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OrgiaRacconti Erotici

Gruppo di studio

By 18 Marzo 2022No Comments

«Bene, le chiedo di tornare tra una mezz’ora per firmare il verbale d’esame e registrare la materia.»
«D’accordo professore, a dopo allora.»
L’idea di sprecare mezz’ora del mio tempo girovagando per la facoltà non mi entusiasmava particolarmente, ma essere riuscito a togliermi di torno una materia piuttosto ostica mi aveva addolcito l’umore; mi avviai lungo i corridoi gremiti di studenti dalle facce ansiose, diretto verso la caffetteria. Mentre camminavo guardandomi distrattamente intorno, l’occhio mi cadde su una delle tante bacheche appese alle pareti, e più precisamente su un annuncio, piazzato strategicamente in un angolo defilato:
Biondina tutta pepe e amica giunonica cercano colleghi per formare gruppo di studio.
Mi fermai un attimo ad osservarlo, cercando di capire se si trattasse di uno scherzo. Se lo era, stava funzionando: le linguette alla base del foglio – quelle staccabili con su scritto il numero di telefono – erano state staccate quasi tutte, era rimasta l’ultima. Considerando bene la situazione, le probabilità che si trattasse di una colossale fregatura erano abbastanza alte, eppure il mio lato più ingenuo e credulone era stato ormai solleticato. Mi strinsi nelle spalle, staccai l’ultima linguetta e mi avviai verso il bar della facoltà. Ordinai il mio solito caffè al ginseng bollente, e lo sorseggiai al banco. Il cicaleccio degli studenti era così forte da diventare una specie di rumore bianco indistinto: il sottofondo perfetto per rimuginare ancora su quell’annuncio e sulla possibilità di chiamare davvero il numero di telefono che mi ero messo in tasca. Erano ormai diversi mesi che non trovavo da scopare, e l’idea di due ragazze che volessero divertirsi mi stuzzicava parecchio; una voce nella mia testa continuava a ripetere “queste cose succedono solo nei film porno, idiota. Non riesci a trovarne una, figurati due!”. Ciononostante, decisi che non avevo nulla da perdere – al massimo avrei fatto sbellicare gli autori dello scherzo – e che avrei chiamato. Mi crogiolai ancora per una decina di minuti nel calore fragrante del bar e nel chiasso studentesco, poi tornai sui miei passi per andare a registrare la materia. Quando finalmente terminai con la burocrazia e mi fui seduto in macchina, ritirai fuori la linguetta col numero, sbloccai il cellulare e chiamai. Al primo squillo rispose una giovane voce femminile: “Ciao porcellino, sono Alba. Se hai deciso di chiamarmi significa che hai voglia di studiare in gruppo, e questa cosa mi eccita. Sono dell’idea che gli sforzi collettivi diano i risultati migliori, anche se per ottenerli è necessario seguire alcune regole: è vietato diffondere questo numero di telefono, così come è vietato spargere la voce di questo incontro; vogliamo che sia un evento circoscritto a pochi fortunati scelti dal Caso. Se vuoi, puoi portare un amico con te. Uno soltanto. E non provare a fare il furbo: i talloncini sono stati contati scrupolosamente! Ci piacciono i maschietti puliti, e che sappiano come si tratta una donna. Non ci importa il tuo aspetto fisico né la tua dotazione: basta che tu sia arrapato e perverso! Se ti ritieni in grado di attenerti a queste poche regole presentati venerdì presso la palestra Olympia, alle ore 15:30. Io e la mia amica Luna non vediamo l’ora di conoscerti e divertirci con te!”
La registrazione terminò, e io mi ritrovai con le gambe divaricate e un’erezione da manuale che spingeva contro la patta dei pantaloni. Inserii la chiave nel quadro e avviai il motore, rimuginando tra me e me: eravamo ancora a martedì, avevo quasi tre giorni pieni per prepararmi. Sarebbe stata un’attesa pesante, sempre sperando che il tutto non finisse per rivelarsi una fregatura colossale. I giorni, come avevo previsto, si avvicendarono lentamente, in un turbinio di eccitazione che mi distraeva costantemente dai miei impegni quotidiani: finivo ripetutamente per immergermi nei miei pensieri, provando a immaginare le due ragazze, i loro corpi, i loro gesti; le immaginavo circondate da decine di corpi maschili con i loro membri eretti; riuscivo quasi a sentire i gemiti, i singulti di piacere, gli incitamenti, e tutto quel profluvio di oscenità che sicuramente avrebbe fatto da colonna sonora all’evento; mi immaginavo mentre toccavo, leccavo, penetravo quei corpi, in perfetta sincronia con altri uomini senza volto.
Finalmente il venerdì arrivò e il mio umore, già migliorato dall’inizio del fine settimana, raggiunse l’apice quando mi resi conto che tra poche ore avrei preso parte alla mia prima orgia. Sempre che non si trattasse di una bufala…
Feci qualche ricerca su internet per individuare la palestra dove sarebbe avvenuto l’incontro, calcolai il tempo che mi ci sarebbe voluto per raggiungerla in orario; mi preparai un pranzo leggero, poi mi dedicai all’igiene personale, sfoltendo i peli sul pube e facendo una doccia accurata. Mi vestii, presi con me un’intera confezione di preservativi e uscii di casa. Forse per un malcelato egoismo, o forse per non rischiare di essere preso in giro nel caso si fosse rivelato tutto una bolla di sapone, non ritenni opportuno portarmi un amico con cui condividere l’esperienza. In circa venti minuti, dribblando il pigro traffico postprandiale, giunsi a destinazione: un insegna a caratteri giallo oro su fondo nero indicava le svariate discipline che si praticavano all’interno della palestra; varcai delle porte a vetri eleganti e moderne, e mi ritrovai in una sala tappezzata di poster che pubblicizzavano integratori, e altri che immortalavano svariati atleti mentre praticavano i loro sport. Esattamente di fronte all’ingresso, in fondo alla sala c’era un bancone sovraccarico di dépliant e brochure, oltre a un paio di telefoni, un computer con uno schermo immenso, agende e block notes, tutti impilati in ordine; dietro il bancone sedeva un uomo: anche da seduto si capiva che era alto – successivamente notai che superava il metro e ottanta – dal fisico muscoloso ma asciutto, non pompato all’eccesso, il che mi predispose positivamente verso di lui. Il viso era abbastanza squadrato, e lasciava trasparire delle rughe da quarantenne; aveva il cranio rasato, gli occhi chiari grigio-verdi e un paio di baffetti fulvi a coprirgli il labbro superiore. Indossava una canotta verde militare, era pressoché glabro. Mi squadrò mentre mi avvicinavo, quando fui a ridosso del bancone tirò fuori una voce dalla cadenza marziale: «Cosa cerchi, giovanotto?»
