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La trasformazione di Jennifer – Cap.9

By 15 Aprile 2020No Comments

Il lunedì mattina Jennifer si presentò in ufficio puntuale. Marco non le aveva dato disposizioni. Si vestì da vacca da monta. Aveva un minivestitino rosso con molte trasparenze. Rossetto abbondante sulle labbra carnose. Un po’ di trucco sugli occhi e un paio di scarpe che le allungavano le gambe in modo vertiginoso. Il suo metro e settanta diventava un abbondante metro e ottanta. Si sentiva bene, eccitata seppur impaurita. Appena entrata salutò Carla, al front office, che la guardò sogghignando, con uno sguardo gelido come quello di Amilcare. Un brivido le corse lungo la schiena. Andò a trovare Marco che la salutò di corsa. Entrò nella sua stanza, accese il computer e cominciò a lavorare. Dopo neanche un quarto d’ora entrò nel suo ufficio Amilcare che la squadrò e le disse: immediatamente nel mio ufficio. Seguimi, carponi, troia! Jennifer scattò e si mise carponi, arrivò all’uscio e Amilcare le mise un collare, le attaccò un guinzaglio e la fece camminare carponi di fianco a lui. Aveva un passo svelto e Jennifer faceva fatica a tenere il passo. Attraversarono tutto lo studio, in quanto i rispettivi spazi erano agli estremi. Sfilò davanti a tutti i colleghi, e arrossì mentre tutti la guardavano e la indicavano all’altro. Era ormai chiaro il suo ruolo.

Entrarono in ufficio del capo.

L’ufficio del capo era una specie di appartamento, aveva lo studio, una mega sala riunioni, un salotto e un bagno immenso. Entrata in ufficio impietrì. Vide Marco, seduto sul divano e invece Carla nuda con le scarpe tacco 12 a punta. Legati a un palo Giovanni e Michele. Carla li stava prendendo a calci nei testicoli. Marco e Carla ridevano, mentre i due ragazzi piangevano per il dolore.

Appena dentro Amilcare si girò di scatto verso Jennifer, si abbassò, e le mollò un sonoro manrovescio, gridandole: brutta cagna, quando entri qui dentro il primo che vieni a ossequiare sono io, sono io il capo del tuo padrone, e le mollò un altro ceffone. Poi le prese il vestito, da dietro e le strappò la parte alta mettendo a nudo il seno. Amilcare le intimò di mettersi in posizione. Poi ordinò a Carla: vendicati.

A Jennifer un brivido di paura scorse lungo la schiena. Si posizionò e vide avvicinarsi le scarpe di Carla. Appena vicina, senza pietà sferrò un calcio alla tetta destra di Jennifer che urlò per il dolore e cominciò a piangere. Ma le arrivò un altro calcione, e poi Carla si abbassò urlandole di smetterla di frignare. Jennifer non sapeva cosa fare, cercò di non urlare più, ma Carla si divertì a prendere a calci le sue povere tette. Al decimo calcio, Jennifer non sentiva più nulla. Le girava la testa. In quel momento Carla la prese per i capelli, la sollevò e le ordinò di prendere a calci i due maschi legati. E se non li avesse fatti urlare, le avrebbe inferto un’altra serie di calci. Jennifer si avviò barcollando verso Giovanni e Michele che la pregavano di non farlo. Ma lei per istinto di sopravvivenza cominciò a prenderli a calci nei testicoli facendoli piangere. Mollò una serie di una decina di calci a testa. Carla la fece smettere. Andò a slegare i due, li fece mettere carponi e disse a Jennifer: tu prendi a calci Michele e io Giovanni. I due erano distrutti e le due donne sembravano felici. Si stavano vendicando sui due maschi di tutte le angherie subite. Amilcare e Marco sorridevano guardando la scena.

