Skip to main content

Martina sentì l’osso pelvico di Gianni picchiare contro il suo sedere con ritmo sempre più 
serrato, quindi le mani di lui si serrarono attorno ai suoi fianchi e le venne nell’ano.
Lei ringraziò Dio che il supplizio fosse finito, emise un gemito di circostanza e lasciò che 
l’uomo si sfilasse da lei.
Lui si lasciò cadere sul letto accanto a lei e cercò le sigarette sul comodino.
“Sei sempre una gran troia. Mi piaci perché tu gi godi ad essere inculata, vero?”, disse 
infilandosi una sigaretta in bocca.
“Vero”, mentì lei, forse con un po’ troppa poca convinzione.
Lui si accese la sigaretta e aspirò a lungo.
“Ho saputo che ti sei fatta dare dei soldi da Oscar”, disse.
Martina si sporse per prendere il perizoma al fondo del letto, ma Gianni la bloccò.
“Ferma! Devi rimanere nuda davanti a me, non ricordi?”.
La ragazza interruppe il suo movimento e tornò accanto a lui.
“E’ stato lui a volermeli dare – rispose – Lo sa benissimo che non sono stata con lui perché mi 
piace. E me li meritavo, quell’uomo fa schifo”.
“Martina, i nostri accordi erano chiari: tu scopi con me e con chi voglio io, e lo fai gratis. Punto.
 Non ci sono eccezioni”.
“Ecco, anche di questo volevo parlarti”, disse lei, con una nota di preoccupazione nella voce.
L’uomo la guardò attraverso il fumo della sigaretta.
“Dimmi”, disse secco.
“Ecco, io vorrei smettere. Ho conosciuto una persona, mi piacerebbe frequentarlo, ma non 
posso farlo se ogni giorno tu mi fai scopare con qualcuno o vieni qui in prima persona”.
“Eh, lo so, è impossibile. Dovrai rinunciare a lui”, rispose neutro.
“Gianni, ti prego! È un anno che vado avanti con sta vita, credo di aver ripianato 
abbondantemente il debito che ho verso di te. Se ci guadagnassi qualcosa, almeno…”.
Gianni rise.
“Vedi che sei una puttana? A te da fastidio che non ci guadagni, non che la devi dare via a 
destra e sinistra”.
“Io non sono una puttana, sei tu che mi hai resa così. E poi che ti devo dire, che il guadagno 
della birreria mi permette di navigare nell’oro? Se riuscissi a tirare su qualche soldo ne sarei 
anche contenta, visto che mi sbatto per te”.
“Visto che ti sbattono”, puntualizzò Gianni con una risata.
“Fai pure lo spiritoso, comunque per me è finita qui. D’ora in poi dovrai trovare altrove dove 
scopare”.
Fece per alzarsi dal letto, ma l’uomo con un movimento rapido le afferrò un capezzolo tra le 
dita e la tirò a sè.
“Ascoltami, puttana di merda, qui i giochi li gestisco io, come la tua figa, siamo d’accordo? O 
vuoi che andiamo a recuperare l”indagine dello scorso anno, quella che scoprì un giro di 
prostituzione gestito da te?”.
Martina arrossì e non disse nulla.
“Ma voglio essere buono con te, Dio solo sa perché, e voglio lasciarti libera. Anche perché non 
scopi così bene, lasciatelo dire”.
“La finiamo qui?”, disse quindi Martina con un sorriso, a dispetto delle cose che si era appena 
sentita dire.
“La finiremo qui. Prima devi darmi una mano”.
Lasciò il capezzolo della ragazza, che subito lo massaggiò con i polpastrelli.
“C’è un indagine in corso, riguarda un traffico di droga gestito dai cinesi. Abbiamo forti sospetti 
su un tizio, ma non riusciamo ad avvicinarlo. Dovrai farlo tu”.
Martina lo guardò con gli occhi sgranati.
“Non capisco cosa dovrei fare. Avvicinare un criminale? Ti sei bevuto il cervello? Io non sono 
della polizia”.
Gianni sbuffò e scosse la testa, come se Martina fosse una bambina che non riesce a capire.
“Il signor Zeng è probabilmente un trafficante di droga, e questa è l’indagine che stiamo 
seguendo. Ma allo stesso tempo questo personaggio è proprietario di due centri benessere, 
quelli in cui alla fine del massaggio ti fanno una sega, ed è attraverso questo canale che dovrai 
arrivare a lui”.
La ragazza rimase in silenzio.
“Un paio di miei uomini si sono finti clienti normali e poco alla volta hanno insinuato il dubbio 
che se all’interno del centro ci fosse anche del personale italiano loro sarebbero venuti più 
volentieri e avrebbero anche pagato di più. Glielo hanno detto una volta, due, fino a quando ieri
 non è comparso magicamente un cartello con il quale il signor Zeng cerca ora una 
massaggiatrice italiana”.
“Immagino il duro lavoro dei tuoi uomini. Hanno visto il pericolo in faccia”, commentò 
ironicamente Martina.
“A questo punto intervieni tu – proseguì Gianni ignorando la battuta – Dovrai farti assumere e 
conquistare la fiducia del cinese, fino a scoprire qualcosa”.
“Io? – obiettò Martina – E come potrei? Non sono una poliziotta, non saprei neppure dove 
cercare!”.
“Non lo so neppure io, lo si potrà scoprire solo una volta dentro. Il problema è che questo 
incarico non può essere svolto da un’agente: sai i sindacati quante storie farebbero?”.
“Eh, be… – commentò – Mi pare il minimo”.
Gianni fece un cenno della mano come per dire che non aveva voglia di sentire storie.
“Quindi tu domani ti presenti dal signro Zeng e con ogni mezzo – sicuramente hai capito – 
otterrai quel posto di lavoro”.
“E poi la nostra società sarà sciolta?”, chiese conferma Martina.
Gianni annuì lentamente e le porse la mano.
Martina titubò un attimo.
Non era facile quello che le stava chiedendo, ma neppure la situazione in cui si trovava.
Nell’ultimo anno Gianni si era presentato da lei almeno tre volte ogni settimana, spesso ubriaco,
 un paio di volte con un amico.
Amava sodomizzarla e quando era in compagnia gli piaceva farsela contemporaneamente ad 
un altro uomo; per non parlare dei colleghi con cui l’aveva obbligata ad andare. Gente che 
probabilmente sarebbe stata rimbalzata anche dalle prostitute per strada.
Sarebbe stato peggio nel centro massaggi?
Difficile.
E poi avrebbe avuto la possibilità di frequentare Dimitri, il ragazzo conosciuto in birreria la 
settimana prima.
Sporse la mano verso Gianni.
“Siamo d’accordo”, disse.

Il cinese la guardava con aria inespressiva. 
Come tanti orientali dimostrava un’età indefinita compresa tra i trenta e i cinquant’anni.
“Cosa la spinge a desiderare questo lavoro?”, chiese con un”impeccabile padronanza della 
lingua.
Martina si aspettava la domanda e aveva la risposta pronta: “Ho perso il lavoro e devo riuscire
 a mantenermi. Sto quasi finendo i miei risparmi e non voglio tornare dai miei genitori ad 
elemosinare soldi”.
L’uomo non mutò espressione.
“Lei sa in cosa consiste il lavoro? Vuole che glielo spieghi?”.
Martina era imbarazzata e si sentì avvampare
“Credo di sapere cosa si tratta, ma se vuole spiegarmelo…”.
Il cinese continuava a fissarla negli occhi.
“Noi facciamo massaggi. Questo è il motivo per cui la gente viene qui. Se lei farà solo 
massaggi, riceverà la nostra paga base, che è di duecento euro al mese per un massimo di 
tre mesi. Se arriverà qualcosa in più, la metà di quello che guadagnerà sarà sua e il nostro 
rapporto sarà più duraturo. Mi sembra molto facile”.
In poche parole aveva fatto capire a Martina che era indispensabile che mettesse da subito 
nell’ordine delle idee di fare anche altro.
“è chiaro-confermò Martina-posso solo chiedere cosa intende per qualcosa in più?”
Il cinese non smise per un secondo di fissarla.
“Un cliente per un massaggio paga trenta euro. Se lei riuscirà a farlo pagare di più, la metà di 
questo extra ce la divideremo. A me non interessa sapere nulla di più”.
Martina si chiese se l’uomo davanti a lei temesse che lei avesse dei microfoni addosso o 
fosse semplicemente una forma di prudenza indispensabile in quel mestiere.
Annuì.
“È chiaro. Quando posso iniziare?”.
“Può iniziare anche subito. Per correttezza le dico che anche un’altra ragazza si è presentata 
per lo stesso lavoro e dico a entrambe che deciderò questa settimana. Per questo motivo, 
questa settimana non sarete pagate, spero che non sia un problema”.
A Martina sfuggiva il nesso logico per cui, visto che c’era anche un’altra ragazza, non avrebbe
 dovuto percepire stipendio, ma non ritenne opportuno esternare le proprie rivendicazioni 
sindacali.
“Non c’è nessun problema”, confermò.
Il cinese si alzò in piedi e le porse la mano: “Molto bene, Martina. Vada alla reception e parli 
con Stella, lei le spiegherà come si lavora. Le auguro una buona giornata”.
Martina ricambiò l’augurio, uscì dalla porta dell’ufficio, percorso un corridoio lungo il quale si 
aprivano quattro porte, e raggiunse la reception.
Una ragazza bassa dal viso tondo le sorrise con molta affabilità.
“Io sono Stella”, le disse porgendole la mano.
Martina rispose al saluto, quindi la cinese la precedette in un piccolo stanzino coperto da una 
tenda rossa.
Squadrò rapidamente Martina, aprì un cassetto e ne prelevò un camice nero.
“Tu spogliare. Metti questo”, le disse porgendole l’indumento.
“Mi devo togliere tutto?”, chiese Martina.
“No, mutandine tenere. Altro via”.
Martina si sarebbe aspettata di essere lasciata sola, ma la cinese non accennò neppure ad 
allontanarsi, così si tolse i vestiti e li ripiegò su una sedia, rimanendo solo in perizoma.
Indossò il kimono che la donna le porgeva e calzò un paio di infradito.
L’indumento le arrivava giusto tre dita sotto l’inguine, e la seta nera le trasmise una 
sensazione elettrizzante a tutto il corpo.
Stella le fece segno di seguirla e entrarono assieme in una delle porte che Martina aveva 
notato in precedenza.
Dentro c’erano c’era un letto piuttosto ampio, circa una piazza e mezza, e una piccola vasca 
da bagno.
Nell’aria si riparavano un po’ di incenso e una tenue musica orientale.
“Quando arriva cliente, stare fuori e mentre lui spogliare. Poi entri. Ora facciamo piccola 
simulazione, io faccio cliente”.
La cinese si liberò del kimono e delle mutandine, quindi si sdraiò a pancia in giù sul 
materasso.
contrariamente al luogo comune che vuole le cinesi basse e tozze, Stella era slaciata e ben 
fornita.
Con la mano picchiò materasso vicino a lei, invitando Martina ad inginocchiarsi.
“Quando cliente si spoglia, tu inizia subito con massaggio. Lui deve piacere tue mani subito”.
Martina si guardò attorno e vide flacone di olio per massaggi.
Ne rovesciò una buona quantità sulle mani e prese a frizionare le spalle della ragazza.
“Questo fa bene, ma questo non sexy – obiettò Stella – Toccare anche sedere cliente, anche 
buco di culo “.
Martina prese ancora un po’ d’olio e con la punta delle cinque dita sequì un disegno lungo la 
spina dorsale fino all’interno delle natiche e a sfiorare l’ano.
Stella si lasciò accarezzare in quella maniera per quattro, cinqeu minuti, quindi disse: “Brava 
Martina, adesso cliente è sicuramente pochino eccitato. Adesso è momento di chiedere 
cliente che massaggio sceglie. Massaggio normale sono trenta euro massaggio completo 
cinquanta”.
Martina cercò di entrare nella parte e rivolse la domanda a Stella, sempre continuando ad 
accarezzarla.
“Massaggio completo, grazie”, rispose la ragazza tenendo gli occhi chiusi.
In assenza di indicazioni, Martina continuò ad accarezzarla nella medesima maniera.
Dopo un paio di minuti, la sua insegnante le diede un altro consiglio: “Tu devi fare massaggio 
 
