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Una mano in aiuto – seconda parte

By 20 Settembre 2021No Comments

Note dell’autore: prosegue il racconto di fantasia tra la mamma e il figlio adottivo infortunato. Per idee, critiche, suggerimenti, fantasie scrivete via mail a raccontidienea (chiocciola) gmail.com o contattatemi su twitter all’account @raccontidienea

N.B. I protagonisti del racconto si intendono adulti e consenzienti

Tentai di alzarmi ma una forte fitta di dolore alla schiena impedì di proseguire.

“Shhh…non sforzarti…credo che per qualche giorno dovrai rimanere a letto…” – disse carezzandomi il volto

“Lea…cos’è successo?” – provai a incalzare

“Eri in bagno, ti sei sentito male e…” – Lea continuava ad essere vaga.

Volevo capire se avevo sognato o se quello che avevo provato prima di svenire era successo veramente: “Lea…ti prego…io…io…”

Guardandomi negli occhi aveva capito che era inutile girarci intorno, sarebbe stato impossibile fingere che non fosse accaduto nulla.

E così, preso un bel respiro, iniziò a parlare.

“Mi hai chiesto di lavarti…e poi…poi..” – la sua voce si era improvvisamente fatta roca – “…poi ti sei eccitato…ed io…beh…io ho pensato che…”

Chiuse gli occhi e dopo essersi morsa le labbra continuo:

“Dio! …io…io credevo in quel momento che ne avessi bisogno…che fosse la cosa più giusta da fare…ma non…non avrei dovuto…capisci?”

I suoi occhi nocciola tornarono a fissarmi: “Insomma, tu sei…e poi tuo padre…e io…”.

Non era stato un sogno.

Lea cominciò a parlare come un fiume in piena, raccontandomi del disastro lasciato in bagno, di come era riuscita a trovare la forza di trascinarmi sul letto.
La mia mente intanto era tornata all’istante in cui esplodevo di piacere sotto il morbido tocco delle sue mani.

“…CARLO!”

Ancora una volta la sua voce mi riportava alla realtà, ancora una volta una possente erezione si stagliava davanti ai suoi occhi.

“…Lea…io…” – il mio sguardo supplichevole valeva più di mille parole

“…Carlo…ok…ho capito…non puoi farne a meno…e ne hai bisogno…lo so…ma…ti prego: è un segreto che deve restare tra noi!”

Poi, rassegnata, era tornata ad afferrare il mio cazzo e a menarlo mentre il silenzio scendeva nella stanza.

Questa volta Lea non provava imbarazzo: il suo sguardo era fisso sulla mia erezione mentre la sua mano scorreva su e giù sulla mia pelle.

Tornai a immaginarla posseduta con forza, infilzata dal mio poderoso cazzo in mille posizioni.

Poi arrivò l’orgasmo.
I miei gemiti riempivano la stanza, la mia sborra era schizzata sulle coperte, sul mio petto, sulle sue dita.
L’espressione di Lea era improvvisamente diventata seria.
Mi allungò nervosamente la scatola di fazzoletti che si trovavano sul comodino poi, alzatasi di scatto aveva guadagnato velocemente la porta.

Passarono diversi minuti di silenzio.

Poi dei suoni strani…sembravano singhiozzi.
Stava forse piangendo pentita di quanto aveva fatto?

Chiusi gli occhi per riposare.

Dopo un tempo indefinito la voce di Lea tornò a svegliarmi: “Oddio! Sei ancora così?”
Lea era ricomparsa sulla porta e vedendomi ancora in quello stato pietoso con gli schizzi di sborra dappertutto, si era messa a pulire.
La sua espressione era distesa, rilassata.
Sul suo viso nessun segno di pianto.

Dopo quell’episodio avevamo ripreso la solita pantomima madre-figlio, intercalata adesso da rilassanti parentesi di piacere.
Non mancavo infatti di mostrare a Lea, con finto imbarazzo, la mia quotidiana erezione.
E ogni giorno Lea ripeteva lo stesso copione e le stesse parole: ‘non dobbiamo farlo’, ‘deve restare un segreto tra noi’,
‘dobbiamo smetterla’, poi sega, sborrata, fuga dalla mia camera, singhiozzi e infine pulizia finale.
Con il passare dei giorni ero riuscito ad alzarmi letto e camminare da solo: ero finalmente in condizione di scoprire
cosa combinava Lea dopo la mia sborrata giornaliera, quando fuggiva via a singhiozzare.

Sarebbe stata una scoperta sconvolgente.

Quel giorno, dopo il quotidiano orgasmo e la fuga di Lea, piuttosto che rilassarmi decisi di alzarmi e seguirla.

Lea era corsa in camera sua e nella fretta aveva dimenticato di chiudere la porta.
Si era buttata sul letto e dopo essersi abbassata le mutandine aveva allargato le gambe.
Era così presa da quanto stava per fare da ignorare la mia presenza sulla porta.

