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Amo il mio lavoro.
Non mi dilungherò sullo specifico ambito professionale, dico soltanto che sono un tecnico.
Qualcuno troverà insopportabile il pensiero di stare seduto ad una scrivania per otto ore immerso tra pagine di appunti indecifrabili, ma è il mio mestiere e mi piace.
Io sono colui che in ufficio risolve i problemi, sviluppa il progetto, indica ai ragazzi impegnati sul campo come superare le difficoltà.
Eppure a volte mi capita di gradire una variazione del tema e magari, come successe lo sorso luglio, recarmi di persona presso il cliente per dare inizio ai lavori e coordinare le attività.
E’ piacevole sentirsi parte di quel gruppo di instancabili lavoratori, condividere con loro la fatica in un ambiente grigio e polveroso, ascoltare spesso le loro lamentele riguardanti la faciloneria con cui noi, camici bianchi, forniamo le direttive, offrire loro una parola di comprensione e sostegno al fine di non compromettere delicati equilibri.

Come dicevo partii da Milano un lunedì pomeriggio per recarmi presso al punto di ritrovo, in una località di mare nei dintorni di Savona.
Intendiamoci, non sempre si è così fortunati da soggiornare in una località turistica, al contrario i lavori si svolgono di norma in siti industriali lontani anni luce da ogni concetto di natura e svago, ma quella volta fui felice di sapere che ci era stata prenotata una camera d’albergo a poche centinaia di metri dalla spiaggia.
Arrivato sul posto non potei che vedere confermate le mie aspettative. Comodamente sedute sulle poltrone della hall decine di persone visibilmente abbronzate erano impegnate in allegre discussioni mentre sorseggiavano cocktails colorati.
Mi avvicinai al banco della reception e mentre appoggiavo la borsa sul pavimento vidi arrivare i miei compagni d’avventura; Claudio, Francesco e Stefano, già visibilmente alticci e allegramente chiassosi come al solito. Dopo le consuete pacche sulla schiena ed una battuta dopo l’altra, mi congedai da loro il tempo necessario per fare una doccia e presentarmi successivamente al tavolo già imbandito per la cena.
Quando si lavora duramente la cena diviene un’occasione di svago e di relax e le risate sono una costante per tutta la durata del pasto. Francesco in particolare aveva la battuta pronta nel catalogare ogni bella ragazza entrasse nella sala. Era risaputa la sua passione smodata per le belle donne, soprattutto se al di sopra della quarantina e con forme generose nei punti giusti. Claudio e Stefano erano invece più tranquilli, ma ogni tanto anche a loro sfuggiva un’occhiata ammirata al passare di qualche bionda turista nordica o di una giovane mamma col figlioletto al seguito.
A fine del pasto, complici le due bottiglie di vino bianco e due bicchierini di ottimo limoncello artigianale, la discussione sull’universo femminile si era, tra sonore risate, fatta alquanto spinta.
Fu durante un racconto di vita vissuta, da parte del solito Claudio, che mi accorsi di lei.
Stava seduta in maniera composta dinnanzi al tavolo assieme a lei la sua famiglia; il padre, la madre ed il fratellino.
Era molto giovane, non avrà avuto più di diciannove anni, di una bellezza semplice e sensuale allo stesso tempo. Il viso carino con un non so che di piacevolmente malizioso. La vidi alzarsi e voltarmi le palle, mettendo in risalto una schiena generosamente scoperta solo parzialmente nascosta da fluidi capelli scuri.
L’indumento che indossava nella parte superiore, in quanto uomo non saprei dire cosa fosse, era di un bianco immacolato, con una specie di nodo al di sopra dell’osso sacro, e creava in netto contrasto con i pantaloni attillati neri e gli stivali, neri anch’essi con piccole borchie metalliche, che le conferivano un’aria vagamente trasgressiva.
Restammo seduti al tavolo per almeno altri venti minuti fra risate e battute oscene, ma la mia attenzione era concentrata su di lei ed il mio sguardo, di tanto in tanto, si soffermava fugacemente sul suo bel viso.
Com’era logico che fosse, non si accorse della mia presenza, per lei ero meno che trasparente.
Li vidi alzarsi tutti dal tavolo mentre udii suo padre rivolgersi a lei chiamandola per nome: Giada.