alla schiena e sedere per dieci, dodici minuti in tutto. Tu ogni tanto sfiorare ano e palle di 
uomo, così lui più pronto per dopo”.
Martina si versò ancora un po’ di olio sulla mano, e continuo a frizionarla.
Abbassò il suo raggio di azione all’altezza del coccige della cinese, e come suggerito ogni 
tanto azzardò un tocco lungo la linea delle natiche.
La sentiva sobbalzare leggermente ogni qual volta le sue dita le accarezzavano l’ano, e dopo 
qualche tocco azzardò a stimolarle le grandi labbra.
Stella non disse nulla, segno che la tecnica che Martina stava adottando era probabilmente 
quella giusta.
A ulteriore conferma di questo, dopo l’ennesimo tocco allargò le gambe in modo da facilitarle
 il raggiungimento del perineo.
“Ora uomo è eccitato, momento giusto per proporre cose nuove”, disse stella.
Martina si chiese se anche lei fosse eccitata, ma non glielo domandò.
“Tipo cosa?”, chiese invece.
“Ad esempio puoi togliere vestiti e proporre body massage”.
Martina si limitò ad intuire di cosa si trattasse, ma si slacciò il kimono e se ne liberò, 
rimanendo in perizoma.
“Quanto si chiede per questo?”, chiese.
“Venti euro”, rispose Stella.
“Come funziona?”, domandò ancora Martina.
“Tuo corpo contro mio”.
Non era ancora ben chiaro a Martina, ma decise di usare un po’ di immaginazione.
Prese l’olio e se lo passsò sul torso e sui seni, quindi si chinò su Stella.
Si appoggiò alla schiena della cinese e prese a frizionarla usando il seno.
Stella emise un mugolio di approvazione.
Martina ripetè il movimento, accaezzandola dal basso verso l’alto.
Sentì i capezzoli indurirsi a contatto con la pelle della cinese.
Il suo naso si riempì dell’odore dolce che la ragazza avava sul corpo e si chiese se anche lei 
sarebbe stata costretta ad indossarlo.
Troppo dolce per i suoi gusti.
“Un po’ da troia”, pensò, dimenticado il mestiere che si stava accingendo a praticare.
abbassò ancora di più il corpo e stimolò anche il sedere di Stella.
L’olio permetteva uno scorrimento molto piacevole e si stava eccitando.
Stella guardò un orologio alla parete.
“Ora passati venti minuti. Se senti che cliente eccitato, dire a lui di girarsi”.
Martina insinua un dito tra le grandi labbra di Stella e la senta bagnata.
“Girati ora, tesoro”, le sussurrò in un orecchio.
Stella si girò con gli occhi chiusi e un sorriso sulle labbra.
“Secondo me tu molto brava”, disse.
Martina sorrise anche lei, come a ringraziarla, ma non sapeva cosa fare.
Stella era immobile, con gli occhi chiusi.
Le rovesciò un po’ di olio tra i seni e con le mani glielo spalmò sul torace, descrivendo un 
movimento circolare che dopo poco la portò a toccarle i seni.
I capezzoli della cinese erano eretti e il respiro sembrava affannato.
“Ricorda, body massage”, le disse Stella senza aprire gli occhi.
Aveva ragione.
Martina si cosparse il busto di altro olio e si chinò su Stella.
Il suo seno di appoggiò su quello della cinese e i loro capezzoli si sfiorarono.
Sostenendosi sulla braccia ripetè il medesimo movimento circolare, solo che ora erano i suoi 
seni a massaggiare l’altra donna.
Anche lei si stava eccitando, non poteva negarlo.
Stella non la interruppe per qualche minuto, poi aprì gli occhi e guardò l’orologio alla parete.
“E’ tempo di finire”, disse solo.
Prese la mano di Martina e la appoggiò sul suo inguine.
“Ora cliente molto duro, tu devi dare molto piacere. Non veloce, non lento”.
Martina sentiva tra le dita gli umori dell’altra ragazza.
Le introdusse un dito tra le grandi labbra e lo spinse a fondo, provocando un lungo sospiro 
nella cinese.
Lo agitò lentamente, quindi ne introdusse un altro.
Stella divaricò le gambe ancora di più.
Martina prese a entrare ed uscire dal corpo della ragazza, consapevole di stare toccando i 
giusti punti.
Stella, con gli occhi chiusi, cercò a tastoni la mano di Martina e, qiando la trovò, se la portò
sul seno.
Martina le strinse il capezzolo con forza, notando come Stella stesse apprezzando il tocco.
Aumentò il movimento all’interno della ragazza, che ormai gemeva senza porsi problemi.
Ogni tanto diceva qualche parola in cinese, ma Martina non si fermò a chiederle il significato.
Guardò l’orologio: mancavano tre minuti, era il caso che si affrettasse.
Accelerò con la mano, mentre con l’altra le scoprì il clitoride e prese a stimlarlo.
Doveva farlo con la bocca?
Mentre si ponvea la questione, Stella venne.
Inarcò la schiena, afferrò la mano di Martina e la strinse fino a farle quasi male.
L’italiana lasciò che Stella ultimasse il suo pecorso verso il piacere, e quando la vide riaprire
 gli occhi le sorrise.
Stella deglutì e annuì.
“Brava, bel lavoro. Ora tu uscire e lasciare cliente che mette vestiti”.
Martina si alzò subito in piedi.
“Prossimo cliente vero lo prendi tu, ok?”.
La ragazza deglutì. Nn aveva capito avrebbe iniziato così in fretta, ma forse era meglio 
togliersi subito il cruccio.
“Ok, va bene”, disse.

 

 

Martina posteggiò sotto casa con l’unico desiderio di buttarsi sotto la doccia, e per questo motivo ebbe un moto di fastidio quando vide Gianni scendere da un’altra auto.

“Senti Gianni, sono le undici di sera e non ho proprio voglia. Ci sentiamo domani, possibilmente via messaggio”, disse.

“Ti rammento che stai lavorando per me, anzi, per la polizia. Non sono venuto per scopare, se è quello che temi. Salgo con te”.

Martina lo conosceva e sapeva che, quando aveva quell’atteggiamento, non sarebbe stato produttivo opporsi.

Estrasse le chiavi dalla borsetta, aprì il portone e penetrarono nell’edificio.

“Dimmi di cosa hai bisogno, e fallo in fretta perché ho un bisogno disperato di farmi una doccia”, disse Martina entrando nell’appartamento.

“Possiamo tranquillamente parlare mentre fai la doccia; credo di averti vista nuda più di una volta”.

Martina entrò in bagno tallonata dal poliziotto.

Pur essendo vero che Gianni l’aveva vista senza vestiti parecchie volte, quella era una situazione nuova che in qualche maniera la imbarazzava.

Buttò uno sguardo sul suo ospite, ma quando lo vide e le braccia conserte appoggiato alla parete capì che prima avesse iniziato, prima avrebbe finito.

“Allora, com’è andato il tuo primo giorno di lavoro?”, domandò Gianni.

Martina si sfilò camicetta e pantaloni.

“Sinceramente non pensavo che un posto così lavorasse così tanto. Solo io ho servito sette clienti, e calcola che non so quante ragazze ci lavorino, ma credo ce ne siano almeno quattro”.

Si slacciò il reggiseno e lo buttò sugli altri indumenti.

“Tra l’altro, ti comunico fuori programma: c’è un’altra ragazza italiana che sta provando a prendere lo stesso lavoro, non sono sicura che il posto sarà mio”.

“Dovrai essere più zoccola di quell’altra, è molto semplice. Ho fiducia nelle tue capacità”, le rispose Gianni.

Martina scelse di non raccogliere l’insulto che aveva appena sentito.

Si sfilò anche le mutandine.

“Non ho visto nulla di strano – proseguì – Il titolare, a parte all’inizio quando ci siamo parlati, non si è più fatto vedere e dubito che durante il giorno fosse fisicamente presente nel centro massaggi”.

Per raggiungere la doccia passò davanti alla Gianni, che non si astenne dal darle una pacca sul sedere.

Entrò nel box doccia e aprì l’acqua, chiudendo gli occhi quando il gettò le inzuppò il viso.

Era stata una giornata psicologicamente provante.

Dei sette clienti che aveva servito, tutti avevano voluto essere masturbarsi. Tre di questi avevano chiesto che anche lei si spogliasse e avevano consentito al massaggio con il corpo, due avevano voluto un rapporto orale che lei, in mancanza di indicazioni al riguardo, aveva acconsentito a praticare.

Inutile dire che nessuno di quegli uomini sarebbe mai stato un suo compagno di letto se non la avessero pagata.

“Devi cercare di captare tutti i movimenti che non sono pertinenti con il centro benessere – disse Gianni alzando la voce per sovrastare il rumore dell’acqua – Telefonate, fax, persone che entrano lì dentro senza ricevere alcun trattamento…”.

Martina chiuse l’acqua e rovesciò una cospicua quantità di bagnoschiuma nella conca della mano, quindi prese a spargersela sul corpo, concentrandosi soprattutto sull’inguine che era stato oggetto di parecchi tocchi pesanti.

“Tieni presente che io sono spesso all’interno delle salette, quello che capita al di fuori non lo posso verificare”, obiettò aprendo nuovamente l’acqua e godendo la sensazione di essere finalmente pulita.

