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Erositalia: racconti perduti

By 11 Febbraio 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Guido amava il gioco d’azzardo, giocava veramente forte, spesso al di sopra di quello che il suo stipendio gli avrebbe permesso.
Aveva però anche vinto molto, molto denaro, una automobile ed addirittura una villa, non una casa moderna ma grande, dove lui, la moglie e i figli potevano ora vivere più che dignitosamente.
Aveva più volte organizzato delle partite di poker a casa sua, e quella sera stavano giocando lui, un imprenditore della zona, una specie di boss, anche quello della sua città, ed un suo amico.
La posta del piatto era salita in modo vertiginoso, ed ora sul piatto c’erano più di settanta milioni.
L’imprenditore ed il suo amico avevano già abbandonato, ed in gioco rimanevano solo lui ed il boss.
La regola era chiara, la copertura doveva essere fatta al momento, niente pagherò, e lui aveva un’ottima giocata, un bel full d’assi con re.
Cercò di rilanciare con il denaro che gli rimaneva, cinque milioni, ma il boss con noncuranza rilanciò di altri dieci, a quel punto avrebbe dovuto arrendersi e lasciare tutto a lui, ma lui aveva già trenta milioni in quel piatto, e non voleva lasciarceli.
“Non sono in grado di vedere” disse Guido
“Allora il piatto è mio” rispose il boss.
“Aspetta, così mi rovini, e stai bluffando, le mie carte sono ottime…”
“La regola la conosci, i soldi devono essere sul tavolo”
Uno dei gorilla del boss, vedendo come procedevano le cose disse scherzando:
“Perchè non ti giochi tua figlia?”
La figlia di Guido si chiama Chiara, ha da poco compiuto 21 anni, ha un fidanzato, è alta circa un metro e sessanta, minutina e forse un pochino troppo magra, ma con uno splendido visino e un dolcissimo nasino all’insù, e quella sera, al contrario del fratello e della madre era in casa, al piano di sopra, assieme al fidanzato.
“L’idea mi piace, con tua figlia copri la puntata, se vinci ti prendi il piatto, se perdi, perdi i soldi e tua figlia è mia fino a domani mattina”.
“Se pensi che io arrivi addirittura a far pagare i miei debiti a mia figlia…”
“Prendere o lasciare” lo incalzò urlando il boss.
Molto a malincuore salì al piano di sopra a fare la strana richiesta alla figlia, non senza avere lasciato naturalmente il suo amico a guardia delle carte.
La trovò in camera sua assieme al fidanzato che studiava.
Con lui aveva già fatto del sesso, ma lui non era uno stallone, ed entrambi erano molto religiosi, quindi le effusioni si limitavano al petting, e solo in due occasioni erano arrivati al rapporto completo.
Guido spiegò alla figlia che non poteva assolutamente perdere, la mano era sicura, non c’era problema, lei serviva solo per coprire la puntata, niente altro.
Dopo un po’ lei accettò, in cambio della promessa che il padre non avrebbe mai più giocato, ed anche di un quarto della vincita, da impiegare per i preparativi delle future nozze con il fidanzato.
“Vestiti in modo un po’ stuzzicante e scendi di sotto, è importante che tu sia giù”
Al piano di sotto si trovavano ora i due gorilla del boss, il boss stesso, il fidanzato di Chiara e gli altri due giocatori.
Quando Chiara scese era splendida, aveva un vestitino bianco sopra il ginocchio, calze autoreggenti velate bianche, e scarpe con tacchi di qualche centimetro, anch’esse bianche, ma l’insieme la rendeva particolarmente arrapante.
Il boss le disse:
“Per favore signorina, salga sul tavolo”
“Per quale motivo?” chiese Chiara

“E’ la regola, i soldi, o contratti, o qualsiasi cosa serva a coprire il debito deve essere sul tavolo”
Il padre, con lo sguardo basso e vergognandosi annuì.
Lei si sentiva un oggetto mentre saliva e si sedeva al centro del tavolo con la tovaglia verde.
La scena, umiliante per Chiara appariva eccitante per tutte le altre persone presenti nella sala.
Il boss cercò di allungare le mani verso le gambe di Chiara, ma lei rispose in modo brusco che non aveva ancora vinto, ordinandogli di tenere le sue manacce a posto.
“Signorina, sedendosi sul bel mucchietto di denaro su questo tavolo lei accetta di essere lei a coprire la posta, cioè se suo padre perde lei sarà mia per il resto della nottata, a mia completa disposizione, completamente ai miei ordini, lo capisce?”
Chiara rispose di sì a bassa voce.
Si vergognava, ma il fatto di essere vicina a prostituirsi, il rischio di perdere, la eccitavano.
Si decisero a mostrare le carte, Guido sicuro di vincere, ma quando vide le carte dell’avversario quasi ebbe un infarto, quattro nove, un poker di nove, non poteva credere di aver perso con le carte che aveva in mano.
Il boss come prima reazione allungò di nuovo le mani verso le gambe della stupita Chiara che non sapeva più che cosa fare.
Guido si alzò in piedi e cercò di difendere la figlia, ma venne subito immobilizzato dai gorilla del boss.
“I debiti si pagano”
Il boss vedendo la reazione di Guido ordinò ai due gorilla di legare Guido e il fidanzato di Chiara a due sedie.
Il boss le disse:
“Credo che ora ci divertiremo Chiara, ed è giusto che suo padre e il suo fidanzato non si perdano lo spettacolo”
L’amico di Guido cercò di andarsene, ma venne fermato dal boss,
“resta pure, vedrai che ti divertirai”
Il boss prese a palpeggiare la nostra Chiara, che era ancora seduta sul tavolo, infilandole la mano tra le gambe e nelle mutandine, facendole aprire bene le cosce in direzione del padre e del fidanzato, che nel frattempo erano anche stati imbavagliati.
Poi il boss la fece scendere dal tavolo e la fece inginocchiare, abbassandosi la patta e tirando fuori l’uccello.
“Succhiamelo troietta, datti da fare”
E Chiara prese a soddisfare il boss con la bocca, come aveva già fatto più volte con il suo ragazzo.
I due gorilla si misero ai lati di Chiara e tirarono anche loro fuori il cazzo dai pantaloni.
Subito Chiara si tirò indietro e disse che non voleva fare questo anche a loro.
“Tu questa sera devi solo ubbidire” le disse il boss,
“o vuoi che ce la prendiamo con il tuo fidanzato?”.
Lui era legato, inerte, e dal tono Chiara capì che il boss non stava scherzando.
Prese a spompinare tutti e tre i cazzi che aveva di fronte, a turno, e a fare seghe a quelli che non aveva in bocca.
Le tolsero il vestito, lasciandola in biancheria intima, un bellissimo completino bianco di pizzo.
Le tolsero anche quella e lei rimase nuda, in preda agli sguardi di tutti quegli uomini.
Il boss fece cenno anche all’imprenditore e all’amico di Guido di partecipare.
“Mi piace fare dei regali agli amici, fate come se fosse la troia vostra”.
L’imprenditore non se lo fece ripetere e, mentre Chiara veniva sdraiata sul tavolo e il boss si preparava a scoparsela si liberò dei pantaloni e infilò il cazzo già duro in bocca a Chiara.
L’amico di Guido, per l’amicizia verso il padre e per tutti gli anni che conosceva Chiara non voleva, anche se il cazzo ormai l’aveva duro anche lui.
“Vuoi che ce la prendiamo con il tuo amico?” disse uno dei gorilla, e anche lui allora cominciò a divertirsi.
La bella Chiara si era eccitata come una cagna a subire umiliazioni e insulti, che soprattutto da parte del boss e dei due gorilla piovevano copiosi.
Il boss non ebbe alcuna difficoltà ad entrare nella lubrificata fighetta, e dopo qualche minuto di pompaggio venne, riempiendola di sborra.
Appena uscì il primo dei gorilla prese il suo posto, ma il suo cazzo era di dimensioni davvero impressionanti, e sembrava che non potesse assolutamente entrare nel minuto corpo di Chiara.
Mentre tutti i maschi passavano per la figa della ragazza il boss non mancava di umiliare ulteriormente il padre ed il fidanzato della giovane.
“Guarda tua figlia, si da fare con cinque cazzi alla volta, poche troie lo farebbero”
I cazzi si scambiavano tra figa e bocca, instancabilmente.
Dopo esserle venuti tutti in figa i cazzi ricominciavano a prendere consistenza, così la fecero mettere a novanta gradi, con il busto appoggiato sul tavolo verde, presero del sapone e le lubrificarono il buco del culo.
Lei si mise ad urlare che era vergine li, e non voleva assolutamente essere sodomizzata.
Per tutta risposta il boss la inculò senza tanti complimenti, mentre uno dei gorilla la teneva ferma.