Trascorremmo il resto della serata seduti dinnanzi ad un tavolino della hall, giocando a carte e bevendo whisky. Il mio sguardo si aggirava spesso nei dintorni nella speranza di vederla ancora, ma così non fu.
Verso le undici, mentre la testa mi girava per il troppo alcool, invitai i miei compagni a recarsi nella propria stanza per un salutare riposo in vista della dura giornata di lavoro che ci avrebbe atteso la mattina successiva.
Stanze numero dispari le loro… 201, 203, e 205 le loro, pari la mia; 202.
Usciti dall’ascensore imboccammo il corridoio che ci conduceva alle camere.
Improvvisamente la rividi mentre, dopo aver scambiato la buonanotte con i genitori ed il fratellino, si incamminava verso la sua stanza, la numero 204 proprio a fianco della mia.
Salutai i miei amici colleghi, infilai la tessera magnetica nell’apposito vano della porta e la aprii chiudendola subito dopo essere entrato.

Accesi la luce. Ero chiaramente un po’ brillo e leggermente malfermo sulle gambe, ma ciò che mi stupiva maggiormente era quel senso di euforia nel saperla vicina a me, oltre quel muro.
Cercai di levarmi quel pensiero dalla mente e mi spogliai, infilandomi nuovamente sotto la doccia.
Restai diversi minuti sotto il getto d’acqua calda, poi mi asciugai ed indossai i miei calzoncini e la mia tshirt pronto per andare a letto. Erano quasi le undici e mezza. “Ma si, concediamoci l’ultima sigaretta” dissi a me stesso aprendo la porta che dava sul balcone e realizzando che era in comune con la stanza adiacente, separato soltanto da una ringhiera alta circa un metro. Quello che non mi attendevo era di vederla mentre armeggiava con il cellulare intenta ad inviare un messaggio. “Forse è per il suo ragazzo” pensai. Mi sentii a disagio mostrandomi vestito in maniera discinta mentre lei ancora ostentava ancora la sua bella schiena avvolta in quel corpetto bianco. Istintivamente la salutai con un “ciao”, lei alzò lentamente gli occhi ricambiando il medesimo saluto per poi dedicarsi nuovamente al suo iphone.
“Beh… almeno non mi ha detto BUONASERA” dissi a me stesso, sorridendo a quel pensiero.
Accesi la sigaretta e mi appoggiai sulla ringhiera frontale del balcone, espirando il fumo azzurrognolo della Marlboro. Qualche istante dopo lei entrò nella sua stanza lasciando l’anta spalancata e le tende aperte. La seguii con la coda dell’occhio e mi accorsi che l’interno della sua stanza era perfettamente visibile dalla mia postazione. La vidi sparire oltre il bordo del letto e, qualche minuto dopo, sentii lo scroscio dell’acqua.
La mia mente iniziò a lavorare di fantasia immaginando il suo corpo sinuoso sotto la doccia. Mi sentivo eccitato e timoroso nel contempo nella speranza e nel timore di vederla nuovamente apparire. Dopo circa cinque minuti fece ritorno con un telo bianco avvolto attorno al suo corpo, i capelli erano asciutti, lisci e vaporosi, forse aveva usato una cuffietta per non bagnarli. In mano aveva un oggetto bianco che, a una più attenta analisi si rivelò essere un tubetto di crema per il corpo per ammorbidire e rinfrescare la pelle dopo una giornata sotto il caldo sole estivo. Io la vedevo ma lei sembrava non vedere me. Di colpo si sfilò il telo rimanendo completamente nuda dinnanzi ai miei occhi attoniti. Era splendida… la pelle pareva buccia di pesca tanto era liscia e vellutata, i seni erano candidi e sembravano brillare di luce propria nel contrasto con l’abbronzatura circostante, non troppo grandi e perfettamente sodi si sostenevano imperiosi, il basso ventre, privo totalmente di peli, era delicato e mostrava una piccola e deliziosa fessura verticale.
Svitò lentamente il tappo del tubetto, spremette una dose di crema sulla mano ed Iniziò a spalmarla sulle braccia prima e poi sul viso mentre io, immobile nel buio, sentivo la mia erezione crescere dentro i calzoncini. Continuò con la crema sul corpo, sui seni, strizzandoli lievemente. Si sedette poi sul letto agendo alternativamente sulle due gambe. Il cuore mi batteva all’impazzata, avevo il timore che potesse scorgermi e reagire in maniera negativa, ma lei sembrava continuare ad ignorare la mia presenza.
