Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti EroticiRacconti Erotici Etero

Leale, schietta e profonda

By 22 Dicembre 2020No Comments

Lui l’aveva da sempre immaginata in quella precisa maniera, ideandola ed escogitandola a fondo così. In realtà, erano anni, che architettava fantasticando su come avrebbe voluto impudicamente e lascivamente condurre quell’occasione, anni invero, in cui non era ancora riuscito a sbattere né a confinare opportunamente il suo essere, nell’imprevista quanto sostanziosa e rilevante occasione. Sì, perché in fondo, lui non era alla ricerca di quella donna, di quell’essere perfetto, no, al contrario, lui desiderava e ambiva altre cose, auspicava fortemente investigando in ultimo di vivere solamente a fondo quella ghiotta occasione, perché in definitiva di quella donna a conti fatti poco gl’importava.

Aveva estesamente trascorso anni della sua vita cercando di raggiungere e di concretizzare un livello di conoscenza di sé a dir poco perfetto, tempo quest’ultimo irreparabilmente accantonato negli anni fatto d’innumerevoli secondi, di molteplici istanti, d’incalcolabili respiri compiuti fra una tirata di sigaretta e l’altra, fatti di sospiri e di rimpianti d’una ossessionante quanto martellante intensità. Lui era un inusuale osservatore, un anomalo esploratore, un atipico ricognitore del mondo femminile, in quanto aveva iniziato fin da piccolo, quando ancora con le braghette corte s’intrufolava in modo mesto, laconico e introverso nelle librerie della sua città d’allora. Una città in effetti alquanto piatta, grigia, nebbiosa, ma indiscutibilmente creativa, fantasiosa, fertile e ricca per lui di grandi opportunità d’approfondire, in quella fase della vita in cui tutto è certamente una rivelazione emozionante, è immancabilmente una scoperta eccitante, una confidenza allettante, continuamente un ritrovamento esilarante e assiduamente una promessa spassosa.

Lui entrava là dentro quei negozi di libri, peraltro in modo noncurante, a tratti pressoché indisciplinato, curiosando e spiando, seguito dagli sguardi delle attonite e sbigottite commesse, fiondandosi lestamente nel reparto della letteratura spinta che ti bagna, perché lui in quel periodo la definiva catalogandola in quel modo, etichettandola e bollandola in tale maniera. Lui aveva bisogno di guardare, la necessità d’annusare, l’esigenza d’osservare e infine di leggere e di decifrare quei sacri testi, che gli avrebbero trasformato ben presto irrimediabilmente la visione da normale a eccelsa. Lui leggeva e s’informava, incamerava e valutava, guardava e imparava, memorizzava e ogni tanto girava la testa quasi fischiettando, come se quello che stesse facendo non fosse interamente adatto né calzante alla sua giovane età. Lui fantasticava, arzigogolava e si beava, congetturando a fondo nell’esaminare con dovizia l’anatomia umana femminile, quel mistero d’organi curvi.

Con una precisa opulenza e con una determinata dovizia, lui familiarizzava perdendosi con quei termini e con quelle stuzzicanti immagini, divagandosi con parole nuove come utero, vagina, perineo, grandi e piccole labbra, clitoride, uretra e guardava la trasformazione di quelle strane parole nella nascita d’un essere chiamato femmina. Sì, perché lui in modo radicato, nella sua immaginazione di fanciullo, assisteva presenziando per la prima volta alla trovata della sua mente, il parto della figura che lo avrebbe segnato e marchiato drasticamente e violentemente nell’intimo per sempre, giacché avrebbe inaspettatamente ritrovato in se stesso così vicino, come direbbe un poeta: “poiché la tua mano sul mio petto è la mia stessa”. Nel crescere lui sentiva quest’attrazione intimamente oltre nel corpo, perché stava sviluppando e potenziando una sorte di nuovo recettore nervoso, affine solamente all’odore di donna. Girava passeggiando per la città, annusando come un cane da fiuto l’effluvio dell’aria alla ricerca di quel particolare e caratteristico odore, che ben presto qualche tempo dopo lo avrebbe diffusamente inebriato nell’anima e dettagliatamente nella mente, esaltando definitivamente quella sua predisposizione naturale ad amplificare il corpo d’una donna. Ebbene sì, lui l’aveva svisceratamente ideata e straordinariamente stimata da sempre così.