La visione paradisiaca della sua fica rasata era già di suo uno spettacolo memorabile,
quello che avrei visto dopo mi avrebbe lasciato senza fiato.

Cominciò a spalmarsi sulla fica la sborra che le era rimasta sulle dita.
Poi, massaggio dopo massagio, era finita per masturbarsi furiosamente.
Prossima all’orgasmo Lea aveva iniziato a gemere, risolvendo di fatto un altro mistero:
quelli che in lontananza sembravano singhiozzi erano in realtà gemiti di piacere.

Dopo averla vista godere, tornai sui miei passi.
Ero ormai ossessionato dalla Lea perversa e lussuriosa lontana anni luce dalla mammina premurosa.
Era chiaro che il desiderio represso di Lea era tornare a scopare, a farsi riempire da un cazzo possente,
a sentire sulla sua fica le roventi gocce di sborra.
Desiderava sentirsi una femmina appagata.

Prima o poi sarebbe stata accontata.

Il piacere della sega quotidiana unito all’immagine di Lea che si spalmava la mia sborra sulla fica aveva reso i miei orgasmi ancora più devastanti.
Lea, vendendomi sconvolto dal piacere, piuttosto che fuggire immediatamente in camera sua,
preferiva trattenersi un po’ ad accarezzarmi i capelli e guardarmi riprendevo fiato.

Arrivò il momento di togliere il gesso e di iniziare la terapia riabilitativa.
Giorno dopo giorno facevo passi da gigante nel riacquistare la mobilità perduta,
ma preferivo fare la parte del povero malato di fronte a Lea per paura potesse iniziare a rifiutarsi di farmi la sega quotidiana.

Un giorno, alla fine del massaggio quotidiano, decisi di osare.

Stavo riprendendo fiato dopo aver sborrato sulla mano di Lea.
Avvicinai lentamente la mia mano al cazzo.

“Vedo che stiamo facendo progressi con la riabilitazione!” – affermò soddisfatta

Le afferrai il polso e dopo aver staccato la sua mano dal mio cazzo, gliela avvicinai lentamente al viso.

Lea mi guardava con fare interrogativo.
Le sue dita, ancora sporche della mia sborra, toccarono le sue labbra.

“Ma cos…?” – erano state le sue ultime parole prima che io le dicessi con tono deciso – “Lecca!”

Sapevo di aver scatenato una feroce battaglia nella mente di Lea: ad affrontarsi c’erano la Lea mammina perbenina ‘non dobbiamo farlo’
e la Lea femmina maiala ‘fottetemi per bene’.

Speravo nella vittoria della Lea maiala.

E così fu.

Dopo un attimo di esitazione le labbra di Lea avevano cominciato a succhiare dalle sue dita il mio nettare.
Lo sguardo di Lea era diventato porco, carico di eccitazione.
Dopo aver ripulito le dita, mi fissò con aria di sfida.
Si alzò per andarsi a posizionare tra le mie gambe decisa ad usare la sua bocca sul mio cazzo.

Inebriata dall’odore di maschio, aveva chiuso gli occhi e si era messa subito all’opera su quello che sarebbe stato il più bel pompino della mia vita.

Ero estasiato da tanta bravura: in pochi attimi il mio cazzo era tornato duro come l’acciaio sotto il sapiente tocco della sua lingua.

Chiusi gli occhi per abbandonarmi a quel turbine di piacere sempre più intenso.

Sborrai come mai avevo fatto, con tutti i muscoli del mio corpo tesi allo spasmo.

Quando tornai lucido la bocca di Lea, ancora avvinghiata alla mia cappella, aveva ripulito tutto.
Lea aveva ingoiato fino all’ultima goccia della mia sborra.

Non avevo più un briciolo di forza, Lea mi aveva letteralmente svuotato le palle.

Mentre riprendevo fiato Lea era tornata sedersi accanto a me, a fissarmi dolcemente e a carezzare i miei capelli.

“Sei un maialino, lo sai?” – disse scherzando.

Poi si era alzata e, al solito, era andata in camera sua…a singhiozzare!

Nei giorni a seguire la sega quotidiana venne sostituita dal pompino quotidiano,
trattamento sempre sconvolgente che mi lasciava puntualmente senza forze.

Avevo fatto sesso con tante ragazze, ma il tocco di Lea aveva qualcosa di veramente speciale…
…dopo averla scoperta come donna sapevo che difficilmente sarei riuscito a farne a meno.

Il giorno della fine della riabilitazione era arrivato, il fisioterapista prese le sue cose e,
prima di andar via, annunciò a me e a Lea che ero ormai capace di muovere le braccia senza problemi.