Di colpo sentii le note del mio cellulare appoggiato sul letto. Maledicendo quel suono lentamente entrai nella camera e lo raccolsi infastidito chiedendomi chi fosse a quell’ora, sentendomi in colpa nell’udire dall’altro capo del telefono la voce di mia moglie la quale voleva rassicurarsi che il viaggio fosse andato bene e che la stanza fosse di mio gradimento. Ci scambiammo la buonanotte, riattaccai ed uscii nuovamente sul balcone, accendendo l’ennesima sigaretta.

La vidi sdraiata sul letto con gli occhi chiusi, apparentemente addormentata. Aveva spento la luce del comodino lasciando però accesa quella del bagno, sicché si veniva a creare un gioco di luci e ombre sulle sue curve.
Rimasi parecchi minuti ad ammirarla, guardandomi ogni tanto attorno nel timore che qualcuno potesse scoprirmi.
Nessuno in vista all’interno del cortile verso il quale si affacciavano i balconi dell’albergo, nessuna persona sveglia tranne me. La vedevo respirare lentamente, un braccio abbandonato sul letto e l’altro che penzolava oltre il bordo, le gambe leggermente dischiuse, il viso reclinato sul cuscino. Mi spaventai di me stesso quando mi balenò per la mente il forte desiderio di poterla accarezzare e sentire il suo profumo.
“E’ una follia” mi dissi, “pensa a cosa accadrebbe se si svegliasse, sempre che sia già nel sonno”.
Passarono ancora parecchi minuti vissuti a tormentarmi. Dopo l’ennesima occhiata fugace buttata attorno a me presi d’impeto la decisione; scavalcai la ringhiera, poggiai i piedi scalzi dall’altro lato del balcone e mi incamminai lentamente verso il suo letto facendo attenzione a non provocare alcun rumore.
Era incredibile, mi trovavo a pochi centimetri da colei che, in quel momento, mi sembrava la donna più bella del mondo, poco più che una bambina ma di una sensualità incredibile.
E’ difficile dire quali pensieri vorticavano nella mia mente, quali i timori ed i desideri.
Vidi la mia mano allungarsi per sfiorare i suoi capelli, il mio pene tornò ad ergersi vigoroso all’interno dei calzoncini reclamando ciò che sapevo non sarebbe dovuto accadere.
Lei continuava a respirare lentamente, l’espressione del viso tranquilla, inconsapevole della mia presenza e delle dita della mia mano che sfioravano i suoi capezzoli. A quel tocco sembrò agitarsi in un sussulto quasi impercettibile… rimasi immobile ad osservarla, sembrava che avessero reagito diventando turgidi ma forse era solo una mia impressione. Capivo che era pazzesco ciò che stavo facendo; con la mano sinistra accarezzavo dolcemente i suoi seni e con quella destra mi masturbavo lentamente dopo aver liberato il mio uccello dalla sua gabbia di tessuto.
Continuavo in maniera alternativa a far scorrere la mia mano attorno a quell’asta dura, anche l’altra mano continuava ad esplorare delicatamente quel corpo sinuoso… sulle spalle, sul ventre, sulle gambe, arrivando ad insinuarsi leggermente in quel piccolo angolo di paradiso racchiuso fra le sue cosce.
Lei emise un respiro profondo ruotando leggermente il busto, schioccando appena la lingua sul palato e socchiuse la bocca. La vista di quella lingua e di quelle labbra color ciliegia che parevano invitarmi, mi fecero perdere la testa. Accostai il mio viso al suo e dolcemente leccai quelle labbra mentre continuavo a masturbarmi vigorosamente. Cercavo invano di resistere a ciò che stavo per fare… il mio desiderio era più forte della ragione.
Mi ersi eretto dinnanzi a lei ed indirizzai il cazzo con la mano in modo che la mia cappella, turgida e violacea, entrasse in contatto con le sue labbra. La strofinai leggermente sulla sua bocca, sul suo viso, sul suo naso, ma quelle labbra socchiuse erano un richiamo al quale non potevo resistere.