“Ora hai una figlia rotta in culo, oltre che puttana”
Disse il boss all’indirizzo di Guido.
Anche Guido ed il fidanzato di Chiara però si stavano arrapando vedendo la ragazza che veniva adoperata da quei maschi senza alcun riguardo.
Di nuovo tutti e cinque passarono anche per il suo buchetto posteriore, e non senza dolore da parte di Chiara.
Se il cazzo del gorilla era enorme davanti figuriamoci dietro.
Mentre veniva inculata uno, l’imprenditore le venne in bocca dicendole di bere tutto, e lei, ormai sottomessa agli ordini dei cinque non lasciò cadere nemmeno una goccia.
Finito il giro nel buco posteriore uno dei cinque si sdraiò a terra e la fece sedere sul proprio cazzo, e dopo poco lei si sentì spingere per le spalle, quindi sentì un cazzo affacciarsi al buchino posteriore.
La montarono un po’ in tutte le posizioni, e chi non era all’opera si preoccupava di far notare al fidanzato ed al padre della ragazza quanto lei fosse troia e perfettamente a suo agio con tutti quei cazzi da gestire.
Passarono più di tre ore prima che fossero soddisfatti.
Quando i cinque cazzi furono irrimediabilmente mosci per l’ennesima volta il gorilla superdotato disse
” e a lui, solo guardare?” facendo cenno al fidanzato
“in fondo questa baldracca diventerà sua moglie, noi gliela abbiamo aperta per bene, e ora anche lui dovrebbe godersene i frutti”
Il boss disse a Chiara di slacciare la patta del fidanzato, e lei obbedì senza fiatare.
Il cazzo saltò fuori come una molla, tanto lo spettacolo della sua ragazza che si abbassava a farsi chiavare senza pudore lo aveva eccitato.
Come da ordini lo prese in bocca, ma era tanto eccitato che venne quasi subito e il boss le disse di bere.
Durante i loro rapporti orali lei si era sempre rifiutata di farsi venire in bocca, ma questa sera ne aveva già bevuta tanta…
continuando a succhiarlo anche dopo l’orgasmo il cazzo non diventò neppure moscio, e riprese subito il suo assetto da battaglia.
La fecero alzare e la sollevarono letteralmente, calandola poi sul cazzo dritto del fidanzato, ancora legato ed imbavagliato, e lei prese a muoversi, per accontentare anche lui.
L’amico di Guido, che era di casa andò nella stanza accanto e prese la videocamera del padrone di casa, e rientrò nella stanza filmando al ragazza che aveva addosso solo le calze e le scarpe, a gambe aperte mentre si faceva fottere dal fidanzato, attorniata da uomini nudi.
La sollevarono di nuovo impalandola poi nel buchino che il fidanzato non aveva mai avuto il piacere di usare.
Quando capirono che il ragazzo stava per venire la sollevarono di nuovo e le fecero riprendere il cazzo in bocca, filmando la scena.
“Ora tocca al tuo papà” disse il boss.
“NO, QUESTO NO!!!” urlò Chiara “con mio padre no”
“Se non ubbidisci prima picchiamo il tuo ragazzo, che è già legato, poi passiamo a tuo padre, e ti assicuro che i miei ragazzi ci sanno fare”
A questo punto lei prese ad armeggiare con la patta del genitore, che non avrebbe certo voluto far questo, ma lo spettacolo cui aveva appena assistito aveva arrapato anche lui, quindi il cazzo era già bello duro.
Dovette lo stesso constatare che la bocca della figlia era davvero un posticino molto accogliente, e legato com’era non poteva fare assolutamente niente per evitare l’incesto.
Anche con lui Chiara dovette fare come con il fidanzato, e tutta la procedura fu filmata.
Erano passate le cinque del mattino quando finì l’orgia e il genitore e il fidanzato di Chiara vennero liberati.
La videocassetta era già sparita dalla stanza e si trovava nell’automobile del boss.
Chiara era in cucina a preparare un caffè per i suoi scopatori e lo dovette servire a tutti nuda, indossava solo un cortissimo grembiulino, che rendeva la cosa ancora più umiliante.
Lo spettacolo arrapò di nuovo uno dei gorilla, che senza tanti complimenti la fece inginocchiare e le disse di fargli una pompa.
Guido reagì, ora poteva parlare, ma il boss lo fermò e disse
“non vorrai che tua moglie sappia quello che è successo questa notte, hai venduto tua figlia. Ricordati la videocassetta”.
Chiara fece il pompino, e venne di nuovo inculata sul divano dal gorilla.
Quando il tipo le venne nel culo e uscì il suo povero sfintere non riuscì a richiudersi, e i suoi aguzzini le ordinarono di rimanere alla pecorina sul divano, alla vista di tutti finché non se ne fossero andati.
Quando tutti se ne furono andati e lei rimase sola col padre non riuscì a spiccicare una parola.
Poche ore prima era una brava ragazza, ora era solo una puttana.
Il boss disse che ci sarebbero state parecchie serate come quella nel futuro di Chiara, e che sarebbe potuto diventare un affare molto redditizio.
In cambio delle sue prestazioni nessuno avrebbe visto la cassetta registrata quella sera. Mi chiamo Filippo, ho 38 anni, dopo il fallimento del mio matrimonio per risparmiare sull’affitto sono tornato da abitare con i miei in una villetta in periferia.

La storia che sto per raccontare è realmente accaduta la scorsa estate.
Durante il fine settimana ero rimasto solo in casa, non sapendo cosa fare, per ingannare il tempo, decisi di dare una sistemata al giardino e più precisamente di potare le rose da toppo trascurate, tanto che dal lato della recinzione avevano invaso il giardino dei vicini.
Avevo iniziato il lavoro da pochi minuti quando vidi che Ilaria, la vicina, era scesa anche lei nel suo giardino.
E’ una donna di 45 anni, nonostante l’aspetto gradevole non ancora sposata, secondo mia madre per colpa della madre troppo esigente, e forse era questo il motivo di una cera “acidità” che la rendeva antipatica a tutti.
Non la vedevo da diversi anni, stavo per salutarla ma fui aggredito verbalmente.

– Era ora che qualcuno si decidesse a fare un po’ di pulizia, sono stufa di vedere il mio giardino invaso dalle vostre rose, e non ho nessun’intenzione di fare come lo scorso anno quando le ho dovute tagliare io!

Non avevo voglia di mettermi a discutere, cosi le dissi di non preoccuparsi e che avrei cominciato il lavoro proprio dal suo lato.
Detto fatto scavalcai la bassa recinzione che divide le due ville ed iniziai il lavoro.
Era una giornata calda, il lavoro si rivelò più faticoso del previsto tanto che decisi di togliere la camicia e rimanere a torso nudo per cercare di avere un po’ di refrigerio.

Ilaria, che fino a quel momento era rimasta dentro casa, venne fuori e mi portò un birra fredda.
Fui ben felice di poter riposare un po’ così mi misi seduto per terra.

Indossava un vestito leggero e lungo con uno spacco di lato che le arrivava fino a metà coscia; si sedette su di uno sgabello basso che si trovava proprio di fronte a me e non si accorse che con quella posizione la parte posteriore delle cosce rimaneva scoperta fino al sedere tanto che riuscivo a vedere i suoi slip bianchi.

Non ero mai stato attratto da lei sicuramente per via del modo di vestire piuttosto anonimo che non valorizzava quello che ora vedevo con gran piacere, ma adesso era diverso e l’erezione del pene lo dimostrava.

Probabilmente il mio sguardo era rimasto troppo a lungo in basso, infatti, lei si alzò di scatto tenendosi il vestito e mentre tornava in casa notai il rossore che era comparso sul suo viso.
Ripresi il lavoro con la convinzione di aver fatto una figuraccia, ma il pensiero andava sempre alla stupenda visione di poco prima.

Mi accanii quindi con una vecchia radice saldamente conficcata nel terreno e fu tanta la foga che misi per estirparla che quando cedette mi sbilanciai e finii con la schiena su di un ramo di rose. Probabilmente gridai per il dolore, perché Ilaria venne subito in giardino chiedendomi cosa fosse successo. Quando vide i graffi sulla schiena disse che dovevano essere disinfettati e mi invitò ad entrare in casa.

