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Ricatto 2 (Memorie di una schiava)

By 5 Maggio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Guardo l’ora: sono le cinque e ventiy4; avrei potuto anche intuirlo dal fatto che nel mio ufficio non si sentono quasi più rumori.

L’orario di lavoro è terminato trentacinque minuti fa e siamo in pochi a fermarci oltre il dovuto.

Mi alzo dalla mia scrivania, prendo la borsa di carta che avevo con noncuranza posato accanto a me e mi indirizzo verso il bagno.

Mi porto anche il cappotto con me: per fortuna non c’è nessuno in giro, se no qualcuno potrebbe chiedersi cosa mi serva il cappotto nel gabinetto.

Prelevo una busta dalla borsa e la appoggio sul lavandino, quindi incomincio a spogliarmi. Mi tolgo prima il maglioncino e la camicetta, quindi mi libero dei collant e della gonna.

Piego tutto diligentemente e lo metto nella borsa di carta.

Mi guardo nello specchio: sono sicura di andare avanti?

Non è che mi sto mettendo nei casini, solo per seguire la mia ossessione?

Però questa mattina ho ricevuto un ordine preciso, e non voglio essere manchevole.

Rompo gli indugi e mi libero anche del reggiseno.

Deposito anche questo nella borsa di carta, e dopo poco vi unisco anche le mutandine.

Ora sono completamente nuda nel bagno del mio ufficioy4; inutile dire che non era mai successo.

Prendo una confezione sigillata che poco prima ho tolto dalla busta e la apro.

Per eseguire quest’ordine ho dovuto ridurre la pausa pranzo e andare in un centro commerciale, ma non avevo scelta.

Svolgo la prima delle due autoreggenti e la indosso, poi faccio lo stesso con la seconda.

Lo specchio mi restituisce l’immagine di me, nuda con solo addosso gli autoreggenti. Sembra uno scatto preso da un film di Tinto Brass o qualcosa di quel genere.

Indosso nuovamente le scarpe, quindi mi metto il cappotto.

Si vede qualcosa? Non mi pare proprio.

Prendo quindi un foulard dalla tasca del cappotto e lo giro attorno al collo.

Ora solo uno scanner a raggi X potrebbe capire che sotto non indosso nulla.

Prendo la borsa di carta, sblocco la serratura del bagno e torno nel mio ufficio.


 


Chiudo il computer, metto a posto le ultime cose, quindi prendo la borsetta.

Oltre a me, c’è solo il mio capo.

Faccio capolino nel suo ufficio e gli dico che sto andando a casa.

Questo è uno dei momenti critici. È già capitato ­ e sicuramente capiterà ancora­ che proprio in quel momento mi abbia chiesto di fare un’ultima cosa.

Quasi me lo sento suonare in testa: “Aspetta ancora dieci minuti, vediamo assieme questa pratica, dai! Siediti un attimo, togliti il cappotto”.

Non so come farei in una situazione come quella.

Invece non succede nientey4; guarda verso di me, mi saluta con un sorriso e mi augura buona serata.

Esco nell’aria frizzante di dicembre. Ovviamente ho freddo: anche se sono coperta da un cappotto, ho diversi strati in meno a coprirmi.

Monto in macchina, accendo il motore e alzo il riscaldamento al massimo.


Quando era stato costruito parecchi anni fa era stato definito il più grande centro commerciale d’Europa.

Non so se lo sia ancora o se lo sia mai stato, però indubbiamente è grande.

E soprattutto a dicembre, come in tutti i centri commerciali del mondo occidentale, è molto affollato.

Lascio la macchina nel posteggio multi piano e entro nel tempio dello shopping.

Guardo l’orologio: devo starci almeno un’ora.

Incomincio a vagare per i corridoi.

Attorno a me ci sono centinaia, migliaia di personey4; tra la mia pelle nuda e queste migliaia di persone c’è solo il mio cappotto.

Mi torna alla memoria una notizia di un paio di anni fa: proprio in questo centro commerciale avevano fermato un tizio che aveva girato con una videocamera in una borsa.

Questo si avvicinava alle ragazze, chiedeva loro qualche informazione e, tenendo la borsa con la mano tesa verso il basso, le firmava sotto le gonne.

Avesse a che fare con me adesso sicuramente si divertirebbe!

Sento i miei capezzoli sfregare contro la fodera del cappotto.

È una fodera morbida, ma è fatta per scorrere su altri vestiti, non sulla pelle nuda.

Comunque questo significa che ho i capezzoli duriy4; la cosa mi stupisce solo fino ad un certo punto.

Introduco la mano sotto al cappotto per controllare.

Mi concedo solo un tocco veloce, con due polpastrelli mi tocco leggermente il capezzolo, ma subito mi sembra che diverse persone che mi abbiano guardata. Tolgo subito la mano, come se fosse stata sorpresa a rubare la marmellata.

Entro in un negozio di abbigliamento.

L’ho scelto a caso, non mi interessa veramente comprare le cose. Prendo due camicette dagli espositori e mi volto verso i camerini.

Davanti a me, in coda, ci sono un paio di ragazze adolescenti.

Chissà se la loro sessualità è normale.

Forse queste due amiche hanno un ragazzo, forse mentre loro sono qui a provare dei capi, lui è in un’altra parte del centro commerciale a scegliere le scarpe da basket.

Potrebbe essere, niente sarebbe più normale.

Sicuramente non immaginano che a qualche centimetro da loro c’è una persona che non è minimamente interessata agli acquisti.

Si libera un camerino, esce un’altra ragazza con le mani piene di indumenti.

Entro io al suo posto.


Mi tolgo il cappotto e lo apprendo ad un piolo conficcato nella parete; indosso solo più le autoreggenti.

Le camicette che ho prelevato le apprendo al piolo accanto, tanto non ho nessuna intenzione di provarle.

Mi tolgo anche il foulard, quindi metto le mani dietro alla nuca. Mi volgo verso la tenda e chiudo gli occhi.

Devo stare due minuti in quella posizione.

Comincio a contare nella mia testa: una, due, tre, quattro…..

Se in questo momento qualcuna delle decine di donne che stanno vagando le negozio decidesse di aprire la tenda, vedrete una donna completamente nuda, con gli occhi chiusi e le mani dietro alla nuca.

Immagino mi chiederebbe scusa e chiuderebbe la tenda, ma subito correrebbe da un’amica. “Lo sa in cosa ho visto un attimo fa in un camerino? La gente è proprio strana!”.

È vero, la gente è strana e io non faccio eccezione.

Però so perché sto facendo tutto questo.

Dentro il cuore che batte fortissimo, ad ogni passo che sento oltre la tenda il mio corpo reagisce istintivamente.

Una parte di me è portata a allontanarmi e a coprirmi con le mani, ma io blocco quell’istinto.

È come quando ti di in caduta libera dalle giostre di Gardaland: il tuo corpo si ribella, ma il tuo cervello vuole farlo.

Per me è lo stesso, per me questo è come Gardaland.

Costa molto meno, potenzialmente è molto più rischioso.

Una persona si avvicina alla tenda, mi chiede se dentro c’è qualcuno.

Rispondo subito: “Occupato!”, chiedendomi se fosse la mia voce non sia risuonata in maniera sospetta troppo vicina alla tenda.

Manca ancora un minuto. E’ pazzesco come lo scorrere del tempo sia così relativo in base a quello che uno fa.

Conto gli ultimi secondi nella mia testa.

Venti, diciannove…

Il cuore mi batte forte, sento una stretta al cuore.

Qualcuno passa da fuori, la tenda ondeggia.

Quindici, quattordici…

Mi sfioro tra le gambe. Sono umida, come immaginavo.

Cosa penserebbe il mio ragazzo se sapesse cosa sto facendo?

E il mio capo?

Dieci, nove…

Il mio padrone sarà contento, sono stata impeccabile.

Cinque, quattro…

Sento ancora due voci di ragazze che ridacchiano, sono a un metro da me, non di più.

Due, uno….fine!

Faccio un passo indietro e mi rimetto il cappotto.

Mi accorgo solo in quel momento di aver sudato, nonostante il clima non propriamente torrido.

Mi guardo nello specchio: non si nota nulla.

Recupero le camicette ed esco, incrociando una ragazza di poco più giovane di me, che bofonchia qualcosa come: “Era ora!”.

Mi viene da sorridere…se sapesse cosa è successo dove lei sta per entrare!


Giro ancora per vetrine.

Incrocio migliaia di persone, ognuno dei quali sembra guardarmi in maniera diversa rispetto alle altre volte.

Sicuramente c’è dell’autosuggestione, ma è anche possibile che il mio sguardo, il mio atteggiamento tradisca il disagio che provo.

Mi chiedo cosa succederebbe se incontrassi una persona che conosco.

Se incontrassi un amico e questo si fermasse a fare quattro chiacchiere?

Di sfuggita probabilmente non si nota che non indosso nulla, ma da pochi centimetri?

Sento un brivido, ma non è il freddo.

Guardo l’ora: devo andare a casa.

Lì, ancora nuda, mi siederò al computer e manderò un resoconto al mio padrone.

Spero sarà soddisfatto.

 

Apro la porta della mia cameretta e vengo subito assalita dal profumo dei ricordi del passato.

Sono ormai diversi anni che non metto più piede qui dentro, ma il tempo sembra essersi fermato.

Sto cambiando lavoro e prima di un mese non potrò iniziare quello nuovo, così mio padre mi ha proposto: “Perché non vai a riposarti un po’ al mare dai nonni? Ti riposi e gli dai anche una mano”.

In effetti, l’occasione sembrava unica: tre settimane al mare, coccolata e accudita come il solo i nonni sanno fare.

Disfo i bagagli e sistemo le mie cose nell’armadio.

Appendo gli abiti, ripongo la biancheria intima nel comodino e appoggio il computer sulla scrivania.

Mi servirà sia a svagarmi che per comunicare con il mio padrone.

Qualche giorno fa, quando gli ho comunicato la novità, mi è sembrato subito di buon umore.

“Avrai più tempo e più occasioni per eseguire i miei ordini”, aveva detto.

Sento il cuore stringersi, come se una mano lo afferrasse.

Cosa mi farà fare?

Spero di essere all’altezza e spero di non mettermi nei guai.

Apro subito il computer e vedo che è on line.

“Ciao, puttana, ti sono mancato?”.

In effetti sì, e glielo dico.

“Cosa fai oggi? Come saranno le tue giornate?”

“Niente di speciale: credo che questo pomeriggio mia nonna mi porterà allo stabilimento balneare dove è sempre andata. Lei va al mare solo al pomeriggio, la mattina dovrei essere libera”.

So benissimo che così dicendo gli sto dando margine per qualunque iniziativa, ma non sono in grado di mentire.

“Se ti dicessi di metterti in topless oggi pomeriggio, cosa risponderesti?”.

Deglutìsco. 

“Potrebbe essere impegnativo. Qui non siamo in Costa Azzurra e mia nonna non credo sia molto aperta da quel punto di vista. Poi ci sono tutte le sue amiche…”.

Mi aspetto una sfuriata, ma vengo smentita: “Lo immaginavo, infatti non te lo chiederò. Quello lo farai al mattino”.

“Non ho capito”.

“È semplice: al mattino dovrà andare in un’altra spiaggia, o anche quella di tua nonna se credi, e metterti in topless. Non c’è nessuna eccezione, non c’è nessun ma. Al mattino tu stai senza reggiseno”.