«Sono qui per… cioè sto cercando… ho telefonato al numero dell’annuncio, l’ho trovato su una bacheca.»
Un lampo divertito passò rapidissimo attraverso i suoi occhi. «Posso vedere il talloncino col numero di telefono?»
Glielo allungai sul tavolo. Lo rigirò qualche secondo tra le dita, come qualcuno che voglia controllare la qualità di un tessuto, poi lo osservò in controluce, e infine me lo restituì con un cenno di approvazione del capo: «Hai ascoltato bene il messaggio? Hai capito le regole? Pensi di riuscire a rispettarle?»
Annuii.
«Bene, bene. Porgimi la mano, grazie.»
Allungai la destra verso di lui – pensavo che mi avrebbe apposto magari un timbro, come si fa quando entri in un locale per una serata – e mi ritrovai il pollice inserito in un dispositivo simile a quelli che si usano in ospedale per misurare le pulsazioni. Il pizzico, intenso e brevissimo, di un ago mi attraversò la pelle, poi l’uomo prese un’etichetta vuota e mi guardò interrogativo: «Nome?»
«Carlo.» La mia bocca si mosse senza darmi il tempo di riflettere: magari sarebbe stato meglio non dare il mio vero nome, ma ormai era fatta. Imprecai mentalmente contro la mia ingenuità, sperando che nulla trasparisse dal mio viso.
«Si tratta solo di un veloce controllo di base, sono certo che capirai. I risultati saranno disponibili tra pochi minuti, e qualora dovesse esserci qualche problema, l’interessato verrà contattato con la massima discrezione. Per il momento puoi passare nell’altra sala.» Indicò con la mano verso la sua sinistra, e io varcai una seconda porta a vetri – più piccola, e opaca – ritrovandomi in una sala attrezzi come ne avevo viste tante, solo di dimensioni spropositate: ogni macchinario era disponibile in due, talvolta tre, esemplari, c’era un’ampia zona con le pareti tappezzate di specchi, dedicata agli esercizi a corpo libero, e tutto un lato era occupato da un ring e un ampio tatami. Vidi un gruppetto di persone stazionare lì, e mi avviai per raggiungerle.
«…quindi lasceremo passare ancora qualche minuto per consentire anche ai ritardatari di raggiungerci,» una ragazza bionda sui 27 anni – indubitabilmente Alba – mi fece l’occhiolino mentre parlava passeggiando al centro del tatami affiancata da un’altra ragazza, bruna e dal colorito olivastro – Luna – che mi salutò agitando le dita di una mano, «e poi vi spiegherò come intendiamo procedere.» Entrambe le ragazze indossavano dei completi di pizzo – nero con intarsi viola per Alba, celeste per Luna – composti da reggiseno a balconcino, G-string, guêpière e calze; ai piedi portavano degli zoccoli con i tacchi a spillo e aperti in punta, dello stesso colore della biancheria. Erano uno schianto, e non riuscivo a togliere loro gli occhi di dosso.
«Ma che c’è da capire? Spogliati e ti faccio vedere io come intendo procedere!» A parlare era stato un ragazzo dal fisico imponente poco lontano da me, che dopo avere fatto quella battuta si guardò attorno in cerca di consenso; qualcuno ridacchiò. Alba e Luna si voltarono all’unisono, fissando il tipo che aveva parlato, impassibili come due sfingi.
«Tony!»
Al richiamo di Alba, l’uomo che mi aveva accolto alla reception si materializzò come dal nulla.
«C’è qualche problema?»
«Accompagna il signore all’uscita, per favore.» Tutti fecero ala attorno al tizio con troppo senso dell’umorismo, e Tony si mosse verso di lui: «Andiamo, forza.»
«Hey, dico! Ho fatto solo una battuta, che razza di modi sono?!»
Nessuno replicò. Vidi i muscoli della mascella di Tony contrarsi: «Andiamo, adesso. Non te lo chiederò di nuovo.»
Il viso del ragazzo divenne paonazzo: «Ma io non ho nessuna intenzione di andarmene! Voglio proprio vedere se riuscirai a farmi sloggiare.» Gonfiò i muscoli del petto e si piazzò meglio sul posto, divaricando le gambe. Tony fece un passo in avanti, allungò la mano e afferrò il polso del ragazzo. Vidi i muscoli del suo avambraccio guizzare mentre stringeva la presa. Il viso del ragazzo sbiancò per il dolore.
«Andiamo, altrimenti te lo spezzo.» Tony sembrava masticare le parole.
In quel preciso istante, le porte a vetri all’ingresso della sala si aprirono: «S-scusate, è qui che…» Un ragazzo allampanato, con gli occhiali spessi, i capelli pettinati con la riga in mezzo e vestito di tutto punto aveva fatto un passo verso l’interno, ma si interruppe nel vedere la scena che stava avendo luogo, e senza nemmeno finire la frase richiuse la porta e si dileguò. Tony ne approfittò per apostrofare nuovamente il ragazzo: «Hai visto, l’amico ha capito subito che non è aria e si è tolto dai piedi. Ti suggerisco di fare altrettanto.» Passarono alcuni secondi di assoluto silenzio in cui potei sentire il respiro irregolare del ragazzo. Poi quest’ultimo smise di opporre resistenza, si divincolò con uno strattone dalla presa di Tony e si allontanò, rigido e impettito, senza aggiungere una parola. Tony si allontanò poco dopo, tornando alla reception.
«Avevamo sperato che non si verificassero situazioni di questo tipo,» esordì Alba, «ma purtroppo c’era da aspettarselo: quando voi maschietti cominciate a ragionare con l’uccello diventate ingestibili.» Riprese a passeggiare in tondo sul tatami, calamitando nuovamente l’attenzione di tutti; mi presi un secondo per chiedermi quali favori avesse ricevuto Tony dalle ragazze per lasciarle libere di camminare con i tacchi su quel tatami, come stavano facendo.
«Voglio che sia chiara una cosa,» stavolta fu Luna a parlare: la sua voce era roca ma musicale, con un leggerissimo accento straniero, appena percettibile, che mi mandò un brivido per tutta la spina dorsale, fino alla nuca, «se vi trovate qui è perché noi in primo luogo abbiamo espresso un desiderio. Questo desiderio è partito da noi e morirà con noi. Voi avete avuto semplicemente la fortuna di trovare l’annuncio, o di essere stati invitati da qualcuno che l’ha trovato. Stop. Il vostro solo e unico compito è quello di sottostare alle nostre regole: se lo farete, ci divertiremo tutti. Altrimenti, avete già visto la piega che prenderanno gli eventi.»
«Adesso proporrei di prenderci cinque minuti,» interloquì Alba, «per ritrovare l’umore giusto e ricreare l’atmosfera. Se volete,» indicò con un braccio ben tornito un tavolo situato dietro il ring, «c’è da bere.»