Mi fece accomodare nella sala da pranzo e poco dopo tornò con il disinfettante.
Iniziò a pulire i graffi con molta delicatezza, sentivo che non era solo l’ovatta a passare sulla mia schiena ma anche le sue dita, era una sensazione piacevole, subito mi tornarono in mente le sue cosce ed i suoi slip e fui di nuovo in tiro.

Voltandomi vidi che i suoi capezzoli premevano contro il vestito dimostrando chiaramente che era eccitata, lei si accorse della cosa, si girò di scatto e fece per andare via ma io reagii d’istinto, la presi per i fianchi e la tirai verso di me facendole sentire il pene sul sedere.

La sentii irrigidirsi, per un attimo pensai che stava per urlare ma sua resistenza durò poco.

Quando le posai le labbra sul collo sentii il suo corpo aderire perfettamente al mio e le sue mani si strinsero sulle mie gambe.

Con una mano andai sul suo seno, riuscii attraverso la stoffa a prendere il capezzolo fra le dita tanto era duro ed eretto, con l’altra iniziai a tirare su il vestito.

Arrivai subito alle cosce, il suo respiro si faceva sempre più affannato, sembrava che la mia erezione andasse di pari passo.

Quando la mia mano arrivò sugli slip sentii che erano bagnatissimi.

Iniziai a toccarla senza spostarli, sentivo la sua eccitazione crescere, li spostai con l’indice e appena il medio sfiorò le grandi labbra lei raggiunse l’orgasmo con una foga tale che fui costretto a metterle una mano sulla bocca per attutire le sue grida.

Si girò verso di me con aria stralunata, stava per dire qualcosa ma glielo impedii dandole un bacio.

Lei rispose inserendo tutta la sua lingua nella mia bocca, le presi la mano e la guidai sul pene che faceva fatica a restare dentro i pantaloni.

Il respiro le tornò di nuovo affannato ma restava con la mano ferma sul membro senza muoversi, c’era qualcosa di strano nel suo comportamento che non riuscivo a capire.

Iniziai a sbottonare lentamente il suo vestito lei fece altrettanto con i miei pantaloni ma con più fretta, ci ritrovammo solo con gli slip.

Aveva un corpo magnifico, sembrava che gli anni non avessero avuto nessun effetto su di lei.

Il seno era alto e sodo, era senza reggiseno, le gambe perfette e fianchi appena abbondanti, cosa che non mi dispiacque affatto.

Mi tolsi le scarpe e i pantaloni buttandoli di lato, quando mi sfilai i boxer sussultò alla vista del pene eretto, rimase ferma immobile senza smettere di guardarlo, sembrava ipnotizzata ma il respiro affannato tradiva la sua eccitazione

La feci sdraiare sul divano, mi inginocchiai vicino e iniziai a succhiarle un capezzolo.

Iniziò immediatamente a gemere per il piacere, scesi allora verso il basso senza mai staccare la lingua dal suo corpo che sentivo tendersi ad arco.

Quando giunsi all’altezza del pube mi fermai un po’ per poi passai all’inguine, avrei voluto stare li per più tempo ma mi afferrò la testa e la spinse verso la sua vagina.

La mia bocca si ritrovo immersa in un mare di piacere, non avevo mai visto una donna bagnarsi così tanto, spinsi la lingua il più possibile dentro di lei.

Ripetei l’operazione per una decina di volte, poi presi il clitoride fra le labbra, iniziai a succhialo e contemporaneamente lo tintinnai con la lingua.

Esplose in un nuovo orgasmo, era una cosa sconvolgente era passato pochissimo tempo dal primo.

Continuai a leccarla e lei continuò a godere, per potermi staccare dovetti fare forza sulle sue mani che continuavano a premere su di lei la mia testa.

Mi alzai, la feci sedere sul divano e le misi il pene davanti la bocca, iniziò a baciarlo per tutta la sua lunghezza, poi finalmente tiro fuori la lingua e la fece girare a tondo sul glande per poi leccarlo come fosse un gelato.

La mia eccitazione era al culmine, quando le dissi che stavo per venire mi mise le mani sui glutei e mi tirò a se.

Il pene scomparve nella sua bocca, la mia eiaculazione fu immediata, lo sperma le giunse in gola ma lei non si stacco, continuò a succhiarlo avidamente e neppure una goccia del mio seme uscì dalle sue labbra.

Lentamente il pene perse il suo vigore ma lei continuò a succhiarlo, sembrava che non volesse più lasciarlo, quando finalmente lo fece mi guardò in faccia e diventò rossa.

Le chiesi quale fosse il problema e sentii una frase che mi sconvolse: – Non ho mai avuto un uomo, si…. insomma…., non ho mai fatto questo ne altro.

Non riuscivo a credere a quello che avevo appena sentito, mi resi immediatamente conto che quella che stavo vivendo era un’esperienza fantastica, avevo davanti una donna che aveva impiegato 45 anni per lasciarsi andare e che sicuramente aveva voglia di continuare a sperimentare tutte le gioie del sesso.

Questi pensieri ebbero la forza di farmelo tornare duro immediatamente, iniziai a baciarle tutto il corpo, non impiegò molto per tornare su di giri.

La presi per mano e la portai in camera da letto. Tremava per l’eccitazione, ci mettemmo sul letto, la feci sdraiare su di me e iniziai a baciarla teneramente.

Il pene sfiorava le grandi labbra della sua vagina e lei muoveva il bacino per sentirlo meglio, alcune gocce dei suoi umori caddero sul mio ventre.

Continuammo così per qualche minuto, quando sentii che era al massimo le dissi di salire sul pene e metterlo dentro.

Si tirò su, lo prese con una mano, lo portò all’ingresso del suo nido e vi si lasciò cadere sopra.

Un lungo gemito liberatorio uscì dalle sue labbra.

Rimase così per un tempo che mi sembrò interminabile, con le mani che premevano sul ventre come a voler toccare il caldo oggetto che era dentro di lei.

Finalmente iniziò a muoversi, era alla prima esperienza ma sembrava che non avesse fatto altro per tutta la vita, i suoi movimenti erano precisi, si alzava fino a far arrivare il glande a sfiorare l’ingresso della vagina per poi ridiscendere fino a prenderlo tutto dentro, sempre più velocemente. Continuò così finché un nuovo e ancor più potente orgasmo la raggiunse.

Sentivo le contrazioni dei muscoli vaginali avvolgere il mio pene, sembravano non finire mai mentre dalla sua bocca uscivano una serie infinita di si, era fantastico.

La feci sdraiare ed invertii la posizione, questa volta fui io a stare sopra, non ebbi neanche bisogno di guidarlo dentro di lei, come appoggiai il pene sulla vagina entro da solo.
Iniziai a muovermi con colpi decisi e regolari, Ilaria rispondeva benissimo, assecondando ogni mia spinta e spingendo con le mani il mio bacino contro di lei, la sua eccitazione era salita di nuovo, i miei affondi si fecero sempre più rapidi, lei iniziò ad incitarmi, continuai con quel ritmo a lungo finché non venni.

Fu l’orgasmo più bello della mia vita. Mi sembrava di vivere sensazioni nuove.

Restai dentro di lei, ansimando come un maratoneta dopo l’arrivo, lei chiuse le gambe su di me e mi tenne stretto.

Restammo in silenzio a lungo, fu lei a parlare per prima la cosa che disse fu: – Grazie

Era passata poco meno di un’ora da quando ero entrato in casa sua; ne uscii la sera del giorno dopo. Il mio capo si chiamava Giorgio. In ditta lavorava anche per qualche ora sua moglie Francesca.
Una mora formosa sui trenta, alta con un bel seno.
Tutti i colleghi ne parlavano come di una mangiauomini ma a me sembrava, al contrario, una donna che manteneva le distanze, tanto e’ vero che dava del lei a tutti.
In ogni caso era molto attraente, vestiva molto bene, spesso anche in modo un po’ sexy.

Avevo frequenti contatti con lei e spesso si chiacchierava del piu’ e del meno.
Ogni tanto mi divertirvo a stuzzicarla con delle battute piccanti pur con molta discrezione.
– Oggi sono stanco morto.
– Perche?
– Ieri sera sono uscito con una bionda che mi ha distrutto.
– Su non credo che Lei si faccia distruggere cosi’ facilmente.
– No certo, ma era proprio affamata..

Il tempo passava col solito tran tran fino al giorno che mi disse
– Carlo dovrei chiederle una cortesia: Giorgio e’ a Roma per lavoro e fuori nevica. Io ho fatto spesa e non voglio prendere i mezzi, ma ho paura di guidare. Mi potrebbe accompagnare a casa stasera? Puo’ tenere la macchina e ridarmela domani.
– Certo, non ci sono problemi.
– Pero’ qui la gente e’ maligna, non usciamo insieme. Vediamoci al parcheggio alle 19.