Elaboro mentalmente la realizzazione di questo ordine. 

Potrei andare alla spiaggia libera, a giugno non dovrebbe essere troppo affollata e se mi metto un po’ in disparte….

“Allora? Sei morta?”.

“No, scusa. Va bene, al mattino sarò sempre in topless”.

“Questa sera, inoltre, dovrai farmi un resoconto sulle persone che presumibilmente frequenterai in questi giorni. Cerca di essere esauriente, se puoi scatta anche delle foto.”.

“Va bene, lo farò sicuramente”.

“Bene, zoccola, ci sentiamo questa sera”.

Interrompere il collegamento così, senza neppure un saluto.

Sospiro: la vacanza sarà parecchio diversa da quella che usavo fare quando ero una ragazzina.

Cammino per qualche minuto per i vialetti dei giardini pubblici, puntando verso la fontana con i pesci.

Non c’è molta gente in giro, forse perché è ancora ora di cena o, più semplicemente, perché quel giardino non è niente di speciale.

Non ci troverei neppure io nessun motivo per andarci, se non avessi un ordine da eseguire, ovviamente.

Mi rendo conto di dare nell’occhio a passeggiare da sola, così prendo il telefonino e fingo di fare una chiamata.

Vago per qualche minuto, sino a quando non trovo quello che stavo cercando, o meglio, quello che mi era stato detto di cercare.

Due uomini sulla settantina sono seduti su una panchina e stanno chiacchierando.

Io mi siedo sulla panchina di fronte e simulo ancora di essere intenta in una telefonata.

La mia presenza non è passata inosservata perché i due cominciano a dare delle occhiate nella mia direzione, anche se io faccio finta di niente.

Ripongo il telefonino, e comincio a guardare nella loro direzione.

“C’è qualcosa che non va, signorina?”, mi domanda uno dei due, quello che ha più capelli, benché siano tinti.

“Niente”, rispondo.

“Ha bisogno di qualcosa?”, mi chiede quello più basso con gli occhiali.

Esito un attimo, non è facile.

“Cercavo compagnia”.

Cerco di dirlo con il tono di voce che sottintenda esattamente quel tipo di compagnia.

L’uomo che mi ha rivolto la parola per ultimo guarda l’altro: “Io vado a casa, ci vediamo poi domani”, dice.

“Deve scusarlo – mi dice l’uomo rimasto – è un anziano e va a letto presto”.

Alzo le spalle: “Non c’è problema. Lei non deve andare a casa?”.

L’uomo guarda l’ora e scuote la testa. “No, non subito. Ogni sera vengo qui a fare due passi e due parole con il mio amico, mia moglie non mi aspetta prima delle dieci”.

Io rimango in silenzio, lui mi guarda come se si aspettasse che io dicessi qualcosa.

“Mi scusi – dico – non è facile. Non so come dirlo…”.

L’uomo si siede accanto a me e mi accarezza una volta la testa. Non dice nulla, ma mi guarda e sorride.

“È che sono molto arrabbiata con il mio fidanzato, che probabilmente è andato con un’altra donna. Voglio vendicarmi”.

L’anziano sorride, sembra che abbia vinto alla lotteria.

“Si vuole vendicare con me?”.

Annuisco, senza parlare e senza guardarlo.

“È vera tutta questa storia?- mi chiede – Non è che poi viene fuori una sorpresa, eh?”.

“Che sorpresa?”, gli domando.

“Tipo, ad esempio, che poi vuoi dei soldi?”.

Ecco, perfetto, mi ha preso per una puttana!

“No, non voglio niente. Anzi, se facciamo passare ancora un po’ di tempo è facile che cambi anche idea”, ribatto un po’ piccata.

No “no, era solo per chiarire”, dice arrossendo.

Mi alzo in piedi. “Ho la macchina vicina, mi segua”, gli dico.

Usciamo rapidi dal parco, in silenzio.

Io continuo a dirmi che posso ancora tirarmi indietro, ma quando arrivo alla macchina la apro e lo faccio accomodare sul sedile del passeggero.

Avvio e ci dirigiamo fuori dal paese; prendo una strada laterale, percorro ancora qualche centinaio di metri, poi spengo la macchina.

Conosco bene quella zona, mi ci portava un mio ragazzo.

“Cosa facciamo?”, mi domanda all’uomo.

È molto imbarazzato, mi sembra evidente come non sia abituato a quel genere di situazione.

“Slacciati i pantaloni e tiralo fuori”, gli dico.

Io non sono avvezza a queste cose, spero se ne accorge anche lui.

Estrae il membro, è già discretamente duro.

Cerco di non pensarci e di sbrigarmi: meno ci penso, più sarà facile.

Apro la bocca e lo accolgo dentro, sentendolo immediatamente inturgidirsi.

Per fortuna sembra una persona pulita, con gli anziani si corre anche il rischio di trovare sgradevole odore.

Chiudo gli occhi e vado su e giù, cercando di non pensare a chi lo sto facendo.

Penso, invece, che tornerò a casa e racconterò al padrone di tutto questo.

Ne sarà sicuramente contento.

Passano i minuti, e finalmente viene.

Non mi dà nessun segnale preventivo, così sento lo schizzo del suo sperma sul palato e ingoio tutto quanto.

Mi tiro su, mi pulisco con un fazzoletto di carta

“Va bene?”, mi chiese lui mentre si allaccia nuovamente i pantaloni.

“Si, va bene. E’ che non sono solita queste cose, spero si sia capito”.

“Sei sembrata piuttosto brava, invece”, mi risponde lui, non capendo.

Arrossisco: “No, intendevo dire che usualmente non vado a raccattare degli uomini in un parco”.

Lui sorride.

Sarebbe paterno se non gli avessi appena succhiato il membro.

“Non ti preoccupare, è un momento di debolezza e può capitare. Se vuoi ancora vendicarti del tuo ragazzo, io sono a disposizione”.

Lo riporto al parco e lo saluto.

Non so se lo vedrò ancora in giro, ma prima di salutarlo gli raccomando di non parlarne con anima viva.

Spero di non aver fatto una stronzata, ma ormai…

 

Quando rientro in casa, mio nonno è già nel letto, mia nonna sta terminando di vedere un programma in televisione.

“Tutto bene, ma Claudia? Hai l’aria strana”, mi dice.

Non c’è dubbio, mia nonna mi conosce meglio di chiunque altro.

“Tutto bene, nonna, sono un poco stanca; anzi, vado a letto subito, e domani voglio andare in spiaggia presto”.

Mi chiudo in camera e accendo il computer.

Spero di essere stata brava per il padrone.

 

Scelgo dalla vetrina il telefonino meno costoso. Per fare quello che devo fare, non ho bisogno di tanta tecnologia.

“Sa, ho bisogno di qualcosa di spartano da portare in spiaggia”, spiego alla commessa, quasi come dovessi giustificarmi.

La ragazza non fa una piega e prende la scatola.

“Avrei anche bisogno di una nuova scheda ricaricabile”, aggiungo, come se me ne fossi ricordata solo in quel nome.

Non aggiungo altro: una nuova Sim e un nuovo telefonino fanno pensare solo a poche cose, e tutte losche.

Quasi mi verrebbe da specificare: “Guardi che non ho l’amante!”, ma ritengo sia meglio tacere.

Attivo il telefonino con la nuova scheda appena fuori dal negozio e mi dirigo verso la spiaggia

Non ho particolari motivi di tensione, eppure mi sento molto nervosa.

Mando con il nuovo numero un breve messaggio al padrone, giusto per comunicargli il mio nuovo recapito.

Il messaggio di risposta arriva dopo pochi secondi: “Brava, sono sicuro che non mi deluderai!”

In effetti sono serena, quello che devo fare è alla mia portata.

Raggiungo la spiaggia libera e cerco un posto un isolato.

Non è difficile: oggi è un martedì di metà giugno, il grosso del turismo è ancora lontano da venire.

A diversi metri da me ci sono due signore di una sessantina di anni; dalla parte opposta una nonna con due nipotini.

Distendo l’asciugamano, vi poso accanto il borsone e inizio a spogliarmi.

Mi tolgo la maglietta e pantaloncini, rimanendo in bikini.

Fingo di non pensare a nulla, e mi levo anche reggiseno.

Lo lascio cadere con noncuranza nella borsa e mi inginocchio sull’asciugamano.

“Vedi? Non è difficile”, mi dico.

Mi corico e sento subito il morso caldo del sole sul mio corpo.

E’ in assoluto il primo sole della stagione e la mia pelle chiara e tutt’altro che allenata, però è veramente una bella sensazione.

Chiudo gli occhi e assaporo la sensazione della pelle che diventa via via più calda e sento un grande conforto.

Poi, devo ammetterlo, stare senza reggiseno è comodo.

Talvolta ho avuto il rammarico di non avere un seno più grosso, ma credo che – in una situazione come questa – sarei in imbarazzo con una quarta o peggio; ora invece sto bene.

Mi crogiolo al sole, finalmente rilassata e tranquilla.

Mando un messaggio al mio padrone e lo informo di cosa sto facendo.

“Brava zoccola – mi risponde – Tassativamente niente reggiseno fino a mezzogiorno. E’ un ordine”.

Sono circa le dieci del mattino, c’è ancora tempo.

Prendo una rivista dalla borsa e comincio a sfogliarla; quando sono a metà del secondo articolo mi accorgo che sta arrivando qualcuno.

Sono tre ragazzi, armati di asciugamano e pallone, e vengono nella mia direzione.

Ad un certo punto si fermano, poi confabulano e si installano a non più di una dozzina di metri da me.

Magari sarò presuntuosa, ma con tutta la spiaggia libera non mi sembra casuale.

Informo il mio padrone della novità.

“Bene. Mi raccomando, fai sì che le tue tette siano sempre sotto ai loro occhi. Non voltarti e non coprirle”, è la sua risposta.

Guardo di straforo nella loro direzione: uno di loro me le sta proprio guardando.

Sento il cuore accelerare.

E’ una stupidaggine, però sapere di non potermi coprire mi fa sentire più vulnerabile.

Continuo a sfogliare la rivista, sentendo la pelle formicolare sotto i loro sguardi.

Sento arrivare un nuovo messaggio.

“Che fanno? Guardano?”, chiede.

“Continuamente”, rispondo.

“Brava zoccola. Allora ora devi fare un’altra cosa”, mi dice.

Leggo il messaggio successivo e tiro un sospiro.

Apro la borsa e prendo la crema solare.

Ne avrei comunque bisogno, penso.

Apro il flacone, ne verso un poco sulla mano e comincio a ungermi il corpo.

Cerco di non guardare nella loro direzione, ma con la coda dell’occhio li vedo intenti a sbirciare.

Passo la mano sulla pancia, sulle spalle e poi sui seni.

Ho i capezzoli duri, spero non si noti da dove sono loro.

Mi concentro quindi sulle gambe, incremandole e spalmandole bene, quindi mi sdraio nuovamente.

Afferro quindi l’elastico degli slip e lo abbasso fino al massimo che può consentire la decenza, a pochi millimetri dal mio clitoride.

Ora mi sento quasi completamente nuda.

Chiudo gli occhi e fingo di prendere il sole, cercando di non pensare a cosa potrà chiedermi il mio ragazzo quando vedrà sul mio corpo quell’abbronzatura così uniforme.