Mi mossi nella direzione indicata, insieme ad alcuni altri ragazzi, mentre la maggior parte restò a gravitare sul tatami. L’episodio appena avvenuto aveva frenato un po’ il mio entusiasmo, e nella mia testa cominciavano a prendere forma diversi dubbi e perplessità riguardo alla situazione in cui mi ero andato a ficcare: non era la prima volta che i miei appetiti e la mia ingenuità mi facevano collezionare solo fallimenti, più o meno totali. Mentre mi avvicinavo al tavolo – ben fornito quasi esclusivamente di alcolici – notai che c’era già qualcuno a servirsi, che quel qualcuno era una ragazza, e che quella ragazza la conoscevo:
«Veronica!» Sussultò lievemente. «Tra tutte le persone che avrei potuto incontrare…»
«Carlo, ciao! E tu che ci fai qui?»
«Ho trovato l’annuncio su una bacheca, in facoltà. Potrei farti la stessa domanda, comunque.»
Arrossì, poi un lampo di alterigia le attraversò lo sguardo: «Questi non sono fatti tuoi, direi.»
«È bello vedere che alcune cose non cambiano. Grazie di avermi ricordato perché la nostra storia non è andata avanti.»
«A giudicare dalla tua presenza qui, nessun’altra storia è andata avanti per te.» Un sorriso acido si coagulò sulle sue labbra.
«Questi non sono fatti tuoi, no?» Accennai un inchino ironico.
«Touché.» Riempì nuovamente il suo bicchiere di prosecco, poi ne riempì un altro e me lo porse. «Che ne diresti se seppellissimo l’ascia di guerra, anche solo per qualche minuto?»
«D’accordo, non chiedo di meglio.»
Veronica inclinò il bicchiere verso le labbra e bevve un sorso: «Certo che voi maschi quando vedete un po’ di carne nuda non capite più un cazzo. Hai visto che razza di situazione?»
«Già, in effetti speravo in qualcosa di meno movimentato. O, perlomeno, movimentato in un altro senso.»
«Ma davvero hai intenzione di scoparti quelle due insieme a decine di altri maschi?»
Mi strinsi nelle spalle e bevvi, cercando di annegare quella parte di me che non si sentiva perfettamente sicura di voler finire nel bel mezzo di un’orgia;
«E tu, hai intenzione di partecipare?»
«Macché! Io sono venuta qua esclusivamente per vedere se ci avrei trovato il mio ragazzo: ho trovato il talloncino col numero di telefono nella tasca dei suoi jeans, mi sono insospettita, l’ho copiato e ho chiamato.»
«E lui… ehm, c’è?»
«Figurati, deve essersi accorto che ho trovato il numero, quel furbone.»
Dopo questa breve incursione nella sua vita privata, Veronica tornò a rivolgere lo sguardo verso me: «Ti ricordavo diverso comunque, sai?» Sotto il suo sguardo critico mi parve di cogliere un barlume di interesse. Ma probabilmente me lo sono solo immaginato, mi dissi.
«È passato tanto tempo dall’ultima volta che ci siamo visti. Si cambia.»
«Si cambia, certo.» Sorrise di nuovo: la trovavo ancora dannatamente bella, forse ancor più di quando stavamo assieme. «Spero non tanto da dimenticare le cose belle del passato.»
«Beh, alcune cose non si possono dimenticare,» risposi, in maniera mi augurai non troppo compromettente: ero rimasto un po’ perplesso dal suo cambio di registro repentino, e mi sentivo come un topo che si stesse infilando in una trappola.
Bevemmo ancora un bicchiere, parlando dei vecchi tempi, poi lei poggiò il calice sul tavolo. In quel preciso istante, una voce femminile mi raggiunse: «E lei chi è, una tua amica?»
Mi voltai: a pochi centimetri da me Luna e Alba si tenevano per mano, lanciando a me e Veronica degli sguardi sinceramente incuriositi, ma anche intrigati. Erano così vicine che riuscii a sentire il loro profumo spandersi tenue nell’aria – un aroma fruttato, con qualche leggera nota di vaniglia – e mescolarsi all’odore fortissimo di sesso che sprigionava dai loro corpi inguainati nei completi di lingerie.
«Sì. Cioè, non proprio… noi, ecco…»
«Sì che siamo amici,» la voce decisa di Veronica mi trasse d’impaccio, «ma comunque non mi tratterò.»
«Sei sicura?» Alba fece il broncio, come una bambina.
«Hai tutto il diritto di restare, se credi,» rincarò Luna.
«Come stavo spiegando al mio amico,» Veronica calcò delicatamente quest’ultima parola, «prima che il sangue gli defluisse altrove e il cervello gli si annebbiasse, ero venuta qui soltanto per cercare il mio ragazzo. O forse dovrei dire ex ragazzo.» Si accomodò la borsa sulla spalla sinistra con un gesto molto femminile. Nel frattempo, mi resi conto che gli sguardi di tutti i presenti si erano concentrati su di noi. Pure Veronica se ne accorse: «Beh, io vado. Se penso a quanto ci vorrà per togliermi questo odore di testosterone di dosso…»
Si avvicinò a me, porgendomi la mano: «Sentiamoci qualche volta.»
«Ehm, certo. Magari!» Mentre ci stringevamo la mano, qualcosa passò dal suo palmo al mio; senza neanche guardare – mandava un fruscio di carta – me lo infilai in tasca e la guardai attraversare la sala e guadagnare l’uscita.
«Ehi, credi che riuscirai a non pensare alla tua amichetta per un po’?» Alba si era avvicinata ancora, e grazie ai tacchi che aveva indosso, mi superava di tutta la testa. Assunse una posa un po’ da hentai giapponese, con le ginocchia che si toccavano e le braccia a circondare e stringere il seno già prosperoso – una quarta piena – che rischiava di saltare fuori dal reggiseno da un momento all’altro.