Amilcare si alzò, andò verso Jennifer, la fermò. Prese Jennifer, osservò le tette rosse e bluastre. Prese il suo frustino e la fece inginocchiare. E cominciò a frustarle il seno. Cinquanta frustate. Si divertiva a martoriare il povero seno di Jennifer. Il suo orgoglio. Poi glielo mise in bocca e se lo fece succhiare. Intanto Carla lo succhiava a Marco. Jennifer vedeva la scena e un moto di gelosia la prese. Aveva rabbia e gelosia nei confronti di Carla, come si permetteva di succhiarlo al suo padrone? Amilcare dopo poco venne, diede il frustino a Jennifer e le disse: vai e frusta la mia cagna. Non se lo fece ripetere due volte, arrivò da dietro, prese per i capelli Carla e cominciò a frustarla con tutta la sua forza, sul seno, sulla schiena, sulle gambe. Sembrava indemoniata, la massacrò con una tale forza, con un tale odio che a un certo punto Carla si trovò rannicchiata in posizione fetale per cercare di difendersi dai colpi. Marco intervenne e la fermò. Sembrava una furia.

A quel punto si accasciò in ginocchio e osservava la scena. C’erano Giovanni e Michele che piangevano tenendosi i testicoli. Lei aveva le tette viola, la faccia sfigurata dal dolore e dal pianto. Carla era piena di segni di frustate. Amilcare intanto si avvicinò alla sua schiava. La prese per i capelli e la trascinò vicino al divano. Si sedette e la guardò che piangeva per il dolore. Prese una nuova frusta con anima in metallo, e mentre la sua schiava era davanti a lui, sdraiata a con il seno in bella evidenza, cominciò ad abbattere i suoi colpi. Con il solito metodo, gelido e matematico. Tutti osservarono la scena, e provarono un moto di pietà verso Carla, che subiva colpi fortissimi. Dopo un po’ si fermò e ordino ai due, Giovanni e Michele, di inculare insieme Carla. I due non se lo fecero ripetere. Trascinarono in mezzo alla stanza Carla, Michele si mise sotto di lei e Giovanni gli prese il membro e lo infilò nell’ano di Carla che non disse nulla. Poi dopo con un colpo di bacino entrò anche lui. Il buco era orrendamente aperto e i due davano colpi vendicativi. Carla piangeva ma non diceva nulla. Le spaccarono per bene il suo povero buchetto per molti minuti, e alla fine vennero.

Marco e Jennifer guardavano la scena. I tre erano schiavi di quel sadico di Amilcare. Lei era schiava di Marco e forse un trattamento del genere se lo sarebbe risparmiato. Forse.

Giovanni e Michele avevano appena finito di svuotarsi dentro le viscere di Carla, che Amilcare tranquillamente disse:

        siamo ormai in pausa caffè. Le due cagne nella stanza dei pompini, e le due latrine nella loro stanza.

La stanza dei pompini era così chiamata perché durante la pausa caffè tutti i maschi dell’ufficio andavano a svuotarsi nella bocca di Carla, a cui ora ora si aggiungeva Jennifer. I maschi in ufficio erano 30 e adesso ognuno poteva ricevere un pompino da ognuna di loro. Il tempo che avevano per venire era di 10 minuti a testa per schiava. Ogni minuto in più o in meno significava una frustata da parte di Amilcare per le due schiave. Nella stanza c’erano due luoghi separati, nei quali le due schiave aspettavano i maschi per poi ricevere in bocca il loro seme e ingoiare. Carla sapeva dei 10 minuti. Jennifer no. Giovanni e Michele erano invece le latrine maschili. Avevano il loro spazio. Aspettavano in ginocchio e bevevano le pisciate di tutti i maschi. Si erano ridotti così entrambi perché avevano avuto bisogno di soldi e Amilcare glieli aveva prestati, ma avevano firmato un contratto per cui se non facevano tutto quello che il loro padrone desiderava, dovevano restituire 10 volte la cifra.

Le due ragazze si avviarono alla stanza, Carla davanti e Jennifer dietro. Carla indicò lo spazio di Jennifer che si mise in ginocchio, e Carla si accomodò nel suo. Marco aveva studiato un meccanismo che calcolava esattamente i minuti di durata di ogni maschio, in base all’entrata e all’uscita dalla postazione. Tra l’entrata e l’uscita dovevano passare dieci minuti. Ogni minuto in più o in meno erano una frustata.