Magari non se ne accorgerà neppure.

Forse è una mia impressione, ma mi pare di sentire ridacchiare da parte dei ragazzi.

E’ possibile che si stiano scambiando i soliti commenti…già li conosco: “E poi si lamentano se le violentano”, “Tutte le donne sono zoccole”…

Il telefonino mi informa dell’arrivo di un nuovo messaggio; mentre mi sollevo per prenderlo noto che uno dei ragazzi ha una digitale in mano.

Non appena mi vede muovermi la nasconde, ma è tardi.

Faccio finta di niente.

“Tutto bene?”, dice il messaggio.

“Tutto bene. uno dei tre forse mi ha fotografata”, gli dico.

“meglio. così avrà una foto su cui farsi le seghe. lascialo fare, è un ordine”, mi risponde.

L’immagine un po’ mi ripugna, ma una parte di me si sente gratificata.

“resta lì ancora per mezz’ora. prima di andare via però aspetta che ti mandi un nuovo messaggio”.

Metto giù il telefono e mi rimetto giù.

Mentre mi sdraio mi accorgo che il costume si è scostato leggermente e sta facendo capolino un ciufetto di peluria pubica.

Lo lascio lì, combattendo contro la tentazione di aggiustarlo.

Nuovo materiale per una foto, forse…

Tiro su le braccia e incrocio le mani sotto la nuca; in questa maniera il mio busto è perfettamente esposto.

Ho gli occhiali da sole e guardo di lato verso di loro.

Il tizio sta continuando a scattare, illudendosi di nascondersi dietro la schiena del suo amico.

Se sapesse che per me non c’è nessun problema!

O meglio, se sapesse che io ho l’ordine di lasciarlo fare…

Trattengo il fiato, cercando di scacciare dalla mia mente l’immagine del tizio che si masturba sulle mie foto.

Rimango distesa supina, godendomi il sole; quando mi sveglio dal torpore mi rendo conto che sono passati oltre quaranta minuti.

Prendo il telefono e mando un messaggio al padrone.

“ora vado”, gli scrivo.

“sei in ritardo, sarai punita per questo”, mi risponde, poi mi spiega cosa devo fare.

Mi rivesto con calma, senza rimettermi il reggiseno, che tengo invece in borsa.

Raccolgo l’asciugamano e mi avvio verso la strada, avvicinandomi così al gruppo dei ragazzi.

“Ciao ragazzi – li saluto con naturalezza, come se ci conoscessimo – Ci vediamo domani”.

Non aspetto una risposta e proseguo nella camminata.

“Certo! Come ti chiami?”, mi chiede uno.

“Claudia”, rispondo senza voltarmi.

Ho il cuore a mille; cosa mi farà fare domani?

 

Ricevo l’SMS con le nuove disposizioni mentre, in spiaggia con mia nonna, sto ascoltando una sua amica magnificare le qualità del suo nipotino neonato.

Il cuore mi balza in gola quando senti la campanella del telefonino, ma sono contenta di poter avere in quella maniera una buona scusa per smettere di ascoltare quel mucchio di banalità.

“Ti ho lasciata tranquilla fino ad ora, ma per questa sera hai un impegno. Dopo cena, esci e recati al locale XXX  sito in via XXX. Vestiti in maniera semplice e non truccarti, quando sarai sul posto avvisami e ti darò delle nuove disposizioni”.

Ripongo il telefonino pensierosa.

“Era il tuo ragazzo?”, chiede mia nonna.

Sto per risponderle di no, ma non voglio che si faccia dei pensieri strani, così le dico di si.

Come sempre, ogni volta che si affronta l’argomento, mia nonna parte con la litania che non sono ancora sposata e che i giovani d’oggi non si sposano più e che alla mia età aveva già due flgli.

Questi giovan d’oggi…tutti tranne la figlia della sua amica, ovviamente, che perdi più ha anche un bambino.

La sera mangio in silenzio e mi domando cosa mi troverò costretta a fare.

Nei miei progetti, avrei passato la serata tranquilla a leggere, ma evidentemente non sono nella situazione di fare progetti, neppure a breve termine.

Non appena finisco di cenare, infilo un paio di jeans, una camicetta bianca ed esco.

Non dico niente ai miei nonni, che comunque non mi fanno domande.

Utilizzo il navigatore per arrivare fino al locale: è una semplice birreria, neppure dellepiù belle.

Mi chido per quale motivo abbia dovuto veire proprio qui, visto che ne conosco almeno altre cinue molto pù belle.

Non c’è molta gente, solo quattro o cinque tavolini son occupati dagli avventori.

L’atmosfera sembra essere molto rilassata, i presenti sembrano essere clienti abituali e dimostrano confidenza con il proprietario, un uomo barbuto di circa cinquant’anni.

Mi accomodo ad un tavolino libero e mando SMS al padrone.

La risposta arriva dopo pochi secondi: mi chiede descrivere la clientela.

Gli illustro brevemente la composizione del locale.

“Non noti nulla di strano?”, mi chiede.

Osservo nuovamente gli avventori. Che lui, il mio padrone, sia tra loro?

E’ possibile, ma non riesco comunque a capire chi potrebbe essere.

“Sei qui?”, gli chiedo.

“No. Idiota, guarda meglio e trai qualche conclusione”.

Esamino ancora il locale. Tre ragazze ad un tavolino, cinque ragazzi a un altro, un uomo in disparte….

“Non ci sono coppie”, gli dico.

“Tu sei veramente scema – mi risponde subito – Ti dò un’altra possibilità, se non lo capisci nemmeno ora domani prenderai il sole completamente nuda!”.

Guardo meglio e finalmente capisco, o almeno lo spero: sono tutti tavolini occupati da gente dello stesso sesso.

“Sono in un locale gay?”, gli chiedo.

Mi fa aspettare la risposta per quasi un minuto, sicuramente per tenermi sulle spine.

“Vedo che ci sei arrivata, finalmente. Bene, il tuo compito per questa sera è conoscere una donna e passarci un po’ di tempo. Non devi andarci a letto, devi solo fare conoscenza”.

Mi è già capitato di agganciare qualcuno in qualche locale, ma solo con uomini, ovviamente.

“Posso provarci ma non te lo prometto – rispondo – Non c’è troppa gente, soprattutto ci sono poche donne, come faccio ad essere certa che qualcuna sia interessata?”.

Aspetto quasi due minuti, poi mi arriva il messaggio di risposta.

“Sei talmente scema che non sai una cosa banale. Un gay, se vuole prendere una birra, va in una birreria qualunque. Se va in un locale gay, invece, è per incontrare altri gay. Quelli che sono lì sono potenzialmente tutti ricettivi”.

Allungo lo sguardo verso tre ragazze sedute non lontane da me. Sono tutte tra i venticinque e i trenta; dopo qualche secondo che le fisso, una di loro mi nota e guarda verso di me.

Istintivamente abbasso lo sguardo.

“Zoccola, guarda che stasera mi aspetto un risultato. Non devi fare nulla, ma voglio che tu esca da lì con una persona in più che conosci. Voglio un nome e magari anche un telefono. Sono sicuro che una puttana come te spesso ha raccattato gente nei locali”.

Non gli rispondo, ma dentro di me mi sento parecchio dubbiosa di riuscire a farcela.

Con gli uomini, non è difficile conoscere gente. Basta stare un po’ in disparte, far capire che si è sola, e prima o poi qualcuno arriva.

Certo, magari la qualità non è sempre eccelsa, ma qualcuno arriva.

Con una donna come si fa?

Devo essere io a fare la prima mossa?

Guardo nuovamente verso le tre ragazze, e ancora una volta la tipa di prima alza la testa verso di me.

Questa volta non distolgo lo sguardo; lei mi sorride e io ricambio.

Ci somigliamo, entrambe siamo brune e magre; la differenza è che lei porta i capelli corti.

Sostengo lo sguardo per un po’, poi vince la timidezza e lo abbasso.

“Ma cosa vuoi che sia? – mi dico – Devo solo parlarle assieme! Chissà con quante lesbiche ho già parlato senza neppure saperlo, e non sono mica morta!”.

La cerco di nuovo con lo sguardo, e i suoi occhi sono su di me.

Con la testa accenna verso il bancone del bar, quindi si alza e va in quella direzione.

Io prendo coraggio e la seguo.

“Ciao, sei nuova di qui? Non ti ho mai vista”, mi chiede quando sono arrivata vicino a lei.

“Sì. Cioè, sono qui in vacanza. Tu?”, rispondo.

“Io abito qui, veniamo qui ogni tanto. Bevi qualcosa?”.

Prendo un Bellini, lei una birra media.

“Tra l’altro, io sono Stefania”, mi dice porgendomi la mano.

Mi presento a mia volta; seguono almeno un paio di minuti di silenzio imbarazzante, durante il quale nessuna delle due parla.

“Sono tue amiche?”, chiedo accennando alle due ragazze rimaste al tavolo.

Sembrano non essersi accorte che Stefania se ne è andata e si tengono per mano.

“Giochiamo a calcio assieme – mi risponde – Ma non sono proprio amiche. Tu come mai sei da sola?”.

“Sono qui in vacanza con i nonni…non conosco nessuno”, rispondo.

Evito appositamente di menzionare il mio ragazzo a casa, non vorrei interrompere subito la chiacchierata.

“Possiamo vederci qualche sera, se ti va?”, propone subito.

Cosa devo risponderle?

“Perchè no? Così, tu che sei di qui, mi porti in qualche posto interessante”, le dico.

Mi rendo conto che sto creando una serie di “non detto” che possono fuorviare, ma non lo faccio apposta.

Mi lascia il suo numero di telefono e io non posso esimermi dal darle il mio; le dò quello nuovo che ha anche il mio padrone..

Le chiedo anche il cognome; “conosco diverse Stefania, così ti distinguo”, le dico.

Lei sorseggia dalla sua birra.

“Domani sera cosa fai?”, mi chiede.

Le rispondo che non faccio nulla.

“Io lavoro in un bar. Puoi passare da me prima della chiusura, poi andiamo a farci un giro”, mi dice.

Annuisco, ovviamente. Meglio così che un invito a casa, in fin dei conti. Mi faccio spiegare quale sia il bar; lo conosco, anche se non ci sono mai entrata.

Parliamo per una ventina di minuti, delle solite banalità che si raccontano due che si sono appena incontrati: famiglia, lavoro, cose del genere.

Guardo l’ora.

“Mi spiace, ma devo andare. Domattina mia nonna vuole che la accompagni a fare la spesa presto”, invento.

Stefania sembra dispiaciuta, ma sorride.

“Brava nipotina! – mi dice, e con circospezione mi accarezza una guancia – Vai pure, tanto ci vediamo domani sera!”.

Annuisco; prendo la borsa e esco.


Non appena sono in auto tiro un sospiro.

Che cazzo sto facendo?

Quella mi ha chiesto di uscire solo io e lei, ho un appuntamento!

Prendo il telefonino e riferisco al mio padrone, quindi guido verso casa.

Quando sto per posteggiare mi arriva il messaggio di risposta.“Ho guardato su Facebook: Stefania è lesbica dichiarata e ha diverse foto al gay pride. Da quello che scrive sembra sia stata molltata da poco, direi che non poteva andarti meglio. E’ anche discretamente carina, sarete una bella coppia di porche!”.