Il suo rapporto con il corpo femminile prese essenzialmente forma, quando per la prima volta vide sua madre completamente nuda, mentre lei tutt’altro che imbarazzata per la curiosità di suo figlio, attratta a sua volta per il suo bizzarro interesse, si prestava facendogli esplorare il concetto di corpo, come fosse la sua prima maestra, peraltro conscia e informata del suo ruolo non incestuoso. Lui diventò grande così, il corpo femminile gli apparteneva da sempre, a tal punto che scoprì più tardi in età più matura d’incarnare una femminilità intensa, intima e insopprimibile, che lui localizzò sempre a livello del ventre. Il suo ventre divenne femmina mentre il suo corpo era maschio. Si potrebbe enunciare uno strano scherzo della natura, ma in realtà molte donne, femmine vere, gli riconobbero nel corso degli anni a venire una sensibilità femminile assoluta non riscontrabile né comune nel fare l’amore. Qualcuna addirittura si spinse a dirgli che la sua lingua era femmina e che sapeva leccare e assaporare una donna come nessun uomo poteva saper compiere. Già, lui l’aveva immaginata da sempre così, stavolta però l’occasione assoluta e inattesa improvvisamente gli arrivò senza che lui se ne accorgesse davvero.

Lei era bellissima, senza dubbio alcuno appetibile e desiderabile, mentre era seduta nell’angolo d’un bar in una notte invernale d’un piccolo borgo di montagna. Fuori la neve cadeva in maniera abbondante e il manto bianco era già diventato alto più d’un metro, eppure lei non se ne curava molto. Quell’incupire era la sua sera, l’imbrunire della libertà anelata, bramata e fortemente voluta, quella sera si mise nell’angolo del bar con il suo vestito nero ornato, elegante e per di più attillato, dipingendo le sue forme perfette. Quell’indumento in realtà scivolava su di lei, così come farebbe l’acqua sopra una superficie perfettamente liscia e senz’alcuna irregolarità, pennellava di nero le sue forme con una grazia da rendere l’aria intorno a sé rarefatta dalla bellezza e dall’eleganza.

Tutti, nel bar, non potevano distogliere lo sguardo dall’avvenenza del suo corpo di femmina, ma era la serata della libertà e la scelta poteva farla solamente lei. Lui l’aveva ideata e teorizzata da sempre così. Uno sguardo repentino all’amico al bar, mentre si scrollava la neve dal piumino nero ed entrava al caldo di quell’ambiente familiare. Era il locale ove tutte le sere smontando dal lavoro si fermava per parlottare bevendosi quell’agognata birra. Lui e il barista si conoscevano da anni e c’era quella sorte profonda di correità maschile che parlava l’idioma del linguaggio non detto, degli sguardi, dei cenni appena velati, come se fossero i segni segreti e le annotazioni inconfessate d’una partita di briscola.

Fu subito chiaro che il suo amico barista voleva riferirgli qualcosa d’importante e d’autorevole, più cose urgenti e incalzanti naturalmente, mente voltava noncurante lo sguardo verso sinistra. Lui lo seguì con gli occhi, quei suoi occhi verdi e vide la bellezza. Lui sapeva, era al corrente, che una donna così non sarebbe stata di facile approccio, anche perché alla fine lui in realtà non stava cercando di rimorchiare una donna qualsiasi. No, lui voleva molto di più, lui richiedeva l’anima, il cuore e il corpo anche per una sola notte. Lui sapeva che un sorriso, uno sguardo, una movenza non sarebbero state che foglie al vento nel gelo di quell’inverno, supponeva che avrebbe dovuto portare lei a incuriosirsi di lui, a desiderarlo. Un bicchiere di vino rosso e niente birra. Il barista gli versò con classe uno splendido vino rosso di color rubino delle terre del nord e immediatamente quel profumo fruttato entusiasmò il locale ancor prima d’inebriare lui.

Adagio, con mano decisa e sinuosa, roteava quel calice con una delicatezza e con una sensualità che sembrava facesse l’amore con il vino. Lei lo notò all’istante, i loro sguardi s’incrociarono improvvisamente fondendosi, mentre i suoi occhi verdi penetrarono direttamente senza problemi né orgoglio alcuno, in quelli di lei che rimase un attimo smarrita, rifugiandosi prontamente nel vino rosso del calice, che continuava a roteare incessantemente. Lui sapeva che una parola di troppo avrebbe spezzato quell’incantesimo temporaneo e con un piccolissimo gesto di galanteria le porse il suo calice ancora della sua mano, lei in quella circostanza non seppe dire di no, pur essendo chiaramente astemia.

