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Sguardi. Basta così poco.
Ci avete mai pensato? Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, e questo vien detto da tempo immemore, sicuramente sono anche il solo modo in cui l’anima può conoscere il mondo.
Sguardi. Possono comunicare così tanto, in così poco.
Possono esprimere odio, risolutezza, severità, approvazione, dubbi, felicità, dolore, gioia, preoccupazione, quiete e desiderio.
Sguardi…

Con lo sguardo vediamo, conosciamo, valutiamo, osserviamo, impariamo.
E con lo sguardo, godiamo.
Andare per le strade e vedere una ragazza, vestita il giusto, anzi, a margine del giusto visto il tempo torrido estivo. Dedicarle uno sguardo, apprezzare quelle forme, bramarle, non riuscire a parlare e dunque ritornare nell’ombra, non prima di aver accarezzato con gli occhi sifatta beltà.
Passano i giorni. E gli sguardi s’incontrano. Si trovano.
Caso? Predestinazione? Fato? Chissà. Chi vuole sapere?
Alla fine non conta davvero. I miei occhi e i suoi. Stupore, domande.
Ostilità? E qui gli sguardi sono uno sprone. A parlare. A dare voce a qualcosa, prima che l’anima dietro lo sguardo s’indurisca. Prima che ogni porta al dialogo sia definitivamente e quasi irrimediabilmente chiusa.
Quindi, oltre agli sguardi parole. Di solito banali, di solito scontate.
Non qui. Oggi sono pesanti. Appesantite dal timore. Dall’irragionevole terrore che ci sia un no, da quel dubbio che si annida nel cuore di ogni uomo, finanche dei più coraggiosi, finanche dei vari, sopravvalutati Alpha.
E parole sono! Parole dette con… cosa? Speranza? Timore? Brama?
Dio, sarebbe tutto più semplice se si tornasse a quando l’uomo viveva in base a imperativi biologici. Mangiare, cacciare, riprodursi…
Una vita sana. Forse più sana di questa dove cose come l’ideale, l’aspettativa, l’ossidata, oltraggiata Areté, la Qualità definita da noi, dal soggetto pensante, ormai intacca la semplicità dell’esistere.
Ma le parole sgorgano. Consce, pesanti, pesate. E gli occhi non si staccano. E nei suoi occhi ora c’é qualcosa. Brama? Curiosità? Ricambia?
Non lo so. Non lo posso sapere. Posso solo dirle che voglio rivederla. Che la nostra chiaccherata durata minuti sentiti come giorni é di fatto tutto ciò che mi ha fatto sentire vivo, oggi.
E lei annuisce. E in quell’annuire i suoi occhi sorridono.
Sorrido anche io.

Il bar é l’ennesimo bar. Tutti diversi. E tutti uguali. Ma lei no.
Lei é diversa da tutte e uguale a nessuna.
E io, come un pollo, continuo a guardare gli occhi, il viso, le mani. Cerco segnali, tracce. Lei sa che io cerco, io so che lei sa, lei sa che io so.
Partita a poker a carte scoperte. Nessun bluff. Non dopo il secondo incontro. Non dopo la cena pagata da me. Non dopo le parole.
Certamente, non dopo lo sguardo di lei che si pianta nei miei occhi.
Lancia di desiderio, scagliata nell’abisso della brama altrui.
La sua mano destra gioca coi capelli. Traccia. Segnale. Chiaro.
Attendo. Bevo. Il caffé mi brucia la lingua. Mentalmente strepito.
Appoggio la tazza. La guardo. Attendo. Parole. Mie e sue.
Interessi, lavori, cose. Stuff like this…
Preludio alla conversazione vera, quella dove le parole sono di troppo.
E restano gli sguardi, le sensazioni, l’anima nuda.
Mi guarda. La guardo. E lentamente, le prendo una mano. Lei stringe.
Ha la mano umida. Altro segnale. Solo un altro ancora. Conferma finale.
Lei mi guarda. Io faccio una battuta idiota. Lei ride. E, improvvisamente, lo vedo. Un segnale appena percepito. Gli occhi.
Sono languidi. C’é qualcosa in quegli occhi ora. C’era anche prima ma ora… È palese. O quantomeno, manifesto.
Mi alzo con calma, senza interrompere il contatto. La cameriera accorre. Chiedo il conto senza guardarla, anche se sicuramente é all’altezza di colei che al momento catalizza i miei pensieri.
Nessuno sguardo, per la cameriera. Tutta la mia attenzione é su di lei.
Lei che lentamente si alza. Io che pago. Movimenti misurati, ma tesi.
La guardo. È bella. È bella per me. Per altri potrebbe non esserlo ma cosa importa davvero? Gli altri non c’entrano niente.