“Tu devi conquistare la fiducia di quelle persone. Giorno dopo giorno magari t riveleranno qualche segreto, riceverai qualche confidenza. Diventa amica con le altre ragazze, sono loro l’elemento debole. I cinesi sono una comunità molto, questa è l’unica possibilità per venire a capo della vicenda”.

Martina chiuse l’acqua e si voltò, quasi sussultando quando si accorse che Gianni si era nel frattempo spogliato e era in piedi al di fuori del box doccia con il pene eretto.

“Gianni, non ho proprio voglia. E poi mi avevi detto che non avevi voglia di scopare”.

L’uomo fece un passo in avanti ed entrò nella cabina con lei.

“Ho cambiato idea e non dirmi che tutta questa scena della doccia l’hai fatta senza un motivo. E’ tutto il giorno che tocchi cazzi e non scopi, avrà hai una voglia matta”.

Martina provò a compiere un passo indietro, ma le sue spalle toccarono la parete della doccia.

“Gianni, hai capito male. Non ho per niente voglia”.

Il poliziotto le afferrò i polsi e li bloccò contro la parete, mentre con il pene cominciava a strusciarsi contro l’inguine della ragazza.

“Mi piaci quando sei bagnata, in tutti i sensi”, disse accostando il glande alle grandi labbra della ragazza e cercando di farsi strada nel corpo di lei.

Martina lo conosceva, non aveva senso opporre resistenza.

Si rilasso e lasciò che l’uomo penetrasse dentro di lei.

Gianni sottolineò il momento con un lungo sospiro.

Martina gli mise le braccia attorno al collo e si diede una leggera spinta verso l’alto per agevolare la penetrazione.

Gianni pose le mani sotto le sue natiche e la sostenne, mentre lei gli avvolgeva la vita con le gambe.

“Hai ragione, oggi non ho scopato – disse lei con gli occhi chiusi, mentre il poliziotto cominciava a entrare e uscire da lei – Non so se posso farlo, non mi hanno detto nulla in proposito”.

Gianni spostò il suo peso in avanti in maniera tale che la schiena di Martina si appoggiasse alla parete.

“Io credo che, se ti fai pagare, tu possa fare tutto quello che vuoi. Ma ricordati che stai lavorando per noi, non sei lì per divertirti”

Martina strinse l’abbraccio attorno al corpo dell’uomo.

Voleva una presa salda, in modo da godere in pieno della penetrazione.

“Certo, non lo dimentico. Ma se voglio guadagnare la loro fiducia devo anche far loro capire che sono una persona dedita al lavoro”.

Gianni aumentò il ritmo dentro di lei, facendole passare la voglia di chiacchierare.

I movimenti del bacino del poliziotto la spinsero ancora di più contro la parete, aumentando le sue sensazioni.

Afferrò la testa dell’uomo e la portò verso il suo petto, facendola affondare tra i seni.

“Sto per venire”, disse ancora con gli occhi chiusi.

Gianni si fece ancora più vigoroso e aumentò la spinta, mentre con la bocca cercava i capezzoli di Martina.

Quando ne trovò uno e lo strinse tra i denti, la ragazza venne.

“Continua a muoverti, puttana!”, le disse continuando a stantuffare.

Gianni la abbracciò e finalmente venne anche lui, quasi stritolandola tra le braccia.

Rimasero immobili per qualche secondo, giusto il necessario per dare a lui il tempo di svuotarsi e alla sua eccitazione di placarsi, quindi Martina poggiò i piedi per terra e si staccò dall’uomo.

“Se ti dico che di continuare a muoverti, devi continuare a muoverti! – le disse Gianni afferrandola per un orecchio – Se vuoi sembrare una brava puttana, devi ricordarti che è uomo quello che deve godere, non tu”.

Gianni raccattò i vestiti e uscì dal bagno, mentre Martina usciva dalla doccia e recuperava un accappatoio.

Quando raggiunse il poliziotto nel soggiorno lui si era già vestito e si era acceso una sigaretta.

“Questa operazione è totalmente sotto copertura, perché mai avrei potuto farmi autorizzare l’utilizzo di una persona esperta – le disse, come se fino ad un attimo prima non avessero che parlato di quello – Per questo motivo ti conviene sbrigarti a trovare qualcosa. Anche perché, suppongo abbia capito anche da sola, se questo indagine non vanno a buon fine, finisce che tu lì dentro ci rimani a lavorare per davvero”.

Gianni spense la sigaretta in un vaso e uscì dall’appartamento, mentre Martina si sedeva sul divano.

Non aveva pensato a quell’eventualità e, al solo pensiero, sentì l’angoscia calare su di lei.

 

 

Martina sentì il fiato dell’uomo rompersi, quindi la mano di lui si appoggiò sulla sua per farla fermare.

Un attimo dopo un fiotto di sperma proruppe dal suo membro e si depositò sul suo addome, mentre l’uomo ansimava.

Martina lasciò che il momento scemasse, quindi con paio di fogli di Scottex pulì la pancia del suo cliente.

Questi aprì gli occhi e le fece una carezza sul seno nudo.

“Grazie, sei stata brava. La prossima volta chiederò di te”.

Martina gli sorrise, come se essere nelle grazie di un cinquantenne calvo fosse quanto di meglio potesse desiderare.

“Grazie, mi fa piacere. Ora io esco, tu vestiti e poi passa da Stella per pagare”.

L’uomo le afferrò un braccio.

“Senti, ma se tu non dicessi cosa è successo realmente? Diciamo che mi hai fatto solo un massaggio e io ti do venticinque euro sotto banco?”.

Martina scosse la testa.

“Non si può, qui non facciamo sconti. Se le interessa c’è una tessera punti, dopo dieci visite ne avrà una omaggio”.

L’uomo continuava a tenerla per il braccio.

“Io la prossima volta torno e chiedo di te, però vienimi incontro, sono un mucchio di soldi per mezz’ora. Basta che tu non dica che ti sei spogliata, allora, tanto per te cosa cambia?”.

Martina si sottrasse alla presa con un movimento brusco.

“Ti prego di non insistere, o sarò costretta a parlarne con chi dirige il centro. E non vorrei farlo”.

Stava bluffando, ma l’uomo non sembrava realmente pericoloso; più un micragnoso di quelli che voleva lo sconto su tutto.

L’uomo si ricompose e mollò la presa.

“Scusami, non so cosa mi è preso”, disse a bassa voce, forse spaventato dalla velata minaccia.

Martina non replicò, scese dal letto, indossò la vestaglietta e uscì dalla stanza, avviandosi verso la reception.

“Come è andata?”, domandò Stella.

“Sono settanta”, rispose Martina.

A distanza di una sola settimana dal suo ingresso in quel centro aveva già imparato a trattare il lavoro in maniera professionale.

Sapeva che ogni persona che si sdraiava sul suo lettino poteva valere dai trenta euro in su; il suo compito era fare in modo che la cifra fosse più alta possibile.

“Senti – aggiunse dopo un attimo – ma se un cliente perdesse il controllo? Se diventasse prepotente? Cosa potrei fare?”.

Stella non disse nulla, ma invitò Martina a girare attorno al bancone.

Quando la ragazza si trovò dall’altro lato, vide che sotto il piano di lavoro c’era un computer portatile il cui schermo era diviso in quattro settori, ognuno dei quali inquadrava un lettino.

Ogni stanza era ripresa da una telecamera.

“Se qualcuno esagera, io vedo”, disse Stella.

Martina sentì il rumore di una porta che si apriva e si meravigliò che il suo cliente fosse stato così rapido a vestirsi, ma si accorse subito che il rumore proveniva invece dal fondo del corridoio, dall’ufficio del signor Zeng.

In una settimana era la prima volta che notava un movimento in quella stanza.

L’uomo appena uscito, un occidentale molto alto, con i capelli lunghi e la barba da fare, si diresse verso l’uscita, mise la mano sulla maniglia, poi posò lo sguardo proprio su Martina.

“Tu lavori qui? Sei italiana?”, chiese.

Martina annuì: “Sono qui da una settimana”.

L’uomo guardò l’ora, come per decidere se avesse abbastanza tempo, quindi disse: “Mi sa che stavolta mi fermo per massaggio”.

Puntò un dito verso Martina: “Me lo fai tu, ovviamente”.

Stella aveva seguito tutta la conversazione con attenzione.

“Prego, andare in stanza a sinistra”, intervenne.

L’uomo seguì la direzione che Stella stava indicando con il dito ed entro nella saletta.

La cinese afferrò Martina per un gomito prima che la ragazza si incamminasse a sua volta.

“Non parlare di soldi con lui – si raccomandò sottovoce – tu fare quello che lui vuole. Lui no paga”.

Martina annuì.

Stella sembrava preoccupata e continuava a lanciare sguardi verso la porta chiusa.

“C’è qualche problema? – chiese Martina – Chi è quell’uomo?”.

“Non importa. Tu adesso andare lì e fare quello che lui vuole. Non pensare niente”.

 

Martina lasciò passare altri due minuti, quindi varcò la soglia della stanza.

L’uomo era nudo, disteso prono materasso.

Doveva avere circa quarant’anni, il segno dell’abbronzatura rivelava la sua abitudine a prendere il sole in slip e sulla scapola c’era un tatuaggio, ormai sbiadito, raffigurante la testa di una pantera.

Martina si accoccolò accanto al lui: “Vuoi un bel massaggio?”.

“Tu adesso mi fai un bel massaggio – confermò con accento romano – poi voglio scopare con te. Siamo d’accordo o farai problemi?”.

Martina si sforzò di sorridere.

Non aveva mai avuto rapporto completo lì dentro.

“Nessun problema”, confermò.

“Preferisce che mi spogli subito?”.

“Fai così, così entriamo in confidenza”.

La ragazza si liberò della vestaglietta e del perizoma, quindi si mise sulle mani dell’olio per i massaggi.

Poggiò le dita sulla schiena dell’uomo e cominciò a frizionarlo.

Con gli altri clienti il suo scopo era far durare il momento del massaggio il più possibile, visto che in una mezz’ora doveva finire tutto; con questo non sapeva come comportarsi.

Passò lungo la sua spina dorsale, fino alla giuntura delle natiche.

“Non ti ho mai vista qui, sei nuova?”, chiese l’uomo.

“Sì, sono qui da una settimana. Sono ancora in prova, spero che mi confermino”.

“Se sarai brava, metterò una buona parola per te”, rispose l’uomo, non nascondendo l’allusione contenuta nella parola “brava”.

Martina scese con le dita fra le natiche e gli sfiorò il buco del sedere, registrando un lieve sussulto da parte dell’uomo.

Ripeté la mossa e osservò come l’uomo avesse allargato le gambe, segno che gli piaceva e che doveva insistere su quella parte del corpo.

Si cosparse le dita con altro olio e prese ad accarezzargli l’ano.

“Lei è un cliente abituale?”, azzardò.