Cosi’ misi in moto e partimmo. Mi diressi verso casa sua.
– Perche’ non ci beviamo un aperitivo da qualche parte?

Ci fermammo in un bar e ci facemmo portare due Gin-tonic.

Al secondo giro comincio’ a sciogliersi ed a parlare come uno scaricatore.
– Quello stronzo di mio marito va spesso a Roma a chiavarsi la sua amica. Il cornuto non immagina neanche quanto sia troia sua moglie. Non sa quanto mi diverto quando non c’e’.

Al terzo aperitivo disse:
– Andiamo a casa che voglio consumarti il cazzo.

Ero sconvolto e quasi scandalizzato di fronte a tanta sfacciataggine, ma non mi feci certo ripetere l’invito.

In macchina aggiunse: – Sai quando mi ha detto che partiva ho deciso che avrei chiavato con te, oggi. Per scaldarmi mi sono fatta un ditalino in ufficio.

Arrivati in casa sua, appena dentro mi mise la lingua in bocca infilandomi le mani, affannosamente dappertutto.
Ci spogliammo freneticamente.
Non sapevo dove fosse la camera, ma non ci arrivammo.
Finimmo nudi sul divano lei a cosce larghe ed io che la stantuffavo da sopra.
Aveva una figona bollente e fradicia, si muoveva ritmicamente rispondendo colpo su colpo stringendomi le chiappe ed accompagnandomi nella chiavata.
Ci baciavamo come forsennati ed era una goduria strizzarle le tettone grosse.
– Ti faccio male?
– Noo anzi, strizza forte.. Appoggiami il cazzo in mezzo alle tette e chiavarmele.

Mentre il cazzo scivolava avanti e indietro lei dava dei colpi di lingua sulla cappella.
Con una mano verso dietro le accarezzavo il grilletto, facendola saltare.

– Se ti tiro fuori la sborra con la bocca ce la fai a farmene poi un’altra?

– Certo se mi fai riposare un po’.
Lo prese allora quasi tutto in bocca prendendomi i coglioni con le mani.
Succhiava in un modo che non avevo mai provato, inebriante, leccava il cazzo tenedolo tutto in bocca continuando a succhiare.
La cappella diventava sempre piu’ grossa e si accorse che stavo per scoppiare.
Lo tolse solo un attimo per parlare.

– Adesso rilassati, pensa solo a godere, fai fare tutto a me.

Riprese a succhiare come proma, con una mano stringendo le palle e con l’altra mi apriva il culo delicatamente.
Quando la sua bocca si accorse che stavo per venire mi infilo’ di botto due dita nel culo stringendo forte i coglioni.
Fu tutto simultaneo, la piacevole sensazione nel culo, il dolore alle palle ed il fiotto di sborra nella sua bocca.
Sborrai come non mai fino ad allora, mi lasciava e riprendeva i coglioni facendomi schizzare a tratti, continuando a bere rumorosamente.
Ci riposammo per un’oretta, per modo di dire dato che mise una cassetta porno facendosi un ditalino con due mani.

Quando vide che il mio uccello riprendeva vita disse: – Sei formidabile, adesso ti scopo io alla faccia del cornuto.

Mi salto’ su impalandosi sul cazzo con la figa gocciolante.
Mi bagnava fino alle palle, ogni movimento si sentiva uno sciacquio formidabile.
Per fortuna riuscii a trattenermi pur godendomi estasiato quella cavalcata.
La porca godette due volte inondandomi di liquido in quantita’ tale che sembrava si fosse pisciata addosso.
Riuscii a fare una finezza: mentre godeva contorcendosi per la seconda volta le vuotai i coglioni simultaneamente nella figa facendola urlare di godimento e di gioia.

– Cazzo che chiavata, stavolta sei tu che mi hai sfiancato. Mantieniti bene che al prossimo viaggio del porco non mi scappi. Sul finire dell’estate io e mia moglie Cinzia siamo stati invitati al matrimonio di una nostra cara amica.
Come in tutti i matrimoni fummo costretti a sopportare il rituale della cerimonia, dell’attesa degli sposi e del pranzo interminabile.
Il pranzo.
Noioso, di solito.
Voglia di fuggire via, di solito.
Non quella volta, qualcosa di inaspettato e molto piacevole doveva accadere.

Durante il banchetto mia moglie era seduta davanti a me.
La tavola enorme e riccamente imbandita ospitava decine e decine di ospiti e numerosi bambini chiassosi e capricciosi.
Nel pieno della folle rotazione di pietanze sentii una strana sensazione ad una gamba.
Un piedino di mia moglie non poteva essere, non solo perche’ si era momentaneamente alzata e non la vedevo a suo posto, ma anche perche’ la tavola era talmente larga da non permettere un gioco del genere.
Ma la sensazione divenne piu’ reale e concreta quando sentii le mani dolci e abili di una donna maneggiare con i miei pantaloni.
Una carezza morbida e sinuosa inizio’ a massaggiarmi i genitali ed in pochi secondi ebbi un’erezione che deformava il mio vestito.
Per fortuna la tovaglia ricchissima non consentiva a nessuno di vedere il mio stato e, ancor piu’ importante, le mani della persona nascosta sotto la tavola.
La persona…
Sinceramente non pensavo che mia moglie fosse cosi’ sfacciata e temeraria … fino a quando non la vidi tornare al suo posto!
Le due mani cosi’ piacevoli continuavano a massaggiare il mio membro ormai duro e lei era davanti a me, seduta al suo posto!
Mi chiesi, preso dal panico, chi fosse la persona sotto il tavolo.
Pensai di fermarla … ma il massaggio era cosi’ abile che proprio non riuscii a ostacolarlo.

Mi guardai intorno incuriosito.
E tra un sorrisetto imbarazzato alla mia “lei” e qualche movimento nervoso sulla mia sedia, capii di chi si trattava: Ilaria, la brunetta dal viso dolce e sensuale, quella stessa Ilaria che qualche anno prima avevo avuto modo di palpare per qualche secondo durante un gioco di societa’ al buio.
Avevo sempre pensato che fosse stata troia, ma che mai si sarebbe potuta spingere fino a quel punto. Chi l’avrebbe mai detto?!

La carezza divenne piu’ incalzante e ben presto sentii che le abili mani portavano allo scoperto il mio cazzo ormai durissimo e palpitante.
Le mani lasciarono presto il posto ad una bocca morbida ed incredibilmente abile.
Sentivo la lingua percorrere tutta l’asta per poi lasciar chiudere le labbra sulla cappella e in un attimo ingoiare il cazzo in tutta la sua lunghezza.

Una pompa con i fiocchi!

Il ritmo di Ilaria si fece via via piu’ insostenibile e pochi minuti dopo venni.
Fu una sborrata violenta e abbondante che la mia compagna nascosta bevve con ardore e senza lasciarne una goccia.
Fu difficile nascondere le mie sensazioni e dovetti piu’ volte nascondere il viso nel tovagliolo per dissimulare l’enorme godimento che quella troia mi stava procurando.

Pochi secondi dopo la vidi uscire da sotto il tavolo dall’estremita’ opposta dove il caos di parecchi bambini la fece passare inosservata.

Ilaria torno’ al suo posto un paio di sedie sulla mia sinistra.

Poi che alcune scuse riusci’ a portarsi a fianco a me. Io ero eccitato dalla sua presenza ma anche piuttosto preoccupato poiche’ mia moglie mi era proprio di fronte.
Ma Ilaria inizio a scherzare e a far ridere Cinzia e a farmi delle battute nell’orecchio per poi ridere insieme.

Cosi’ non parve strano a nessuno quando mi disse sottovoce di andare nel bagno delle donne e di entrare nella prima porta sulla destra.

Mi alzai poco dopo scusandomi e dicendo che sarei andato a fumare una sigaretta.
Mi recai un po’ titubante nella toilette delle signore e mi chiusi nel primo bagno.

Pochi secondi dopo sentii la voce di Ilaria. Ma non era sola.

E poco dopo sentii, con un panico ancora maggiore di pochi minuti prima, la voce di Cinzia, mia moglie: Ilaria si era fatta accompagnare al bagno.

Sentii chiaramente:
“Cinzia puoi tenere la porta per favore? Sai non sto benissimo e non vorrei che entrasse qualcuno nel frattempo.”
“Va bene, ti aspetto qui fuori” rispose mia moglie.
“Ok, intanto possiamo fare due chiacchiere!” aggiunse Ilaria entrando nel bagno occupato da me aprendo solo pochi centimetri la porta.