«Vieni con me, andiamo.» Luna prese l’amica per il polso, trascinandola con simulata malagrazia di nuovo verso il tatami. Alba mi fece una linguaccia da sopra la spalla, mentre la seguiva docilmente. L’impianto stereo della palestra cominciò a diffondere un torrido blues rock, al ritmo del quale le due ragazze cominciarono ad ancheggiare, ammiccando a tutti noi presenti, disposti nuovamente a cerchio intorno a loro. Sia Alba che Luna erano aggraziate e provocanti nei movimenti, e gli sguardi che si lanciavano attorno erano pure fiamme di desiderio. Per alcuni minuti danzarono schiena contro schiena, poi si voltarono fronteggiandosi, e cominciarono ad accarezzarsi l’un l’altra. Vidi gli sguardi degli uomini che le attorniavano farsi famelici, ferini, e pensai che anche io probabilmente le stavo divorando con uno sguardo ugualmente intriso di bestiale concupiscenza. La temperatura arrivò al livello di ebollizione quando Alba e Luna cominciarono a baciarsi: non un bacetto dato con lo scopo di provocare, bensì dei baci lunghi, intensi, trasudanti passione, che coinvolgevano labbra, lingue ma anche mani, che percorrevano i loro corpi, sfiorando la pelle leggermente imperlata di sudore. Diversi dei miei compagni erano impegnati a fare spazio nei pantaloni, qualcuno pensò bene di slacciarseli direttamente; in effetti anche io avvertivo la mia erezione spingere prepotentemente contro la patta dei pantaloni. Alba e Luna smettevano di baciarsi soltanto per guardarci traboccare di desiderio, smaniare dalla voglia di mettere loro le mani addosso, di spogliarle e possederle; vidi le dita affusolate di Alba armeggiare attorno al busto di Luna, e in un attimo il reggiseno cadde ai loro piedi, e due superbe tette coronate da areole grandi furono bersagliate dai nostri sguardi. Luna fece un’espressione fintamente scandalizzata, e poi si vendicò slacciando a sua volta il reggiseno di Alba: le sue tette erano due globi dalla pelle quasi traslucida, dai capezzoli rosei già turgidi. Si sciolsero l’una dall’abbraccio dell’altra e cominciarono a girare tra noi, guardandoci, toccandoci e lasciandosi toccare: decine di mani diedero l’assalto alle loro tette, ai loro culi, ancora inguainati nelle guêpière, e alle loro passere; potevo quasi vedere le scie di feromoni che si lasciavano dietro al loro passaggio. Tutti noi eravamo ipnotizzati da quelle due superbe femmine, che ci tenevano in pugno: divisi in due gruppi – io ero stato scelto da Luna – seguimmo le nostre donne fino al centro del tatami.
«Adesso voglio che vi spogliate.» La voce di Luna era roca e sensualissima; obbedimmo e come sempre notai che i miei compagni erano meglio forniti di me, e l’unico mio punto forte restava la larghezza: da quel punto di vista mi difendevo bene.
«Bravissimi. Adesso vi voglio tutti vicini e attorno a me!»
Ci chiudemmo come i petali di un fiore attorno alla corolla, e formammo un cerchio piuttosto stretto attorno a Luna, che cominciò a leccare e succhiare i nostri cazzi; alcuni di noi erano ancora barzotti, ma stimolati dalle labbra e dalla lingua di Luna raggiunsero presto l’erezione completa. Io ero già parecchio eccitato, e quando sentii il calore del respiro di Luna sul mio cazzo già turgido, avvertii un brivido fortissimo, quasi una scossa elettrica, percorrermi la spina dorsale. Chiusi gli occhi e mi concentrai sul respiro, cercando di mantenerlo regolare, e inoltre presi a contrarre a intervalli regolari i muscoli del pavimento pelvico, per quanto possibile, ripetendomi mentalmente che avrei fatto una figura davvero pessima se fossi venuto subito, al primo pompino. Tutti questi espedienti servirono a farmi resistere, e fu con un misto di sollievo e dispiacere che vidi Luna passare a spompinare il ragazzo alla mia destra, uno di quelli più dotati del mio gruppo. Era abbastanza evidente che il sesso orale la appassionava: la sua bocca ben aperta faceva scomparire ritmicamente quel cazzone al suo interno, lasciando che copiosi rivoli di saliva densa vi colassero sopra, e di tanto in tanto la sua lingua faceva capolino in mezzo a tutta quella carne pulsante, leccandogli le palle. Era uno spettacolo tremendamente eccitante, con la saliva che le colava sulle tette, con quei capezzoli dall’incarnato scuro sempre più turgidi. Inoltre, gli altri attorno a lei, continuavano a toccarla, stuzzicandole la figa e l’ano, facendola mugolare di piacere e aumentare l’intensità del pompino. Da parte mia, pur godendomi la scena, approfittai per cercare di attenuare il mio stato di folle eccitazione e di prorogare il più possibile l’orgasmo che sentivo montarmi dentro. Mi guardai intorno e inevitabilmente lo sguardo mi cadde sull’altro gruppo di ragazzi, alle prese con Alba, che in quel momento mi dava la schiena: i suoi capelli biondi erano legati in una coda alta, che un ragazzo alto e muscoloso si era avvolto intorno alla mano, usandola come delle redini improvvisate, per dirigere il ritmo della cavalcata. Erano in tre a godersi quel corpo dalla pelle eburnea: uno steso sotto di lei e uno sopra di lei si alternavano con spinte vigorose nel suo ano, provocandole dei mugolii intensi e prolungati; il terzo le stava scopando la gola entrando fino alle palle, trattenendole di tanto in tanto la testa sul pube per qualche secondo. Non potei fare a meno di notare le natiche di Alba, arrossate dagli schiaffi che aveva ricevuto, nonché il suo buchetto che si andava dilatando sotto le stantuffate dei due ragazzi, e che formò una “O” perfetta quando Alba si allargò il culetto burroso con le mani, mugolando ancora più forte nonostante avesse la bocca piena di cazzo.
Ero talmente concentrato a godermi quello spettacolo che finii per non sentire più nemmeno gli ansiti, i grugniti di piacere e le frasi che i miei compagni di orgia rivolgevano senza sosta alle due ragazze.
«Mi sa che tu ti distrai troppo facilmente!»
La voce di Luna, dalla quale traspariva un’inconfondibile nota di fastidio, mi riportò bruscamente alla realtà. Aveva interrotto i ragazzi che la stavano scopando – e che ora mi guardavano, piuttosto irritati anche loro – e mi fissava dal basso in alto, rimanendo gattoni com’era. Non riuscivo a capire perché mi dedicasse tutta quell’attenzione: d’accordo, mi ero distratto guardando la sua amica, ma c’erano all’incirca un’altra decina di uomini che si stavano dedicando totalmente a lei.
«Quando sto scopando con qualcuno pretendo che quel qualcuno resti concentrato su di me.»
Dopo aver detto così si accarezzò il corpo partendo dalle tette, superando l’addome e i fianchi, per finire dentro le labbra scure della sua figa; infilò due dita dentro e le tirò fuori stillanti di un umore traslucido e lattiginoso. Si portò le dita alla bocca e le succhiò con voluttà, poi schiuse le labbra, tirò fuori la lingua e lasciò colare il miscuglio di saliva e umori sulle tette, stringendole tra loro per distribuirlo su entrambe. «Non penso sia troppo difficile, no?»
«No, non è affatto difficile, no.»
«Preferiresti scopare Alba, magari?»
