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Quelle unghie laccate di rosa

By 16 Novembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

A Thalames non c’è praticamente nulla.
O, per meglio dire, Thalames offre talmente poco, ha così poche attrattive, che anche noi che abitiamo in zona ci andiamo molto di rado.
E quando ci andiamo è solamente perché abbiamo un motivo valido per recarci al paese: magari un motivo di lavoro, o una visita ad un parente o ad un amico.
Di certo nessuno va a Thalames per fare solo una passeggiata e per ammirare le bellezze del luogo.
E di turisti, ovviamente, nemmeno l’ombra.

Poche case, abitate da un centinaio di persone, vecchie abitazioni  affacciate sulla stretta via principale, un piccolo negozio di alimentari, un bar vetusto sull’unica piazzetta del paese, e frequentato dai molti anziani che a Thalames vivono.
Altro non c’è, a parte la chiesetta all’ingresso del villaggio.
Questa è Thalames, e non credo sia difficile capire perché nessuno ci vada mai.

Superata Thalames, subito fuori il paese, là dove la strada inizia ad inerpicarsi sulla collina, una curva dietro l’altra, tra le pecore e le capre al pascolo, circondata da olivi secolari, a dominare il mare e le poche case sottostanti, c’è la villa.
Thalames non la conosce nessuno, ma la villa è famosa in tutto il circondario, per la valanga di chiacchiere che da anni si fanno su quello che si dice accadere tra quelle mura.
Ora vi spiego.

La villa, un’imponente costruzione in pietra, ristrutturata interamente una decina di anni or sono, è di proprietà di Stergos Papaioannu, uno dei principali produttori cinematografici di Atene.
E tra i film che questo esimio signore produce, ve ne sono molti che, eufemisticamente, potremmo definire “per adulti”.
Per dirla tutta, Stergos Papaioannu è il primo produttore di film hard di tutta la Grecia: plurimiliardario, il nostro comprò la villa (a quei tempi ridotta quasi in rovina), la restaurò completamente, vi aggiunse un’enorme piscina, arredò gli ambienti senza badare a spese e la trasformò nel set cinematografico privilegiato dei suoi film porno.
L’alto muro di cinta che fece costruire, tutto attorno alla proprietà, confermò indirettamente quello che si mormorava in giro: e cioè che nella villa si scopava, si trombava alla grande, in ambienti raffinati ed accoglienti, nel lusso e nello sfarzo, e sotto l’occhio vigile e costante, e per nulla discreto, delle telecamere.
E il continuo via vai di auto con splendide donne a bordo cancellò definitivamente anche l’ultimo dei dubbi, convincendo della veridicità della cosa anche il più irriducibile e scettico dei paesani.
Thalames continuò ad essere ignorata, ma la villa, soprattutto fra noi giovani dei paesi vicini, divenne, come potete ben immaginare, il luogo dove la fantasia faceva accadere di tutto e di più.

Se ne parlava nei bar, la sera, davanti ad una birra, e si fantasticava per ore su quel luogo di perdizione e vizio, nel quale, però, tutti avremmo pagato non so cosa per potervi entrare.
E così circolavano storie di tutti i generi.
C’era quello, mi pare il cugino di Dimitri, che andava raccontando che una sera, arrampicatosi su un albero, aveva sbirciato oltre il muro di cinta, e si era goduto un’orgia fra tre donne e due uomini, orgia che si sarebbe svolta sul prato attorno alla piscina. Non vi dico la dovizia di particolari di cui il suo racconto era infarcito: tra cazzi giganti e fiche aperte, pompini da favola ed inculate memorabili, alla fine del racconto sembrava che i partecipanti all’ammucchiata fossero stati almeno una ventina !
Poi c’era un altro, di cui non ricordo il nome ma che faceva l’idraulico e che si è trasferito, anni fa, in città, il quale diceva che una volta era stato chiamato per alcune riparazioni e che nella villa circolavano tranquillamente donne nude e che, in una stanza, su un letto enorme, fra candide lenzuola di seta, una mora stratosferica si faceva leccare la fica da una bionda, altrettanto stratosferica: quando, sul più bello, visto che lui aveva ben pensato di fermarsi a godere dell’imprevisto spettacolo, la bionda aveva allargato le chiappe della mora, infilandole nel culo una lunga candela rossa !!
Le battute, a questo racconto a dir poco improbabile, si sprecavano, come è ovvio che fosse.
La più in voga era chiedere al narratore della storia se la candela era spenta o accesa !
Il tutto si concludeva, inevitabilmente, tra risa e schiamazzi, tra birra e ouzo, e, inutile negarlo, con dosi industriali di testosterone in giro !