Me la trovai a fianco che mi guardava con occhi fiammeggianti di passione.
Con le mani tremanti si tiro’ su la corta gonna lasciandomi vedere le sue gambe, le sue calze, il suo reggicalze e l’assenza delle sue mutande. Una bellissima fica, pensai.

Poi come nulla fosse si piego’ a 90 gradi offrendomi di scoparla li’ cosi’ in piedi.
Lei appoggio’ le braccia e la testa alla porta del bagno ed inizio’ a parlare con Cinzia dall’altra parte.
Il discorso parti’ da cose futili per arrivare, guidato da Ilaria, all’argomento sesso.
Intanto io ormai fuori di me tirai fuori il mio cazzo di nuovo in tiro e lo infilai senza problemi nella fica gia’ bagnata di quella grandissima troia.

“Ma tuo marito com’e’?” chiese Ilaria proprio mentre iniziavo a cavalCinzia.
“In che senso?” rispose mia moglie.
“Dai … a letto! E’ bravo?”
“Ma, credo di si. Insomma io non ho una grande esperienza. Comunque non mi lascia mai senza sesso, questo e’ sicuro”
“Complimenti … ” disse ancora Ilaria iniziando a dimenarsi sotto i miei colpi.

Io ci presi veramente gusto e la scopai con foga.
La tenevo stretta dai fianchi e la penetravo con una voglia sempre crescente.
E lei parlava tranquilla con mia moglie.
E la cosa non faceva che accrescere il mio eccitamento!

Quando ero quasi sul punto di venire Ilaria chiese a mia moglie:
“Ma giochi strani ne fate?”
“Di che tipo?” chiese Cinzia.
“Beh … ad esempio … ti ha mai inculata?” disse esplicitamente Ilaria che ormai non riusciva piu’ a controllare le sue stesse frasi in preda ad un incontenibile orgasmo.

Ma Cinzia non si scompose:
“Raramente, sai a me non piace”

Ed Ilaria:
“A me invece fa impazzire!” ed alzo’ la voce in un acuto ricco di eccitazione.

Non me lo feci dire due volte.
In due secondi appoggiai il mio cazzo gonfio e lungo come non mai al suo bellissimo culo e penetrai con forza.
Con poche spinte ebbi ragione della tenacia del suo sfintere e gli fui dentro. Ilaria aveva un culo stupendo.

“Fa proprio morire…” continuo’ lei dimenandosi sempre piu’ e spingendo indietro per far penetrare bene tutti i miei 20 centimetri.

“E da pazzi non sfruttare un cosi’ bel cazzo per non farsi fottere anche nel culo” urlo’ ancora Ilaria.

“Dici?” si limito’ a chiedere mia moglie.

Ma ormai non ascoltavo piu’, sfondando le viscere a quella troia divina, venni mugolando nel suo culo sprofondando le ultime spinte con maggiore forza.

“Cosa c’e’?” chiese Cinzia da fuori.

“Nulla, nulla, arrivo” replico’ Ilaria che gia’ si liberava di me rivestendosi in fretta. Quanto può essere sfigato un ragazzo?
Una risposta potrei anche darla: ho 20 anni, la scuola è finita da poco più di una settimana, non s’è mai vista un’estate cosi favolosa, e io…io mi sono rotto il braccio destro tre giorni fa.

è una cosa incredibile, cosi facendo, con una semplice caduta dal motorino, ho precluso un intero mese di puro divertimento.

Me ne ricrederò in futuro, ma adesso proprio non vedo possibilità di fuga dalla terribile prospettiva di un agosto in città. Infatti, neanche a dirlo, con il braccio è partita anche la vacanza al mare che tanto avevo sognato fin da febbraio.
Sole, sabbia, amici e ragazze, e non necessariamente in quest’ordine.

Oggi sono ormai 15 giorni che sono ingessato, non è poi cosi’ brutto, uno dopo un po’ uno ci fa l’abitudine, e tranne per piccole cose, riesco a fare tutto.
Poi, il piccolo e’ del tutto relativo.
Voglio dire, capita qualche volta, essendo sempre a casa da solo, che mi ritrovo a sfogliare un giornalino un po’ osé, o di guardare un bel film porno, tanto per passare il tempo.
Fin qui tutto bene, poi immancabilmente sopraggiunge l’erezione, e da qui in poi sorgono i problemi.
Come darsi un po’ di sollievo?
Non sono mica mancino.

Ho provato, ma nulla, non so dove sbattere la testa, a casa non è rimasta nessuna mia amichetta a cui possa chiedere certi favori, e a me non resta quindi che impazzire ogni volta che mi vengono certi pensieri.

Suona il campanello, apro.

è Giorgia, la signora che da ormai un anno viene a casa nostra a fare le pulizie.
Fino ad oggi l’ho sempre considerato come una bella signora di 40 anni, eccezionalmente alta, con un bel fisico, quasi statuario, decisamente provocante, con un culo incredibilmente rotondo e sodo per una signora del sua età, una folta chioma di capelli ricci biondo che le ricade sulle spalle.
Ad essere sinceri una volta ogni tanto le ho anche dedicato una delle mie fantastiche seghe, ma tutto finiva li, passati i brevi istanti d’eccitazione, smettevo di pensare a lei.

Oggi è diverso, m’ero dimenticato che doveva venire, e quando ha suonato, ero immerso in un bel pornazzo.
Giorgia ha iniziato a fare le faccende di casa. Io un po’ perché non ho nulla da fare, un po’ perché mi piace guardala, rimango con lei.
Oggi indossa un leggero vestitino di cotone, corto e senza braccia, con una generosa scollatura che le mette in mostra tutto il suo grosso, enorme, generoso seno.
Si perché 40 anni o no, Giorgia ha davvero un bel paio di tette enormi e sode, che a rigor di logica dovrebbe arrivarle alle ginocchia e invece non mostrano mai il benché minimo segno di cedimento. Ogni tanto indossa delle magliette che mostrano chiaramente che sotto non porta nulla, e il suo seno è sempre li bello alto sul suo petto.

Non riesco a controllarmi, a vederla lavorare, a vederla sudare, a vederla toccarsi distrattamente il corpo per detergersi il sudore, mi sta tornando duro.
In questo momento desidero solo farle una portentosa spagnoletta fra quelle sue tette e riversarle in faccia tutto il mio piacere represso da ormai due settimane.
Sembra quasi che lei senta i miei bisogni, perché ad un certo punto mi chiede.

“Cos’hai, Luca? Ti vedo teso”

“No, no signora Giorgia, nulla… è solo il braccio che mi da un po’ fastidio qualche volta”

“Be oramai ti sarai abituato. Non riesci ad usare la sinistra?”

“Non sempre. Ci sono cose che fin da piccolo, i destri fanno con la mano destra e i mancini con la sinistra. E improvvisare con l’altra mano e’ veramente disastroso.”

Voglio farle capire che e’ da quando mi sono rotto il braccio che non mi masturbo, ma non potendoglielo dire direttamente devo cercare di esprimermi con queste buffe allusioni.
Non so neanch’io perché voglio farglielo sapere, ma la mia eccitazione è ormai troppa e in qualche modo la devo pur sfogare e quelle tette sembrano essere la mia unica soluzione.
Una soluzione eccellente, per essere onesti.

“Per esempio?” – Mi fa lei sorridendo e fissando il mio rigonfiamento sotto i pantaloncini, che si nota benissimo.

Vuoi vedere che ha capito tutto, e sta al gioco?
Decido di mettere in palio tutta la posta. O la va o la spacca.

“Sa, sono cose un po’ personali.”

“E non c’è nessuna che ti possa dare una mano?”

Ha detto nessuna. Non nessuno. La troiona ha perfettamente capito di cosa sto parlando.
Me lo sento sempre più duro e le voglio sborrare in faccia.

“No, tutte le mie amiche sono in vacanza… almeno quelle a cui l’avrei potuto chiedere”

“Chiedere cosa?”

“Una…mano!” dico io un po’ timoroso.

La discussione sembra finire li, ma io continuo a seguirla fissandole quelle grosse poppe.
Prendendomi completamente di sorpresa Giorgia mi chiede

“Allora, dimmi, ti piacciono ?”

“Cosa signora?”

“Le mie tette. Ti piacciono? Credo di si, visto che me le stai fissando da tutto il pomeriggio”

“Oh mi scusi. Non l’ho fatto apposta”

“E invece si, secondo me”

“In effetti si, ma sa, le ha cosi grosse e sode che è impossibile non ammirargliele. Sono bellissime, davvero.”

