e qualche arma all’interno di un armadio atto a fare da armeria. 

Murda non ebbe molto tempo per commentare la stanza perché la giovane lo baciò con ferocia, quasi volesse divorarlo. Lui rispose con foga. La voleva, si volevano.
Forse era tutto quello a cui potevano ambire per potersi dire umani, ancora umani.
Le corazze e le armi caddero a terra mentre freneticamente si cercavano con ogni senso.

 

-Io proprio non capisco.-, sbuffò Hara.
-Questo loro… comportamento?-, chiese Bela.
-Sembra che non riescano a controllarsi.-, continuò lui.
-È vero. Ammetto che é… imbarazzante.-, concordò lei.
-Dì pure che è disgustoso… Li abbiamo riportati indietro per… altro!-, esclamò Hara.
-Sì. È vero. Ma…-, Bela si fermò, facendo frullare appena l’involucro decorato.
-Ma?-, chiese Hara. I due Spettri erano soli in cabina di pilotaggio.
-Ma se avessero bisogno di questo? Se gli servisse? Se alla fine fosse un bene?-, chiese lei.
-Intendi dire che rafforzando il legame tra loro, potrebbero divenire più forti?-, domandò lui.
-Sì.-, ammise lei. Lui ci pensò. Seriamente. Alla fine non poteva dire di comprendere sino in fondo le implicazioni di quel legame tra i due Rinati.
Ma poteva concordare con Bela: se quel legame poteva effettivamente renderli più forti, più resistenti alle tentazioni che sarebbero arrivate, ben venisse.

Lo Spettro osservò l’iperspazio dissolversi e ricomporsi in volute violette.
Si limitò a concludere che fondamentalmente, poteva tollerare la cosa. Anche perché fare squadra con Bela non gli dispiaceva per nulla. Era una buona amica.

 

Murda era sceso lungo il corpo di Dalyana con lentezza. Ora, adagiati sulla branda e nudi, si davano piacere l’un l’altra, usando mani e bocca con abilità crescente. Dopo la prima volta, la loro bravura in tal senso era aumentata. La nera leccò piano il glande del giovane prima di suggere il membro con un movimento fulmineo. Lui trasalì. Lei gemette quando sentì la lingua di lui e le sue mani esplorare la sua intimità, con discrezione ma irresistibili.
La nera si eccitò presto, e spinse la testa del suo partener verso la vulva, per meglio assaporare quel godimento. Lui ci si mise d’impegno, sfoderando tutta la sua abilità. Non era molta ma Dalyana non parve accorgersene, troppo presa a godersela e priva di paragoni per essere puntigliosa in merito.
Continuarono a darsi piacere in quel modo per lunghi minuti, prima di cambiare posizione.
Il desiderio per quella giovane era qualcosa che il Cacciatore non sapeva esprimere. La contemplò un istante. Stesa sulla branda con lui, lei era bellissima, una statua d’ebano stupenda, i muscoli scolpiti dalla vita, o meglio le vite, che entrambi avevano fatto.
Si baciarono di nuovo, la lingua di lei gli dardeggiò in bocca, accolta dalla sua. Sentì le mani di lei accarezzarlo, bramarlo. Si volevano. Perché attendere?