«No,» risposi, fin troppo precipitosamente. In realtà, se me ne fosse capitata l’occasione, avrei messo volentieri le mani anche su di lei, ma non volevo ammetterlo per non dare l’impressione di preferire Alba a Luna. Purtroppo non risultai molto convincente.
«Certo, come no. Adesso ci penso io a te.»
Luna mi fece cenno di avvicinarmi e di sdraiarmi, dopodiché gattonò finché non fu sopra di me. Si abbassò e le sue tette si schiacciarono sul mio petto, dandomi una sensazione gradevolissima, anche se non quanto quella che provai quando il calore della sua passera avvolse il mio cazzo, che tornò a drizzarsi al punto da farmi quasi male. Fece cenno anche agli altri di avvicinarsi: due le si piazzarono di fronte, uno la inculò e gli altri dovettero accontentarsi di toccarle le tette e ogni centimetro di pelle nuda a portata di mano. Io mi ritrovai sovraccaricato da un turbinio di sensazioni nuove: stavo prendendo parte alla prima doppia penetrazione della mia vita e riuscivo a sentire al tatto l’altro cazzo – era un sottile lembo di pelle a separarci, in fondo – che stantuffava il culo di Luna con vigore e ritmo; avevo esattamente sopra di me la bocca di Luna che ingoiava avidamente i cazzi che le si paravano di fronte, avvolgendoli con le sue labbra carnose, senza sosta e senza quasi respirare. Questo mi metteva un po’ a disagio perché l’idea che fili di bava densa mista ad umori provenienti da cazzi altrui mi colasse in faccia non mi entusiasmava particolarmente. Da parte sua Luna pareva averlo percepito, perché non lasciò cadere nemmeno una goccia e ingoiò quelli che credo siano stati litri di saliva. Un’altra cosa non esattamente piacevole erano le mani dei miei compagni di orgia che, nella foga di palpare le tette, i fianchi, le natiche di Luna, finivano per toccare anche me: era come se avessimo tante creature cieche e brulicanti attorno, che cercassero di farsi in qualche modo strada dentro di noi. Ma le sensazioni più forti provenivano dalle tette burrose di Luna, che continuavano a strusciarsi sul mio corpo, e soprattutto dalla sua passera calda che cominciò a contrarsi negli spasmi di un orgasmo squassante, che lei accompagnò con una serie di gemiti talmente intensi e rochi da sembrare quasi dei ruggiti. Tutto questo fu davvero troppo per me: nessun tentativo di concentrarsi su altro – ammesso che avessi voluto pensare ad altro e perdermi l’ebbrezza di quel momento forse irripetibile della mia vita – di regolare la respirazione, o di contrarre determinati muscoli avrebbe sortito il minimo effetto. Il corpo di Luna vibrava, e io sentii l’orgasmo farsi strada attraverso l’asta pulsante del mio cazzo: «Vengo, vengo anch’io, sto venendo!» Quando, dopo alcuni lunghissimi secondi, l’effetto totalizzante dell’orgasmo si attenuò, scomparendo piano piano, vidi Luna che mi guardava, un po’ contrariata:
«Non riuscivi più a trattenerti, eh?»
Non seppi cosa dire, e anzi una piccola parte di me temette che Luna avrebbe iniziato a mettermi alla berlina di fronte a tutti – compreso il gruppo di Alba – per essere venuto per primo.
«Ma in fondo non è stata colpa tua… Sono state le tue palle a non sapersi trattenere, e io sono offesa a morte con loro.» A queste parole ricomparve in sala – senza una parola e senza fare il minimo rumore – l’uomo chiamato Tony, portando tra le braccia una cassetta di medie dimensioni. Si fermò vicino al tatami e la appoggiò sul pavimento, per poi sparire in silenzio così come era arrivato. Luna, che intanto aveva fatto cenno agli altri ragazzi di fermarsi, si mosse gattonando verso la scatola: vedere i suoi fianchi, inguainati ancora nella lingerie, la sua pelle leggermente umida di sudore, le sue cosce, le caviglie ben tornite e i tacchi era uno spettacolo ipnotico. Sollevò il coperchio, rovistò un poco al suo interno, poi tornò verso di noi, e passandosi la lingua sul labbro inferiore mi fece cenno di avvicinarmi, e di sedere per terra accanto a lei. Nonostante il sudore e il contatto con altri corpi, dalla sua pelle esalava ancora un leggerissimo profumo di vaniglia che formava per contrasto un aroma conturbante, per niente spiacevole. Seduto vicino a lei, la vidi rigirarsi tra le mani un laccio di tessuto, raso o forse seta:
«Sdraiati, adesso ci penso io.»
La sua voce era bassa, roca e suadente. Obbedii. Le sue mani scivolarono sul mio addome, mi accarezzarono i fianchi, e si fermarono suo mio pube. Iniziò ad armeggiare con i miei testicoli: sentii che li stringeva delicatamente ma con fermezza, formando con due dita un cerchio alla base del pene; dopo alcuni istanti in cui le sue mani continuarono ad accarezzarmi i testicoli e il perineo, avvertii una pressione più decisa e persistente.
«Non ti muovere, ho quasi finito.» Avevo provato ad allungare il collo, sollevando leggermente il busto per sbirciare cosa mi stesse facendo Luna. Rilassai i muscoli del collo e poggiai di nuovo la testa sul tatami. Avvertivo un leggero formicolio tra le gambe, per niente spiacevole, e sentivo la mia erezione rinvigorirsi.
«Adesso puoi guardare!» La voce di Luna aveva un tono soddisfatto, con una punta appena percettibile di voluttuosa aspettativa. Aprii gli occhi e mi sollevai sui gomiti, osservandomi il pube: Luna mi aveva legato le palle! La pelle dello scroto era stata legata con svariati giri di laccio di raso, assumendo un colorito piuttosto acceso, e i testicoli erano stati spinti verso l’esterno; osservai per alcuni istanti quella bizzarra protuberanza, poi il mio sguardo si spostò sul pene, che era tornato a un’erezione completa, e pulsava ritmicamente all’unisono col sangue pompato dal mio cuore; a guardarlo bene mi apparve un po’ più grande del solito.
«Che ne pensi, ti piace?» Gli occhi di Luna agganciarono i miei, brillando di desiderio.
«Ehm, sì, direi di sì.» Mi sentivo impacciato, un po’ per la situazione del tutto inedita, sia soprattutto perché sentivo sguardi di malcelata invidia piovermi addosso da tutte le parti.
«Bene, ne sono contenta. Adesso voglio che mi scopi con le palle.»
«Come, scusa?»
Luna si avvicinò e si accovacciò sui miei fianchi: le mie palle legate svettavano poco meno che il mio cazzo prepotentemente in tiro; senza smettere di guardarmi, Luna si leccò con cura le dita della mano destra e cominciò a masturbarsi con foga. Vedevo le sua grandi labbra diventare sempre più tumide cominciare a stillare un umore perlaceo, che gocciolò esattamente sui miei testicoli.