Quella sera, dopo cena, andai in camera e attesi che Lea passasse per darmi quella che ormai era diventata la “sua” buonanotte.
Ma Lea tardava ad arrivare.

Decisi di andarla a cercare.
La trovai in camera sua, seduta sul letto.
Indossava una camicia da notte e stava leggendo un libro.
Aveva l’aria di essere pronta per andare a dormire.

“Dimenticato qualcosa?” – chiesi io

Saltò letteralmente in aria quando mi vide sulla porta.

“Oddio Carlo! Ma…cosa ci fai ancora in piedi?!”

Mi avvicinai a lei, deciso ad ottenere quel che volevo.

“Aspettavo che venissi a darmi la buonanotte…la tua buonanotte…non so se…mi spiego…” – dissi con voce suadente

“Non ti sembra di essere un po’ cresciutello per queste cose?” – rispose scimmiottando, facendo finta di non aver afferrato quanto c’era di sottinteso nelle mie parole.

Raggiunto un lato del letto allungai una mano per sfiorarla.
Sapeva quali fossero le mie intenzioni, sapeva quali e quanti sottintesi la mia ultima frase contenesse e non poteva più fingere.
Mi afferrò il polso con forza e guardandomi seria, dritto negli occhi, mi disse:
“Carlo, adesso basta! Avevamo fatto un patto, ricordi? Ti avrei aiutato finchè non saresti stato capace di badare a te stesso. Adesso esci immediatamente da qui!”

“Ma io non posso più fare a meno di te!” – esclamai protestando

La sua mano lasciò il polso per andare a coprire insieme all’altra il suo viso.
La voce severa aveva ceduto il passo a quella della disperazione:
“Carlo, ti prego! …ti imploro! E’ sbagliato, Carlo…quello che abbiamo fatto è sbagliato…come fai a non capire? Io…io sono tua madre!”

Quelle ultime parole mi fecero perdere la testa.

“MIA MADRE UN CAZZO!” – urlai con rabbia.

Lea saltò in aria, scossa dalla violenza e dal tono delle mie parole.
Mi guardò impaurita.

Era la prima volta che urlavo con Lea, deciso a strapparle di dosso per sempre quel velo di ipocrisia che si ostinava a mettere tra me e lei: – “Mia madre è scappata via col primo stronzo che ha trovato!
E sai perchè? Perchè quel coglione di tuo marito, mio padre, non pensa altro che al lavoro piuttosto che fare il suo stracazzo di dovere di marito e di padre! Lui pensa che i soldi possano risolvere tutto, che con i soldi può comprarsi il mio affetto. E adesso sta facendo esattamente la stessa cosa con te! Ti tiene in una vetrinetta come un trofeo, ignorando quello di cui hai realmente bisogno!”

“Carlo…ti prego…smettila…” – tornò a coprirsi il viso con le mani cercando di fuggire almeno con lo sguardo dalla realtà che le stavo sbattendo davanti

Le strappai le mani dal viso afferrandole i polsi e scuotendola con forza

“Guardami!” – urlai

I suoi occhi erano gonfi di lacrime, il suo sguardo basso…pochi attimi ancora e non avrebbe più ascoltato le mie parole.

“Sono i soldi? Uno pseudofiglio da usare come se fosse un bambolotto? Hai bisogno di recitare la parte della dolce mammina per non pensare quanto triste sia il modo con cui quello stronzo di mio padre ti tratta? E’ davvero quello di cui hai bisogno? …TI HO DETTO DI GUARDARMI, CAZZO!” – la scossi ancora una volta agitando i suoi polsi e con loro tutto il resto del suo corpo.

Finalmente i suoi occhi incontrarono i miei.

“Lea, tu sei una donna fantastica e ti meriti un uomo che ti prenda e ti…” – presi un respiro, deciso a schiaffarle in faccia tutta la verità
“…che ti tratti con dignità, che ti faccia sentire donna, che…” – avevo deciso di porre fine ai giri di parole – “…ti scopi! Che ti prenda e ti sbatta con forza e ti faccia godere fino allo sfinimento, esattamente come hai fatto tu con me questi giorni con i tuoi pompini fantastici! Hai un corpo fantastico, che farebbe venirlo duro anche a un morto! E io…io so di piacerti…so che mi desideri!”

Ebbe un sussulto, le mie parole avevano finalmente ridotto a brandelli quel suo velo di ipocrisia.

“Voglio scoparti, Lea, voglio possederti! Voglio vederti godere e godere dentro di te! Non sai quanto ti desidero! Non sai quanto voglia che io e te diventiamo un’unica cosa”

Ci fu un istante di silenzio con i miei occhi persi nei suoi.

Credevo di aver vinto.

Poi le lacrime cominciarono a rigare le sue guance: “Carlo…ti prego…vai via…” – disse piangendo e abbassando lo sguardo.

Tornai in camera, la battaglia era persa.

(continua)

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