 

È una nuova mattina, il sole è alto e caldo e io mi accingo a passare una nuova mattina da sotto gli ordini del mio padrone.

Devo ammetterlo, fino ad ora l’impegno è stato accettabile.

Certo, se non avessi avuto qualcuno a darmi gli ordini sicuramente non mi sarei tolta il reggiseno in spiaggia e, poco ma sicuro, non sarei andata in locale gay, tuttavia sono persuasa che tutto quanto finora fatto rientri ancora nella sfera della normalità.

Come al solito, mia nonna è in giro a far la spesa e il nonno sta ancora dormendo, così esco di casa senza salutare nessuno e mi dirigo verso la via principale che, una volta percorsa tutta, mi porterà in spiaggia.

Ho percorso solo qualche decina di metri, quando, sulla mia destra, vedo un volto familiare.

Si tratta di Sergio, l’anziano a cui ho fatto un servizietto un paio di sere fa.

E’ con il suo solito amico, quello che lo accompagnava anche ai giardini.

Non appena mi vede, mi sorride e mi porge la mano.

“Ciao, Claudia! Stai andando al mare? Noi siamo qui con le nostre mogli a fare due commissioni”.

Accompagna l’ultima frase con un leggero movimento della testa verso destra, sia per indicare due signore intente a guardare una vetrina, sia per ammonirmi implicitamente dal fare qualunque cosa di sconsiderato: come se, diversamente, gli avrei magari chiesto se gli fosse piaciuto il pompino.

Mi saluta anche il suo amico, e dallo sguardo capisco che lui sa.

Alzo le spalle: “Sì, vado in spiaggia. Un sole così è un peccato perderlo!”.

“Il quale spiaggia vai?”, domanda.

“Vado alla spiaggia libera, quella vicino agli scogli”, rispondo.

Mi guarda ed annuisce, come se gli avessi detto qualcosa di estremamente importante. 

Rimaniamo in silenzio per qualche secondo, durante il quale io non riesco a non pensare al suo membro dentro alla mia bocca; ipotizzo che lo stesso pensiero attraversi sia la mente di Sergio che quella del suo amico, e sento una specie di brivido dentro di me.

C’è un segreto fra noi, ed è elettrizzante.

Le due donne fanno per voltarsi dalla vetrina, così Sergio coglie l’occasione al volo: “Bene, ti lascio andare alla tua spiaggia; magari ci incrociammo ancora in questi giorni”.

Saluto entrambi gli uomini e continuo la mia camminata verso la spiaggia

Cosa avrà detto Sergio al suo amico?

Avrà fatto come tanti uomini, si sarà vantato della sua prestanza e del suo fascino; oppure avrà semplicemente detto che ero una fuori di testa”?

Arrivo alla spiaggia e in dirigo verso il solito posto.

Questa mattina sembra esserci un poco più di gente, forse a causa del sole un po’ più alto.

Distendo l’asciugamano, quindi mi privo dei vestiti.

Questa volta togliermi il reggiseno è meno impegnativo e lo faccio con autentica noncuranza.

Mi sdraio sull’asciugamano e mi osservo il corpo.

È comunque obiettivo che un’abbronzatura uniforme sia molto meglio rispetto ad avere le due macchie bianche sui seni; non escludo di adottare il topless anche in futuro, anche senza nessun padrone ad obbligarmi.

A proposito di padrone, gli mando un SMS informandolo di essere in spiaggia.

Attorno a me c’è una varia umanità contraddistinta da un filo rosso comune: essere nelle condizioni di andare in spiaggia al mattino presto di un giorno feriale

Sulla mia sinistra c’è una coppia di mezza età che, nonostante il caldo, non sembra intenzionata a mettersi in costume; quindi due donne anziane, sicuramente sopra i settanta, con gli immancabili nipotini; più verso destra, forse a una ventina di metri, c’è un piccolo gruppo di adolescenti che probabilmente si è trasferito in spiaggia direttamente dalla discoteca.

Sono vestiti ancora per la serata, uno di loro è adagiato su un asciugamano e sembra dormire pesantemente.

Non ricevendo risposte dal mio padrone, ritengo validi gli ultimi ordini ricevuti: rimanere senza reggiseno, non coprire mai le tette.

Mi sdraio al sole e mi godo il caldo.

Devo ammetterlo, stare senza reggiseno – se non fosse per le convenzioni sociali della nostra era – sarebbe indubbiamente la cosa migliore.

A parte la sensazione di libertà, sentire l’aria sulla pelle, in quei punti del corpo normalmente coperti mi fa sentire decisamente più partecipe della natura che mi circonda.

Il primo messaggio del mio padrone arriva dopo una ventina di minuti: “Sciogli i lacci dello slip. Lascia solo il triangolino a coprirti la fica”. 

Mi guardo attorno: qualcun altro si è appunto ai bagnanti di prima, ora c’è anche una coppia di ragazzi giovani, probabilmente studenti, nonché un uomo sui cinquanta che porta a spasso il cane. 

I ragazzi della discoteca – sono tre ragazzi e due ragazze – si sono nel frattempo alleggeriti dei vestiti.

Sicuramente è un’impressione, ma ho la sensazione che in molti guardino verso di me.

Allungo la mano verso lo slip e stringo i laccetti alla mia sinistra e, lentamente, quasi come se volessi nascondere il mio movimento (e in effetti è così) tiro verso di me.

Mi guardo attorno, ma nessuno sembra aver notato la mia mossa; quindi ripeto il movimento anche con la mano destra.

Trattengo il fiato, pensando come un’improvvisa folata di vento potrebbe portare via l’unico, striminzito capo di abbigliamento che mi copre.

È un pensiero assurdo, visto che ci sono seduta sopra, ma il pensiero mi fa venire un brivido. 

Come potrei reagire se mi trovassi improvvisamente nuda di fronte alla gente?

Mi sdraio nuovamente.

E’ vero che sono l’unica in topless, ma è anche vero che non sto facendo nulla di sconvolgente, devo smettere di pensare che tutti mi guardino.

E poi, anche se fosse?

Che guardino pure, non ho mica nulla di cui vergognarmi!

 

Rimango quasi assopita per una decina di minuti, quindi mi squilla il telefonino.

E’ quello ufficiale, e difatti è il mio ragazzo.

Prendo la chiamata, facendo attenzione, nel sollevarmi, a non far scostare il triangolino di stoffa dal mio inguine.

“Come stai? Tutto bene?”, mi domanda.

E’ al lavoro e solitamente usa poco perdersi in convenevoli.

“Sì, tutto bene – gli rispondo – Sto prendendo il sole”.

“Bene. I tuoi nonni?”.

Gli rispondo che va tutto bene. Capisco che lui è al lavoro e che non è mai stato uno da smancerie, ma chiude la telefonata senza nemmeno un “ti amo”, un “mi manchi”.

Cambierebbe qualcosa se sapesse che la sua ragazza è quasi nuda in mezzo a degli estranei?

Forse no….

Mi arriva un nuovo messaggio, questa volta dal mio padrone.

“Voltati sulla pancia. Nel fare questo, non puoi allacciarti lo slip”.

Sento il cuore che perde subito un colpo.

Provo a inclinarmi verso destra, ma mi blocco quando vedo che  il costume, spinto dalla forza di gravità, tende a scivolare a terra.

Devo eseguire un movimento rapido e deciso.

Appoggio il palmo della mano sull’inguine, quindi ruoto rapidamente su me stessa.

La stoffa sul sedere, libera da qualunque costrizione, asseconda la sua inerzia naturale e si sposta di lato, scoprendomi le chiappe.

Sfilo la mano da sotto e, rapidamente, rimetto a posto il costume.

Mi guardo attorno; dai ragazzi sembra arrivare qualche risolino.

Che si fottano, tanto hanno guardato e suppongo abbiano anche apprezzato.

Prendo il telefonino per avvisare il padrone, quando scorgo in avvicinamento una sagoma nota. E’ Sergio.

Digito rapidamente il messaggio:”Fatto tutto, tutto ok. Sta arrivando il vecchio del pompino, che faccio?”.

Sergio dista ancora un centinaio di metri, ma è chiaro che mi ha vista e che sta puntando verso di me.

A ben pensare, era chiaro da subito che sarebbe piombato qui, fin da quando gli ho detto dove avrei preso il sole.

E’ sempre più vicino, per fortuna arriva il messaggio di ritorno dal padrone.

Lo leggo e deglutisco; faccio giusto in tempo a mettere via il telefono quando l’ombra di Sergio si disegna su di me.

“Ciao Claudia. Ti disturbo?”, mi chiede, siedendosi accanto a me, sulla sabbia, senza neppure attendere una risposta.

Fingo di esssermi accorta solo ora della sua presenza.

“No, figurati. Come vedi, sono sola”, rispondo.

Cala qualche secondo di silenzio.

“Spero di non averti messo in imbarazzo con tua moglie e il tuo amico”, dico.

Lui alza le spalle:”No, dopo tutto sono stato io a salutarti. Ho detto a mia moglie che sei la figlia di un amico, sembra averci creduto”.

Non dico nulla.

Arriva un messaggio.

“Se non ti muovi a fare quello che ti ho ordinato, dovrai alzarti in piedi di scatto come se fossi stata morsa da un granchio. Preferisci?”.

Non capisco se sia effettivamente un’opzione, ma intuisco che prima mi dò una mossa, prima sarà finita.

“Senti, ti posso chiedere una cortesia?”, gli domando.

“Certo”, ribatte lui.

“Mi spalmeresti la crema solare sulla schiena?”.

Vedo un sorriso dipingersi sul suo volto.

Si inginocchia accanto a me e prende il flacone dalla borsa.

Sembra un bambino a Natale!

Deposita un quantitativo abbondante di crema sulla schiena; l’impatto è freddo e quasi sobbalzo; quindi sento le sue mani enormi porcorrermi la pelle.

Cerco di scacciare dalla mia mente l’immagine ripugnante di un vecchio che accarezza una ragazza in spiaggia, e soprattutto cerco di immaginare di non avere nessuno attorno.

Sergio percorre con le dita ogni centimetro della mia schiena, è evidente a entrambi – e soprattutto a lui – come spalmarmi la crema fosse un mero diversivo.

Mi percorre la spina dorsale, le scapole e i fianchi; quando arriva all’altezza del costume sembra non stupirsi di trovarlo slacciato.

“Amo le ragazze che si mettono in topless – dice invece – Denotano molta più libertà. Negli anni settanta era molto di moda, purtroppo ora si usa molto meno. Per fortuna tu non la pensi eome le altre”.

Fa scorrere le mani lungo le mie gambe, arriva fino alle caviglie e alla pianta dei piedi.

E’ molto bravo, è delicato e sa toccare.

Oh, se sa toccare!

Chiudo gli occhi, mentre con le mani risale lungo la mia schiena.

Mi sfugge un sospiro, giuro che non è voluto.

Allarga le mani sulle mie scapole e con le dita percorre il mio fianco finchè, in maniera certamente non casuale, sfiora la base del mio seno.

Io sento una scossa dentro di me, ma non mi muovo.

Ripete il gesto e ancora mi tocca, ma questa volta indugia qualche secondo di più.

Vedo che si protende su di me, e alla terza volta sollevo leggermente il corpo, in maniera tale che possa far passare le sue mani sulle coppe dei miei seni.

Sento le sue mani caldissime e subito anche la mia temperatura si alza.