“No, a me le cinesi fanno schifo – rispose con gli occhi chiusi – L’ho sempre detto a Zeng che doveva prendere delle italiane; vedo che mi ha dato retta”.

Martina accarezzò con la punta delle dita i testicoli dell’uomo, che reagì con un prolungato sospiro.

Con quella frase aveva confermato come la natura degli interessi che lo portavano lì fosse di altro genere.

Era possibile che fosse lui l’uomo che stavano cercando di intercettare?

La ragazza passò ancora le dita sul perineo dell’uomo, che si girò e l’afferrò per un braccio.

Aveva una grossa erezione.

“Senti, saltiamo questa stronzata del massaggio e monta su di me”.

Martina annuì in silenzio e si mise a cavalcioni del torace dell’uomo.

Non era per nulla bagnata, aveva il timore di farsi male.

“Mi dia un attimo”, disse.

Prese il flacone dell’olio dei massaggi, nei mise un po’ sulle dita e si accarezzò le grandi labbra, augurandosi che fosse sufficiente.

Si spostò indietro di qualche centimetro e prese a stregare la vulva sul glande dell’uomo.

Andasse come andasse, era sicuramente bene attenersi al sacro principio delle prostitute: meno dura, meglio è.

L’uomo aveva gli occhi socchiusi e sembrava coinvolto da quanto stava vivendo.

Martina, reggendosi con i muscoli delle gambe, prese introdurre ed estrarre la punta del pene dell’uomo dalla sua vagina, cercando allo stesso tempo sia di eccitarlo che di migliorare la lubrificazione e l’elasticità del suo organo.

Afferrò tra le dita i capezzoli dell’uomo e, lentamente, calò su di lui.

Il membro si fece strada dentro di lei, fortunatamente assecondato a sufficienza dai diversi lubrificanti.

Il movimento provocò del piacere in lui, perché emise un rumoroso sospiro e contemporaneamente portò le sue mani sui seni di Martina.

La ragazza si sentì afferrare con una certa brutalità, ma non oppose resistenza.

Una volta assestato il pene dell’uomo dentro di lei, cominciò a salire e scendere con una certa impetuosità, come se stesse cavalcando un cavallo poco docile.

“Fai piano, hai fretta?”, domandò l’uomo tenendo gli occhi chiusi.

Martina non disse niente, si limitò a rallentare il ritmo.

Era molto tesa, e questo stava facendo sì che lei non solo non si godesse il momento, ma anche che sentisse un certo dolore.

Chiuse gli occhi anche lei, cercando di immaginare una situazione.

Immaginò di essere in un hotel sulla spiaggia di qualche isola caraibica.

Era con Marco, il suo ex, e si trovavano finalmente in vacanza dopo mesi e mesi di lavoro; quella vacanza che nella realtà non aveva mai potuto permettersi per mancanza di soldi e sulla quale avevano sovente fantasticato.

Sentì i muscoli della sua vagina rilassarsi e combaciare meglio con il corpo dentro di lei.

Erano appena arrivati da una lunga nuotata e, ancora sporchi di salsedine, si stavano concedendo una scopata liberatoria prima di buttarsi sotto la doccia ed andare a cena.

Erano appena al secondo giorno di vacanza e avevano ancora tanto tempo davanti a loro.

Martina sentì il piacere nascere dentro di lei.

Mantenne gli occhi chiusi per preservare quell’immagine che evidentemente stava funzionando.

Aumentò il ritmo in maniera leggera e dedusse che il suo cliente non se ne fosse accorto, perché non si lamentò.

O forse stava piacendo anche a lui.

La sera prima avevano conosciuto un’altra coppia al ristorante.

Avevano più o meno la loro età, si erano piaciuti subito e avevano organizzato di fare qualche escursione assieme.

Il ragazzo della coppia l’aveva adocchiata, forse aveva avuto qualche pensiero su di lei.

Forse avrebbe potuto conoscerlo meglio mentre Marco fosse stato impegnato con il tennis?

Martina sentì il piacere crescere improvvisamente, e si domandò se ci fosse qualche correlazione con il pensiero trasgressivo che aveva appena avuto.

“Mi sto trasformando in una puttana”, disse a se stessa con quella parte di cervello che ancora era lucida.

Ora stava quasi saltando sul bacino dell’uomo, che l’aveva afferrata con le mani sui fianchi e stava cercando di assecondare il ritmo.

Martina stava per venire, e si ricordò delle parole di Gianni pronunciate quella sera in cui avevano fatto stesso sotto la doccia: era l’uomo che doveva godere, non lei.

Ma era difficile controllarsi, era importante che anche lui venisse in fretta.

Si ricordò di come aveva reagito durante il massaggio, così la ragazza si volse leggermente all’indietro e con l’indice andò a cercare l’ano dell’uomo.

Lo trovò facilmente e vi infilò la punta del dito.

L’uomo sembrò apprezzare il tocco, perché spalancò la bocca e prese a muoversi ancora più vigorosamente.

Era evidente che anche lui era molto prossimo venire.

Martina affondò ancora di più il dito, stringendo contemporaneamente i muscoli della vagina.

Senti le mani dell’uomo aumentare la pressione sui suoi fianchi e lo vide spalancare gli occhi e la bocca contemporaneamente.

Le sue braccia le circondarono la schiena e venne tirata verso il basso, facendo in modo che i suoi seni appoggiassero sui pettorali dell’uomo e i loro volti si avvicinassero.

“Vengo”, le disse nell’orecchio.

Martina sentì il membro dell’uomo pulsare dentro di lei, e un attimo dopo anche lei provò l’orgasmo.

Senza pensarci, istintivamente, appoggiò le labbra su quelle dell’uomo le loro lingue si toccarono per alcuni secondi, quindi l’orgasmo scemò.

Martina rialzò la schiena e, sorridendo, guardò l’uomo sotto di lei.

Il cliente tirò un grosso sospiro, quindi guardò nuovamente l’ora e le diede una pacca sul sedere.

“Alzati, bella, che devo andare”.

Martina si sollevò sulle gambe e fece scivolare il membro dell’uomo fuori dal suo corpo, quindi recuperò i vestiti.

L’uomo si alzò in piedi e fece scricchiolare la schiena.

“Ora mi do una avata e me ne vado – disse indicando la vaschetta ai piedi del letto – Credo proprio che tornerò, sei la migliore puttana con cui io sia mai stato”.

Martina si allacciò la vestaglietta e lo ringraziò, non sapendo cos’altro fare.

 

Raggiunse Stella alla reception, che sembrava molto preoccupata

“E’ andato tutto bene – la tranquillizzò Martina – Non preoccuparti”.

Doveva recuperare la sua borsa e prendere il telefonino.

Una foto di quell’uomo avrebbe permesso a Gianni di capire se era lui la persona che stavano cercando, ma come farlo senza essere vista?

I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore della porta: l’uomo aveva fatto molto in fretta e stava uscendo.

Passò davanti al bancone degnando Martina solo di un veloce sguardo; mormorò un “Arrivederci” ed uscì.

Ora sarebbe stato impossibile fotografarlo.

Passò solo qualche secondo, quando sentirono la porta suonare.

Era un nuovo cliente.

Le venne un’idea. Non poteva più fotografare il romano, ma la possibilità di avere delle sue immagini c’era eccome.

L’uomo era già davanti al bancone: “Buongiorno. Sono qui per un massaggio”.

Martina guardò verso Stella: “Senti, sono piuttosto stanca. Poi sostituirmi tu per questa volta?”.

La cinese non lasciò trasparire nulla dalla sua espressione facciale, si limitò a annuire.

Indicò al nuovo venuto la strada verso una stanza ed entrambi sparirono dietro alla porta.

Martina aveva ora un po’ di tempo, ma doveva comunque fare in fretta.

Andò nel retro e recuperò, dentro ala sua borsetta, il mazzo di chiavi di casa.

Usava come portachiavi un personaggio di Star Wars che fungeva anche da chiavetta USB.

Inserì l’apparecchio nella porta del computer e aprì il programma che gestiva le telecamere.

Tra le opzioni, trovò un “salva”.

Seleziono la telecamera da salvare – la sua era la numero tre – quindi indicò al computer dove effettuare il salvataggio.

Il filmato richiese non più di dieci secondi per essere pubblicato sulla chiavetta, ma furono i dieci secondi più lunghi della vita di Martina.

Quando le comparve il messaggio con cui il computer confermava il trasferimento dei dati, estrasse la chiavetta quasi con violenza e gettò il mazzo di chiavi nella borsa; quindi prese il telefonino e mandò un messaggio a Gianni.

“Dobbiamo vederci quanto prima, forse ho qualcosa per te”.

Avva il cuore che batteva a mille.

 

Le ultime ore di lavoro furono le più pesanti: Gianni le aveva risposto che si sarebbero visti già in serata, anche con i suoi colleghi, per verificare se quanto scoperto fosse effettivamente meritevole.

Martina trascorse le ultime ore con nervi scoperti.

Aveva paura che qualcuno notasse la duplicazione del filmato o che per qualche motivo le venisse controllata la borsetta.

Fortunatamente il mercoledì non era una giornata impegnativa, e concluse il lavoro con altri quattro clienti, ognuno dei quali fu accontentato con una lenta masturbazione.

Aveva scelto di non contare le sue prestazioni fin dall’inizio – era spaventata dai numeri che sarebbero venuti fuori e da quello che avrebbero significato – ma la tranquillità con cui si approcciava ormai al cliente le faceva temere di essere sempre più immersa in quella che di fatto era la sua professione.

Sapeva sorridere, sapeva trasmettere calore e allegria al cliente, ma dentro di sé era consapevole che ormai vedeva quei corpi e dei peni come un edicolante avrebbe visto dei giornali da vendere.

Si domandò se questa cosa non fosse durata troppo e se non avrebbe pregiudicato una sua serena sessualità in futuro.

Non metteva neppure in conto che tutto quanto non si risolvesse in breve tempo.

Quando la giornata terminò scelse di non passare da casa, anche se avrebbe avuto bisogno di farsi una doccia e cambiarsi, e di andare direttamente da Gianni.

Non vedeva l’ora di capire come sarebbe proseguita la sua vita da quel momento in poi.

Si presentò alle undici di sera in casa di Gianni, erano presenti già tre colleghi suoi.

C’era Roberto, un uomo alto di circa quarant’anni, quindi Gianluca, leggermente più anziano e molto più sovrappeso, e Mirko, ad occhio coetaneo di Martina.

Avevano tutti una birra davanti e la serata sembrava essere già iniziata da un po’, come si poteva dedurre anche dall’atmosfera molto rilassata

Gianni fece entrare Martina e la presentò ai colleghi.

“Questa è la ragazza che ci sta aiutando nelle indagini. Per ovvi motivi la sua testimonianza e il materiale che eventualmente produrrà non potrà essere usato come prova; io personalmente spero che possa servire per indirizzare le indagini in maniera precisa”.