“E in questo preciso instante a cosa stai pesando?”

“Che mi ci piacerebbe metterci in mezzo il mio bastone e chiavarla fra le tette”

Rimango scioccato dalle mie stesse parole. Non so dove cazzo abbia trovato il coraggio di dirglielo. Ma lei non sembra minimamente turbata, anzi.

“Solo quello?”

“Per adesso si. Dopo due settimane che non mi tocco, credo che non riuscirei a reggere altro. Con una donna cosi bella come lei poi…”

“Oh, ma io posso aspettare che ti riprenda.”

E detto questo si leva l’abitino e mi lascia senza parole. Sotto ha solo un reggiseno nero, di almeno una taglia più piccola e basta. Non porta le mutandine. Le fisso intensamente la fica, ha un folto triangolino di peli sul pube.

E’ bellissima.

“Cosa ne pensi del resto del mio corpo?” mi chiede lei con una faccia da troia come poche.

“Cre…credevo che fosse bionda naturale, ma invece mi accorgo di no”

“Oh già, la micina, un giorno o l’altro mi devo decidere a tingere anche lei”

Detto questo si inginocchia davanti a me sfilandomi con grande maestria pantaloncini e mutande con un sol gesto.

In un botto le si presenta davanti agli occhi il mio cazzone, anche se non completamente eretto.

“Hai un bel bastone. Ma non è ancora del tutto duro vero?”

“No…aiutami” le ordino. Lei sorride, e me lo prende in mano, iniziando a segarmi delicatamente.

“Ahhh” godo io

“Sei bravissima…ma rallenta un po’, vai più piano se no vengo subito”

“Voglio fare il bagno con la tua sborra Luca. Non deludermi”

“Noohhh” Giorgia ha iniziato a spompinarmi, è bravissima.
Mi fa roteare la sua lingua su tutto il glande per poi farla correre lungo la mia asta vibrante, e una volta arrivata in fondo si dedica anima e corpo a ciucciarmi con delicatezze i mie coglioni pieni di sborra.

“Siii Giorgia sei una fantastica troia, succhiamelo cosi brava lecca, lecca, mi fa impazzire la tua lingua” – Mentre le dico questo le passo una mano dietro la schiena e con un po’ di fatica le slaccio la clip del reggiseno, lei sorride.

“Finalmente le puoi guardare.”

Il reggiseno cade e loro rimangono li esattamente dov’erano prima, lei si alza e si siede sulle mie cosce, facendo venire a stretto contatto i nostri sessi, sento che lei mi striscia la sua passera umidiccia contro il mio pene senza farsi penetrare. Mi mette le tette davanti alla faccia e io non mi tiro certo indietro.
Mi ci tuffo con un salto mortale, affondando la testa nel suo accogliente solco, poi gliele lecco, gliele palpo, le cuccio il capezzolo destro, per poi saltare a quello sinistro.
Lei continua ad accarezzarmi il pene, mentre io con la mano sana mi dedico alla scoperta del suo corpo, e finalmente glielo trovo: il suo fantastico buco coperto da una leggera peluria nera.
La fotto col mio dito fino a farla godere, lancia un urlo e svuota la sua sbroda sulla mia mano, poi se la sfila di prepotenza e se la porta alla bocca ordinandomi di leccarla assieme a lei.

Io obbedisco. Giorgia poi si mette a succhiare con avidità il dito medio, io la guardo, senza capire bene le sue vere intenzioni. Pochi istanti dopo e’ tutto più chiaro. La puttana mi dirige la mano sul suo fondoschiena e si fa sodomizzare dal mio dito ben lubrificato precedenza.

“Si, così, Luca! Fammi venire anche nel culo dai!”

“Con piacere Giorgia, ma tu sta attentata a non fare lo stesso con me. Ti voglio chiavare fra le tette”

“Non preoccuparti, anch’io non vedo l’ora”

Mi avvicino a lei e la bacio. Mentre limoniamo sento ancora nella sua bocca il sapore della sua sbroda. E’ una cosa veramente piacevole, muovo la mia lingua dentro di lei cercando di recupera quanto più succo posso e da come muove la mano sul mio pene sembra che la cosa le piaccia molto.
In breve la puttanona viene una seconda volta, io sento che sto raggiungendo il limite, glielo dico e Giorgia si stende sul tappeto, massaggiandosi vigorosamente le grosse pere: è il momento che tanto attendevo.

Mi siedo sopra di lei, le metto il cazzo nel solco fra le tette, lei se le strige con le mani e mi invita a chiavarla in quel modo. Io non mi faccio pregare comincio a stantuffarla.

“Sii Luca così! Fammi godere! Chiavami fra le tette fammi sentire il tuo cazzo!”

“Puttana! Sei una puttana, Giorgiaaaaahah!” – Vengo urlando il suo nome.

Sono sorpreso dalla quantità di sborra che mi esce dal cazzo, sembra un idrante, i primi getti la raggiungo in faccia, sul naso, tra i capelli, man mano che l’eiaculazione arriva alla fine la sborra le si posa sulle tette, io sono spompato ma conservo le ultime energie per infilarle il cazzo in bocca, e lei me lo pulisce diligentemente.

Poi la donna pensa a levarsi con la lingua lo sperma che le è rimasto sulle tette. Io mi siedo davanti a lei a fissarmi lo spettacolo di quella bella donna che si sta spalmando il corpo con la mia sborra. Incredibilmente, Giorgia, si gira e si mette a gattoni e lecca i molti schizzi di sborra che non l’avevano colpita, cadendo sul pavimento. Lei che lecca la sborra, tenendo la su fighetta bagnata davanti alla mia faccia è troppo, sento il cazzo tornarmi duro di nuovo, mi alzo e senza dire una parola le sono dentro.

La stantuffo strizzandole una tetta gridandole frasi oscene e sentendomi rispondere in modo altrettanto osceno.

Questa volta duro di più e le vengo tutto in pancia, da quel giorno Giorgia viene a casa nostra due volte la settimana, ma nonostante questo la mamma si lamenta perché la casa è sempre polverosa e in disordine. Cristina è una mia collega di ufficio. Ha quarant’anni, molto ben portati, e un fascino incredibile.
Non è che sia il classico “pezzo di fica” che quando passa per la strada tutti si voltano a guardare. Cristiana è bassa ed è anche un po’ cicciottella, ma ha un viso dolcissimo, un seno grosso e duro come quello di una ragazzina e due labbra sensuali che sembrano fatte apposta per baciare ed essere baciate. Ma è soprattutto il suo modo di fare e di pensare che mi ha sempre eccitato da morire.

Cristiana è una vera e propria donna di chiesa, sempre puntuale alla messa domenicale e al rosario delle cinque. E’ sposata, ha una figlia e ha alle spalle una lunga militanza nell’azione cattolica.

Sono sempre stato attratto dalle persone irreprensibili, nel senso che sono sempre stato morbosamente curioso di scoprire il lato debole del loro carattere e di valutare la forza delle convinzioni che le spinge a essere così inflessibili con sé stesse e con gli altri. Se poi l’irreprensibilità è legata a una motivazione religiosa la mia curiosità si amplifica a dismisura, e se poi ad essere irreprensibile è una donna di chiesa la curiosità si trasforma in un desiderio incontrollato di scoparla selvaggiamente.

Ho sempre avuto la granitica convinzione che le più grosse troie vogliose di cazzo si trovano in ambienti religiosi.

Per lungo tempo Cristiana mi fece una sorta di lavaggio del cervello con tutti i suoi bei discorsi sulla famiglia, sulla fedeltà e sui buoni sentimenti. Per mesi e mesi le nostre conversazioni furono civili, pudiche e molto conformiste. Mai un accenno, neppure indiretto, al sesso, all’attrazione fisica tra uomo e donna. Mai niente.
Mi parlava sempre della sua bella famiglia e dell’attività parrocchiale che svolgeva nel tempo libero, e io stavo ad ascoltarla o replicavo con qualcosa di banale e scontato.
Sarà stato per colpa di quei discorsi o forse delle sue tette o forse ancora delle sue labbra carnose, fatto sta che in poco tempo divenni pazzo di lei.

La sognavo sempre e sempre mi masturbavo immaginandomi di scoparla nei peggio modi. Lei si era certamente accorta che mi piaceva, e da vera troia continuava a far finta di niente e a parlarmi di comunioni e rosari. Veniva in ufficio vestita in maniera sempre più seducente, e io non trovavo il coraggio di dirle chiaramente che avevo perso la testa per lei. C’erano dei giorni in cui indossava una camicetta di seta bianca finissima, dalla quale traspariva il reggiseno e dal quale, a sua volta, trasparivano i capezzoli, grossi e scuri.