Con i polpastrelli gioca con i miei capezzoli, sopra di me sento che sta cominciando ad ansimare.

Ci sarà qualcuno a guardarci?

E’ probabile…

Rimpiango di non essere in un posto più appartato….se fossimo anche solo in macchina….

Cosa fare?

Me lo farei? E’ questo che sto pensando?

Forse sente i miei dubbi, forse si rende conto anche lui della situazione, e ritira subito le mani.

“Che succede?”, gli domando.

E’ rosso in volto.

“Niente….è che non va bene così!”.

“Cosa succede?”. Vorrei mettermi accanto a lui, ma non posso per evitare di scoprirmi.

“Claudia, parliamoci chiaro: io potrei essere tuo nonno! Non so cosa tu abbia, ma sicuramente non sei interessata a me. Se vuoi fare uno sgarbo al tuo ragazzo, anche solo qui – e indica con la mano la spiaggia – hai molto di meglio da raccattare. Non mi piace questa storia!”.

Si alza in piedi e si allontana, bofonchiando qualcosa.

Vorrei andargli dietro, ma non posso.

Prendo il telefonino e avviso il mio padrone.

Dopo due secondi, arriva il messaggio che temevo:”Ora un ganchio ti moderà un piede e tu improvvisamente salterai in aria!”.

 


Mi presento al bar di Stefania con una decina di minuti di ritardo, ma non ho particolari scuse da accampare.

Sono rimasta a lungo su una panchina, proprio a qualche metro dal bar, a meditare.

A riflettere sul perchè le cose stanno prendendo questa piega.

Avrei potuto farmi le vacanze con i miei nonni senza problemi, rilassandomi e prendendo il sole, e invece no, mi sono messa in questo casino.

E quello che mi manda in bestia è che potrei smettere quando voglio, e tuttavia non lo faccio.

E’ come un richiamo naturale per me, quando sento certe tensioni, certe situazioni, non posso farne a meno.

E dire che da bambina ero tutt’altro che ubbidiente e spesso i miei genitori, i miei nonni stessi, mi avevano messo in punizione.

Certo, non mi avevano mai imposto di succhiare il cazzo a un vecchio o a uscire con una lesbica…

Oggi c’è stato un momento imbarazzante.

Ho accompagnato mia nonna a comprare ad un minimarket, e mentre eravamo lì abbiamo incontrato tre dei ragazzi che erano in spiaggia con me questa mattina.

I nostri sguardi si sono incrociati per qualche secondo, giusto il tempo per appurare che mi avevano riconosciuta.

Mi sono sentita in estasi. Mi avevano vista con un vecchio che mi toccava le tette prima e poi, poco dopo, balzare in aria completamente nuda fingendo il morso di un granchio.

E’ quello che mi manda in visibilio, essere spinta al limite, trovarmi in situazioni che mai avrei considerato.

E ora, cosa sto per fare?

L’ordine del mio Padrone per stasera è chiaro:”Devi assecondarla”.

Mi alzo e entro nel bar.


Stefania mi accoglie con un sorriso radioso.

“Temevo non venissi più!”, mi dice passando lo straccio sul bancone.

Io anche le sorrido.

“Scusa per il ritardo. Ma ho cenato tardi e ci ho messo un po’ a prepararmi”.

La cosa forse non è tanto credible, visto che indosso una semplice minigonna di jeans e una maglietta, ma Stefania non sembra pensarci.

“Poco male, tanto qui c’è sempre da fare. Dammi due minuti e mi preparo io; sarò più rapida di te!”.

Mi strizza l’occhio, apre una porta e si infila dentro, portandosi con sè uno zainetto.

Ci mette veramente due minuti, e quando riemerge indossa un paio di shorts e una polo bianca.

“Ancora un secondo”, mi dice, quindi apre il frigo, preleva due birre e le mette nello zainetto.

“Stasera offre la casa”, mi dice.

Ci incamminiamo verso il molo, in mezzo a tutte le altre persone che, dopo aver preso un gelato ho mangiato una pizza, vogliono approfittare del clima mite per fare due passi.

Non si trattasse di una donna, quello con Stefania sarebbe il classico appuntamento che hanno due persone che si parlano per la prima volta: ci raccontiamo di noi, nelle nostre famiglie, dei nostri amici e del nostro lavoro.

Inevitabilmente, dopo poco il discorso si sposta sul sesso.

Ci sediamo su una panchina, quindi Stefania rendeva una birra dallo zainetto e la stappa.

“Quando sei riuscita a parlarne con i tuoi? Come è andata?”, mi chiede.

Capisco dalla domanda che lei non ha nessun dubbio che io non sia lesbica.

In effetti, come darle torto: ci siamo conosciute in un locale gay, io ero da sola e non ho opposto nessuna resistenza quando lei mi ha chiesto di uscire.

Però il mio padrone mi ha chiesto di assecondarla, quindi non decido di  evitare la questione.

Certo, ma cosa posso rispondere?

Decido di rimanere sul vago.

“Non è stato facile, ma ho trovato più comprensione di quella mi sarei aspettata”.

Lei annuisce convinta.

“Anche per me è stato così. Pensavo che mio padre mi avrebbe uccisa, invece è stato il più comprensivo. I miei nonni l’hanno presa male…”.

Io non ricordo se ieri sera le ho detto da chi alloggi, cautelativamente le dico che i miei, di nonni, non lo sanno.

Non vorrei mai che arrivasse loro qualche voce all’orecchio…

Bevo un sorso di birra anche io.

“Sei mai stata al pride?”, mi chiede.

Faccio cenno di no.

“La prima volta per me è stata traumatica. Continuavo a chiedermi cosa ci facessi lì, a dirmi che potevo ancora andarmene. Era da poco che uscivo con la mia prima ragazza, Daniela”, mi racconta.

“Immagino”, le dico. Sono molto imbarazzata, mi sento una merda a ingannarla così.

“E ora? Stai con qualcuna, intendo?”, le chiedo.

Scuote la testa.

“No, da due mesi. Si è accorta dopo sei mesi di convivenza che io ero una donna. Pensavo si vedesse…”. Vuota la birra con un sorso e si alza in piedi.

“Vieni, ti faccio vedere un posto che sicuramente non conosci”, mi dice porgendomi la mano.

Le prendo la mano, ma lei – anche una volta che mi sono alzata – non la lascia; lo fa solo quando incrociamo altra gente.

Sempre chiacchierando, andiamo verso il lungo mare, quindi mi fa scendere lungo una scalinata che porta ad un ristorante.

“Dove andiamo?”, le chiedo.

“In un posto figo. Una volta lavoravo in questo locale, ci venivamo dopo il servizio”.

Costeggiamo il ristorante, per altro chiuso, quindi mi fa addentrare in un sentiero che sembra correre un metro sopra la superficie del mare; quindi arriviamo in una specie di insenatura.

“Ti piace?”, mi chiede sorridendo.

In effetti è un posto fantastico: sembra un angolo di un atollo tropicale, anche se a pochi passi dalla statale.

Scendiamo dal sentiero e ci spostiamo sulla sabbia.

Estrae dallo zaino la seconda birra e apre anche questa.

“Vengo spesso qui quando voglio stare da sola”, mi dice.

Ci sediamo una accanto all’altra, bevendo dalla stessa bottiglia e fumando una sigaretta.

Si chiacchiera, parliamo molto; devo ammetterlo, mi fa ridere e mi sembra una persona a posto.

Ogni tanto mi tocca con la mano, ma non è invadente; probabilmente non ci farei caso se non fossi un po’ sulle spine.

Ad un certo punto volta la testa verso di me.

“Senti, ti va di fare un bagno?”, mi propone.

Io tentenno.

“Non ho il costume”, dico.

Lei mi sorride. “Neppure io”.

Si alza in piedi, si toglie le scarpe e si sfila i pantaloni, poi mi guarda.

“Dai! – mi esorta – Non ci vede nessuno!”.

Devo assecondarla, mi ha ordinato il mio padrone, no?

Mi alzo in piedi anche io, mi sfilo i sandali e la gonna; nel frattempo lei si è liberata della maglietta ed è in biancheria intima.

Ha un bel fisico muscoloso; poi penso che quando l’ho conosciuta mi aveva raccontato di essere con le sue compagne di squadra e capisco il motivo.

Si sfila il reggiseno e le mutandine e rimane a guardarmi.

Ora mi sento – paradossalmente – in imbarazzo, così tiro un sospiro e mi spoglio anche io.

Rabbrividisco e faccio per coprirmi con le braccia, ma mi viene lo scrupolo che lei possa interpretare questo gesto come un atto di difesa nei suoi confronti, così rimango lì, con le braccia distese lungo i fianchi.

E’ buio, ma mi accorgo che mi sta guardando, e sta sorridendo.

Sento un brivido e so che non è di freddo.

Cosa starà pensando?

Sta fantasticando su di me?

Sta immaginando come sarebbe toccarmi?

Anche io guardo verso di lei.

Fisicamente ci somigliamo: anche lei ha il seno piccolo ed è minuta di corporatura, anche se è molto più muscolosa di me.

Come sarebbe passarle una mano sul seno?

E baciarle il pube?

Allunga una mano verso di me; rispondo al richiamo e piano piano ci addentriamo in acqua.

La temperatura è piacevole, sicuramente è più calda dell’aria.

Ci immargiamo fino al petto, quindi ci mettiamo una di fronte all’altra.

“Claudia, io non so se faccio bene a dirtelo – mi confida – però io avrei voglia di baciarti”.

Io rimango un istante in silenzio.

Se voglio togliermi da questa situazione, questo è il momento giusto.

Non solo: è l’ultimo momento in cui potrei uscirne ancora con una certa decenza.

Però non le dico nulla, anzi, penso che non ho mai baciato una donna e potrei provarci ora.

Mi avvicino a lei, sento i suoi capezzoli sfiorare i miei.

Sono entrambi turgidi, ma forse non è per la temperatura del mare.

Le sue labbra si appoggiano sulle mie.

Sa di birra e di sigaretta, anche io devo avere lo stesso sapore.

Le nostre labbra si toccano, sento la punta della sua lingua entrare nella mia bocca.

La lascio fare e imito il movimento con la mia lingua.

Non so definire la sensazione; non è diverso da baciare un uomo, anche se a livello emotivo sto andando a pezzi.

Con le braccia mi cinge i fianchi e i nostri pubi si toccano.

Cosa devo fare ora? Sfregarmi contro di lei?

Cosa fanno le lesbiche in queste situazioni?

Continuo a baciarla, confidando che un istinto – se il sesso tra due donne può essere istintivo – verrà in mio soccorso.

Le metto una mano su una chiappa e stringo; è molto soda.

Lei, per contro, mi massaggia una seno.

Continuiamo a baciarci.


Due ore più tardi, entro nella mia cameretta.

Ho il cuore che batte e non so cosa fare.

Il mio padrone già mezz’ora fa mi ha inviato un messaggio per sapere come è andata, ma non gli ho risposto.

Non so cosa dirgli.

Fino a dieci minuti fa ero ancora con Stefania, e le sue mani erano su di me.

Ora so come è toccarle il seno…

Mi spoglio e, istintivamente, passo una mano sul mio torace.

Che cazzo ho fatto questa sera?

Ho un uomo a casa che mi aspetta, cosa mi è preso?