Insomma, le favole erano tante, ma, di fatto, nessuno poteva testimoniare con assoluta certezza quello che nella villa accadesse.
Nessuno, ve lo garantisco.
Almeno fino al giorno in cui mi chiamarono per riparare il motore della pompa della grande piscina.
E da quel giorno, almeno per me, tutto quello che si andava dicendo, tra menzogne e mezze verità, fu spazzato via da ciò che i miei occhi videro nella villa situata poco sopra Thalames.

Era una giornata di inizio giugno, ma il caldo era già atroce, come se l’estate avesse deciso di viaggiare con un paio di mesi di anticipo.
La telefonata mi era giunta la sera precedente, poco dopo essere rientrato dal lavoro.
Un uomo, qualificatosi come l’amministratore della villa, mi aveva chiesto di andare la mattina successiva ad aggiustare il motore della piscina, perché l’acqua era improvvisamente divenuta torbida e qualcosa di certo non funzionava come avrebbe dovuto.
Gli dissi che, con ogni probabilità, si doveva trattare della pompa, e che sarei potuto andare solo verso mezzogiorno, avendo impegni precedenti già fissati e che non avrei potuto disdire.
Per onestà, gli dissi anche che avrei provato a ripararla, ma che, se si fosse resa necessaria la sostituzione della pompa, avremmo dovuto ordinarne una nuova ad Atene, e che la piscina non sarebbe tornata agibile, come minimo, prima di una quindicina di giorni.
Lui mi rispose che andava bene e che mi avrebbe atteso per l’ora che avevamo concordato.

E così, il giorno successivo, curioso di vedere finalmente la villa dopo averne sentito tanto parlare, e pronto ad inventare una qualunque storia di sesso che confermasse le voci che circolavano, non foss’altro per far strabuzzare gli occhi agli amici la sera, mi presentai al cancello della proprietà a mezzogiorno in punto.
Il coro delle cicale era assordante, tale da coprire anche il fruscio delle foglie degli alberi, agitate da un vento notevolmente sostenuto.
Suonai al videocitofono e, dopo una trentina di secondi, con un debole ronzio, il cancello automatico si aprì lentamente.
Risalii quindi sul furgoncino e mi avviai verso la villa, percorrendo le poche decine di metri del viale di accesso che collegava la strada principale alla costruzione.

Un uomo, in camicia bianca e pantaloni lunghi di cotone blu, mi attendeva di fronte alla porta d’ingresso della villa.
La grande casa, ampliata di molto rispetto alla costruzione originale, con l’aggiunta di un’intera ala sul lato destro, aveva due piani, più un terzo mansardato.
Posteggiai nello spazio asfaltato sulla sinistra, tra altre due auto già in sosta: presi la borsa con gli attrezzi da lavoro, e mi diressi verso l’uomo che mi stava aspettando.

Dopo una rapida stretta di mano, l’amministratore della villa, una cinquantina d’anni ben portati, mi fece strada, girando attorno alla villa, tra vialetti contornati da piante e aiuole di fiori perfettamente curate.
Sul retro mi apparve la piscina, venticinque metri per diciotto, con attorno ombrelloni bianchi e lettini di vari colori, tavolini di bambù ed enormi vasi stracolmi di rose e gerani.
Larghe portefinestre lasciavano intravedere i grandi saloni del pianterreno della villa: erano ambienti lussuosi e che certamente dovevano essere costati un occhio della testa.
Attorno alla piscina non si vedeva nessuno, ad eccezione di una donna, sdraiata su un lettino, immobile, a prendere il sole.

Avvicinandomi al bordo della vasca, mi inginocchiai e controllai lo stato dell’acqua.
Era decisamente torbida, ed i miei sospetti sul cattivo funzionamento della pompa e dei filtri furono immediatamente confermati.
L’amministratore m’indicò una piccola costruzione in fondo all’ampio spazio che occupava la piscina, dicendomi che erano ubicati lì tutti i macchinari che servivano a far girare e a depurare l’acqua: mi chiese quanto tempo mi sarebbe stato necessario per riparare il guasto ed io gli risposi che mi ci sarebbero volute almeno due ore per controllare che tutto fosse a posto, sempre che la riparazione fosse possibile e non occorresse sostituire l’intera pompa.
Restammo d’intesa che lo avrei chiamato sul cellulare se avessi avuto bisogno di lui o quando avessi terminato il lavoro.
Mi trascrissi il suo numero e lui rapidamente se ne andò via, rientrando nella villa: a quel punto io mi avviai, girando attorno alla piscina, verso la costruzione contenente i macchinari che avrei dovuto riparare.