«Voi due,» Luna ammiccò verso un paio dei miei compagni di bagordi, che avevano riformato un cerchio di occhi famelici attorno a noi, «venite qui a giocare col mio buchino!»
I due non se lo fecero ripetere: si avvicinarono solleciti, sedettero per terra, e senza smettere di menarsi i cazzi, si inumidirono le dita e cominciarono a lavorare l’ano di Luna, già messo alla prova dalla prima sessione di rapporti anali.
«Mmm, così, sì, bravissimi!» Luna mugolava ininterrottamente, il respiro irregolare, passandosi spesso la lingua sulle labbra. Inclinò leggermente il busto in avanti per offrire più spazio ai due ragazzi. Finì in ginocchio, e io oltre a godermi lo spettacolo delle sue tette che ondeggiavano dolcemente assecondando i suoi movimenti, sentii le labbra roride della sua fica strusciarmi sulle palle. La sua pelle, già morbidissima, era resa ancora più liscia dagli umori che la ricoprivano, e io mi godetti per alcuni minuti quel massaggio celestiale. Ad un tratto, sentii la mano di Luna che mi afferrava delicatamente alla base del pene. Avvertii un po’ di pressione e con un verso di depravata gioia capii che si stava infilando le mie palle dentro. Era una sensazione magnifica: nello schermo della mia mente si dipinse l’immagine di una muta da sub che avvolge strettamente il corpo del sommozzatore, tenendolo al caldo. Mi sentivo libero da ogni tabù, da ogni restrizione, da ogni pastoia mentale; con quella donna avrei potuto dare sfogo a qualsiasi fantasia fosse nata dalla mia immaginazione. La pelle del mio scroto, resa ipersensibile dal sangue che la irrorava, reagiva a ogni minimo movimento di Luna, mandandomi scariche di piacere lungo le terminazioni nervose. Lei spostò leggermente il peso del corpo sul fianco destro, poi si portò la mano sinistra alla bocca, e lasciò colare su di essa copiosi rivoli di saliva; dopodiché portò la mano dietro di sé e cominciò a strusciarsela tra le natiche, bagnando non solo se stessa, ma anche le mani dei due ragazzi che la stavano penetrando a turno con le dita.
«Un dito ciascuno adesso, da bravi.»
Non se lo fecero ripetere: ripresero a penetrarle l’ano simultaneamente.
«Così, così, allargatemi per bene!»
Luna stava godendo davvero a farsi dilatare il buco del culo: lo percepii dalle contrazioni della sua fica attorno alle mie palle, che preannunciavano il sopraggiungere di un nuovo orgasmo. Anche io mi stavo godendo il momento: ero sicuro che ci avrei messo un po’ per venire di nuovo. Guardavo il viso di Luna stravolto dal piacere, la lingua che umettava ripetutamente le labbra, ed ero totalmente concentrato sulle sensazioni tattili che mi davano le sue tette schiacciate sul petto, e le mie palle che continuavano a scoparle la fica.
«Tornate ad alternarvi, ma adesso infilatemi due dita ciascuno!»
Il ritmo del respiro di Luna si faceva via via più sostenuto. Io spingevo garbatamente con il bacino, continuando a scoparla con le palle; mentre il mio cazzo stillava umori e sfregava sul suo monte di Venere cercavo di immaginare il suo ano che si dilatava sempre di più. Ad un tratto, Luna abbassò il viso e mi guardo dritto negli occhi: «Hai un cazzo da favola, sembra fatto apposta per strusciarmi sul clitoride.»
«Ehi, sembra che vi stiate divertendo un po’ troppo, qui!»
Spostai lo sguardo al di sopra della mia testa e vidi da sotto in su Alba, completamente nuda, che ci osservava con interesse: la sua pelle era bianca come latte, e leggermente lucida di sudore. Qualche passo dietro di lei, come uomini di corte al seguito di una regina, si avvicinavano i fortunati che avevano potuto godere di lei.
«Non mi sembra che tu sia rimasta con le mani in mano.» La voce di Luna era venata di sarcasmo, mentre guardava l’amica senza smettere per un attimo di muoversi al ritmo delle mie palle e delle dita degli altri due.
«Sarà, ma non intendo permettere che questo festino prosegua senza la mia partecipazione!» Dopo avere pronunciato questa frase in tono pomposo e solenne, Alba venne ad inginocchiarsi vicino a Luna, e gattonò fino a che il suo bacino fu di fronte al viso dell’amica, e sopra la mia testa.
Luna tirò rumorosamente il fiato, simulando un’espressione sorpresa e scandalizzata: «Ero sicura che ti saresti data da fare, ma non pensavo ti saresti fatta rompere così!» L’amazzone bruna mi rivolse un’occhiata complice, e una smorfia di lussuriosa invidia; nel frattempo Alba prese ad allargarsi le natiche, spingendo allo stesso tempo verso fuori: dal suo ano sbocciò una rosa vermiglia e pulsante. Era la prima volta che vedevo un culo scopato fino ai limiti del prolasso e questo ennesimo passo avanti – che probabilmente in un altro contesto mi avrebbe suscitato tutt’altra reazione – mi fece perdere il lume della ragione. Mi sentivo pervaso da una voglia inestinguibile, la mia mente proiettava fantasie su fantasie, una più audace dell’altra, e allo stesso tempo tutto quello che vedevo mi si imprimeva a fuoco nella memoria.
«Scopatemi con la lingua!»
Quest’ordine, pronunciato con foga imperiosa, fu come la detonazione della pistola dello starter che dà il via a una gara di corsa: mi attaccai alla fica di Alba, dalle labbra carnose e col clitoride che si affacciava dal suo cappuccio, e cominciai a leccarla e penetrarla senza quasi prendere fiato, muovendo spasmodicamente la lingua sulla sua carne. Luna, dal canto suo, si dedicò con la stessa irruenza al culo di Alba: dalla mia posizione privilegiata vedevo la sua lingua leccare, picchiettare e penetrare il bocciolo rosso intenso in cui si era trasformato l’ano di Alba, il tutto mentre le mie palle continuavano a muoversi dentro la sua fica e mentre molteplici dita degli altri partecipanti all’orgia si avvicendavano nel lavorarsi il suo culo, voglioso quanto quello dell’amica, se non di più. Alcuni di essi girarono attorno a noi e presentarono i cazzi turgidi davanti alla bocca di Alba che, con un singulto di gioia puramente animalesca prese a leccarli, baciarli, sputarci su e ingoiarli fino alla base. Era eccitata al massimo, forse (anche se non potevo assolutamente saperlo) come non lo era mai stata prima di quel momento: la sua fica produceva un flusso praticamente ininterrotto di liquidi, che mi misi a leccare e ingoiare, beandomi di quel sapore forte ma per niente spiacevole di femmina arrapata. Sentivo i testicoli formicolarmi sempre più, e una vaga apprensione si insinuò ad incrinare quella situazione, altrimenti perfetta. Cercai di comunicare il mio stato d’animo a Luna con lo sguardo: i nostri occhi si incrociarono per un secondo quando smise di leccare Alba per riprendere fiato, e con mia sorpresa lei sembrò quasi leggermi nel pensiero.