E’ bastato con uno mi dicesse:”Vai, non deluderla”, per trascinarmi in questo?

Non lo nascondo, mi ero sempre chiesta come sarebbe stato andare con una donna, ma questa è una cosa diversa.

Sento arrivare un messaggio, sicuramente è del mio padrone.

Guardo il telefono: è di Stefania.

“Non so dove ci porterà questa cosa, ma questa sera sono stata bene”, mi dice.

Mi mordo il labbro inferiore.

Devo dirle che sono eterossesuale, che ho un ragazzo…

Invece prendo il telefono e le scrivo:”Anche io”.

Mi metto nel letto e fisso il soffitto.

Ancora un messaggio.

Questa volta è del mio padrone.

“Non esiste che non mi rispondi. Domani sarai punita, puttana”.

 

 

 

Come temevo, il mattino dopo, al mio risveglio, trovo una mail del mio padrone.
Non ha gradito la mia latitanza della sera prima. 
“Visto che evidentemente io e te abbiamo due concezioni diverse del ruolo di padrone è schiava, oggi cambiamo leggermente programma e voglio farti capire cosa mi aspetto da te – mi scrive – Quello che farai oggi era già in programma, non ho cambiato idea solo a causa del tuo comportamento di ieri, solo avevo pensato di fartelo fare un po’ più avanti ma evidentemente hai bisogno di questo proprio ora. Quella di oggi, sarà una giornata promozionale.
Questo significa che il tuo corpo non sarà solo offerto in visione a quei quattro stronzi che vengono in spiaggia con te, ma la estenderemo anche ad altri. Ma non solo, ci saranno determinati stimoli a cui tu non potrai sottrarti”.
Segue un lungo elenco di situazioni in cui dovró trovarmi  e come dovró reagire.
Sento un brivido corrermi sotto pelle. Molti degli ordini che leggo mi provocano un turbamento, ma anche un forte desiderio. Non mi sembra ci siano i presupposti giusti per poter contestare gli ordini, così mi preparo e raggiungo mia nonna in cucina, già sveglia da almeno un paio di ore.
“Nonna, questa mattina voglio darti una mano, tanto non voglio andare in spiaggia prestissimo – le dico – Vorrei che tu ti riposassi che lasciassi a me il compito di farti un po’ di spesa”.
Mia nonna mi guarda perplessa, come se le avessi appena detto di voler cambiare sesso.
Abbozza una qualche resistenza, poi, vista la mia intransigenza, stila una lista con alcuni articoli da comprare.
Non appena la leggo, mi rendo conto come per lei io sia ancora una bambina di otto anni da non caricare di eccessive responsabilità: ha messo in elenco solo articoli già pronti (detersivi, saponi…) che non necessitino di nessuna valutazione.
Scelgo di non discutere, metto la lista nella borsetta ed esco.
La prima tappa è al bar, per fare colazione.
Ordino un caffè e una brioches , quindi mi metto ad un tavolino a leggere il giornale.
Non mi siedo, però: appoggio il giornale sul piano orizzontale, quindi mi protendo sopra di questo per poterlo leggere, appoggiando le mani a lato. Così facendo, mi inclino in avanti facendo sì che la camicetta si stacchi dal mio corpo. Sotto, come da esplicito ordine del mio padrone, non ho indossato il reggiseno.
Ogni ragazza, dalla pubertà in poi, impara rapidamente le regole empiriche della trigonometria.
Sa che se si china di circa trenta gradi il suo seno probabilmente sarà ancora invisibile per una persona posta di fronte a lei.
Sa che se sta tra i trenta e i quarantacinque gradi è meglio portare una mano alla scollatura per evitare imbarazzanti scoperte.
Oltre i quaranticinque gradi chiunque sia nel raggio di un paio di metri le guarderà il seno.
Io sono oltre i quaranticinque e non sto portando la mano alla scollatura, anche se il mio istinto me lo chiede.
Combatto contro me stessa per non staccare gli occhi dal giornale e guardarmi attorno. 
Ho già verificato prima, ci sono almeno quattro persone davanti a me. 
Non mi scompongo neppure quando il ragazzo mi porta il caffè e la brioche, appoggiandoli proprio davanti a me e assicurandosi una visione in prima fila.
Lo ringrazio senza guardarlo, ma mi accorgo che indugia ancora qualche secondo di fronte a me. La tentazione di alzare il busto o almeno di coprirmi la scollatura con una mano e’ fortissima, ma la reprimo.
Consumo la mia colazione in silenzio, registrando almeno un paio di persone che si avvicinano con falsa indifferenza al mio tavolino.
Dentro di me continuo a ripetermi che, alla fine, sono molto più coperta quando prendo il sole, ma il mantra mi consola poco. 
Esco dal bar e mi dirigo verso il minimarket. 
Prendo il carrello e lo riempio con gli articoli che mi ha indicato mia nonna. 
Le sue disposizioni sono talmente precise e non ho nessuna possibilità di sbagliare; forse non si rende conto che io abito da sola e che sono ormai anni che faccio la spesa per conto mio.
Mi avvicino al reparto surgelati e staziono sopra il frigorifero per qualche istante, giusto il tempo di far sì che i miei capezzoli diventino duri.
Quando mi allontano incrocio subito un commesso, il quale guarda prima il mio viso e poi abbassa lo sguardo verso il mio petto, come sovente fanno gli uomini. 
 Avrà notato qualcosa?
Ci incrociamo in silenzio.
Riempio il carrello con quanto chiesto da mia nonna e mi avvio verso l’uscita. 
Sono tre casse, una accanto all’altra; scelgo quella più a destra.
Mi chino a prendere un pacco di biscotti dal carrello, e nell’ eseguire questo movimento, espongo i miei seni a entrambe le code che si trovano alla mia sinistra.
Sono in tutto sette persone; due uomini mi notano immediatamente.
Mi chino ancora, questa volta per un pacco di pasta. Ancora mostro seni. 
Eseguo il movimento almeno una decina di volte, nel frattempo altri due uomini si sono accorti dello spettacolo estemporaneo.
Non guardo nella loro direzione, ma sono perfettamente consapevole dei loro sguardi. Sono a circa un metro da me, sicuramente non si sono persi alcun dettaglio.
Questa sensazione mi imbarazza e mi eccita allo stesso tempo; quando finalmente arrivo a chiedere il conto alla cassiera ho i capezzoli duri.
Pago, continuo a ignorare gli sguardi lascivi degli altri clienti e esco dal minimarket.
Passo da casa a lasciare la spesa e mi preparo velocemente per la spiaggia, dove la giornata promozionale avrà il suo proseguimento. 
Devo pensare il meno possibile e non curarmi di quello che sto facendo, come se fosse un lavoro da eseguire. 
Preparo il borsone per la spiaggia, dò un bacio alla nonna e mi avvio verso il mare.
Mi assale un pensiero.
Mia nonna va abitualmente a comprare nel minimarket dove sono appena stata; mi ha raccomandato di andare proprio lì per quel motivo.
Magari ho incrociato dei clienti abituali, magari alcuni di loro conoscono mia nonna; è possibile che alcuni ci abbiano viste assieme le volte che l’ho accompagnata. 
La cassiera ad esempio, con lei è probabile che si conoscano.
Quanti avranno fatto l’abbinamento?
Quanti avranno capito che la signora tutta distinta che compra il formaggio fresco al giovedì ha una nipote un po’ zoccola?
La cosa mi eccita ancora di più.
Entro in spiaggia e mi dirigo verso il mio posto usuale.
E’ più tardi del solito e di conseguenza è più affollata.
Ci sono anche i tre ragazzi che avevo conosciuto i primi giorni.
Poso l’asciugamano a una decina di metri da loro e mi spoglio.
Ormai non è più una novità per me rimanere solo in mutandine, ma mi accorgo che i miei movimenti sono ben seguiti dai tre.
Ripongo con calma gli indumenti nella borsa e mi sdraio.
Mi metto supina, in modo che il mio seno sia perfettamente in vista per loro e per chiunque.
Sto bene, non sono più imbarazzata ma, piuttosto, consapevole di me.
Esercito nei confronti di quegli uomini lo stesso richiamo che i felini femmina in calore emanano per i loro maschi; potrei farli ululare se volessi.
E voglio. O meglio: devo.
Lascio trascorrere una decina di minuti, durante i quali almeno cinque fotografie mi vengono scattate pensando che io non me ne accorga, quindi mi alzo in piedi e mi dirigo verso il gruppetto. E’ da questa mattina che so cosa devo fare, ma ho comunque il cuore che batte.
Mi accosto a quello più vicino a me, lo stesso con cui già avevo parlato la volta scorsa.
Sta fumando e sembra meravigliarsi quando vede che sto per parlare proprio con lui. 
Mi chino a novanta gradi; il mio seno è a non più di venti centimetri dal suo volto.
“Volvo chiedervi un consiglio”, dico.
“Certo”, dice, quasi sospettoso.
“Sono qui da sola con i miei nonni – dico – Questa sera volevo andare a mangiare una pizza, perchè mia nonna cucina sempre le stesse cose. Dove potrei andare?”.
Se mia nonna sentisse questa parole ammazzerebbe prima me e poi il mio padrone che mi ha imposto di dirle.
“Vorresti andare a mangiare da sola?”, mi chiede stupito.
“Certo. Non conosco nessuno qui”, rispondo. Aggiungo una leggera nota di tristezza, sperando di non essere troppo didascalica.
E’ per altro quasi vero, se escludiamo Stefania.
E l’anziano signore.
Ecco, non conoscerò molta gente, ma quelli li conosco piuttosto bene!
“Vieni a mangiare da noi!”, propone uno dietro, alzandosi in piedi e ponendosi di fronte a me e porgendomi la mano.
Mi rimetto in posizione eretta e accetto la sua stretta di mano.
“Sono Francesco”, si presenta.
“Non vorrei disturbare…”, abbozzo.
“Nessun problema”, dice il primo (che successivamente scoprirò chiamarsi Sergio). “Ci vediamo spesso ma non abbiamo mai scambiato una parola, potremmo cogliere l’occasione per conoscerci meglio”.
“Be’, allora grazie – dico – Per quando facciamo?”.
Mi viene da incrociare le mani sul petto, ma mi rendo conto che così facendo coprirei il seno, e non posso farlo, così le metto sui fianchi.
I tre si guardano rapidamente.
“Anche stasera”, mi propone Sergio.
 Sento il cuore battere. Presumevo sarebbe stata la risposta più probabile, ma questo significa che la mia giornata promozionale durerà a lungo.
“Va bene”, rispondo.
Ci mettiamo d’accordo su dove vederci (in ogni caso non voglio dargli il mio telefonino), quindi ritorno all’asciugamano e comunico al mio padrone gli sviluppi per quella serata, poi vado a fare un bagno.
Quando ritorno trovo il suo messaggio con le disposizoni per la serata: “Farai tutto quello che ti chiederanno, sia che te lo chiedano in maniera chiara sia che te lo facciano solo intuire”. Sento subito lo stomaco contrarsi in una morsa.  Gli rispondo immediatamente: “Rispetto il tuo volere, ma ti chiedo di riformulare l’ordine. Quello che mi chiedi potrebbe portare a conseguenze pesanti”.
La risposta mi fa capire di non avere speranze: “Quello che stiamo facendo assieme è un percorso, e la serata che ti accingi a vivere non è altro che una tappa. Puoi ovviamente scegliere di non eseguire gli ordini, ma sappi che in quel caso sarà tutto il viaggio ad interrompersi”.
Rispondo in fretta, prima che possa cambiare idea: “No, scusami, farò quello che mi hai ordinato”.
“Bene. Fidati di me, so qual è il tuo bene”, mi risponde. Spero abbia ragione, ho comunque ancora un altro compito da svolgere prima di preoccuparmi della cena.

