Skip to main content

Questi lacci segano i polsi solcandomeli e gonfiandomi moderatamente le dita, poiché sono diventate ormai più rosse delle mie unghie perfette. Solamente poco fa, invero, davano fasto e sfoggio di grazia attorno a un bicchiere di Sherry, mentre scartavano con garbo un cioccolatino, ben sapendo che sarebbero finite legate con una calza alla spalliera d’un letto. E soltanto poco fa lui mi cingeva adorabilmente i fianchi, premendo leggermente la seta come si deve a una bella signora quando nasce un’intesa che leggera avanza, quando ancora nella commedia si fa finta d’essere anonimi in incognito. In seguito, tutto come al solito, la scena svanisce e rimane un odore di casa, di fritto, di sughi, la tavola ancora apparecchiata e i cuscini del divano scomposti, dove lui che mi cinge i fianchi guardando l’orologio a pendolo sopra la porta visibilmente in estasi, frastornato dalla veduta delle mie gambe accavallate.

Ho capito che era giunta l’ora, il minuto durante il quale tutte le sere percorriamo quest’addossato e compresso corridoio che ci porta dritti in camera da letto, perché ogni sera mi sbatte contro la credenza che dice sia antica, mi bacia il collo e poi il seno destro, credendo da anni, che mi procuri più piacere dell’altro, che non possa fare a meno di queste sue labbra che stringono il capezzolo e giuro mi creano solamente dolore, eppur questo seno gonfiato da ferretti e da imbottiture, serve unicamente alla sua lussuriosa eccitazione, soddisfa soltanto le sue richieste per farmi apparire un’avvenente puttana alla sua sicurezza di sentirsi protetto e al tempo stesso bambino. Premendolo con le mani, infatti, lui lo succhia come se uscisse riempiendosi la bocca di liquido caldo, perché alle volte mi rammarico rattristandomi e rincrescendomi di non potergli offrire. Lui insiste, incalza, prosegue sebbene io abbia le tette aride, lo lascio sennonché succhiare, finché le sue mani salgono e scendono per sentirmi più bella, per convincersi che anche stasera io ho diligentemente obbedito per filo e per segno alle sue bizzose e lascive voglie, che gonfiano irriguardose e sfacciate quei boxer, che nessun uomo decente e presentabile porterebbe ancora.

Lui mi palpa sotto la gonna, per assicurarsi avvedutamente che le mutande siano sempre le stesse, che il reggicalze che indosso non abbia cambiato colore e che i merletti che tra poco d’un niente slaccerà conoscendo a memoria i gancetti. Lui mi tocca fino dove le mie cosce diventano umide, però è soltanto risentimento, sforzo e sudore d’essere obbligata a indossare calze di nylon in pieno settembre. La camera da letto ha lo stesso profumo di vaniglia di sempre, così come il tovagliolo ricamato che sopra la lampada accesa diffonde la luce dove il suo sguardo assente segue un percorso illogico e incoerente, che io non conosco né che negli anni in nessun caso mi è stato concesso d’entrare.

Adesso sono qua, con i polsi legati alla spalliera di quel letto in ferro battuto, indiscutibilmente rivoltata che aspetta il colpo di grazia con la faccia schiacciata contro la sua ombra, che s’allunga sul muro e dà tono e dimensione al suo cazzo altrimenti normale, diversamente sotto la media. Io ho conosciuto solo questo tipo di sesso, soltanto questo bislacco e insolito modo di fare l’amore, che per quanto il mio piacere possa capire, non credo che non ci sia di meglio, come non credo che una donna a questo mondo debba arrivare all’orgasmo, pensando che tra poco ne arriverà un altro, comprensivo e generoso nella testa e in mezzo alle gambe. Dopo un altro e un altro ancora che insieme mi riempiranno quelle sacche di piacere, che mio marito ogni sera tralascia svuotandomi la mente, che adesso ha già lasciato questa casa per strade di notte che non hanno città né ricordi, dove l’oscurità è più nera, fermamente affollata d’avanzi e di rifiuti, che solamente all’alba i netturbini spazzeranno via insieme ai miei tacchi che ho lasciato per strada impigliati in un tombino.