Lei parve comprendere ma gli sorrise.
-Voglio farlo in un altro modo.-, disse con un sorriso. Lo baciò e si voltò dandogli la schiena.
Lui comprese. Sfiorò le natiche della nera, stringendole piano, pensando che non avevano mai parlato di quello… ma forse, ora lei sentiva di volerlo? La voce della Cacciatrice fugò ogni dubbio.
-Non lì. Stenditi come me. Prendimi così.-, sussurrò Dalyana. Murda sorrise. Lo fece.
Le affondò dentro. Rimase fermo dentro di lei per un lungo, lunghissimo istante. Affondò, uscì e affondò. Lentamente, mai invadendo, sempre con garbo. Lei accoglieva le sue spinte con gemiti rochi. Lui la accarezzò. La nera gemette, fremendo nell’ebbrezza del piacere.
Entrambi però ora volevano altro. L’intero sistema sarebbe potuto finire così presto…
La giovane si mise sopra il Cacciatore. S’impalò su di lui, dettando il ritmo sostenuto che presto divenne una cavalcata nient’affatto pacata. Le carezze divennero quasi possessive nella loro estasi, i baci quasi morsi, i respiri ansiti. Quando alla fine, Dalyana gli concesse di stare sopra, Murda si sentiva al limite. Una scossa di elettricità, o fu Luce dell’Arco, passò tra loro.
Si mise sopra di lei e, penetratala diede il suo ritmo, un ritmo che aumentò, ancora e ancora, tra baci, carezze, leccate e sussurri senza senso ma benefiche e latori di serenità, sino al momento in cui entrambi non godettero, avvinghiati in un modo quasi spasmodico, come a voler impedire al tempo, alla Luce o all’Oscurità, di strappar loro quel singolo e unico istante.
Come a volersi fondere in un solo essere.
Quando venne, Dalyana sentì come un’energia sconosciuta ma stupenda espandersi dal suo sesso sino alle dita delle mani e dei piedi. Si sentì travolta da un piacere accecante, assoluto.
Murda godette sentendosi esplodere. Il pensiero di morire così gli attraversò la mente ma gli parve stupido e insignificante. Avrebbe ben volentieri barattato la vita, quella e tutte le altre dopo e prima, per un momento così.
Per il giovane il piacere fu totale. Sentì il suo godimento rompere gli argini e traboccare, fiottando nel corpo della nera avvinghiata a lui. La strinse mentre emettevano entrambi versi inumani, o forse più umani di quanto fossero stati loro stessi. Sentì di potersi perdere in lei, sarebbe stata la migliore delle morti…
Sei schizzi bollenti si versarono nel ventre di Dalyana, facendola sussultare e gemere a ognuno di essi. I due amanti rimasero immobili, come fulminati, gli arti intrecciati. Respirando piano, cercarono di percepire, di allungare quell’istante di serenità. Dalyana gli sorrise, e Murda fece lo stesso. Non c’era bisogno di parole. Non lì. Non in quel momento.
Poi, da fuori del loro piccolo mondo, chiamò una voce.
-Siamo alla Torre.-, disse Hara. Murda sospirò. Si baciarono un’ultima volta, appassionati e appagati, poi iniziarono a rivestirsi.
La guerra riprendeva, Europa chiamava. Il destino aspettava loro.

 

 

Al loro ritorno sulla Torre, Dalyana e Murda videro qualcosa di inaspettato.
Il Viaggiatore, da tempo inerte, da tempo ferito, sprigionò ondate di Luce. 
Non fu per respingere l’Oscurità. Fu per richiamare a sé i suoi figli. E con loro tutti gli sperduti.
-Ci sta chiamando tutti!-, esclamò Dalyana. Si tolse l’elmo. Lacrime di commozione solcavano le guance della giovane.
-Sono tutti qui. Stregoni, Titani, tutte le squadre partite in missione stanno rientrando. E tutti noi Cacciatori… Per una volta, non manca una singola Luce all’appello, parrebbe.-, sussurrò Murda. Panzer e Melchor, poco distanti, osservavano senza parlare.
D’improvviso, senza soluzione di continuità, il Viaggiatore iniziò a brillare. Radianti sprazzi di Luce proruppero dalla crosta frastagliata e ferita della sfera, pezzi si avvicinarono, si saldarono nuovamente all’insieme. Hara frullò nell’aria, agitato ed emozionato.
-Lo sentiamo tutti! È come un cuore… Un cuore che batte!-, esclamò.
-Sì…-, sussurrò Dana, lo Spettro di Panzer, -Sta… curandosi?-, chiese.
-Sembrerebbe di sì…-, mormorò Bela. Lo Spettro di Dalyana, come tutti gli altri in Città, cittadini e Portatori di Luce, osservava quel miracoloso evento.
-Siamo tutti qui. A proteggere la Città.-, disse Panzer.
-L’Oscurità non vincerà.-, dichiarò sicuro Melchor.
Murda e Dalyana annuirono senza parlare. Le loro mani si trovarono e si strinsero l’un l’altra. Un legame indissolubile. Avrebbero continuato a combattere. E sapevano bene dove sarebbero dovuti andare ora.
Verso Europa.

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