“Ti prepari? Andiamo in spiaggia?”, mi chiede mia nonna.
Guardo l’ora e calcolo quanto manchi alle sedici e ventidue in punto. Non faccio in tempo.
“No, oggi non vengo. Volevo andare a fare un po’ di shopping”, rispondo. Mia nonna mi guarda come se avessi l’avessi insultata.

“Potevi dirmelo questa mattina, saremmo andate assieme», protesta. “Magari avrei potuto anche regalarti qualcosa”, aggiunge con un po’ di malizia.

“Ti ringrazio, nonna, ma tu già fai tanto per me. E poi io riesco a comprare bene solo quando sono da sola”, replico.

Questo è vero. Sono le tre, non ho tantissimo tempo.

Mi alzo in piedi: “E’ meglio che mi prepari, se faccio in fretta magari un salto in spiaggia lo faccio comunque”.

Vado nella mia camera e mi tolgo i vestiti dvanti alla specchiera. 

C’è poco da fare, l’abbronzatura quasi integrale a cui mi sta costringendo il mio padrone mi dona veramente molto.

E’ molto meglio avere un colore uniforme piuttosto che quelle antiestetiche macchie bianche sui seni. Mi sfilo anche le mutandine e osservo il contrasto della pelle bianca dove solitamente indosso la mutandina del costume.
Passo velocemente una mano sul pube. Il pensiero di quello che sto per fare mi ha leggermente eccitata, e sento un’po’ dei miei umori depositarsi sulla mano.
Appoggio la punta dell’indice sul clitoride e comincio a stimolarlo.

Chiudo gli occhi, godendo del tocco leggero, poi penso che sono in ritardo e smetto.
Avrò altri momenti per godere. 

Indosso un abito bianco a fiori, senza nulla sotto, e controllo nello specchio se si noti qualcosa.

Direi di no.

Per quanto possa sembrare paradossale, raccoglie più sguardi un perizoma indossato sotto un abito aderente che non la nudità completa.

Prendo la macchina e guido per alcuni chilometri, portandomi fuori dal paese.

Posteggio in una strada sterrata, scendo e mi incammino in una prato.

Non sono mai stata lì, ma la presenza dei binari del treno a pochi metri alla mia sinistra indicano che non mi sto sbagliando.

Cammino per alcuni minuti fino a quando non raggiungo un posto di mio gradimento.

Alle mie spalle c’è una cortina di alberi che mi protegge dalla vista di chiunque possa passare dalla statale (per altro abbastanza distante e più in basso rispetto a me), davanti a me, al di là dei binari del treno, c’è solo il mare.

Guardo l’ora: mancano una decina di minuti. Mi accendo una sigaretta e penso a quello che sto per fare.

Ho il cuore che batte fortissimo.

Me la sentirò?

Per certi versi è ancora più facile di altre prove che ho già affrontato, ma sono agitata.

Spengo la sigaretta e riguardo l’orologio: mancano due minuti, è ora.

Posso ancora tirarmi indietro, ma è l’ultimo momento utile.

Ricordo le parole del mio padrone:”Questo è un viaggio, se scendi sei fuori”. Come a sottolineare la metafora, sento il fischio del treno.

Questo mi fa rompere gli indugi: sbottono il vestito e me lo sfilo dalla testa. Sotto sono completamente nuda.

Reprimo l’istinto di coprirmi con le mani o anche solo di voltarmi verso gli alberi. Resto lì, in piedi.

Sento il vento accarezzarmi il petto e insinuarsi tra le gambe; è quasi sensuale.

E’ bello essere nuda sotto il sole, già me ne ero accorta nei giorni passati prendendo il sole senza reggiseno.

Forse una volta nella vita mi piacerebbe provare ad andare in una spiaggia naturista.

Deve essere bello potersi abbandonare liberamente su una spiaggia, senza paura di essere giudicata.

Il mio uomo non è tanto dell’idea, temo. 

Sento nuovamente il fischio del treno, questa volta è più vicino. 

Giro la testa e lo vedo, sarà a cinquecento metri. Ancora qualche secondo e sfreccerà accanto a me.

Lui e il suo carico di persone.

Aspetto, metto le mani dietro alla nuca.

Mi passa accanto veloce, ma non come avrei immaginato.

E’ sufficientemente lento da permettermi di vedere chi vi è seduto dentro e le loro espressioni.

La più diffusa è la sorpresa.

E’ normale, chi non si stupirebbe di vedere una donna nuda fuori dal finestrino? 

Alcuni ridacchiano, altri – dopo una prima occhiata – girano la testa e mi guardano allontanarmi.

Il passagio del treno non dura più di cinque secondi, ma durano come mezza giornata.

Lo spostamento d’aria sembra accarezzare i miei capezzoli – nel frattempo diventati duri – e un brivido mi attraversa. Il mezzo si allontana e il silenzio torna attorno a me.

Aspetto ancora qualche istante, quindi abbasso le braccia e recupero il mio abito.

Mi rivesto, provando la sensazione strana di avere la stoffa sulla pelle, quasi come se fosse normale essere nuda.

Mi dispiace anche, lo riconosco.

Torno alla macchina e mi accendo un’altra sigaretta.

Quella che mi aspetta in serata potrebbe essere tutt’altro che semplice.

Mi presento a casa dei regazzi con una vaschetta di gelato in mano.

Al di là degli ordini del mio padrone, non ho nessun indizio che mi faccia catalogare questa serata come diversa dalle altre e mi voglio comportare con naturalezza.

Certo, i tre ragazzi sembrano interessati a me, ma non sarebbe neppure la prima volta che passo la serata con qualcuno senza che succeda nulla.

Anzi, proprio il fatto che siano in tre potrebbe determinare l’esito della serata: fossimo in due, sarebbe più probabile che il mio accompagnatore ci provi, in tre è un’altra cosa.

Mi sono comunque vestita carina, con un paio di ballerine, una gonna corta ma non troppo e una camicetta bianca.

Sotto, in assenza di ordini precisi, ho indossato l’intimo di ordinanza.

Salgo al secondo piano di un piccolo stabile, l’appartamento è piccolino ma funzionale per una villeggiatura.

Sembra di essere nella pubblicità di un detersivo per la casa: si sente il profumo di pulito ovunque, segno che i tre hanno preso seriamente la serata (e segno che forse, prima, non curavano troppo la loro abitazione).

Ci accomodiamo su un piccolo terrazzino e mi offrono da bere, intanto che Francesco – evidentemente quello delegato ai lavori di cucina – finisce di preparare le ultime cose.

“Guardate che a me bastava anche una pizza in un cartone”, preciso.

Luca, l’unico di cui non sapevo ancora il nome, alza le spalle: “Mangiamo la pizza talmente spesso che è stata anche per noi una scusa per cucinare qualcosa”.

Effettivamente Francesco sembra essere dotato come cuoco e consumiamo una cena abbondante con molto pesce.

I tre ragazzi sono tutti coetanei, hanno ventitre anni e si conoscono dai tempi della scuola superiore.

Sono ancora studenti universitari, anche se frequentano facoltà differenti.

Solo uno, Francesco, ha la ragazza, anche se è rimasta in città per esigenze lavorative.

Mi chiedono come mai sia lì da sola e dove alloggi.

“Ho un ragazzo, stiamo assieme da un paio di anni – spiego – però lui lavora e non è potuto venire con me. Così ne approfitto per stare un po’ con i miei nonni, che ultimamente non li vedo più tanto”.

“Ma il tuo ragazzo non ha paura che, da sola…”, insinua Francesco.

“Sai, se uno vuole le corna le fa anche se resta a casa – rispondo, dicendo una cosa che effettivamente penso – È questione di fiducia. Per altro, anche lui magari in questo stesso momento si sta dando da fare con un’altra”.

Non credo nemmeno io a questa affermazione, ma se non altro suona credibile.

Dopo cena consumiamo il gelato.

È molto buono, e aiuta a stemperare il caldo della serata

“Cosa vogliamo fare? – domando – Volete uscire e bere qualcosa?”.

Luca apre l’anta di un mobile e tira fuori un paio di bottiglie.

“Certo. Però perché spendere soldi fuori, quando abbiamo un bar fornitissimo già in casa?”, dice appoggiando un bicchierino di fronte a ciascuno di noi.

Andiamo avanti a bere per circa una mezz’ora.

Io non sono una forte bevitrice, così mi limito a prendere del mirto, che, come tutti i liquori che vengono gustati freddi, tende ad ingannare in merito alla sua effettiva gradazione alcolica.

Dopo poco comincio a sentirmi un po’ brilla.

Forse se ne accorgono o forse le cose semplicemente vanno così, quindi Francesco mi chiede: “Senti, ti andrebbe di fare un gioco?”.

Sento che il momento è chiave, so che devo assecondare le loro richieste.

“Certo! Che gioco?”, domando.

“È il gioco della coperta. Lo conosci?”.

In effetti non lo conosco e chiedo come funzioni.

“È semplice – spiega Sergio – Adesso tu ti copri con una coperta, ti metti magari sul divano, mentre noi decidiamo in segreto un indumento che tu indossi. Tu, di volta in volta, ne nominerai uno: se sarà quello che abbiamo scelto noi, il gioco sarà finito e avrai vinto; se invece non indovinerai, te lo dovrà togliere. Chiaro?”.

Chiarissimo.

“Quindi, nella peggiore delle ipotesi, io rimarrò con un indumento addosso”, rifletto.

“Anche di più, dipende da quanto in fretta indovini”.

Mi hanno già vista indossare solo le mutandine del costume, non sarebbe una grossa novità per me e neppure per loro.

Per altro, questa è comunque una loro richiesta e non posso dire di no.

“Ok, giochiamo!”, dico, sperando di non suonare troppo falsa. Dentro di me sono un po’ preoccupata.

Luca va nella stanza accanto a prendere una grossa coperta sotto la quale, una volta accomdata sul divano, mi raggomitolo subito; quindi fanno un breve conciliabolo per scegliere il mio indumento.

Prendono un foglio di carta, ci scrivono qualcosa sopra, poi lo piegano e lo mettono sul mobile.

“Lì c’è scritto il nome del tuo indumento, così non possiamo barare”, spiega Sergio.


Il gioco ha inizio.

Non ho tanti capi addosso, devo giocarmeli con attenzione.

Dopotutto, loro mi hanno chiesto solo di giocare, non di spogliarmi, quindi sono autorizzata a giocare al meglio.

“Le scarpe?”, domando, pur con poca convinzione.

Luca scuote la testa, così me le tolgo e le appoggio sul pavimento.

Almeno me le sono tolte e non sporcherò il divano.

“Camicetta?”, chiedo.

Questa volta è Sergio a scuotere la testa.

Sempre stando sotto alla coperta, mi slaccio i bottoni della camicetta e la appoggio vicino a me.

In quel momento realizzo per la prima volta come certe sensazioni siano regolate molto dal contesto.