Passando lungo il bordo della vasca, gettai un’occhiata alla donna che stava prendendo il sole, mollemente adagiata su un lettino bianco ricoperto da un materassino azzurro.
Bionda, capelli abbastanza corti, la ragazza doveva avere sui venticinque anni: grandi occhiali da sole le celavano gli occhi, tanto da non riuscire a capire se lei stesse dormendo o meno.
Ma il ridottissimo bikini rosso che indossava non nascondeva nulla del suo corpo fantastico: seno abbondante e sodo, ventre piatto, l’ombelico ornato di un piccolo brillantino, gambe lunghe e tornite, pelle abbronzata e resa lucida dall’olio solare.
Dire che la ragazza fosse splendida era dire poco.
Notai una gran quantità di braccialetti ai polsi e di anelli alle dita delle mani, ed una catenina dorata, con un ciondolo che le spariva tra i seni, al collo.
Le unghie delle mani e dei piedi erano laccate di un rosa vivido e acceso, reso ancora più intenso dalla spettacolare abbronzatura della pelle.
Era un sogno, una visione favolosa e conturbante.
Per uno come me, poi, che di donne così belle non è che ne avesse viste molte in vita sua.

Passai silenziosamente accanto a lei, mormorando un saluto, imbarazzato come non mai (lei non mosse nemmeno un muscolo, ignorandomi totalmente) e proseguii di un’altra decina di metri, fino alla porta della costruzione nella quale avrei dovuto lavorare.
Aprii la porta e, entrando, mi voltai per un’ultima occhiata alla ragazza: non si era spostata di un centimetro e mi convinsi che stesse dormendo.
Mi riempii gli occhi di quella meravigliosa vista e, quindi, mi misi finalmente al lavoro.

Dopo una mezz’ora avevo già individuato il guasto e, non essendo necessaria la sostituzione dell’intera pompa, stavo procedendo alla riparazione quando decisi di riposarmi un attimo, anche perché nel locale il caldo era soffocante.
Mi affacciai sulla porta, ripulendomi le mani dal grasso con uno straccio, e cercai con lo sguardo la ragazza.
Ora era seduta sul lettino, si era tolta gli occhiali da sole, e si stava cospargendo le gambe d’olio solare.
Scendeva con le mani dalle cosce alle caviglie, per poi risalire lentamente, con movimenti che a me parvero di un erotismo straordinario.
Si spalmava la pelle accarezzandosi lievemente, e nella mia mente si formò l’immagine delle mie mani a contatto con quel corpo bellissimo: sentii sotto le dita il morbido della sua epidermide, il calore delle sue cosce, la consistenza dei suoi seni…
Mi ritrovai, com’è naturale che sia, immediatamente eccitato, e tale era stato il mio sbalordimento per quello che stavo vedendo, che solo dopo un paio di minuti mi accorsi che la ragazza si era tolta anche il costume, e che ai miei occhi il suo corpo si offriva completamente nudo.

Mi ritrassi nell’ombra del locale, temendo che se lei mi avesse visto interrompesse quello che stava facendo, che le sue mani si fermassero e lei andasse via, lasciandomi solo con quella stramaledetta pompa, senza continuare ad accarezzarsi e, magari, non arrivando a masturbarsi, come speravo ardentemente avrebbe fatto se avesse continuato a credere di essere sola.
Quando io ero arrivato alla villa, forse lei stava effettivamente dormendo, e non si era quindi probabilmente accorta della mia presenza; convinta di essere sola, si era tolta il costume per prendere il sole interamente nuda, ed ora si stava cospargendo la pelle di olio abbronzante, sfiorandosi e carezzandosi delicatamente.
Eccitandosi a quel contatto, ero certo che lei avesse deciso di proseguire, di darsi il piacere, regalandomi inconsapevolmente momenti di indimenticabile sensualità.