In quei giorni non riuscivo a concentrarmi in niente: era un vero e proprio tormento. Avevo le sue tette sempre davanti agli occhi e perdipiù mi sembrava che Cristiana facesse di tutto per farmele notare: mi passava continuamente vicino e si metteva a parlare sempre vicino alla finestra, dove il gioco di luce rendeva ancora più visibili le sue morbide forme. In un paio di occasioni fui addirittura costretto ad andare al cesso a farmi una sega per cercare di abbassare il livello di testosterone che avevo nel sangue.

Tuttavia non avevo il coraggio di farmi avanti con lei. Se il suo perbenismo da una parte mi eccitava, dall’altra mi intimoriva. Non ero poi così convinto che dietro i suoi atteggiamenti pudichi Cristiana celasse l’animo della puttana. Lo speravo ardentemente, ma non ne ero affatto sicuro.

Provai a poco a poco a tastare il terreno.

Per circa un mese le feci un’infinità di domande sulla sua vita privata. Dapprima in maniera distratta, quasi superficiale, e poi sempre più precisa e mirata. Ben presto compresi che Cristiana era una donna sola e insoddisfatta. Il marito la trascurava e lei sfogava la sua insoddisfazione cercando di rendersi utile agli altri. I discorsi banali e conformisti che avevamo fatto per lungo tempo lasciarono il posto alle sue amare confessioni. Mi parlò della sua sessualità sacrificata per il bene della famiglia e dell’insoddisfazione che provava nello stare assieme a un uomo insensibile e distratto.

Continuai a fare la parte dell’amico confidente per un altro po’ di tempo, fino a che, trovai il coraggio e le confessai caldamente che avevo perso la testa per lei. Cristiana rimase sbigottita, non so se per finta o davvero e, passato l’attimo di sconcerto, mi fece una lunga predica sugli obblighi e i doveri familiari ai quali eravamo entrambi legati.

Parlò per circa un’ora, ma io non l’ascoltai affatto. Ero concentrato solo sul movimento delle sue labbra carnose. Pensavo a quanto sarebbe stato bello poterci metterci la lingua, o qualcos’altro, in mezzo. Quando Cristiana finì la sua predica io ero sempre concentrato sulle sue labbra, e avevo lo sguardo inebetito.

“Luigi! Luigi! Hai capito cosa ho detto? Hai capito che certe cose non possiamo neppure farcele venire in testa? Ma mi stai ad ascoltare o no?” – mi disse.

Io ero sempre più inebetito. Mi ero però accorto che Cristiana aveva usato il plurale “Noi” riferendosi agli obblighi matrimoniali da rispettare.
Ciò voleva implicitamente dire che anche lei si sentiva in un certo modo costretta a rispettarli. Fu un’induzione che ritenni sufficiente per provare a baciarla.

Mi avvicinai a lei a la strinsi forte, poi la baciai; le nostre labbra si unirono, io provai a metterle la lingua in bocca ma lei, proprio sul più bello, mi respinse, seppur con poca convinzione.

“No, dai! Ti prego…non possiamo… non dobbiamo…”, mi disse con voce flebile e tremante.

Capii che stava per cedere: la strinsi e la baciai ancora, e mentre la baciavo le misi una mano sotto la camicetta e poi sotto il reggipetto.

Lei fece ancora il gesto di respingermi, ma lo fece in modo ancor più indeciso di prima. Gemeva mentre le mie dita le esploravano i capezzoli, duri come baionette, ed aveva la pelle d’oca. Le misi la lingua in bocca, poi le leccai il collo, le orecchie e infine le alzai la camicetta e le succhiai i capezzoli.

Il cazzo mi si era pietrificato e Cristiana doveva essersene accorta, perché strofinava il suo inguine con forza contro il mio. Non c’era nessuno in ufficio e così potemmo agire liberamente. Le tolsi la camicetta e le calai il reggiseno al di sotto dei capezzoli, senza slacciarglielo. Poi la misi a sedere sulla mia sedia e subito dopo mi tolsi i pantaloni e le mutande. Senza dirle una sola parola le misi il cazzo in mezzo alle tette. Cristiana strinse con forza i suoi seni attorno al mio uccello e iniziò a muoverli ritmicamente. Sembrava non avesse fatto altro nella sua vita: muoveva le tette come una vera professionista e quando la cappella gli arrivava in prossimità della bocca tirava fuori la lingua per leccarla tutta.

Poi mi prese il cazzo in mano e se lo cacciò prepotentemente in gola. Me lo succhiò, me lo leccò, se lo strofinò sulla faccia e poi se lo mise ancora in mezzo alle tette e poi di nuovo in bocca. Io ero talmente eccitato e stordito che non riuscivo a proferire verbo.

Mi sarebbe piaciuto dirle un’infinità di porcate, ma le sue labbra, la sua lingua e le sue grosse tette mi avevano tolto il fiato. Cristiana aveva preso in mano le redini del gioco, e io mi lasciavo trasportare senza opporre resistenza. Tra un succhione e l’altro non faceva che ripetermi di venirle in faccia, di riempirle la bocca di sperma: “Vieni amore mio! Vienimi in faccia, ti prego… Oh, amore, vienimi in faccia, in bocca…ti prego!”

Non me lo lasciai ripetere due volte. Le rimisi il cazzo in mezzo alle tette e quando fui pronto a venire avvicinai la cappella alla sua bocca e le spruzzai sul viso tutto il liquido seminale che avevo nei coglioni.

Lei sembrava che godesse addirittura più di me. Leccò tutta la sborra agli angoli della sua bocca e in men che non si dica si slacciò la gonna e iniziò a masturbarsi mettendosi quattro dita sotto le mutandine. Il violento orgasmo mi aveva lasciato senza forze, ma l’immagine di Cristiana che si masturbava, che gemeva e si toglieva la sborra dal viso con le dita per poi succhiarle avidamente come aveva fatto poco prima con il mio cazzo mi ridette vigore. Le tolsi mutandine, scarpe e calze, le slacciai definitivamente il reggiseno, la feci alzare dalla sedia e la misi a pecorina sulla scrivania.

Iniziai a leccarle la fica da dietro. Mentre con una mano le toccavo i capezzoli e con l’altra mi facevo largo nel suo ano. Dapprima con una falange e poi con tutto il dito indice. Cristiana sembrava un’indemoniata. Le era cambiato il tono della voce e aveva il volto trasfigurato. Mi supplicava di leccarla e di incularla.

In pochissimi minuti il cazzo mi tornò nuovamente duro. Iniziai così a scoparla alla pecorina. Furono sufficienti pochi colpi per farla venire. Venne urlando frasi sconnesse e con un tono di voce sempre più roco. Poi tirò fuori il mio uccello dalla sua fica e se lo mise in prossimità dell’ano.

“Inculami Luigi, inculami adesso… ti prego,” – mi disse.

Le spinsi il cazzo con forza all’interno dell’ano, che si aprì dolcemente senza opporre resistenza. Glielo misi tutto dentro fino all’altezza delle palle, e lentamente iniziai a muoverlo.

Cristiana urlava, gemeva e mi implorava di muovermi con più forza. Io allora persi completamente la ragione: la inculai senza alcun ritegno, tirandole i capelli, strizzandole le tette e finendo di pulire le tracce di sperma dal suo viso con un dito, che poi le cacciai in gola. La stavo inculando a un ritmo talmente forte che fui ben presto sul punto di venire un’altra volta. Cristiana sembrò accorgersene, perché si voltò a guardarmi con un’espressione talmente eccitata che non scorderò mai.

La sua bocca sembrava ancora più carnosa del solito e la sua lingua che si muoveva attorno alle labbra era un richiamo irresistibile. Le tolsi lentamente il cazzo dal culo, poi mi avvicinai a lei e la aiutai a scendere dalla scrivania. La misi nuovamente a sedere sulla sedia e tornai ad affondarglielo in gola. Cristiana me lo succhiò avidamente, tenendo tutte e due le mani impegnate: una sul mio cazzo e l’altra sulla sua fica.

Il ritmo del pompino seguiva quello delle sue dita sul clitoride.

Quando fu sul punto di venire accelerò talmente il ritmo di entrambe le mani che io le sborrai in bocca. Smise di succhiarmi l’uccello solo dopo aver ingoiato con voluttuosità tutti i fiotti di sperma che le avevo copiosamente spruzzato tra le labbra, poi mi guardò con aria un po’ imbarazzata e mi chiese che ore fossero.