La accompagno a casa. Parliamo. Fa caldo. Arrivati da lei, gli sguardi s’incrociano di nuovo. E stavolta, parole non ce ne sono.
C’é solo il respiro, il mio e il suo, mescolati in un solo soffio vitale.
E i nostri occhi, che si chiudono appena, e le labbra si cercano, si sfiorano, si assaporano. Un bacio conquistato, strappato alla stagnazione, all’indecisione, alla paura. Il cuore batte forte. Sento un erezione. La sente anche lei? Molto probabile. Ho paura che mi reputi un maniaco.
Ma quando ci stacchiamo, lei e i suoi occhi sorridono.
E sorrido anche io prima che lei salga in casa. Io non la seguo.
Non ancora. Tempo al tempo.

E tempo fugge: giorni di messaggi, impegni miei e suoi, sguardi attraverso schermi in videochiamata. Attesa.
Fino al weekend dove, finalmente, ho modo di invitarla da me.
Il suo sguardo é felice. La faccio salire. Secondo piano, porta a destra. Atrio spoglio ma non privo di un paio di mobili funzionali.
Angolo cucina. Le offro un caffé. Non rifiuta. Beviamo piano.
Improvvisamente però lo vedo: il suo sguardo é… diverso.
C’é qualcosa che conosco, in quello sguardo. Desiderio, anche se timoroso, esitante.
Sorrido. Le prendo la tazza dalle mani, lavo e metto via. Mi volto verso di lei. È davanti a me. Ancora, i nostri visi sono vicini, vicinissimi.
Il bacio stavolta é lento, assaporato. Le labbra sanno, il corpo sa.
Noi no, ma lui sì. E ci fidiamo che ci conduca laddove la mente può solo ipotizzare, solo abbozzare. L’abbraccio é lento, persino penoso. Improvvisamente, so che sente il mio sesso contro di sé.
So che non m’importa. So che non le importa.
O che non la disturba. La guardo. No: nei suoi occhi c’é calma. Quiete.
Spazzata da pura e semplice lussuria.
Il resto é un altro bacio, mani, carezze, strette. Una sua mano mi accarezza il sesso avvolto dai calzoni. Una mia mano le stringe le natiche sode. Desiderio, spasmodico. Era diverso per i nostri avi?
Era diverso per l’uomo quando ancora non poteva dirsi tale?
Non credo proprio. Anzi, casomai era più onesto, più diretto.
All’epoca era un imperativo biologico: scopavi, la mettevi incinta e la specie poteva continuare a esistere, propagarsi. La tua eredità era carne e sangue. Oggi no: tra profilattici e pillole, il sesso é tanto godimento quanto riproduzione, forse più godimento che altro. Venire dentro una donna oggi non é garanzia di gravidanza, né rappresenta necessariamente un problema se dovesse avvenire a dispetto dei migliori sforzi. E quindi, desiderio sia!
E il nostro galoppa. La mia maglietta vola via. Continuiamo a baciarci nell’atrio. La sua t-shirt vola via. Litigo col top. Lei ride. La giro. Apro il top.
Il top vola. E ora, le sto davanti. E lei non si copre. Nei suoi occhi ora c’é anche altro. Paura? Ha paura di me? Della mia foga? No.
Ha paura che la trovi inadeguata. Che il suo seno non esattamente enorme non possa reggere il confronto con altre, ben più fornite concorrenti. Ha paura di questo. Scendo lungo il collo, bacio il seno.
Non spreco una parola. Non intendo farlo. Non voglio.