Entrò il primo, un ragazzino di 22 anni, lo tirò fuori e Jennifer lo succhiò. In pochi minuti venne e se ne andò, poi il secondo, il terzo e altri. Ognuno venne in poco tempo, perché tutti avevano desiderato la bocca di Jennifer. A un certo punto entrò uno che Jennifer si ricordava bene, non il nome, ma proprio la persona. Lavorava in amministrazione, era vecchio, sui sessanta e rotti anni. Lei lo aveva soprannominato con Carla il bavoso. Doveva succhiarlo anche a quello, ormai aveva perso il conto di quanti ne aveva leccati e di quanti le erano venuti in bocca. Per fortuna tutti abbastanza velocemente. Alcuni si erano divertiti a tenerle la testa ferma con il loro membro infilato in gola per farla soffocare, ma duravano poco. Un altro l’aveva presa per le orecchie e tirata a sé per darle fastidio, ma anche questo era durato forse cinque o sei minuti. Il bavoso invece, era passato prima da Carla, e si era svuotato per bene. E Carla ci aveva messo 12 minuti a farlo venire. Come tutte le volte precedenti. Il bavoso sapeva che dopo la prima venuta sarebbe venuto difficilmente una seconda volta. Così lo avrebbe tenuto in bocca a quella puttanella di Jennifer che lo aveva soprannominato il bavoso più a lungo, regalandole altre dolorose frustate. Jennifer però era ignara. Se lo trovò davanti con il membro molliccio. Sapeva pure di piscio, perché quello dopo essere venuto in bocca a Carla, era andato a svuotarsi nella latrina, in particolare aveva scelto Giovanni. Jennifer lo prese in bocca ma il suo membro non voleva svegliarsi. Lo leccò, gli leccò pure le palle, ma nulla, sembrava svenuto. Finalmente dopo un po’ cominciò a indurirsi e Jennifer pompava furiosamente per farlo venire. Le facevano male le mandibole, non aveva più saliva, ma continuò e dopo 24 minuti finalmente il bavoso venne. Un piccolo fiotto di seme le inondò la bocca che lei inghiottì. Il bavoso la guardò sadicamente, mentre lei rispose con uno sguardo schifato. Andò via ridendo.

Carla più esperta con i primi 5 ci mise lo stesso tempo di Jennifer coi primi 15. Alla fine Carla aveva accumulato tra minuti in più e in meno solo 18 frustate, Jennifer 122, molte per colpa del bavoso. Ma ancora non lo sapeva. Amilcare entrò nella stanza dei pompini. Le due ragazze avevano il viso sfatto e le mandibole facevano loro male. Amilcare guardò Carla, le disse di avvicinarsi e dopo gelidamente sospirò:

        brava la mia cagnetta, meno del solito ma brava, hai accumulato solo 18 frustate.

Jennifer sgranò gli occhi e non capì, il vecchio porco se ne accorse e rise algidamente, poi la guardò, guardò Carla, e poi rivolto a quest’ultima:

        Non glielo hai detto dei 10 minuti a pompino, e che ogni minuto in più o in meno era una frustata

        No padrone

        Brava, ottimo

Jennifer capì tutto, e soprattutto capì perché Carla ci metteva così tanto. Pensava che fosse stupida e invece…

        Dunque tu hai accumulato 122 frustate

No ti prego basta non ce la posso fare…pensò fra sè

Cominciò da Carla che prese tutte le sue frustate sul seno in ginocchio. Piangeva ma non abbassò mai lo sguardo. Poi toccò a Jennifer, il cui seno era ancora violaceo per i calci e le frustate ricevuti. Si mise in ginocchio, ma il sadico le disse di alzarsi e di piegarsi a novanta gradi. Il seno penzolava fuori dai brandelli del vestito. Sentì il sibilo feroce che le colpì l’attaccatura del seno sinistro. Ricevette tutti e 61 i colpi in quel punto. Poi passò al seno destro. Stesso punto, stessi sibili, stesso dolore. Il dolore era arrivato al parossismo. Quando finì cadde a terra.

In quel momento arrivò a soccorrerla Marco, che l’aiutò ad alzarsi e la portò barcollante nel suo ufficio. Le mise un unguento sui seni, la accarezzò e le disse che era stata brava. Se fosse stata un cane avrebbe scodinzolato al suo padrone, ma si limitò a un sorriso.

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