Una forza irresistibile e indomabile le muoveva il braccio, tendendolo verso quel bicchiere di cristallo e quel vino rosso che per inerzia ancora stava roteando, rallentando i suoi giri come se la parte alcolica del vino ora se ne fosse davvero andata via. Fece un cenno delicato di ringraziamento, e mentre il barista amico aveva già preparato un altro calice uguale per lui, lei avvicinò il calice alle labbra inebriandosi del sapore fruttato di quel vino, ma ancor di più s’appassionò scaldandosi del modo in cui lui aveva creato quell’incantesimo. Cominciarono a parlare presentandosi, ma in realtà non servì discorrere troppo, non era affatto importante né influente. I loro corpi vicini stavano già dialogando e lui in modo spavaldo ma al tempo stesso delicato, le trasmise immediatamente quella forza che per una donna come lei era necessaria. Era la forza dell’ampiezza intellettuale, la virilità dell’apertura mentale, la cattiveria e la potenza del contatto, lo stoicismo, la fermezza della sicurezza di sé. Lei voleva un uomo così, determinato, sicuramente esperto, coraggioso, un uomo che sapesse bene e fin da subito guidarla, dove lei avrebbe potuto abbandonarsi in quella sera di libertà agognata, di femminilità assoluta.

Il tempo trascorse veloce mentre parlottavano, eppure l’empatia che si era creata ormai aveva costruito intorno a loro una sorta di cupola invisibile, ma chiara. Nessuno li guardava più, lei aveva deciso, aveva scelto e il messaggio subliminale per tutti gli altri era chiarissimo. Uscirono insieme da quel bar in quella notte nevosa e si diressero verso l’autovettura di lui. Lei non poteva rientrare in albergo da sola, era a piedi, mentre la neve aveva raggiunto il metro d’altezza. Lui s’offrì d’accompagnarla e lei accettò. La strada ingombra di neve non gli faceva certamente paura, attrezzato com’era con la sua fedele jeep e per la sua ferrata esperienza d’uomo di montagna. Due curve decise e poi il rettilineo: il suo albergo era lì. Lui lo sapeva benissimo, conosceva a memoria quei luoghi, sapeva tutte le vie e le ubicazioni degli alberghi della zona, ma stavolta essendo distratto o troppo legato alla memoria della strada di casa, continuò superando l’albergo di lei per arrivare davanti a casa sua. Lei sorridendo gli disse che era andato troppo avanti e lui ammiccando si scusò innestando subito la marcia indietro, ma proprio mentre stava per pigiare l’acceleratore e per fare retromarcia, lei lo fermò sbrigativamente e con astuzia con la mano. Lui l’aveva immaginata così da sempre.

Un attimo di silenzio e i loro sguardi s’incrociarono incastrandosi ben presto, nei loro reciproci e peccaminosi pensieri. L’emozione di quella mano sulla sua, mentre ancora il motore era acceso, spezzò qualsiasi incantesimo, così come farebbe un bicchiere di vino rosso che va in frantumi sul pavimento. Mille gocce rosse si persero negli sguardi infiniti e intensi fra i loro occhi, mentre quelle mani si strinsero l’una nell’altra. Lei voleva entrare, voleva accedere nella sua casa, lui gentilmente le fece strada con i piedi, in mezzo a quel metro di neve fresca fino al portone di vetro della sua casa modesta, ma piena di passione. Entrarono in punta di piedi e la neve sotto le suole scricchiolava sul pavimento di legno, nel mentre si tolsero le scarpe e la sensazione del legno sulla pelle fu immediatamente accogliente. Lui chiuse delicatamente il portone, adesso il silenzio della notte li avvolgeva e l’aria era ovattata da quel candore, nulla se non i loro respiri che diventavano più frequenti era udibile. Lui le accarezzò il viso passandole delicatamente la sua mano fra i capelli. Erano neri, corvini, lisci e luminosi di consistenza fine ma robusta. La sua mano s’apriva e si richiudeva delicatamente sul suo viso, mentre lei chinando la testa dallo stesso lato s’abbandonava a quella carezza. Era dolce e calda, ma forte e decisa. Lui le sfiorò le labbra con le dita che poco prima aveva leccato delicatamente con la sua lingua, la sua saliva era un velo sulle labbra, il movimento sinuoso e lento delle sue dita sulle labbra di lei diventava così intenso che lei ebbe la tentazione di morderle aprendo la bocca. Ma non poté farlo, perché anche la sua lingua voleva quelle dita, le voleva, le sentiva sfiorare le sue labbra.