Arrivai ad avere la certezza che le mie supposizioni fossero corrette, e che lei non sapesse della mia presenza, quando si sdraiò nuovamente e si unse di olio il ventre ed i seni.
Si cosparse abbondantemente del liquido, appoggiò la bottiglietta su un basso tavolino di bambù lì vicino, e continuò a massaggiarsi, sempre più languidamente, sempre più deliziosamente, riempiendo la mia vista del suo corpo che lei stessa stava eccitando, come i turgidi capezzoli, che vedevo ergersi maliziosi dalle tette, stavano a testimoniare.

Le mani, dalle dita affusolate e cariche d’anelli, si chiudevano a coppa sui seni, spingendoli verso l’alto, accostandoli l’uno all’altro, pizzicando i capezzoli eretti.
Poi una mano scendeva lungo la pelle della pancia e pigramente si avventurava sulle cosce, risaliva a sfiorare i curatissimi peli del pube, e tornava ad impossessarsi della tetta che aveva lasciato.
Quando si spinse un seno verso la bocca, e la lingua guizzò rapida a leccare il capezzolo, avevo già il cazzo duro come il marmo e che mi premeva nei pantaloni della tuta da lavoro che indossavo.

Questo suo lento carezzarsi andò avanti per un tempo che mi parve infinito.
La ragazza si esplorò ogni centimetro del corpo, eccitandosi sempre di più al contatto delle sue mani con la pelle surriscaldata, pelle che immaginavo liscia e morbida come la seta.
Il seno, i fianchi, l’interno delle cosce, le gambe: nessuna parte del corpo sfuggì alle sue esperte carezze.
Ero eccitato come non mai e aspettavo, ormai impaziente, che quelle mani si dedicassero alla fica, penetrandola, che le dita giocassero con il clitoride, e che strappassero gemiti di piacere alla bocca di quella splendida creatura.
Ed infatti, dopo ancora qualche minuto, la ragazza si mise ancora più comoda sul lettino, allargò le gambe e si portò una mano alla fica.

Potete immaginare lo stato in cui mi trovavo.
Mai, nemmeno nelle più rosee fantasie adolescenziali, mi era successo di pensare ad una situazione simile.
Avevo sognato grandi scopate, improbabili storie d’amore con donne bellissime ed affascinanti… insomma, tutto il campionario che, in tema di sesso, un ragazzo di paese, neanche particolarmente bello, era solito fare.
Ed ora, una donna favolosa si masturbava davanti ai miei occhi, offrendo ogni dettaglio, ogni particolare del suo corpo al mio sguardo vorace.
Quella sera avrei fatto morire tutti al bar del paese…

Stando sempre attento a non farmi scoprire, con una mano mi abbassai i pantaloni e i boxer, e con l’altra impugnai il cazzo: sarei venuto insieme a lei, spiandola eccitato mentre si masturbava.
Nelle fantasie erotiche in cui ci si crogiolava con gli amici, una tra le più gettonate era proprio quella di vedere una donna che si masturbava, che si penetrava, che si tormentava il clitoride, mentre gli umori che fuoriuscivano dalla fica le bagnavano la mano…
Era incredibile, ma il sogno, per me, stava per realizzarsi veramente.

Strinsi la mano sul cazzo congestionato, iniziando a masturbarmi, anche se con molta attenzione perché sentivo che non sarei riuscito a controllarmi a lungo, e un’eiaculazione troppo ravvicinata avrebbe irreparabilmente rovinato quella fantastica tensione erotica che mi pervadeva.
Ma un movimento, che colsi con la coda dell’occhio, mi riportò bruscamente alla realtà, costringendomi a rivestirmi in tutta fretta,

Proprio nel momento in cui la ragazza si era infilata due dita nella fica, proiettandosi verso l’orgasmo, le gambe completamente divaricate, i piedi puntati sul materassino azzurro, ormai pronta a perdersi nel suo mondo di libidine, da una delle portefinestre del salone della villa erano usciti due uomini che, lentamente, si stavano dirigendo verso di lei.

I due, entrambi in costume, si avvicinarono al lettino, gli occhi fissi sulla bionda che si stava masturbando.
Uno era sui ventisei, ventisette anni; anche se non altissimo, aveva un fisico asciutto e discretamente muscoloso. Chiaro di pelle, portava lunghi capelli neri sciolti sulle spalle. Un bel ragazzo, senza alcuna ombra di dubbio.
L’altro, di una decina di anni più grande, un uomo alto e dal corpo scolpito da lunghe ore di palestra, era un nero, completamente rasato, con un orecchino d’oro che spiccava sulla sua pelle scurissima.