Nessuno disse nulla, nuovamente fu Gianni a parlare, rivolgendosi proprio a Martina: “Mi hai detto che hai qualcosa per me?”.

Martina frugò nella borsetta e separò il portachiavi dal mazzo di chiavi, spiegando frattanto l’episodio.

“Mi ha insospettito il fatto che l’uomo provenisse dall’ufficio di Zeng e il fatto che, per sua stessa ammissione, non fosse lì per un massaggio. Spero di non sbagliarmi”.

“Questo lo verificheremo ora”, disse Gianni prendendo la chiavtta ed inserendola nel suo computer.

Fece un doppio clic sull’unico file presente e attese che il lettore riproducesse il filmato.

L’inquadratura era in principio statica su una stanza vuota, poi la porta si aprì ed entrò il romano.

La qualità delle immagini era molto buona, quasi in HD, e tutti assistettero all’uomo che si spogliava e si adagiava sul materasso.

“Ecco, vedi quel tatuaggio sulla scapola?”, disse Martina.

I quattro uomini erano tutti intenti a studiare quell’immagine.

“Non si vede bene il volto, è girato”, disse Gianluca.

“Finchè sta con la faccia contro il materasso – osservò Gianni – potrebbe essere chiunque. Mi sai dire se dopo si girerà?”.

Martina annuì, e solo in quel momento si rese conto che il proseguimento della visione del filmato avrebbe fatto sì che tutti i presenti la vedessero senza vestiti.

“Gianni, se può essere utile posso lavorare io su questo filmato – disse mentre sul monitor vedeva l’immagine di se stessa che entrava nella stanza – Posso estrarre le sequenze in cui la faccia si vede bene e stamparle”.

Sperava di non essere vista nuda anche da loro.

Roberto alzò le spalle.

“È inutile che facciamo passare altro tempo, tanto basta aspettare, no? Oltre tutto, un filmato rende anche”.

Martina deglutì, incapace di trovare un argomento che giustificasse l’interruzione della visione.

Si sarebbe sottoposta anche a questa ulteriore umiliazione.

Vide se stessa, come in un’esperienza extra corporea, parlare con il cliente e liberarsi dei vestiti.

La telecamera era fissa e non permetteva cambi di inquadratura, tuttavia furono diverse le situazioni in cui il suo corpo si trovò in visione frontale.

Uno dei presenti si lasciò sfuggire un fischio a fior di labbra, mentre Martina teneva appositamente gli occhi incollati al monitor.

Finalmente, dopo una dozzina di minuti che sembrò durare ore, il romano si voltò e il suo volto apparve nitido sullo schermo.

Gianni bloccò l’immagine per permettere ai colleghi di studiarlo con attenzione.

La fotografia ferma sullo schermo raffigurava l’uomo disteso sulla schiena e Martina, nuda, con le dita avvolte attorno al suo pene.

Tutti rimasero in silenzio a scrutare la foto.

La ragazza non potèè far a meno di domandarsi quanti stessero guardando il romano e quanti lei.

Era come se fosse nuda di fronte a loro.

Gianluca fu il primo a parlare: “A me sembra proprio lui”.

Gianni annuì: “Anche a me, ma aspettavo di sentire qualcuno di voi”.

Anche Roberto commentò: “E’ il Felino, lo conosco benissimo. È un po’ invecchiato, ma è certamente lui. Il tatuaggio lo dimostra”.

“Vediamolo meglio”, disse Mirko.

Gianni face partire nuovamente il filmato, l’attenzione di tutti era focalizzata sul computer.

Martina vide se stessa salire a cavalcioni dell’uomo e desiderò scomparire.

Roberto, con lo sguardo sul filmato, si accarezzava il cavallo dei pantaloni.

La ragazza sullo schermo si sfregò sul corpo del trafficante, quindi si fece penetrare.

Martina cercò di intercettare lo sguardo di Gianni, ma l’uomo non la stava guardando.

Possibile che nessuno si rendesse conto dell”umiliazione a cui la stavano sottoponendo?

Sullo schermo la sua faccia tradiva il godimento che stava provando, e vide se stessa urlare il proprio orgasmo.

Roberto aveva la mano fissa sulla patta e si stringeva il membro attraverso la stoffa, quasi con violenza.

La Martina sullo schermo si rivestì, e quella nella stenza si sentì un po’ meglio. 

Gianni chiuse finalmente il computer e spiegò: “La persona che hai intrattenuto oggi pomeriggio è uno spacciatore piuttosto conosciuto. Si fa chiamare il Felino e controlla almeno quattro quartieri. Non siamo mai riusciti a capire da dove si fornisca, ma a questo punto è ragionevole pensare che il suo grossista possa essere proprio il suo amico cinese”.

“A questo punto cosa devo fare?”, domandò Martina.

Gianni scosse la testa.

“Nulla di particolare, se non tenere gli occhhi ancora più aperti e fare caso a tutto quello che ti sembra anomalo, come bene hai fatto oggi”.

“Voi non intereverrete?”, chiese speranzosa. Una parte di lei si era illusa che quella potesse essere la sua ultima puntata nel centro massaggi.

“E perchè dovremmo? Ti ho già spiegato: devi conquistare la loroa finducia, entrare nelle loro confidenze. Hai fatto molto bene, ma sei solo all’inizio”.

Gianni si alzò in piedi e le tese la mano.

“Ora dobbiamo parlare, vai a riposarti che sei stanca”.

Martina ricambiò il saluto come un’automa.

“Ok, buon notte”, disse avviandosi verso a porta.

Mentre se la chiudeva alle spalle, sentì uno dire: “Complimenti per le tette!”.

Tutti risero.

 

 

La svolta, che Martina avrebbe desiderato immediatamente, impiegò invece due settimane ad arrivare; due settimane durante le quali la sua attività nel centro massaggi dovette proseguire come se nulla fosse.

Rientrava a casa la sera e si rendeva conto come, nel corso dell’intera giornata, non tenesse i vestiti addosso per più di un’ora.

Usciva la sera con gli amici, quando le energie ancora la sostenevano, e ogni uomo che vedeva non riusciva a fare a meno di pensare come sarebbe stato masturbarlo.

Nel breve tempo che stava passando in quel posto aveva già acquisito una discreta popolarità, e non era raro che alcuni clienti entrassero e chiedessero direttamente di lei, sia perché l’avevano già incontrata, sia perché qualcuno gliene aveva parlato.

Ci furono un paio di momenti di sconforto in cui si domandò come avrebbe reagito se la sorte le avesse imposto di rimanere lì.

Non doveva infatti dimenticare che la sua fuoriuscita da quel posto di lavoro dipendeva solo ed esclusivamente dal fatto che lei riuscisse a coprire i traffici sordidi che venivano lì perpetrati, ma se non ci fosse riuscita? O se alla fine Gianni si fose sbagliato e non ci fosse nessuna attività illegale?

Ci sarebbe stato un limite oltre il quale non avrebbe tollerato andare?

Non poteva non constatare come l’asticella della sopportazione si stesse progressivamente alzando.

In principio si era data come punto fermo il fatto non togliersi le mutandine di fronte ai clienti, ma più passava il tempo, più l’eccezione era diventata una regola, e di fatto era quasi sempre nuda.

Poi si era ripromesso di farsi toccare solo da chi avesse voluto lei, ma anche in quel caso non poteva non notare come le dita dei clienti fossero quasi sempre dentro di lei, spesso procurandole anche del piacere.

Riscontrava come ci fosse un’umanità molto variegata che, sotto sotto, nascondeva delle perversioni molto celate.

Aveva fatto un sessantanove con una ragazza della sua età, in procinto di sposarsi, che voleva provare come fosse una donna.

Aveva massaggiato un ragazzo, probabilmente appena maggiorenne, sotto gli occhi del padre che voleva verificare se il figlio fosse sensibile al genere femminile.

Aveva ricevuto anche una ragazzina, alla quale non aveva chiesto l’età per compassione, che l’aveva pagata per farsi passare la lingua in ogni anfratto del corpo.

Una parte di lei aveva pensato che sarebbe stato giusto reagire con ribrezzo a certe cose, ma un’altra parte non poteva non essere attratta dalla ramificazione della psiche umana.

Più il tempo passava, più si rendeva conto di come la prostituzione potesse rappresentare anche un importante servizio sociale.

La gente entrava in quel posto per togliersi degli sfizi, per trasformare in realtà delle fantasie che fino a quel momento aveva sopito.

C’era qualcosa di male in quello?

Riteneva proprio di no, se erano tutti liberi e consenzienti.

In ultimo, l’aspetto economico stava cominciando a diventare importante.

Dopo la prima settimana generosamente regalata alla causa, i suoi guadagni avevano cominciato a diventare interessanti.

Le sue prestazioni erano praticamente sempre al di là del massaggio puro, il fatto di essere l’unica italiana spesso la rendeva interessante per i clienti e in alcuni giorni si era trovata costretto ad fissare degli appuntamenti, come un dentista.

Era riuscita a saldare tutti i debiti che aveva con il condominio, riparare il climatizzatore dell’auto e a comprarsi un po’ di vestiti.

Che poi non avesse il tempo per indossarli era un dettaglio secondario, ma si sentiva finalmente gratificata e libera dal problema economico.

 

Il signor Zeng la convocò a metà turno del pomeriggio, che con i suoi orari significava le sei del pomeriggio.

Aveva appena terminato di masturbare un ventunenne con un pene decisamente piccolo e un marcato problema di calvizie precoce.

Entrò nell’ufficio del cinese con indosso solo la vestaglietta e, sotto, un perizoma.

“Ho bisogno che tu per oggi smetta di lavorare e faccia una cosa per me”, le disse Zeng senza neppure salutarla.

Era seduto alla scrivania e Stella era in piedi accanto a lui, con le braccia dietro alla schiena.

Martina annuì in silenzio.

“Spogliati”, le intimò il cinese.

“Completamente?”, chiese.

“Certo”.

La ragazza rimase interdetta.

Delle varie opzioni, sicuramente non aveva immaginato che lui volesse del sesso.

Con una certa titubanza si liberò della vestaglietta, poi si abbassò il perizoma.

“Lo facciamo qui?”, domandò.

Il cinese la guardò perplesso, poi scosse la testa.

“Non hai capito. Io non voglio fare sesso”.

Martina rimase in silenzio, nuda di fronte al suo datore di lavoro.

Si coprì il seno e l’inguine, pur rendendosi conto dell’inutilità di quel gesto.

“Devo fare una consegna – spiegò lui – ma non posso farla personalmente, così la farai tu. Solo che quello che devi consegnare non lo si può trasportare in una borsa”.

Aprì un armadio e ne estrasse una busta di carta che depositò davanti a Martina.