Parlare ora implicherebbe uccidere la perfezione dell’atto.
Lei armeggia con la mia cintura. Giù la lampo. Afferra il mio sesso.
È già duro. Lo é stato a lungo. Ora conoscerà sollievo.
Lo porta alla luce, lasciando che i calzoni cadano e abbassando le mutande quanto basta da poterlo estrarre.
Le abbasso gli shorts. La guardo di nuovo. Non é un tanga, solo mutandine. Ultima barriera prima del grande salto.
Le abbasso con una sola mano. E vedo.
Il suo sesso, depilato il giusto, é lì, tra le cosce. Dolce promessa.
La guardo. Timore nei suoi occhi? Sì. Ma le accarezzo il viso, scendo sul seno. E più giù. Addome, pube e vagina. Non mi soffermo sulla vulva.
Non ancora. Riprendiamo a baciarci. Il mio sesso nella sua mano é rovente. Lei lo masturba appena.
Riusciamo ad arrivare alla mia camera. Cadiamo avvinghiati sul letto.
Ho ancora la mano tra le sue cosce e lei stringe ancora il mio pene.
La bacio, mi bacia. Lingue in lotta. Fuego puro. Il cuore pompa, veloce.
M’impogno. Lei sotto di me. Io sopra. Scendo lungo il suo corpo come un serpente. Trovo il pertugio del sesso, ora lo vedo chiaro. Mi aspetta, lo vedo. Bacio e lecco. Sapori e odori paradisiaci. Gli occhi di lei ora semichiusi, assaporano, attendono. Freme tutta. Quando risolleva le palpebre lo sguardo é beatitudine, non assoluta, ma quasi.
Continuo a leccare, continuo piano e veloce, irruento e delicato. Finché non la sento prossima a godere. I suoi occhi divengono d’un tratto rapaci. Famelici. Mi sorride. -Ora tocca a me.-, dice. Frase di rivalsa da film.
Mi sposto. 69 perfetto. La sua bocca é sul mio sesso e la mia lingua é nel suo. Baratri caldi da omaggiare e visitare. Non so quanto potrò resistere.
Ma voglio resistere?
La sento colare miele. La voglio. Mi stacco. Lei si sfila il mio membro dalla bocca. Non c’é bisogno di parlare. Mi piazzo tra le sue gambe.
Ora i suoi occhi sono illuminati da un desiderio assoluto, da una brama totale. E chi sono io per lasciarla insoddisfatta.
Penetro nel suo alveo rovente con la mia verga turgida, fino in fondo.
Gemiti, di entrambi. Ritmi sincopati, ritmi ristabiliti. Ritmi rivalutati.
Cuori al galoppo, occhi negli occhi, versi inumani, o forse molto più umani di troppe altre cose considerate civili. I suoi occhi esprimono tutto.
Brama soddisfatta, lussuria abissale, amore, domande. E sotto tutto, c’é come un esplosione in attesa di deflagrare.
All’ennesimo affondo la sento prossima a godere, come me.
Mi lascio andare, dentro di lei. E i suoi occhi improvvisamente esplodono.
L’emozione cancellata dall’orgasmo rende il suo sguardo animalesco e perfetto. Un momento di sublime benedizione.
Ricadiamo inermi, guardandoci appena. Ora nei nostri occhi c’é altro. Consapevole altro. Consapevolezza. E affetto.
Il fiato sfugge ancora. I cuori battono impazziti, le coltri sono fradice di umori. Eppure… Eppure non siamo mai stati così vivi.
E i nostri sguardi, eternamente agganciati, ci tuffano l’uno nell’anima dell’altra e viceversa.

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