«Alba, devi provare anche tu le palle del nostro amico, qui!»
«Mmm, non chiedo di meglio. Dai, ficcamele in culo e rompimi anche tu!»
Io e Luna ci scambiammo le posizioni: lei passò sotto a leccare la passera di Alba, grondante di umori, e io mi ritrovai a contemplare dall’alto quel culo perfetto, dilatato all’inverosimile, dal quale faceva capolino un fiore scarlatto. Lo toccai: la carne era inaspettatamente fresca, mentre io me l’ero immaginata bollente, ed era morbidissima, leggermente rugosa sotto le dita. Non avevo mai toccato una donna così a fondo, in un punto così intimo e nascosto, e sentii quasi immediatamente la necessità di penetrarla. Fu necessaria poca pressione per fare scivolare le mie palle dentro il culo di Alba: il pensiero che fosse così dilatata mi eccitò da morire, e cominciai a scoparla con trasporto. Il mio cazzo sbatteva sul solco da cui si dipartivano le natiche, dandomi una sensazione piacevole; ero di nuovo talmente eccitato che anche la preoccupazione per il formicolio passò in secondo piano. Spingevo vigorosamente le palle dentro Alba, senza perdere il ritmo e cercando di sprofondare dentro di lei un po’ di più a ogni affondo. Mi godevo i suoi mugolii in sincrono con le spinte dei miei fianchi, mentre Luna continuava a leccarle la passera. A un tratto il viso di Luna fece capolino da sotto, e mi fece pensare a un meccanico che, sdraiato sul carrello, scivoli da sotto una macchina in riparazione: «La troia mi sta riempiendo di piscio, è pronta per venire!»
Provai una specie di sovraccarico sensoriale: ero troppo eccitato, a momenti vedevo le immagini intorno a me fondersi in una specie di turbinio liquido; dovevo avere la pressione sanguigna e i battiti alle stelle. Con movimenti febbrili sciolsi il laccio che mi stringeva le palle, e avvertii la sensazione dolorosa della circolazione che riprendeva. Eppure l’eccitazione bestiale di quel momento fu più forte di tutto: infilai nuovamente le palle, seppur lentamente e con delicatezza, dentro il culo spalancato di Alba e lei, per tutta risposta, contrasse i muscoli dell’ano strizzandomi leggermente i testicoli: «Ti prego, non smettere, ci sono quasi…» Aveva girato il viso oltre la propria spalla per guardarmi: aveva lo sguardo acceso, le guance arrossate di piacere, le labbra recavano ancora qualche traccia slavata di rossetto. Era semplicemente stupenda, il vivido ritratto della femminilità più disinibita. Ripresi a scoparla con tutta l’energia che mi era rimasta, anche se cominciavo a sentirmi esausto; in capo a pochi minuti sentii nuovamente l’orgasmo ribollirmi dentro e ben presto eruttai fiotti di sborra, che stupirono per primo me stesso, dato che ero già venuto una prima volta. Tirai fuori le palle dal culo di Alba e lasciai che gli ultimi schizzi colassero dritti sul buchino, scivolando poi sulla passera – che lei continuava a sfregare voluttuosamente con le dita – e finendo sulla lingua di Luna. Mi lasciai scivolare sul tatami: mi sentivo prosciugato, sia letteralmente che in senso figurato. Ma le ragazze sembravano tutto fuorché stanche, o men che meno appagate.
«Ti abbiamo proprio stancato, eh?» Alba si era rimessa in piedi, aiutando Luna ad alzarsi a sua volta. Si scambiarono un cenno d’intesa e si diressero verso i miei compagni d’orgia.
«Ragazzi, mi sa che vi abbiamo un po’ trascurati, ma abbiamo un’idea per farci perdonare.»
Queste parole furono salutate con un’ovazione da stadio dai maschi presenti, che si assieparono attorno alle ragazze. Luna mi guardò con un’espressione maliziosa e allo stesso tempo quasi raddolcita: «Resta a tenerci compagnia ancora un po’, ti va?»
Mi andai a sedere un po’ in disparte, con in corpo gli ultimi strascichi di adrenalina che si andavano dileguando, sostituiti da un piacevole languore e mi misi ad osservare la scena di fronte a me. Come abili direttrici d’orchestra, Luna e Alba divisero i maschi in due file, e poi chiamarono i primi due di ciascuna fila:
«Adesso vi dovete sdraiare, con le teste che puntano in direzione opposta l’una rispetto all’altra.» Luna impartì le istruzioni in tono pratico, poi lasciò proseguire Alba.
«Bene così. Ora dovete avvicinarvi e fare in modo che i vostri cazzi siano vicini, molto vicini tra loro.»
Vidi i ragazzi sdraiati guardarsi perplessi, mentre gli altri li osservavano mormorando, vagamente irrequieti. A un tratto lo sguardo di uno dei quattro ragazzi supini sul tatami si illuminò: ammiccò al ragazzo con cui faceva coppia, e divaricando le gambe scivolò col bacino; i suoi movimenti un po’ sgraziati mi fecero pensare a quelli delle foche quando si muovono sulla spiaggia. Finalmente i due ragazzi furono a ridosso l’uno dell’altro, le gambe intrecciate e i cazzi che quasi si toccavano. Luna rivolse uno sguardo compiaciuto all’amica: «Mi sa che i miei sono più svegli dei tuoi.»
Alba abbozzò un sorriso – sembrava sinceramente divertita – e apostrofò i due ragazzi del suo gruppo: «State a guardare, furboni…»
Luna coprì ancheggiando i pochi passi che la separavano dai due ragazzi sdraiati, poi si accosciò con le gambe ben divaricate: gli occhi dei due ragazzi percorrevano ogni centimetro del suo corpo, e indugiavano su quella passera turgida che si schiudeva come la corolla di un fiore, lì a pochi centimetri da loro. Afferrò i due cazzi, li strinse come fossero uno e cominciò a segarli, facendovi colare sopra rivoli di saliva.