Detro c’erano una dozzina di palline di plastica, grandi come quelle da ping pong.

“Appoggia i gomiti sul tavolo e divarica le gambe”, le ordinò.

La ragazza eseguì l’ordine, sentendosi un po’ in imbarazzo per la situazione.

E’ vero, ormai aveva fatto l’abitudine a spogliarsi e a mostrarsi con i clienti, ma stare nuda in un ufficio era un’esperienza che ancora la metteva a disagio.

Senti Stella avvicinarsi da dietro, e dopo poco avvertì i suoi polpastrelli che le stavano toccando l’ano.

Le stava spalmando qualcosa, probabilmente un lubrificante.

Le terminazioni nervose di quella parte del corpo reagirono subito e Martina si sentì subito eccitata, anche se una parte di lei non poteva non preoccuparsi di quello che sarebbe accaduto di lì a breve.

Stella terminò la lenta stimolazione, quindi Martina sentì che qualcosa di duro e sferico era stato accostato al suo ano.

Si morse il labbro inferiore per impedirsi di urlare, e un attimo dopo l’oggetto scivolava dentro di lei.

Stella aveva compiuto un movimento repentino e non le aveva fatto male.

Forse leggendo la sua tensione, Stella le fece una carezza sulla schiena.

“Tra poco sarà finito, stai tranquilla”, le disse.

La cinese si chinò e ripeté l’operazione anche per una seconda pallina, quindi per una terza

Martina voltò il capo verso il sacchetto di carta e non poté evitare di notare come fosse tuttora piuttosto pieno.

“Sono già al limite, non ce la farò mai”, si lamentò.

Zeng, che si era acceso una sigaretta, commentò freddamente: “L’intestino è lungo sino a sei metri, c’è spazio a sufficienza per tutte le palline che vogliamo”.

Come a rimarcare che comunque il capo era lui, allungò una mano e la strinse con forza un capezzolo di Martina tra le dita, strappandole una smorfia di dolore.

“Sei una che lavora bene, farai bene anche questo”, commentò ancora il cinese.

Stella introdusse un altro paio di palline nel sedere di Martina.

L’ano era ormai più elastico e questa nuova introduzione le aveva fatto meno male.

Forse era un’impressione, ma le sembrava sentirle in maniera distinta mentre si facevano strada dentro di lei.

“L’altra ragazza italiana, quella che avreste potuto scegliere al posto mio, che fine ha fatto?”, domandò Martina, nella speranza che un po’ di conversazione le facesse trascorrere più in fretta quel momento.

“Non c’era nessuna ragazza italiana. Abbiamo usato questo piccolo inganno per vedere sino a che punto si sarebbe spinta la tua dedizione, e il risultato dimostra che non abbiamo fatto male”.

Martina annuì, ma non poté fare a meno di chiudere gli occhi quando l’ennesima pallina scivolò dentro di lei.

Era arrivata circa a metà.

 

Circa dieci minuti dopo Martina era in piedi di fronte a Zeng, questa volta vestita.

Aveva contato quattordici palline, e tutte quante stavano premendo dentro di lei come uova in attesa di schiudersi.

Il cinese prese un foglio di carta e vi scrisse velocemente un indirizzo.

“Dovrai recati in questo negozio – disse porgendoglielo – Lì troverà un italiano vestito di nero e con i baffi, dovrai dirgli che sei lì per una gicca di renna lui ti spiegherà cosa fare”.

Martina guardò l’indirizzo: era una zona che conosceva, ci avrebbe messo non più di un quarto d’ora in auto.

Doveva subito avvisare Gianni.

Fece per andarsene ma Zeng la interruppe.

“Io mi fido di te, ma non fidarsi è molto meglio. Dammi il telefono cellulare, lo recupererai quando tornerai qui”, disse tendendole la mano.

“E come faccio se capita qualcosa? Se ci fossero dei problemi?”, abbozzò.

“Se fai quello che ti dico non ci saranno problemi. È un compito semplice, e vedrai che posare le palline sarà molto più facile che prenderle”.

Martina estrasse il telefono e lo consegnò al cinese, imprecando mentalmente.

Ora come avrebbe potuto avvisare Gianni?

Salì in auto pensando febbrilmente a come fare.

Quello era il momento, se gli fosse sfuggito non era detto che se ne sarebbe ripresentato un altro a breve.

E poi non moriva dalla voglia di farsi infilare altre palline nel culo in futuro.

Partì sgommando. L’unica possibilità che aveva era passare dall’ufficio di Gianni sperando che fosse presente e avvisarlo a voce.

Avrebbe dovuto deviare rispetto al percorso più breve, ma se fosse stata rapida forse nessuno se ne sarebbe accorto.

Percorse velocemente le vie, bruciando un paio di semafori e maledicendo il fatto di non poter comunicare con nessuno.

Si sentiva nel medio evo; come faceva la gente quando non esistevano i telefonini?

Parcheggiò in seconda fila sotto l’ufficio di Gianni e si precipitò al primo piano, con l’andatura più rapida che la sua condizione le permetteva.

Spalancò la porta: Gianni era seduto alla scrivania e stava parlando con una donna con un bimbo in braccio.

La donna piangeva e passava le mani tra i capelli del piccolo.

“Perdonatemi – disse Martina – ma devo parlarti”.

L’uomo si alzò, chiese scusa dalla donna e accompagnò Martina in corridoio.

La ragazza gli raccontò quanto era appena successo e cosa dovesse fare.

“Quindi ti hanno sodomizzata con delle palline? Avrei voluto esserci”, commentò il poliziotto con un sorriso.

“Gianni, porca Eva, ho i secondi contati! Devi aiutarmi!”, si lamentò Martina.

L’uomo le mise una mano sulla spalla.

“Non devi preoccuparti. Dammi l’indirizzo in cui stai andando, manderò subito un uomo a vedere cosa succede. Tu non te ne accorgerai, ma qualcuno di seguirà e farà in modo che nulla ti accada”.

Le diede una pacca sul sedere.

“Vai e non preoccuparti; stasera festeggeremo la fine del tuo incubo”.

Martina si voltò e percorse rapidamente il corridoio, augurandosi che l’ottimismo di Gianni non fosse solo di facciata e auspicando che il festeggiamento a cui faceva riferimento si riferisse ad una bottiglia di champagne e non ad altro.

Rimontò in auto e ripartì sgommando.

Dall’orologio del cruscotto verificò come la sosta non le avesse portato via che sei minuti, un ritardo ampiamente imputabile al traffico.

Percorse il tratto di strada con un occhio sempre puntato sullo specchietto retrovisore, speranzosa di vedere spuntare qualcuno che la seguisse, ma non notò nulla di insolito.

“Certo, mica si metteranno a pedinarmi con le sirene accese”, si disse.

Raggiunse la destinazione e notò come al civico scritto sul biglietto ci fosse una tintoria.

Posteggiò di fronte, controllò ancora una volta di essere nel posto giusto ed entrò.

Un uomo di circa quaranta anni, con lunghi baffi e un maglione nero, stava dietro al bancone intento a sfogliare una rivista.

Alzò lo sguardo quando la ragazza entrò e non disse nulla.

“Sono qui per la giacca di renna”, disse Martina, fermandosi appena dopo la soglia.

L’uomo girò attorno al bancone, appose alla vetrina il cartello “CHIUSO” e serrò la serratura, quindi fece cenno a Martina di seguirlo nel retro.

Attraversarono una poorta ed uscirono su un cortile in cemento, al centro del quale era posteggiata una moto.

L’uomo aprì il baule e prelevò due caschi, porgendone uno a Martina.

L’uomo non aveva ancora detto una parola e non sembrava intenzionato a farlo, ma il messaggio era comunque chiaro.

L’uomo salì in moto, la ragazza si accomodò dietro di lui.

Non era abituata a stare in sella e le palline stavano cominciando a darle fastidio. Non vedeva l’ora di liberarsene.

La moto partì con uno strappo e si immise nel traffico, percorrendo a velocità poco consona delle vie piuttosto strette.

Avrebbe voluto non farlo, ma Martina si trovò a stringere l’uomo alla guida per paura di cadere.

Si domandò, piuttosto, se qualcuno li stesse effettivamente seguendo e soprattutto come, visto lo stile di guida del motociclista.

Il viaggio per fortuna non durò più di dieci minuti e terminò in un altro cortile, questa volta di un capannone sito nella vecchia zona industriale.

Lo stabilimento era sito tra due fabbriche, evidentemente abbandonate, e anche la loro destinazione non sembrava fervere di attività. L’unica traccia di qualche presenza umana era data da tre SUV posteggiati accanto alla porta di ingresso.

L’uomo scese dalla moto e, senza neppure togliersi il casco, penetrò attraverso la porta metallica; Martina lo seguì ad un passo di distanza.

Una volta dentro la ragazza dovette attendere qualche secondo che i suoi occhi si adattassero alla luce più bassa, e quando finalmente riuscì a mettere a fuoco si accorse che altre tre persone si trovavano nel capannone, apparentemente aspettando loro.

C’erano due uomini massicci molto simili tra loro, probabilmente fratelli, con le braccia conserte e lo sguardo truce.

Tra di loro, con una sigaretta in mano, c’era il Felino che sorrideva.

“Vedi, ci si rivede”, le disse accarezzandole il volto.

La ragazza non rispose, aveva il cuore in tumulto.

Il fatto che conoscesse quell’uomo in qualche maniera la tranquillizzava, ma non poteva dimenticare che si trattasse di un criminale.

La location in cui si trovavano, oltre tutto, non era particolarmente tranquillizzante.

“Tu hai qualcosa per me, vero?”, le chiese l’uomo.

Martina annuì.

L’uomo si voltò e le fece cenno di seguirlo dietro una porta metallica posta alle sue spalle.

Entrarono in un piccolo stanzino totalmente spoglio, fatta eccezione per una struttura che a Martina fece venire in mentre il lettino del ginecologo.

“Spogliati e sdraiati lì sopra”, le ordinò il Felino, indicando proprio il lettino.

“Posso fare tutto da sola, basta un bagno”, protestò la ragazza.

Nel frattempo anche i tre uomini erano entrati nella stanza.

“Sono io che non voglio che tu rimanga da sola mentre compi l’operazione. La tentazione rende l’uomo ladro, come si suol dire”.

Martina non era certa di capire a cosa facesse riferimento l’uomo; immaginò alludesse alla possibilità che lei, approfittando di essere sola, potesse impadronirsi di una delle palline.

Trasse un sospiro: con un po’ di fortuna sarebbe stata l’ultima volta che si umiliava in questa maniera.

Si sfilò i pantaloni e le mutandine, quindi si sdraiò sul lettino, appoggiando le gambe ai supporti posti al sul lato.

Cercò di non pensare al fatto che, in quella posizione, le sue intimità erano oscenamente esposte a tutti i presenti.