Al momento c’è un vento sottile che mi solleva la gonna di stoffa leggera e s’insinua nelle pieghe nude di sesso, che tra poco qualcuno nominerà senza sapere il mio nome, che tra poco più di qualcuno ne abuserà senza conoscerne il colore. Inoltre non chiederanno da dove vengo e perché sono scalza, giacché ho deciso di saziarmi della loro compagnia, che a ogni secondo che passa diventerà più intraprendente come quei ridicoli sessi di maschio, che incontrollabili premono da sotto la chiusura lampo e che gonfiano la patta cercando d’uscire. Non trovo però la strada, un signore galante s’avvicina offrendomi la sua mano, è palesemente timido e balbetta parole che vorrebbero essere d’avviso, come i suoi occhi fissi sulla strada che curva come il mio vestito di seta leggera, che se non fossi nel sogno starebbe meglio indosso a quella bella puttana che mi guarda e m’invidia, perché non sono più da sola, perché tra poco quest’essere vestito di nero mi gonfierà sesso e borsetta.

Lui mi svela parole e vocaboli, come se parlassi il suo stesso linguaggio, come se facessi il suo stesso mestiere, come se le stessi rubando questo mezzo uomo che a fatica si regge in piedi da solo, io vorrei scusarmi dicendo che quest’uomo mi sta soltanto accompagnando dove il mio sesso non sente ragioni, è solo il mio angelo nero che mi consegnerà a quella fila d’uomini che ogni sera m’aspetta, malgrado ciò la voce ruvida e tagliente che esce è simile a quella di mio marito, che mi convince che nel letto non sono all’altezza, che non merito quel sesso ripieno di sangue, che ora m’illude di non poterne ricevere di meglio.

Tra meno d’un respiro mi chiamerà vacca invereconda e nello stesso momento mi slegherà una mano per rivoltarmi di fianco, poiché non c’è ragione che io possa pensare qualcosa di diverso, che magari mi prenda contro lo specchio o apra la finestra, per farmi annusare la nebbia mentre da dietro continua a mordermi il collo. Non c’è ragionamento che mi trascini nel bagno e mi faccia truccare di nuovo, affondando sul viso il rossetto e il mascara fino ad assomigliare a quella che adesso nel sogno s’inginocchia, davanti a una fila ubriaca d’uomini che esce da una bettola poco lontano. Non c’è misura né ponderatezza che io li sogni, mentre mi riempiono ogni posto che il mio corpo può offrire, come non c’è giustizia che attualmente sdraiata quest’uomo mi fotta nell’unico posto, che m’identifica e che mi realizza sia come femmina che come puttana. Lui mi chiamerà Eva per sentirsi più uomo, per accertarsi e per convincersi che non sono cambiata e che il suo piacere può stare tranquillo, per chissà quante altre notti. Tra poco slegherà anche l’altro polso e di sicuro mi rimprovererà di non essere stata cagna né lasciva abbastanza, giacché a metà del suo orgasmo m’obbligherà a provare piacere, perché non sia mai che io possa godere dopo il suo piacere, perché non sia mai che una donna possa sentirsi insoddisfatta, quando l’uomo non può più dominarla né sottometterla.

Date le circostanze rientrerò nel sogno, contando quanti uomini insieme m’hanno presa, adoperata e usata in mezzo alla strada, cronometrando e soppesando la mia vergogna negli occhi di quella puttana, che orienta in maniera eloquente ed efficace lo sguardo sia per malcontento che per timidezza. Io mi concentrerò cercando di fare più in fretta, meditando a quanti uomini ancora, attenueranno e diluiranno rabbia e passione in egual misura dentro questa cisterna, e per quante notti dovrò ancora uscire di casa, così, durante il tempo in cui sento le urla di piacere di mio marito io mi consolo, mi rincuoro pensando che grazie al mio messaggero divino non mi sono mai persa, e che quegli uomini tolleranti e pazienti m’hanno costantemente aspettato.

Adesso senz’eccezione, a ragion veduta, quest’uomo che attualmente mi dorme accanto m’ha sempre ritrovata al suo fianco dopo l’amore.

{Idraulico anno 1999} 

Leave a Reply