Questi ragazzi mi hanno già ammirata con molti pochi indumenti addosso, tuttavia in questo momento sto facendo attenzione affinché non vedano neppure una spallina del reggiseno.

Cosa sta cambiando?

È chiaro: essere in topless in spiaggia è lecito e non c’è nulla di strano, essere in reggiseno sul divano di casa è insolito e mio senso del pudore si lamenta subito.

Cosa possono aver scelto? Secondo me mirano a vedermi senza mutandine, quindi non le lascerò per ultime.

“Reggiseno?”.

Questa volta è Francesco ad annunciarmi di aver sbagliato, battendo le mani come se avesse segnato un gol.

Ridacchio nervosa, quindi, sempre sotto la protezione della coperta, slaccio la chiusura del reggiseno e lo sporgo a Sergio.

Non si vede nulla di me, forse solo la punta dei piedi, ma mi sento estremamente in imbarazzo.

Ora cosa posso tentate?

Vado a caso: “Gonna?”.

Li vedo tutti e tre fare cenno di no con la testa, come fossero tre marionette comandate da solo filo.

Alla fine, la scelta era quella più ovvia: avevano scelto le mie mutandine; li avevo sopravvalutato io nell’attribuirgli una strategia.

“Okay, direi che il gioco è finito e, tanto per cambiare, mi vedrete le dette “, dico.

“Il gioco non è mica finito”, annuncia con un sorrisone Sergio.

Lo guardo di storto: “Certo che è finito. Ho addosso solo più il perizoma”.

Interviene Luca: “Il gioco non è finito. Ora dicci, Claudia, quale indumento secondo te noi abbiamo scritto su quel biglietto?”.

Non riesco a capire dove vogliano arrivare. “Ho solo un capo di abbigliamento addosso. Potete aver scritto perizoma o mutandine o quello che volete, ma sempre quello rimane”.

Questa volta parla Francesco: “Mi dispiace, hai sbagliato. Devi toglierti il perizoma”.

Dall’espressione si capisce che non gli dispiace per nulla.

Sento la temperatura salire e intuisco di avere il volto rosso.

Sollevo il sedere dal divano, faccio scorrere il perizoma fino alle caviglie, quindi sporgo un braccio dalla coperta e lo consegno a Luca.

“Avete barato! – dico – Io non ho più nulla addosso!”.

“Questo lo dici tu – ribatte Sergio – A noi sembra che tu abbia ancora qualcosa addosso”.

Per un momento non capisco, poi realizzo: “La coperta!”.

Come fosse stato un segnale, i tre ragazzi si alzano, si gettano verso di me e afferrano i lembi della coperta.

Io non faccio in tempo a organizzare nessun tipo di resistenza che mi trovo istantaneamente nuda.

Istintivamente con le mani mi copro il seno e il pube, quindi mi ricordo degli ordini del mio padrone: “chiunque dovrà godere della vista del mio corpo”.

Sposto le mani, scoprendomi le parti intime.

“Bravi, siete dati furbi – dico – Ora cosa dovrò fare per avere indietro i miei vestiti?”.

So perfettamente che quella frase apre il campo a diverse cose, l’ho detta apposta

“Ad esempio – dice Sergio – potresti provare a fare una piccola sfilata davanti a noi. Avanti e indietro”.

Mi alzo in piedi e, lentamente, percorro il pavimento seguendo la parete della stanza.

I loro occhi sono tutti su di me, sento la pelle come bruciare sotto i loro sguardi.

Torno indietro e mi siedo nuovamente sul divano.

Passa qualche secondo, durante i quali nessuno ha il coraggio di parlare, eppure tutti sanno cosa sta per succedere.

E’ Luca a rompere il ghiaccio: “Andiamo in camera, Claudia?”.

Annuisco senza guardarli, quindi prendo la mano che Luca mi sta porgendo e lascio che mi guidi verso la stanza da letto.

E’ una stanza molto piccola, ci sono due letti singoli posti uno di fronte all’altro; evidentemente uno dei ragazzi dorme in una stanza che non ho visto.

Francesco mi fa sedere sul letto, quindi con un cenno mi invita a sdraiarmi.

Si inginocchia davanti a me e con le mani mi invita a aprire le gambe.

Gli altri due ragazzi sono seduti sul letto e guardano.

L’atmosfera è carica di elettricità, nessuno parla

Sento la lingua di Francesco insinuarsi fra le mie grandi labbra.

Chiudo gli occhi, dicendomi che, giunta a sto punto, è più sensato godermi il momento e non farsi paranoie.

Tanto, padrone o non padrone, non sono sicuramente nella condizione di potermi alzare e salutare tutti come se nulla fosse capitato.

La lingua di Francesco continua a lavorare, facendo crescere il livello di eccitazione.

Gli altri due ragazzi sono a un metro e guardano, non sono abituata ma non mi danno fastidio.

La mani di Francesco corrono lungo il mio corpo, mi afferrano i seni e mi torcono i capezzoli; sale con la lingua, mi lecca la pancia e i capezzoli.

“Ragazzi, ci vediamo dopo?”, dice rivolto ai due amici.

Luca e Sergio si alzano in silenzio e lasciano la stanza, quindi Francesco si sfila la t shirt e si sdraia accanto a me.

“Ti va se andiamo oltre?”, mi propone.

Annuisco nella penombra, mentre il cuore mi batte sempre più forte.

Sento che si sfila i jeans e li lascia cadere a terra, quindi si libera anche dei boxer.

Allungo una mano verso il suo pene, è già eretto e umido.

Mi metto in ginocchio e accosto il volto al suo pube, quindi gli passo la lingua lungo il membro.

Sento un lungo sospiro provenire dalla sua gola.

Ripeto l’operazione.

Sento la sua mano correre lungo la mia schiena, quindi con il palmo preme sulla mia nuca.

Capisco il messaggio, apro la bocca e accolgo il suo pene.

Un altro sospiro.

Qualche minuto dopo Francesco si alza dal letto e si riveste.

“Io ho una ragazza, lo sai, no?”, mi dice.

Mi aspettavo una frase infelice di questo genere.

Certo che lo so; anche io ho un ragazzo, per altro.

Cosa pensa, che io sia innamorata?

Che molli tutto per andare a vivere con lui?

“Non preoccuparti, non ci saranno problemi”, lo rassicuro.

“Bene”, dice soltanto.

Si infila la maglietta.

“Cosa fai adesso?”, mi domanda.Con la testa accenna verso la porta, sottintendendo i suoi amici.

“Mandami Luca”, gli dico.

Magari sarà meno indelicato di lui.

Il ragazzo si affaccia alla porta un paio di minuti dopo.

Porta con sè una zaffata di profumo, segno che si è immerso nell’acqua di colonia prima di entrare.

Si siede sul letto accanto a me, ancora completamente vestito.

“Cosa stai aspettando?”, gli chiedo.

“Non so…scusami, non pensavo che sarebbe andata così…”, mi dice.

“Neppure io. Ma visto che siamo qui, divertiamoci no?”.

Comincia a spogliarsi, quindi si sdraia accanto a me e allunga una mano sul seno.

Fa per baciarmi, ma lo stoppo.

Non voglio fare come le prostitute che ne fanno un dogma, ma ho appena fatto un pompino a Francesco e non mi sembra il caso.

Passa la mano ripetutatemente lungo il mio corpo, come se volesse crearsi una memoria tattile di come sono fatta.

Sono eccitata e quel tocco mi fa effetto.

Adesso ho voglia di godere io, non mi va un altro pompino, così non gli lascio la possibilità di chiedermi nulla.

Lo faccio sdraiare sulla schiena e gli monto sopra.

Il suo pene scivola agevolmente dentro di me; lui è molto eretto, io molto bagnata.

Mi sollevo e mi abbasso facendo leva sulle cosce, percorrendo con la mia vagina l’intera lunghezza del suo membro.

Forse non durerà a lungo così, ma io non ho bisogno di molto tempo.

Mi afferra i seni, quasi me li graffia con le unghie.

“Sei una puttana….”, dice sottovoce.

Mi chino verso di lui, senza farlo uscire.

“Ti piacerebbe, eh! – gli sibilo – Ti piacerebbe avermi quando vuoi tu, vero?”.

Mi prende per i fianchi, forse ha paura che mi alzi.

“Ti scoperei tutti i giorni…è da quando ti ho vista che lo voglio fare”.

Continuo a muovermi.

“Ti sei toccato? Ti sei toccato pensando a me?”.

Non mi risponde, ma continua a muoversi.

Mi fermo.

“Rispondi. Ti sei toccato pensando a me?”.

“Dai, Claudia…sono argomenti personali!”.

Non mi muovo.

“Mi stai scopando, non ti sembra anche questo piuttosto personale?”.

Silenzio.


“Ti sei masturbato pensando a me?”.

Ancora un attimo di esitazione, poi: “Sì”.

Ricomincio a muovermi, ma lentamente.

“Quando l’ultima volta?”.

“Oggi pomeriggio”.

“Cosa hai pensato?”.

Aumento il ritmo.

“Avevamo organizzato il gioco – dice con gli occhi chiusi – Volevamo che ti spogliassi”.

Ancora più veloce.

“Pensavate che ci sarei stata?”.

Scuote la testa.

“No, non pensavamo”.

Ha gli occhi chiusi e sta per venire.

Mi fermo di nuovo.

“Ma tu hai fantasticato su questo, vero?”.

Annuisce, cercando di ripartire.

“Ti sei fatto una sega pensando a me nuda”, puntualizzo.

“Sì, certo”, risponde con voce debole.

Ricomincio lentamente.

“Dove eri?”.

“Nella doccia”.

Sono eccitata da morire; pensare a lui che si masturba su di me mi fa venire i brividi.

Mi inclino leggermente in avanti per sentire meglio, accelero un poco e vengo.

Lui se ne accorge e mi afferra i seni.

“Vai avanti, Claudia…Vai avanti!”, mi chiede.

Non mi fermo fino a quando non sento una stretta poderosa sui miei seni.

Anche Luca è venuto.

Scendo da lui e lo invito a rivestirsi.

“Non vorremo far aspettare Sergio?”, gli chiedo.

“Tu sei veramente troia”, commenta uscendo.


Entra Sergio e si siede accanto a me.

Vorrei fumarmi una sigaretta, ma l’immagine di me che fumo nuda con lui accanto mi rimanda immediatamente ad un bordello anni ‘30 e lascio stare.

“Dai, non ti spogli?”, gli chiedo.

“Non me lo faccio chiedere due volte, ti avviso”, mi dice lui.

Si alza e si libera dei vestiti.

Ha un grosso membro, già in erezione.

Non me lo voglio perdere, mi sdraio sulla schiena e allargo le gambe.


Sono le tre passate quando torno a casa, in silenzio per non svegliare i nonni.

Mi sento sporca; sono sporca.

Ho chiuso la serata con tre pompini, tre scopate e un rapporto anale.

Tra l’altro con Sergio, che mi ha fatto male.

Un bel curriculum, eh?

Ne sarà contento il mio ragazzo, che mi ha chiamata cinque volte senza ricevere risposta.

O anche Stefania, che mi ha mandato quattro messaggi perchè voleva vedermi.

Vorrei farmi una doccia, ma è troppo tardi e farei rumore.

Ho ancora addosso l’odore dei tre ragazzi, in gola il sapore dei loro membri.

Spero di riuscire a dormire.

 

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