Uno dei due uomini si pose ad un lato del lettino e prese a girare una manovella, che fece alzare lo schienale sul quale Martina era sdraiata, fino ad assumere una posizione quasi eretta.

L’altro uomo prese un secchio e lo pose sul pavimento sotto di lei.

“Ora, bella ragazza mia, deposita quello che mi hai portato”, la esortò il romano.

“Qui? Davanti a tutti?”, chiese Martina, consapevole dell’inutilità della domanda.

I Felino annuì, imitato dai suoi sgherri.

L’uomo con i baffi, come un ospite non invitato, si era fermato sul limitare della porta e osservava da più lontano.

Martina chiuse gli occhi e contrasse i muscoli dell’addome.

Le palline premevano da dentro già da parecchi minuti, non sarebbe stato difficile espellerle.

Sentì qualcosa muoversi dentro di lei, il suo sfintere dilatarsi, quindi un rumore metallico sotto di lei.

La prima pallina era caduta nel secchio.

Spinse ancora, e stavolta furono due le palline a cadere.

Il suo intestino sembrava essere dotato di volontà propria e il flusso di palline prese a fluire spontaneamente.

Martina teneva gli occhi chiusi e gli addominali tesi, temendo che una qualunque variazione avrebbe interroto tutto e le palline sarebbero rimaste per sempre dentro di lei.

Era talmente concentrata che non si accorse che qualcuno le stava legando le gambe ai supporti metallici con una cinghia di cuoio.

Compì l’ultimo sforzo che già era coperta di sudore, ma fu lieta di sentire che nulla era rimasto dentro di lei.

Riaprì gli occhi e sorrise, ma il sorriso si spense quando notò i legacci.

Fece per tirarsi su con le braccia, ma il Felino le puntò contro una pistola.

“Vedi di stare ferma, che già sono nervoso”, le intimò.

La ragazza si immobilizzò, con il cuore in gola.

“Alza le mani!”, le ordinò l’uomo.

Martina, tremante, obbedì all’ordine; i due gemelli si portarono ai suoi fianchi e le sfilarono la maglietta e il reggiseno.

Ora era nuda.

Provò ad abbassare le braccia, ma i due uomini le assicurarono i polsi alla sommità del lettino.

Ora non avrebbe potuto più muoversi.

“Cosa pensi contenessero quelle palline?”, le domandò il romano, abbassando la pistola.

“Non lo so….droga?”, rispose Martina, con la voce tremante.

“Secondo te uno come Zheng affida tutta quella droga a una come te che ha conosciuto l’altro ieri e che, di fatto, è una puttana?”.

Martina rimase in silenzio e abbassò lo sguardo.

“No, quelle palline – tranne una – non contenevano nulla, servivano per capire se eri una persona affidabile, se dalla prossima volta avrebbe potuto effettivamente affidarti un incarico serio. Ma hai fallito”.

Si avvicinò e le prese un capezzolo tra le dita.

“Hai fallito perchè l’unica pallina che non era vuota conteneva un chip GPS, grazie al quale Zheng ha capito che durante il tragitto avevi compiuto una sosta, e che ti eri fermata alla Polizia”.

Martina sentìì il cuore accelerare.

“Nessuno ti ha seguita, perchè il tuo accompagnatore è uno bravo a far perdere le tracce, ma mentre vi recavate qui Zheng mi ha chiamato e mi ha detto che lui non ti vuole più. Ora sei mia”.

La ragazza sospirò, mentre sentiva che delle lacrime stavano per affiorare.

“Lasciami andare, ti prego. Non dirò nulla a nessuno, farò quello che vuoi!”, lo implorò.

Il Felino scosse la testa.

“Come potrei fidarmi di te? Di una che non appena ha avuto un attimo di libertà è corsa alla Polizia per denunciare chi le aveva dato un mucchio di soldi e la sua fiducia?”.

Martina stava piangendo.

“Sai cosa ti succederà ora?”, le chiese con falsa gentilezza l’uomo.

“Mi violenterete?”, rispose Martina tra le lacrime.

L’uomo scoppiò a ridere.

“Ti piacerebbe, eh! Per una come te essere violentata è un piacere, non un supplizio”.

L’uomo allungò una mano e introdusse un dito nella vagina di Martina.

“Ne hai ricevuti talmente tanti che non te ne accorgeresti neppure. No, farò una cosa diversa: ora ti torturerò per bene, visto che comunque anche io sono incazzato con te, e alla fine – se sarai ancora viva – ti venderò”.

Estrasse le dita e le leccò.

“Negli Emirati Arabi, a Dubai, ragazze bianche e tettone come te vanno molto. Ti venderò ad uno di loro, che ti userà a piacimento. Ti farà scopare con chi vuole lui, ti farà battere, ti userà in film porno, forse tutte queste cose assieme. Questo non mi interessa. Sono certo che farai bene, troia come sei”.

Martina ora stava singhiozzando.

 

 

Il Felino si voltò su se stesso e, imitato dai suoi uomini, lasciò la stanza.

Martina, una volta rimasta sola, cercò di ricacciare indietro le lacrime e pensare a come uscire da quella situazione.

Per quanto sapesse che sarebbe stato inutile, provò a fare forza sui suoi legami per capire se fosse stato possibile liberarsi, ma inutilmente: sia i lacci ai polsi che quelli alle gambe la mantenevano saldamente immobilizzata in quella oscena posizione.

Cosa sarebbe stato di lei?

Il fatto che né Gianni né nessuno dei suoi si fosse ancora fatto vivo non la faceva ben sperare.

Quanto era passato da quando era entrata in quell’edificio? Una mezz’ora?

Avrebbero già dovuto intervenire.

Le prospettive non la incoraggiavano.

Essere venduta a qualcun altro le apriva un ventaglio di possibilità, nessuna delle quali piacevole.

Si ritrovò ad augurarsi di essere condotta verso la prostituzione; in fin dei conti, era una strada che già stava percorrendo da qualche tempo.

Ma se così non fosse stato, le altre opzioni erano tutt’altro che ben auguranti.

Finire nuovamente tra le mani di un sadico, questa volta a tempo indeterminato, le metteva decisamente paura.

Sarebbe stata completamente in balia di qualcuno che non aveva nessun obbligo a rispettare la legge, che avrebbe potuto farle qualunque cosa, incluso ucciderla.

Aveva letto che in quei Paesi, per spregio nei confronti delle donne bianche, usavano farle accoppiare anche con animali, con cani e cammelli.

Sentì un brivido attraversarle il corpo al solo pensiero.

Fece un ulteriore tentativo per liberarsi, come se la disperazione provocata da quei suoi pensieri potesse darle un’extra di forza, ma inutilmente: i legami erano saldi come se fossero di acciaio.

Senti del rumore al di là della porta e immaginò che suoi carcerieri stessero arrivando per torturarla.

“Se esco indenne da questa cosa giuro che la smetto con queste stronzate – disse tra sé – Vado a lavorare in un bar, vado a fare le pulizie, ma basta gente strana!”.

La porta si spalancò, il Felino e i suoi due uomini entrarono nella stanza.

Martina sentiva il cuore battere all’impazzata, consapevole che nulla avrebbe potuto fermare quell’uomo se non il suo piacere sadico di farla soffrire.

L’uomo portava con sé una borsa simile a quella dei medici di una volta. La poggiò a terra accanto alla ragazza, in una posizione fuori dal suo campo visivo.

L’uomo si chinò e si sollevò con un grosso pezzo di nastro adesivo tra le mani.

“Qui siamo isolati – spiegò – ma non voglio che tu mi faccia venire il mal di destra con le tue urla”.

Martina provò a voltare la testa, ma l’uomo riuscì lo stesso ad applicare il grosso cerotto sulle sue labbra.

Istintivamente lei provò a lamentarsi, ma dalla sua bocca non uscì nient’altro che un indistinto mugolio.

“Bene, ora possiamo iniziare – annunciò il romano – Per tua tranquillità voglio che tu sappia che questo tuo bel visino e questo delizioso corpo rimarranno intatti. perderei dei soldi se andasse diversamente”.

Le passò una mano sulla guancia e lasciò che la carezza terminasse sul seno.

“Questo ovviamente non significa che tu non proverai del dolore e non soffrirà. Anzi, questa è una delle poche certezze che ti do”.

Si chinò nuovamente e si risollevò con in mano uno strumento che Martina riconobbe subito: era un frustino, di quelli che suo nonno usava con gli asini.

L’uomo indietreggiò di un passo e distese la mano armata in modo che il frustino andasse a toccarle un capezzolo, quindi la colpì.

Il frustino la colpì perfettamente sull’areola, procurandole un dolore intenso che si propagò per tutto il corpo.

Solo il lamento le rimase imprigionato dentro il bavaglio.

Il felino non trattenne un sorriso sadico, e ripeté l’operazione con l’altro capezzolo.

Dolore, dolore anche quella volta.

Un altro colpo, sul primo capezzolo, e poi ancora su secondo, incurante dei gemiti che fuoriuscivano dalla gola di Martina.

La ragazza non pensò a contare le vergate, ma se lo avesse fatto avrebbe registrato come il Felino si fosse fermato solo dopo aver raggiunto i venti colpi per seno.

Sferzata l’ultima fristata, l’uomo rimase in silenzio ad osservare il petto di Martina sollevarsi e abbassarsi affannosamente.

 

Il romano si chinò un’altra volta, e quando si risollevò aveva in mano un oggetto metallico grande più o meno come un pennarello, alla cui estremità pendevano un cavo elettrico.

Il cavo finiva in un punto imprecisato posto al di sotto del punto di osservazione di Martina..

L’uomo premette un piccolo pulsante posto alla base di quel bizzarro strumento e la ragazza sentì una specie di crepitio.

“Lo sai cos’è questo?”, domandò il Felino.

Martina scosse la testa, non potendo rispondere in altra maniera.

Neppure l’uomo rispose, ma fece scorrere lo strumento lungo l’avambraccio della ragazza, tenendolo a circa un centimetro di distanza.

Martina sentì che i radi peli del suo avambraccio si sollevavano al passaggio della bacchetta.

Quando l’uomo parlò, lei aveva già compreso il funzionamento dello strumento.

“È elettrificato”, confermò l’uomo.

Il Felino prese ad avvicinare lentamente la bacchetta verso l’addome di Martina, che aveva cominciato a divincolarsi nei suoi legami.

Aveva paura dell’elettricità e scuoteva la testa all’impazzata.

L’uomo la guardò negli occhi e si produsse in un sorriso sadico, quindi la punta dello strumento toccò la sua pelle.

Martina sentì come se mille formiche rosse avessero deciso di pungerla tutte quante nel medesimo punto.’

Il suo corpo sobbalzò, e se non fosse stata legata probabilmente sarebbe caduta a terra.

“Fa un po’ male, vero?”, domandò ironicamente il romano, mentre con la mano si avvicinava nuovamente alla ragazza.