La certezza che la ragazza avrebbe smesso di masturbarsi, infastidita dall’arrivo dei due, e che non accadesse più nulla di interessante, privandomi di quello a cui avevo fatto la bocca, si dissolse come neve al sole in pochissimi istanti.
A gambe spalancate, una mano a stringersi un seno, l’altra ancora sulla fica, la ragazza guardava insistentemente i nuovi arrivati, offrendosi a loro invitante, e sollecitando in modo esplicito le attenzioni dei due uomini.
Il quadro era completamente cambiato.
Non avrei più assistito a lei che si dava il piacere, che si masturbava fino a raggiungere l’orgasmo, facendo godere, inconsapevolmente, anche me:  ora stava per iniziare tutta un’altra storia, e la punta di delusione che avevo provato un attimo prima scomparve al solo pensiero di quello che i due le avrebbero fatto.
E infatti i due uomini, con rapidi movimenti, si sfilarono i costumi, mostrando alla ragazza, e a me che li stavo osservando, due cazzi superbi e già in completa erezione.
Quello del ragazzo di colore, poi, era un qualcosa di veramente fuori del comune: sicuramente più lungo della media, lievemente arcuato verso l’alto, era un palo nero duro e svettante, un richiamo assolutamente irresistibile per le donne che avevano la fortuna di riuscire a fare una conoscenza ravvicinata con quel cazzo.

La bionda sirena (per me era una sirena, tanto la vedevo bella) continuò a masturbarsi ancora per un pò, ma più lentamente, quasi più per eccitare i due uomini che non se stessa, gli occhi fissi, però, sui due cazzi che aveva davanti.
Quindi, con un unico e fluido movimento, si mise a sedere sul lettino, li impugnò uno per mano, ed iniziò ad accarezzarli.
Dall’angolo buio in cui mi ero rintanato, vidi le sue splendide mani scivolare su quelle due aste turgide; sul cazzo del ragazzo di colore, le unghie laccate di rosa della ragazza risaltavano in modo eccezionale.
Mi abbassai nuovamente i pantaloni ed i boxer e presi a far scorrere la mano sul cazzo, duro e teso come non mai.
La situazione si stava facendo sempre più eccitante, e la sega che mi sarei fatto sarebbe rimasta negli annali dei miei ricordi.
Certo, avrei preferito, e anche di molto, essere al posto di uno di quei due, e di ricevere io le attenzioni della ragazza; ma, vista la situazione, non è che potessi pretendere la luna.
Mi sarei accontentato di quello che il destino mi aveva riservato.
In definitiva, meglio fare il guardone che nulla.
Insomma, avrei appagato la mia libidine con una sega, e sentivo che sarei venuto come poche volte mi era capitato nella vita.

Osservavo quelle mani diaboliche scappellare, stringere, scivolare, palpare: di sicuro io non avrei resistito a lungo, come invece vedevo i due uomini riuscivano a fare.
Mi vennero in mente tutte quelle chiacchiere e quelle dicerie che si facevano al bar, e mi convinsi che i due, essendo con ogni probabilità attori di film hard, fossero ben allenati a ritardare l’orgasmo, e a trattenere l’eiaculazione oltre il tempo che normalmente un uomo riesce a trattenerla.

La bionda continuò a masturbarli a lungo, con carezze esperte e consumate.
Le cappelle dei due cazzi apparivano e scomparivano al ritmo delle seghe che le mani della ragazza stavano facendo: quella del ragazzo più basso appariva violacea, mentre quella dell’uomo di colore era marrone chiaro, e contrastava con il nero del cazzo in piena erezione.
Fermai la mano, ormai prossimo all’esplosione; volevo che anche il mio piacere durasse il più a lungo possibile.
Temevo di venire troppo presto, e di non godermi fino in fondo tutto quello che sicuramente sarebbe accaduto fra i tre.

Ed infatti, dopo nemmeno un minuto, la ragazza, inginocchiatasi di fronte ai due, prese a passare la lingua sulle due aste frementi, alternandosi tra l’una e l’altra.
Tormentava le cappelle con rapide leccate, scivolava con le labbra sull’intera lunghezza dei due membri spasmodicamente protesi verso di lei, succhiava abilmente le palle gonfie e dure; di tanto in tanto mi giungevano le voci dei due uomini, ma, vista la distanza, non riuscivo ad interpretare esattamente le parole.
Immaginai fossero apprezzamenti per le capacità orali della bionda, o anche insulti, sicuramente per rendere ancora più torrida l’atmosfera che si era andata creando tra i tre.