Le labbra s’incontrarono proprio mentre lui ancora con le sue dita stava tornando alla bocca. La scosse lestamente un brivido, poiché si dovette appoggiare al tavolo della cucina. Erano ancora in piedi, scalzi, dal momento che non si erano accorti d’essere finiti in cucina al buio. Lui la sollevò leggermente appoggiandola delicatamente sul tavolo, mentre lei in maniera così naturale allargò le gambe tirandosi su il vestito nero per far spazio al corpo di lui. Le labbra continuarono a sfiorarsi nel tempo in cui le loro lingue danzavano un bolero sempre più esigente, le mani cominciarono a scivolare addosso, attualmente l’odore di lei era impregnante. Come una calamita attirò l’attenzione di lui, che nel mentre cominciò a leccarle delicatamente partendo da dietro il suo orecchio sinistro per digradare lentamente. Lei rabbrividì di piacere, quella sinfonia era iniziata e ogni movimento era musica soave per il loro corpi, che ondeggiavano e si prendevano. In un attimo e quasi senz’accorgersene si ritrovarono completamente nudi, ancora su quel tavolo della cucina. Piccole gocce impalpabili di sudore scivolavano sulle loro pelli e creavano una sorta di velo umido sul quale le mani erano libere di scorrere. Defluire così come farebbe l’acqua fino a non distinguersi più. Lui aveva delle mani stupende, mentre la pelle di lei s’increspava di piacere al passaggio delle sue mani, lui la respirava attraverso i pori del palmo.

La sua bocca continuava a baciare ogni millimetro del suo corpo in un’esplorazione infinita di sensazioni, che lei non aveva mai provato fino a quel momento, dopo si fermò sul suo seno leccandone i capezzoli turgidi e lei sussultò: era gonfio e perfetto, un seno di donna ancora tonico. Lei immaginava che cosa sarebbe potuto accadere, eppure non se ne curava troppo, perché non voleva perdere neanche un solo istante di quel piacere tanto atteso. Lui frattanto s’inginocchiò davanti a lei, adesso poteva captare l’odore del suo sesso penetrargli profondamente nelle narici e inebriarlo totalmente, poteva vedere nel buio il dolce riflesso della sua eccitazione, che colava incessante bagnandolo. S’avvicinò e le donò un poco del suo fiato caldo, mentre lei ormai aveva perso completamente il controllo d’ogni parte del corpo. Lui la leccò, al presente la sua lingua disegnava ghirigori di piacere su quel sesso intriso di fluidi esplorando con curiosità e con viva eccitazione quel nuovo mondo apprezzandone le minime variazioni.

Il clitoride si gonfiò e lui cominciò con un ritmo incessante nel far scivolare quella lingua affamata, senza darle un attimo di tregua. Gemiti incontinenti e lussuriosi uscivano dalla bocca di lei abbandonando il capo all’indietro, mentre con le mani si teneva al bordo del tavolo della cucina. Martellante, impietoso e tempestante nel suo ritmo lui leccava ancora, sennonché l’orgasmo sopraggiunse talmente all’improvviso, travolgendola nella psiche e scardinandole le membra, giacché non ebbe neanche la forza d’urlarlo al mondo intero. Un schizzo le fuoriuscì dalla sua deliziosa fica, come un’eiaculazione di liquido caldo e trasparente come cristallo, colpendolo in pieno viso. Lui sapeva di quel tipo d’orgasmo, ma in vita sua non aveva ancora mai provato quell’ebbrezza, giammai verificato né saggiato quella voluttà. Rimase un attimo senza fiato e lei dolcemente dall’alto lo guardò. Lei era ovviamente esausta, visibilmente estenuata, le forze l’avevano abbandonata completamente, tuttavia continuava a emettere con dei piccoli fiotti quel nettare trasparente, contorcendo il ventre e alla fine totalmente svigorita s’accasciò beata ed estasiata su quel giaciglio.

Lui in verità l’aveva immaginata e pensata da sempre così, calcolata e ipotizzata in tale maniera, ma non avrebbe in nessun caso previsto né giammai profetato in una sola volta, di godere così anche in quell’oscuramento totale che ne seguì.

La mattina successiva li colse ancora là: lei sul tavolo della cucina e lui inginocchiato fra le sue gambe aperte ad accoglierlo, accettandolo e adottandolo per sempre.

{Idraulico anno 1999}

Leave a Reply