Puntai il mio sesso eretto all’imbocco di quella apertura ed iniziai a premere verso il suo interno. Mi meravigliai nel constatare la facilità con la quale veniva accolta, un lieve contatto peraltro piacevole con i suoi denti ma, per il resto, la sua bocca si apriva docilmente. Sentivo le sue labbra avvolgermi, la sua lingua toccare la punta della cappella come un morbido cuscino, iniziai a muovermi lasciando che quelle labbra scorressero alternativamente sul membro eretto.
Pazzesco… stavo “rubando” un fantastico pompino ad una fanciulla del tutto ignara di cosa stesse accadendo. Sentivo la mia eccitazione crescere sempre più, i miei movimenti diventavano più intensi, scorgevo la sua guancia dilatarsi per quell’animale impazzito che la invadeva al suo interno. Fu un attimo… pensai a cosa sarebbe successo le avessi sborrato in bocca; sicuramente si sarebbe svegliata ed avrebbe iniziato a gridare.
Estrassi il mio amichetto dalla sua bocca, rimasi qualche istante a guardarla… sembrava che la sua fronte fosse corrucciata, quasi delusa che avessi interrotto quell’incredibile gioco erotico.
Iniziai a camminare lentamente a ritroso allontanandomi da quella figura celestiale, sempre senza staccarle lo sguardo di dosso. Poi mi voltai ed uscii sul balcone, scavalcai nuovamente la recinzione e mi diressi verso il letto. Una miriade di pensieri scorrevano nella mia mente… mi chiedevo se fosse stata realtà oppure un sogno ciò che avevo fatto.
Mi distesi sul materasso e, forse l’alcool o forse la stanchezza, caddi in un sonno profondo.

Alle sette in punto del mattino la sveglia suonò destandomi dal mio riposo. Rasai il viso e mi infilai sotto la doccia. Dopo essermi asciugato mi vestii e mi recai nella sala mensa per la colazione.
Qui incontrai i tre ragazzi col viso assonnato, intenti chi a spalmare del burro su una fetta di pane tostato, chi a bere del succo d’arancia. Altri ospiti dell’albergo, pochi a dire il vero, erano intenti a consumare la colazione; donne con le ciabatte infradito calzate ai piedi e copricostumi colorati, ben diverso abbigliamento rispetto alle nostre tute blu ed agli scarponi antinfortunistici. Guardai subito in direzione del tavolo dove la vidi per la prima volta la sera precedente senza tuttavia scorgere nessuno. Dopo esserci rifocillati salimmo sul furgone e partimmo. L’azienda presso la quale era previsto il nostro lavoro distava una quindicina di chilometri sicché fummo sul posto in meno di un quarto d’ora.
La giornata lavorativa si svolse senza alcun intoppo di rilievo, tutto procedeva secondo i miei piani. Alla una staccammo per pranzare in un ristorante a poche centinaia di metri dall’azienda, poi riprendemmo il lavoro.
Sovente mi tornava alla mente l’immagine di ciò che avevo vissuto la sera precedente chiedendomi se mai avessi avuto il coraggio di rivivere la stessa esperienza.
Alle cinque staccammo, tutto era stato predisposto per la continuazione dei lavori senza che fosse necessaria una mia ulteriore permanenza sul posto e la mattina successiva sarei quindi ripartito per tornare a Milano.
Giunti in albergo ci dirigemmo ognuno verso la propria stanza. Era inebriante la sensazione dell’acqua calda che scorreva sulla pelle lavando via ogni traccia di polvere e fuliggine. Indossai i calzoncini della sera prima ed una tshirt pulita, mi sentivo ancora agitato. Uscii sul balcone nella vana speranza di rivederla ma le ante che davano nella sua stanza erano chiuse e le tende tirate. Mi sdraiai sul letto e mi concessi un’oretta abbondante di riposo.
Alle sette e un quarto circa scesi nella hall, bevvi al bar un aperitivo insieme ai miei amici e poi ci sedemmo tutti assieme al nostro tavolo. I miei colleghi erano instancabili, una dura giornata di lavoro fisico sembrava non aver lasciato alcuna traccia su di loro. Claudio, tra una risata ed una battuta oscena, continuava a lanciare occhiate a due belle signore bionde sedute ad un tavolo lontano una decina di metri dal nostro, dal canto mio controllavo di tanto in tanto che lei arrivasse; e se invece fosse partita in giornata? Se quel giorno stesso lei avesse terminato la vacanza? A quel pensiero mi sentii attraversare da un velo di tristezza ma non lo detti a vedere.