La ragazza continuò a succhiarli e a leccarli, anche se mi era evidente la sua predilezione per lo splendido cazzo dell’uomo di colore: vedevo chiaramente tutto il piacere che l’ingoiarlo quasi per intero le dava, e l’eccitazione che lo stringerlo tra le labbra le provocava.

Mentre la mia mano andava piano in su e in giù, gli occhi fissi sui tre, il nero si andò a sedere sul lettino, le gambe divaricate, il cazzo svettante.
La ragazza si voltò e, sempre stando in ginocchio, si chinò con il viso sul palo turgido e gonfio, leccando in punta di lingua la larga cappella.
L’altro, il ragazzo più giovane, anche lui si mise in ginocchio, si posizionò dietro di lei, le afferrò le natiche con le mani, accostò il suo cazzo alla carne della bionda, e la penetrò con un solo e deciso colpo di reni: udii chiaramente un intenso gemito di piacere uscire dalla bocca della donna, malgrado le sue labbra fossero impegnate a scorrere lungo l’asta enorme dell’uomo di colore.
Accelerai il ritmo della mia sega, per poi nuovamente rallentarlo, ormai vicinissimo a scoppiare.

Mentre il ragazzo con i capelli lunghi la scopava vigorosamente da dietro, la donna continuò a rivolgere le sue attenzioni al cazzo dell’uomo sdraiato sul lettino: dalla mia posizione vedevo perfettamente la scena e non mi persi neppure un attimo di quello che accadde.

La mano della ragazza impugnò la scura asta, le sue unghie rosa meravigliosamente a contrasto con la pelle nera di lui: lo scappellò fino in fondo, leccò nuovamente, ma solo per un attimo, la lucida cappella marrone, se la fece scivolare tra le labbra dischiuse, e quindi lo ingoiò per più di metà della sua lunghezza.
La testa prese ad andare avanti ed indietro, mentre le mani dell’uomo, strette tra i suoi corti e biondi capelli, le dettavano il ritmo del pompino.
Non mi era più possibile controllare le mie reazioni: mi sentivo il cazzo pulsare nella mano ed i testicoli dolere per il bisogno di scaricare la tensione dello sperma accumulato.

Poi accadde tutto quasi contemporaneamente.
Il ragazzo, con un ultimo affondo nella fica della bionda, uscì da lei, le appoggiò il cazzo tra le natiche, all’attaccatura della schiena, e venne abbondantemente, inondandole la pelle lucida ed abbronzata.
Subito dopo fu la ragazza a godere: sollevò il viso dall’asta nera che stava succhiando, stringendola nuovamente nella sua erotica mano, e, gemendo e sospirando, si abbandonò all’orgasmo che dilagava impetuoso in ogni cellula del suo corpo.

Gli occhi fissi sulla sua mano, sulle quelle favolose sue unghie rosa, sulle dita che avevano ripreso a masturbare quella meraviglia turgida e scura, esplosi tutto il mio seme sul pavimento del locale delle macchine della piscina.
Con le gambe tremanti per l’eccitazione, lo sguardo ancora fisso sui tre, il cuore che mi batteva furiosamente, vidi uno schizzo bianco fuoriuscire dalla punta del cazzo del nero e colpire la ragazza in pieno viso: un secondo getto le inondò la pelle della gola ed i seni, mentre altro sperma, bianco e denso, colava lungo l’asta e sulle dita della mano che ancora, sia pur lentamente, continuava a masturbarlo…

Stravolto da quello che era accaduto, attesi che i tre, ripresisi dalle loro evoluzioni erotiche, si alzassero e si dirigessero, completamente nudi, ridendo e scherzando, verso la villa, e scomparendo quindi al suo interno.

Rimasto solo, con le mani ancora malferme, portai rapidamente a termine il mio lavoro, aggiustando la pompa e ripulendo i filtri: l’acqua della piscina sarebbe tornata limpida in poche ore.
Misi via gli attrezzi e feci il numero dell’amministratore per comunicargli che avevo terminato.
Mi sarei fatto pagare profumatamente per il lavoro svolto, ma, onestamente, vista la situazione in cui mi ero venuto a trovare, lavori come quello li avrei fatti anche gratis.
E molto volentieri, per giunta.

Fine

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