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Fellatio cambogiana

By 5 Ottobre 2014Febbraio 9th, 2020No Comments

Preso tra il lavoro e altri impegni, mi ritrovai con poco tempo per vedere Katherine, la mia magnifica scopamica domenicana. Parimenti, lei attese con ansia la domenica. Ci incontrammo felicemente alle 20.00 ad un bar, poco fuori Como.

-Sono felice che tu sia riuscito a venire.-, disse lei. La mia mente già lavorava sui mille doppisensi ma mi trattenni. A stento, ma mi trattenni. -Anche io lo sono.-, risposi infine. Ordinammo da bere e incominciammo a parlare del più e del meno.

Kath passò il novantacinque percento del tempo a bombardarmi di parole. L’assenza le aveva pesato. La ascoltai, commentando e facendo domande ogni tanto. Fu un dieci minuti buoni dopo che lei si placò, permettendomi di parlare con franchezza. La tarda ora, l’eccitazione che sentivo e quella che quasi sicuramente sentiva lei deviarono la conversazione sul sesso e venne fuori che lei conosceva qualcosa noto come fellatio cambogiana. Ora, dato che i suoi erano lontani e avevamo la casa tutta per noi, il passo era ben breve. Comunque, stavolta riuscimmo a finire i drink con calma, Ci guardammo negli occhi. Riuscivo quasi a sentire la sua eccitazione.
Sentii improvvisamente un suo piede, avvolto dalle sole calze posarsi sulla mia patta.
Mi sforzai di restare impassibile.
Il piede prese a muoversi, accarezzandomi il pene.
La domanda mi sorse spontanea, un sibilo appena udibile.
-L’hai mai fatto prima? Questa sorta di sega col piede, intendo?-.
Lei rise, un riso fine, quasi come la brezza del vento.
-Forse sì, forse no.-, rispose criptica. -Ha importanza?-, chiese pochi secondi dopo.
Scossi la testa. Un solo pensiero mi stava occupando il cervello ed era a quello che volevo consacrare la serata.
Pagammo e uscimmo. Faticavo quasi a camminare dritto, tanto ero eccitato. -Katherine? Sei sicura che questo sia necessario?-, chiesi. Mi aveva legato le mani al letto che un tempo occupavano i suoi genitori. Bendato e quindi privo dell’udito, restavano solo tatto, gusto, olfatto e udito a determinare la situazione. Ero nudo, ci eravamo spogliati poco prima. Nessuna parola, avrebbero rovinato ogni cosa.

-Sì.-, il sibilo, imprescindibile e assoluta conferma dei miei sospetti tagliò il silenzio. I passi dei piedi nudi di Katherine non riuscivo a sentirli ma sentivo, da un luogo imprecisato, il suo respiro agitato, fremente di lussuria.

-Ok.-, dissi. Ero impaziente e lo sapevo. Volevo davvero capire cosa fosse quella fellatio cambogiana. Doveva essere una qualche sorta di pompino ma non avevo, proprio non avevo idea di come potesse essere.
D’un tratto sentii un peso aggiungersi sul letto. Katherine si era seduta. Sentii la sua pelle contro la mia, il suo fiato sulla mia cappella. -Succhiamelo!-. ordinai. Sapevo che probabilmente mi avrebbe disobbedito, invece prese a succhiarmelo con notevole maestria.
Trattenni un gemito di piacere mentre lei mi afferrava i testicoli, scendendo con la lingua su di essi per poi risalire. Fluida come una pantera, si distese sopra di me. -Leccamela!-, mi impose. La mia testa era in mezzo alle sue cosce, lo sentivo distintamente, così come sentivo la sua bocca fagocitare il mio pene, ormai rigido come una sbarra di ferro. Presi a leccarle la nera fica a tentoni, privato della vista trovarla era solo più difficile. La trovai umida e bollente. Proprio come volevo. Quello e il pompino mi stavano per fare godere. A tratti Katherine si fermava, emettendo versi di piacere inarticolati.

D’un tratto si fermò.

Prima che potessi chiedere spiegazioni, tornò a succhiarmelo. Stavolta però sentii che nella sua bocca c’era anche acqua calda.

Dopo qualche istante smisi di essere padrone del mio corpo: con un gemito selvaggio e una leccata che fece venire la nera bellezza sdraiata sopra di me eiaculai a grandi fiotti nella sua bocca.

Rimanemmo sdraiati per qualche tempo, ognuno perso nei suoi pensieri. Personalmente rimasi soddisfatto della fellatio cambogiana ma la mia soddisfazione sciamò quando scoprii che Katherine avrebbe dovuto fare un viaggio a Londra: la sua famiglia stava separandosi e lei doveva decidere con chi stare. Le dissi che non era obbligata a scegliere.

Rimasi con lei tutta la notte. A parlare. Ne io ne lei avevamo l’energia per fare di nuovo l’amore dopo quello stupendo sessantanove.

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