Fu mentre Stefano raccontava la barzelletta della suora e dell’uccelletto entrato in chiesa che la vidi fare il suo ingresso nella sala assieme alla sua famiglia. Stavolta indossava dei calzoni bianchi a vita bassa, corti a metà polpaccio, sorretti da una cintura nera. Le scarpe, anch’esse nere, erano a punta e con il tacco sottile. Di sopra indossava una camicetta chiara di una tonalità sul beige non uniforme, molto corta tanto da lasciarle scoperta la pancia ed i fianchi. Si intravedeva sul davanti una porzione suo giovane bel seno, per il resto nascosto da una canotta marrone. Aveva una collana di grosse perle nere ed alle orecchie due vistosi anelli in argento. I capelli raccolti dietro alla testa le conferivano un’aria più matura. Sedette al tavolo senza degnarmi di uno sguardo… se solo avesse saputo quanto successo la sera prima!
Il pranzo fu ottimo, la serata proseguì allietata da un gruppo musicale che suonava canzoni degli anni 80. La vedevo ogni tanto entrare ed uscire oltre l’uscio del vasto terrazzo apparentemente inquieta, il cellulare sempre a portata di mano. Verso le undici vidi l’intera famiglia alzarsi dalle sedie attorno al tavolino di cristallo e immaginai che stessero andando a dormire. Entrai subito in agitazione ostentando falsi sbadigli per lasciare intendere ai miei amici che era giunta l’ora di andare a letto, ma loro sembravano non volerne sapere. Al contrario Claudio aveva abbordato una donna molto carina ed era impegnato con lei in una cordiale discussione. Lui ci sapeva fare: probabilmente sarebbe riuscita a portarsela a letto nell’arco di un’oretta o poco più. Trascorsa un’altra mezz’ora rinunciai a far loro da balia e mi alzai per tornare nella mia stanza. Ci salutammo con la promessa che ci saremmo rivisti a Milano, magari durante una cena con mogli e fidanzate presenti. Mi incamminai tranquillamente verso l’ascensore ma una volta dentro sentii l’agitazione crescere in me, persino la salita mi sembrava troppo lenta. Una volta apertesi le porta mi incamminai velocemente verso la mia stanza, aprii l’uscio e me lo chiusi dietro prima di premere l’interruttore della luce.

Mi concessi qualche secondo di riflessione, dovevo mantenere la calma. Cercai di non pensare a lei mentre facevo l’ennesima doccia salutare, specialmente con quel caldo. Consueti calzoncini e tshirt e quindi, con apparente noncuranza cercando di autoconvincermi che tutto era tranquillo, uscii sul balcone ed accesi una sigaretta con lo sguardo fisso davanti a me. Appoggiai gli avambracci alla ringhiera e con la coda dell’occhio cercai di sbirciare in direzione delle ante sul suo balcone. L’immagine che vidi spazzò via ogni prudenza. Lei giaceva sdraiata prona sul letto completamente nuda, una gamba distesa e l’altra aperta con il ginocchio piegato. Le mani erano entrambe col palmo appoggiato sul materasso, non vedevo il suo viso perché era nascosto.
Ancora una volta l’erezione mi prese alla sprovvista, il mio cuore iniziò a battere forte. Che fare? Attesi alcuni minuti per accertarmi che stesse dormendo sicché, dopo un fugace sguardo tutto attorno, scavalcai la ringhiera ed entrai nella sua stanza. Mi avvicinai lentamente a lei, girando attorno al letto per vedere il suo viso. Gli occhi erano chiusi, il respiro regolare; era bellissima!
Allungai la mano per toccare quei glutei tondi e sodi, le mie dita accarezzarono dolcemente la pelle liscia come petali di rosa, il mio sguardo si spostò poi nell’incavo fra le cosce e rimasi parecchi istanti ad osservare quel frutto ancora un po’ acerbo ma, ne ero convinto, dolce come il miele. Le piccole labbra appena inumidite e di colore rosa scuro erano seminascoste dalle grandi labbra, glabre e delicate. Le punte delle mie dita, come animate da volontà propria, iniziarono a scorrere lentamente lungo la soglia di quell’antro morbido ed umido, più volte… su e giù, soffermandosi poi a solleticare quel piccolo clitoride e provocandogli un percettibile inturgidimento.