Questa volta la toccò alla altezza dell’ombelico, procurando le un nuovo spasmo.

“Credimi, lo faccio per te. Nel posto dove sarai venduta sarai spesso torturata, e questa probabilmente sarà una delle punizioni più frequenti. Non voglio che tu arrivi lì impreparata”.

La colpì nuovamente, ancora sulla pancia, provocando l’ennesimo sobbalzo.

Si spostò, ponendosi di fronte alla pianta dei piedi di Martina.

“Questo è un po’ sensibile, potrebbe farti male”.

Come se non avesse sofferto sino a quel momento, pensò lei.

Fece scorrere la punta della bacchetta la pianta del piede, e Martina sentì la gamba venire attraversata dalla scossa fin sotto al ginocchio.

Il polpaccio si contrasse in maniera spontanea e, se non fosse stata legata, sicuramente avrebbe scalciato.

Il romano ripeté l’operazione anche con l’altro piede, provocando la medesima reazione.

Martina cominciò a mugolare, facendo chiaramente capire che aveva qualcosa da dire.

Il romano si avvicinò a lei e staccò un lembo del cerotto, in modo da permetterle di parlare.

La ragazza usò i primi secondi per ansimare e riprendersi dal male, quindi parlò con voce rotta: “Ci ho pensato, mi prostituirò per te. Mandami a battere per strada, fammi andare con chiunque, ma interrompi questa cosa e non vendermi. Sono brava a scopare, sono bella, fra i tanti soldi con me”.

Martina si meravigliava delle sue parole, ma stava realmente pensando che quella potesse essere una soluzione preferibile.

Il Felino le rivolse l’ennesimo sorriso mentre scuoteva la testa.

“Mi dispiace, amica mia, ma io non faccio quel mestiere. Non lavoro con le puttane, è troppo difficile e c’è troppa concorrenza. Sono sicuro che tu sarai molto brava, ma non sono io la persona che devi convincere”.

Martina fece per protestare o forse aggiungere qualcosa, ma il cerotto le venne nuovamente posizionato sulla bocca e le sue parole si trasformarono in un mugolio incomprensibile.

L’uomo si avvicinò nuovamente a lei, sempre con la bacchetta in mano, e la puntò verso il seno destro.

I suoi capezzoli erano già stati fortemente provati dalle frustate, temeva che la sofferenza sarebbe stata troppa, così Martina si agitò nuovamente sul suo scomodo sedile.

Così come le volte precedenti, anche questa volta le sue rimostranze non sortirono nessun effetto, se non quello di allargare il sorriso sul volto del romano.

Martina sentì l’oggetto metallico toccarle il capezzolo, e un attimo dopo il morso di un milione di formiche rosse le percosse il seno.

Provò ad aver aprire la bocca per urlare per prendere aria, ma il cerotto non glielo permise.

Chiuse gli occhi, stringendo i denti e sperando che finisse presto.

Durò solo qualche secondo, infatti, ma quando la bacchetta lasciò il suo corpo Martina aveva il cuore che batteva ed era sudata.

L’uomo continuò a guardarla negli occhi, entrambi sapevano quale sarebbe stata la mossa successiva.

La ragazza chiuse nuovamente gli occhi e sentì lo stecco toccarle l’altro capezzolo.

Stesso dolore, stesse formiche.

Quanto sarebbe durato? Quante volte il felino avrebbe dovuto ripetere quell’operazione per stancarsi?

L’uomo si accostò a lei e le fece una carezza sul volto.

“Avresti fatto meglio a venire direttamente qui con la consegna, cara ragazza, senza affettuare deviazioni”.

Staccò la mano alla guancia, la fece scorrere lungo il suo corpo e la fermò all’altezza delle sue grandi labbra.

Introdusse due dita dentro e prese a massaggiarla.

Martina era troppo dolorante per potersi eccitare, ma sentì che il suo clitoride stava rispondendo autonomamente e si stava ingrossando.

Sperava di sbagliarsi ma aveva previsto quale sarebbe stata la parte del suo corpo verso la quale il romano avrebbe indirizzato le sue attenzioni.

Pur sapendo che non sarebbe servito a nulla, prese a scuotere la testa.

Sarebbe stato un dolore eccessivo, non poteva pensare di subire una scarica elettrica anche lì!

Come purtroppo aveva pensato, l’uomo non si fece minimamente condizionare dalle sue rimostranze, impugnò nuovamente la bacchetta e, senza alcun preambolo, la accostò al clitoride.

La ragazza sentì un milione di puntture, inarcò la schiena e il corpo cercando vanamente di staccare la sua pelle da quella infernale bacchetta.

 

Martina aveva il respiro rotto e il cuore in tumulto.

Quanto sarebbe durato quel supplizio? Ore? Giorni?

O forse dipendeva da lei?

Se fosse svenuta, se si fosse messa a piangere, il suo torturatore avrebbe cambiato atteggiamento?

Non aveva quell’impressione, e in ogni caso era altamente probabile che entrambe le reazioni sarebbero giunte spontanei di lì a breve.

Il Felino si accostò nuovamente a lei e azionò la manovella che regolava l’inclinazione del piano al quale era legata.

Questa volta la azionò nel senso opposto, facendo sì che la sua testa si abbassasse verso il pavimento e le sue gambe si sollevassero.

Si fermò quando il suo corpo raggiunse un’inclinazione di circa trenta gradi.

Si chinò nuovamente sulla sua micidiale borsa e prelevò altri due oggetti.

Quando entrarono nel campo visivo di Martina, la ragazza non riuscì a capiire di cosa si trattasse.

Sembravano due Tampax di plastica

Il Felino non si produsse in nessuna spiegazione ma, quasi a conferma dell’impressione che Martina aveva avuto, ne introdusse uno nella sua vagina.

Era freddo e Martina ebbe un sussulto.

Sempre in silenzio, l’uomo le introdusse il secondo nell’ano.

Non usò nessun tipo di lubrificazione, così la ragazza sentì un leggero dolore.

Non si lamentò, però: era nulla rispetto a quanto aveva provato fino a poco prima.

“Sai cosa sto per fare?”, la interrogò lui.

Martina scosse la testa.

“Questi piccoli tubicini contengono un meccanismo che, se io premo un tasto…”, spiegò il felino, allungando una mano verso la zona pelvica della ragazza.

Martina udì uno scatto e dopo un attimo sentì che il tubo introdotto nella sua vagina si era improvvisamente dilatato, assumendo un diametro simile a quello del rotoli di cartone contenuto all’interno della carta igienica.

Le pareti della vagina si erano improvvisamente diltate è la sensazione di disagio era estrema.

L’uomo toccò il medesimo tasto anche sull’altro tubicino, e anche questo si aprì all’improvviso, dilatandole lo sfintere.

In questo caso Martina non poté evitare di lamentarsi, anche se il suo lamento rimane intrappolato nel cerotto.

“Dà fastidio?”, domandò il romano con finta gentilezza.

Martina annuì.

“Lo immaginavo, ma dovrai sopportarlo. Anche perché, purtroppo per te, questo fastidio è solo la minima parte di quello che ti aspetta”.

L’uomo si chinò nuovamente e quando si risollevò aveva in mano una candela.

La accese con un accendino.

“I tubi che stanno dentro di te sono in plastica – spiegò il romano – e quindi, se io deposito una goccia di sera sull’imboccatura, per via della forza di gravità…”.

Martina capì immediatamente cosa stava per capitare e, spinta dalla disperazione, si agitò nei suoi legami, anche questa volta inutilmente.

Il romano aspettò che la cera si sciogliesse e diventasse liquida, quindi ne fece cadere una goccia all’interno del tubo che allargava la vagina di Martina.

Un secondo dopo la ragazza sentì un dolore immenso provenire da dentro di lei.

Urlò, anche se non riuscì che mugolare.

“In effetti fa un po’ male – commentò beffardo il Felino – Vediamo nel culo come funziona”.

Ripetè l’operazione con il secondo tubo, e forse il dolore fu addirittura maggiore.

Martina era terrorizzata, gocce di cera incandescente si stavano depositando all’interno del suo corpo.

Questa volta in sentì che difficilmente avrebbe potuto portare a termine la tortura senza svenire; anzi, si augurò che capitasse in fretta per sottrarsi a quella sofferenza.

Il Felino tornò a rovesciarle cera nella vagina, quindi nello sfintere.

Alternava un orifizio all’altro, provocandole una tempesta di dolore che non riusciva in nessuna maniera a contrastare.

Sarebbe morta, quello che le sarebbe capitato, pensò.

Al romano non interessav venderla, forse quella era una impresa che andava oltre anche al suo vivere ai margini della legalità.

L’avrebbe torturata, lei sarebbe morta e poi l’avrebbe abbandonata da quache parte.

Martina sentì le lacrime, mentre la sua zona pelvica sembrava in fiamme.

I suoi genitori avrebbero scoperto la deriva che la sua vita aveva preso negli ultimi mesi?

Era probabile, anche perché le torture che stava subendo avrebbero lasciato dei segni sul suo corpo.

Sperò solo che la morte sopraggiungesse rapidamente e – almeno quella – fosse indolore.

Chiuse gli occhi all’ennesima scarica di cera rovente, e la sofferenza era talmente intensa e non si accorse che la porta veniva spalancata con violenza.

Un drappello di cinque uomini in divisa blu entrò improvvisamente, ognuno impugnava una pistola e la puntava contro gli uomini presenti.

“Fermi tutti, polizia! Alzate le mani e non fate scherzi!”, urlò uno di loro.

Tutto si concluse in fretta.

Il Felino e i suoi uomini non accennarono neppure una resistenza, tanto evidente era la conclusione di un eventuale scontro.

Se erano armati, non accennarono a recuperare l’artiglieria.

Uno dei poliziotti si avvicinò a Martina e la ragazza riconobbe. Era Gianni.

“Scusa l’attesa, ma non è stato facile trovarvi. Spero che tu non abbia sofferto molto”.

Stacco il cerotto dalla bocca della ragazza, che proruppe in un pianto, anche per la gioia della liberazione

 

Mezz’ora dopo, Martina sedeva sul sedile posteriore dell’auto della polizia, avviluppata da una coperta.

I suoi vestiti erano distrutti e non era stato possibile recuperare niente di alternativo.

“Ora cosa farai?”, domandò Gianni dal sedile anteriore.

Martina alzò le spalle. “Non saprei. Qualche soldo ce l’ho, vorrei trovare un lavoro onesto e smetterla con tutta questa vita”.

Gianni annuì, forse per la prima volta comprensivo.

“Sei stata di grande aiuto, io personalmente non lo dimenticherò. Se hai bisogno di qualcosa, sai come trovarmi”.

Martina annuì e guardò fuori dal finestrino.

Ora aveva solo bisogno di una doccia calda e di dormire.

Leave a Reply