«Spero che non vi dia fastidio se vi sego insieme, così» li provocò con una voce bassa, roca e sexy da morire, che avrebbe fatto correre i brividi sulla schiena perfino a un morto. I due non risposero: sollevati a metà sui gomiti, erano troppo impegnati a toccare Luna ovunque riuscissero ad arrivare. Sotto le mani di Luna, i due ragazzi raggiunsero presto il picco dell’erezione: a quel punto Luna cambiò posizione e si sedette esattamente sui loro cazzi, infilandoseli entrambi nel culo; l’intera sala era immersa in un silenzio ferale ed elettrico, nel quale i piccoli gemiti di Luna sembravano amplificati per magia. Adesso era chiaro cosa volessero fare le ragazze, e anche la coppia di ragazzi scelti da Alba si misero nella stessa posizione.
«I tuoi saranno più svegli, ma i miei recuperano in fretta.» Alba sculettò fino a trovarsi di fronte a Luna, poi si accosciò e si fece penetrare anche lei nel culo da due cazzi contemporaneamente. Mentre emettevano dei versi di pura goduria lasciva, Luna e Alba iniziarono a baciarsi, leccarsi e strizzarsi a vicenda i capezzoli; le loro mani si insinuavano l’una tra le cosce dell’altra, mentre lanciavano sguardi ammiccanti ai ragazzi ancora in fila. Non appena le due coppie di ragazzi sincronizzarono i movimenti e presero il ritmo, Alba e Luna cominciarono a godere seriamente, mugolando, roteando i fianchi e spingendoli per accogliere più a fondo possibile quei pali di carne.
«Quando qualcuno di voi sente di stare per venire,» ansimò Luna, «può fermarsi, lasciare il proprio posto al prossimo in fila e venire qua da noi a farsi fare una bella pompa doppia!»
Non passò molto tempo prima che uno dei ragazzi scivolasse via, piuttosto agilmente peraltro, da sotto Alba; le ragazze gli fecero cenno di avvicinarsi.
«Qualcun altro venga a riempirmi il culo! Voglio due cazzi dentro!» La voce di Alba era imperiosa. Il primo della fila scattò in avanti come se temesse di svegliarsi da un momento all’altro e scoprire che era stato tutto un sogno, e prese il posto del ragazzo che lo aveva preceduto.
«Vieni qua, tu»
Il primo ragazzo si avvicinò e si trovò assediato dalle bocche fameliche di Alba e di Luna, che cominciarono a baciarlo, leccarlo, insalivarlo senza soluzione di continuità e senza tralasciare un centimetro quadrato di epidermide. Dal mio posto d’osservazione privilegiato potevo osservare l’espressione estatica del ragazzo, e gli sforzi che compiva per non venire e godersi ancora un po’ le attenzioni di quelle due dee infoiate. L’intero quadro era peculiare: un agglomerato di corpi che formava una H, con gli uomini sdraiati e impegnati a penetrare i culi burrosi e sempre più dilatati di Luna e Alba, che facevano ruotare i bacini su quei pali di carne e nel frattempo spompinavano a regola d’arte il cazzo del quinto ragazzo, contendendoselo scherzosamente, e lanciando occhiate che avrebbero fatto irrigidire un tubo per innaffiare. Passò una manciata di minuti, poi con un grido rauco, il ragazzo eiaculò su Alba e Luna, che si sporsero l’una verso l’altra per costituire un bersaglio più facilmente centrabile.
«È così che vi vogliamo, ragazzi: venite a romperci il culo e poi riempiteci di sborra!» La voce di Alba, arrochita dal piacere e concitata, ebbe l’effetto di una scudisciata sulla schiena di cavalli riottosi; tutti i ragazzi si fecero avanti, togliendomi quasi del tutto la visuale, incitando i compagni – alcuni affinché scopassero le ragazze con più vigore, altri affinché si sbrigassero a togliersi di torno e lasciare loro spazio. Ben presto l’avvicendarsi dei cazzi dentro gli ani dilatati di Alba e Luna e successivamente tra le loro bocche prese il ritmo di una catena di montaggio. Tutti quelli che venivano si facevano da parte e rimanevano a godersi lo spettacolo – come me, del resto – di quelle femmine perfette che si facevano sfondare, sgrillettandosi le passere, mugolando come gatte in calore, ricoperte da capo a piedi di umori. Quando tutti i maschi presenti ebbero impresso il liquido pegno del loro apprezzamento sui corpi perfetti di Alba e Luna, le ragazze si spostarono: Alba si sdraiò e Luna le fu sopra, strusciandosi furiosamente il clitoride; dopo alcuni istanti un getto dorato irrorò la pelle di Alba, che si contorse di piacere, ridacchiando senza ritegno.
Finalmente le due ragazze si rimisero in piedi, e tenendosi per mano si rivolsero a noi: «È stato un gruppo di studio piuttosto fruttifero, quello di oggi, e siamo sicure che sia stata un’esperienza utile per tutti. Ci auguriamo che possa presentarsi in futuro l’occasione per trovarci a studiare nuovamente insieme. Grazie, e a presto!»
«Ehi, aspetta un attimo!» Luna mi guardò con aria leggermente contrariata: «Ci siamo scordati di te! Avresti dovuto farti un ultimo ripasso con noi!»
«Grazie mille ragazze, davvero,» le loro attenzioni continuavano a risultarmi incomprensibili, «ma non penso proprio che ne sarei stato capace: mi avete totalmente sfiancato!»
«Oh beh,» Alba mi fece l’occhiolino, «sarà per la prossima volta.» E così dicendo si allontanò verso gli spogliatoi insieme a Luna, inseguita dagli sguardi di tutti i presenti. Sulla soglia degli spogliati, esattamente a metà strada tra quello maschile e quello femminile, il silenziosissimo Tony si era come materializzato dal nulla. Sospettai che si fosse piazzato lì per evitare che qualcuno provasse a fare il furbo e sgattaiolare nello spogliatoio sbagliato: con un mezzo sorriso entrai nello spogliatoio degli uomini e mi cercai una doccia libera.
Mentre l’acqua calda mi picchiettava piacevolmente sulla pelle, riflettei sulla risposta che mi era venuta spontaneamente alle labbra: in realtà non mi sentivo affatto sfiancato, anzi la pausa che mi ero concesso, unitamente allo spettacolo offerto da Luna e Alba mi avevano fatto risalire una voglia forse ancora più prepotente di prima, eppure alla loro offerta avevo opposto un gentile ma fermo rifiuto: perché? Forse era un tentativo di eludere le loro, inesplicabili, attenzioni nei miei confronti? Oppure un modo per evitare una qualche ulteriore figura barbina? Rimasi a riflettere nel cubicolo finché non sentii dei mugugni di protesta piuttosto sonori. Fu in quel momento che mi tornarono in mente un viso e un nome: Veronica. Terminai rapidamente la doccia, mi rivestii e guadagnai l’uscita dalla palestra: sapevo esattamente cosa volevo fare.

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