Lei si agitò lievemente divaricando maggiormente le cosce. Le piccole labbra si schiusero un po’ e riuscii a vederle all’interno che erano di un rosa acceso e sembravano bagnate. Posi la punta del dito medio nell’antro di quel paradiso, ed iniziai delicatamente a spingere verso l’interno, nel timore di incontrare l’imene ancora intatto sintomo della sua verginità. Così non fu, il dito penetrò docilmente fra quelle pareti dense di umori vischiosi e profumati, lo retrassi per poi inserire l’indice ed il medio… cominciai con un movimento più sostenuto, su e giù, dentro e fuori.
Sentivo il mio attrezzo che sembrava esplodere tanto era gonfio di sangue, lo sentivo gridare il suo desiderio di sprofondate in quella fonte indicibile di piacere.
Estrassi le dita dalla sua vagina, per tutta risposta lei allargò maggiormente la gamba destra. Le sue piccole labbra erano ora completamente dischiuse e gonfie, imperlate di caldo nettare. Dovevo assaporare quel frutto… accostai il mio viso ad esse e trassi un profondo respiro… il profumo era inebriante. Passai lentamente la lingua lungo la sua fica assaporando quel delizioso sapore aspro e dolciastro… una sola volta, poi capii che non avrei potuto resistere oltre.
Sfilai i calzoncini liberando quel guerriero che si ergeva diritto e possente come non gli accadeva da tempo. Scavalcai il suo corpo con la gamba destra e, piegando il ginocchio ad angolo retto, posai il piede destro sul materasso nello spazio compreso fra il fianco e la parte superiore della sua coscia, mantenendo il piede sinistro ben piantato sul pavimento. Abbassai poi il mio bacino verso le sue natiche soffici reclinando leggermente il bacino e posando sul materasso il palmo della mano destra per sostenere il mio peso. Con la mano sinistra afferrai il mio cazzo che sembrava scalpitare come un cavallo imbizzarrito, lo indirizzai verso la sua fica aperta e bagnata lasciando che le sue piccole labbra baciassero la mia cappella violacea e pulsante. A quel contatto il mio cuore iniziò a battere ancora più forte, spinsi lentamente il pene al suo interno lasciandolo avvolgere dal suo calore finché non arrivai in fondo provocando in lei un flebile gemito ed una leggera contrazione dei muscoli pelvici.
Se avessi potuto ragionare avrei pensato che si sarebbe potuta svegliare da un momento all’altro, ma era troppo tardi per fare appello alla mia ragionevolezza: in quel momento ero un animale dotato di solo istinto. Iniziai a scoparla, prima lentamente e poi sempre con maggiore impeto, finché le mie articolazioni non cominciarono a lamentarsi per la loro precaria posizione. Tornai con entrambi i piedi sul pavimento e tentai di spostarla verso il centro del letto. Dopo qualche tentativo lei dette improvvisamente uno strattone e facilitò il mio lavoro, ritrovandosi distesa sulla pancia quasi al centro del tetto con le gambe leggermente schiuse. Attesi qualche istante e poi, Incurante del rischio, mi sdraiai su di lei cercando di non gravare troppo sul suo corpo. Stavolta ebbi qualche difficoltà a penetrarla dato che la sua fica era stretta fra le cosce, ma non mi persi d’animo finché non le fui ancora dentro. Ricominciai a scoparla, con il cazzo che alternava il suo movimento come uno stantuffo, ed ogni volta che mi ritraevo l’asta sfregava all’interno delle sue cosce. L’impeto mi prese, il mio bacino sbatteva sulle sue chiappe sode, il respiro si faceva sempre più affannoso, sentivo il seme ribollirmi dentro. Ma non mi bastava… volevo guardarla in viso, volevo capire se lei nel sonno provava qualcosa. La voltai delicatamente sulla schiena; quei seni statuari erano uno spettacolo per i miei occhi, il suo viso arrossato ma disteso. Mi inginocchiai davanti al suo ventre mantenendo il busto ritto, entrai nuovamente dentro di lei allargando le sue cosce e sostenendole con le mie braccia.
Continuai a chiavarla con impeto sempre maggiore, vedevo i suoi piccoli seni ondeggiare, la sua bocca era dischiusa, sembrava strizzasse un po’ gli occhi ogni volta che spingevo con particolare energia. D’improvviso lei sembrò irrigidirsi, le dita delle sue mani parevano voler afferrare il lenzuolo, inclinò lievemente la testa indietro trattenendo il respiro mentre percepivo numerose piccole contrazioni attorno al mio pene.
“Sta avendo un orgasmo!” realizzai incredulo. Quel pensiero mi fece letteralmente impazzire! Iniziai a spingere profondamente con un ritmo forsennato, sentivo il mio uccello sguazzare dentro quella fica stretta, calda ma ora anche incredibilmente bagnata. Bastarono un paio di minuti per rendermi conto che stavo per esplodere…
Estrassi il cazzo continuando a masturbami; fiotti di sperma caldo fuoriuscirono dall’orifizio schizzandole addosso fino a depositarsi sul collo, poi altre contrazioni, altro sperma sui suoi seni e sulla pancia. Sentivo la mia mente svuotarsi, temevo che sarei potuto svenire in quell’apoteosi di piacere.
Solo passati quegli istanti sentii quanto affannoso fosse il mio respiro, e quanto il silenzio fosse assoluto tutto attorno.
Scesi dal letto riponendo delicatamente le sue gambe sul materasso, poi la osservai a lungo cercando di imprimermi nella mente quell’immagine affinché non potessi mai dimenticarla.
Vedevo il mio sperma sul suo corpo che tendeva a gocciolare sulle lenzuola, non avendo con me fazzoletti di carta non potei far di meglio che asciugarla con i miei calzoncini. Sorrisi al pensiero che, nell’eventualità fosse stato necessario, avrei potuto giustificarmi con mia moglie adducendo ad una polluzione notturna quasi fossi stato un adolescente.
Un’ultima fugace occhiata e tornai nella mia camera, mi distesi sul letto e caddi immediatamente in un sonno profondo.

Mi svegliai il mattino seguente attorno alle nove e, non avendo alcuna fretta, me la presi comoda. Mi feci la barba seguita da una calda doccia corroborante, mi vestii, riempii la borsa e pochi minuti dopo ero alla reception dove consegnai la tessera magnetica, quindi mi recai nella sala mensa per mangiare qualcosa.
Non appena entrai la vidi subito. Era seduta al tavolo da sola, intenta ancora una volta ad inviare messaggi con lo smartphone. Aveva i capelli raccolti in una coda, gli occhiali da sole a nascondere il suo sguardo, indossava un prendisole color marrone dal quale si intravedeva la spallina di un costume da bagno rosa, ai piedi calzava dei sandali infradito.
Mi ignorò completamente fino a quando mi sedetti anch’io ad un tavolo poco distante e lasciai cadere rumorosamente la borsa a terra. Solo a quel punto la sua attenzione venne distolta dalla tecnologia e sollevò brevemente la testa per qualche secondo, poi riprese a digitare sulla tastiera del cellulare.
Mi alzai per servirmi la colazione, presi caffè, succo d’arancia, brioches e toast con marmellata.
Cominciai a mangiare lanciandole ogni tanto uno sguardo nella speranza vana che si accorgesse di me.
Poi la vidi scrivere qualcosa su un pezzo di carta, quindi si alzò raccogliendo una borsa dalla quale spuntava l’orlo di un telo da spiaggia rosso e si incamminò dirigendosi verso… me!
Sentivo il mio cuore sussultare, si fermò di fianco al mio tavolo, sollevò gli occhiali da sole e mi sorrise guardandomi fisso negli occhi e porgendomi quel pezzo di carta, poi riprese il suo cammino verso l’uscita senza voltarsi.
Rimasi inebetito qualche istante, incapace di fare altro se non respirare la sua scia di dolce profumo.
Abbassai quindi gli occhi verso quel biglietto: “Grazie per la splendida serata!”, messaggio condito dal disegnino stilizzato di due labbra.

Mi sono sempre chiesto come sarebbe cambiata quell’esperienza se anche lei avesse partecipato attivamente a quella notte di passione, come sarebbe stato bello poterla guardare negli occhi, ma forse non avrei provato quelle emozioni legate alla consapevolezza di aver compiuto qualcosa di assolutamente proibito.
Chissà adesso dove sarà e cosa mai starà facendo quella piccola e deliziosa donna capace di prendersi gioco di questo attempato uomo. Me la immagino sorridere intenta a ricordare gli avvenimenti di quella notte, spero soltanto possa essere un sorriso dolce, come il ricordo che porterò io di lei.

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