“Sono le quattro e mezza,” risposi io.

“Accidenti com’è tardi – disse ancora lei – devo proprio scappare. Alle cinque inizia il rosario e non voglio perdere l’inizio… ”

Rimasi sbigottito, talmente sbigottito che non ebbi la forza di replicare.
Mi rivestii e l’aiutai a fare altrettanto. Dopo pochi minuti eravamo già sul punto di salutarci. Avrei voluto dirle una bella frase per concludere degnamente la mezz’ora di totale passione che avevamo vissuto insieme, ma l’improvvisa fretta di Cristiana e soprattutto il motivo di quella fretta mi avevano tolto la parola.

Ebbi solo la forza di dirle “Ciao”. Non le dissi neppure che uno schizzo di sperma le aveva glassato i capelli vicino all’orecchio destro.

Ma tanto in chiesa nessuno ci avrebbe fatto caso. Quel lunedì sera avevo un impegno insolito, dovevo sostituire un amico, istruttore nonché titolare di una palestra, eravamo stati per anni compagni di squadra nella compagine cittadina di football americano e non potevo negargli un favore, specie perché c’era in ballo una donna che “filava” ormai da secoli!

– Oh, finalmente un istruttore gentile, era ora! – sbuffò una donna, sulla quarantina ma piacente, che aiutai con un attrezzo particolarmente complesso.
– Attenta a non prendere pesi troppo grossi, se non sei abituata possono provocare lesioni. – dissi, controllando sulla scheda i carichi con cui lavorava di solito.
– Te l’ho sempre detto che prenderne di troppo grossi ti fa male! – puntualizzò subito la compagna, sua coetanea ma meno carina, che l’aiutava negli esercizi.
– Lo dici tu, ai pezzi grossi ci sono abituata! – replicò la prima, decisa, scherzi e lazzi da palestra erano comuni tanto agli uomini che alle donne, notai.
– Dai, prova adesso che ho sistemato la macchina. – dissi, sorridendo.
– Ok, dopo… sistemi anche me? – disse lei, sfrontatamente.
– Alt, fermi tutti… lui è terreno di caccia riservato!- disse, perentoria, una voce alle nostre spalle; mi voltai curioso trovandomi di fronte a Lisa

Da anni lavoravamo insieme e non mi ero mai reso conto di che gran pezzo di femmina fosse, anche se questa non era la donna che conoscevo, i capelli biondi raccolti, senza trucco e in tenuta da aerobica, che personalmente trovo molto sexy, madida di sudore che la rendeva ancora più bella e appetibile ma colpiva la posa, gambe larghe e mani sui fianchi, in atteggiamento di sfida verso le due donne e di possesso nei miei confronti….

– E tu che ci fai qui? – sbottai sorpreso, ammirandola apertamente.
– Vengo abitualmente per smaltire la ciccia, dopo l’aerobica faccio sempre una mezz’ora di attrezzi per tonificarmi, e tu? – rispose.
– Sostituisco Luigi che stasera aveva un impegno, non sapevo venissi in questa palestra, con Mauro siamo amici da una vita, giocavamo insieme nei Rhinos!

Da quel momento ebbi occhi ed attenzioni solo per lei.

– Aldo, io ho finito la lezione. Vedi Mauro dopo? – disse una bella donna, con i capelli freschi di doccia, infilandosi nella sala degli attrezzi della palestra.
– Ciao Giada, abbiamo appuntamento in pizzeria verso mezzanotte ma…spero proprio che non venga!- dissi, sorridendo enigmatico.
– Già, spero anch’io che questa sia la volta buona con quella tipa. Io esco. Ti lascio le chiavi così le puoi dare a Mauro. Domani arriva prima di me.-
– Perfetto, male che vada lo vedo domattina al bar. –
– Beh, per lui sarebbe “bene che vada”. – rise.

Giada, istruttrice di aerobica e socia del mio amico in quell’attività, sulla trentina, carina, piccola ma formosa, istruttrice ISEF, era stata nazionale di volley per diverso tempo, aveva avuto una storia con Mauro ma, anche quand’era finita, avevano instaurato un eccellente rapporto e, a mio avviso, se capitava l’occasione scopavano ancora insieme!

– C’è ancora qualcuna delle tue vittime dentro?- le domandai.
– Solo un paio sotto la doccia… dovrebbero aver quasi finito. Dalle un occhiata!-
– Volentieri, ci vado subito…-
– Scemo, assicurati solo di non chiuderle dentro. Ciao Lory, ciao Aldo.-

Poco dopo, mentre assistevo la mia amica alle prese coi pesi, anche le due ritardatarie ci salutarono e se ne andarono, ridacchiando, ero praticamente a cavalcioni di Lisa per evitare che il bilanciere da venti chili potesse scivolarle, ma la posizione era evidentemente equivoca, il mio membro era quasi tra le sue tette generose e, malgrado fossimo completamente vestiti, c’era di che pensare male.

– Che avevano da ridere quelle oche? – domandai, sistemando il peso sui sostegni.
– Credo sia la nostra posizione…Se fossimo nudi, ti starei facendo una spagnola! – sogghignò lei, dopo aver guardato nella parete di specchi.
– Già, la materia prima c’è! – presi coraggio e le diedi una strizzata alle mammelle.
– E anche la “materia seconda” – replicò strizzandomi le palle con forza, pensai ad un gesto dissuasivo alla mia maldestra avance.
– Scusami, mi sono lasciato trasportare dal momento, sei così bella che… – abbozzai, lasciando a malincuore quel seno sodo.
– Che bel cazzo duro… sapessi quanto lo desidero! – esclamò invece, palpando col medesimo vigore di prima: non era contrariata, il suo era proprio ardore!

Le mie mani tornarono sui seni mentre spingevo il bacino per sentire quelle morbide colline, lei mi passò le mani sul culo attirandomi a se, muoveva il busto per stimolarmi in modo più completo, i capezzoli mi si erano inturgiditi contro il palmo delle mani e li strizzai con forza, torcendoli, facendole emettere un grido strozzato.

– Si, spremili, fammeli schizzare fuori, fammi male! –

L e sue mani m’avevano artigliato il culo e palpavano come io avrei voluto fare a lei, mi abbassò i calzoni della tuta per potermi stringere la pelle, io armeggiavo con le bretelle per riempirmi le mani delle sue poppe.

– Come si apre questa cosa? –

M’arresi frustrato. Lei mi spinse via alzandosi e in due secondi rimase con i soli scaldamuscoli alle gambe, per il resto era tutta nuda: era una bionda autentica e i riccioli d’oro disegnavano il monte di Venere senza nascondere la fessura rosa scuro che si apriva in basso, aveva i fianchi più stretti che avessi mai visto per questo, probabilmente, le anche parevano più larghe e i seni più grossi.
M’inginocchiai di fronte a lei appoggiando le labbra sul cuscino di peli morbidi mentre le mani si riempivano delle sue natiche sode, con la lingua disegnai un fitto ricamo attorno all’ombelico, sul ventre piatto fino alle tette, stuzzicandole i capezzoli turgidi che lei, chinandosi ed ondeggiando mi offriva, con le dita le sfiorai l’ano e scesi verso le grandi labbra, ne percorsi il profilo impregnandomi dei suoi umori, stavo scendendo anche con le labbra e raggiunsi le cosce, la sua pelle, in ogni punto sfiorato dai miei baci.
Era rovente.
Risalii sul pube dorato e contemporaneamente le infilai un dito nel culo. Il suo bacino scattò in avanti offrendomi la vulva bagnata e aperta. Incollai le labbra al clitoride stuzzicandolo e facendolo emergere, svettante e gonfio, dal suo nido. Questo la fece letteralmente impazzire di piacere, mi artigliò la testa spingendosela nel ventre e rilassò i muscoli permettendomi di penetrarle lo sfintere in profondità.

– Uhmm, sei un raffinato. Mi piace come mi lavori davanti e… dietro. –

Aprì le gambe, appoggiando un piede sulla panca per facilitarmi la leccata furiosa con cui le stavo lavorando vagina e clitoride, sculettava avanti e indietro al ritmo della mia lingua e, all’unisono, sincronizzava i gemiti e gli incitamenti.

– Che fica buona, sai di femmina al 100% dammela tutta… mettiti sulla panca. –

Non se lo fece ripetere due volte, si mise carponi offrendomi le terga.

– Sono tutta bagnata, guarda… dopo voglio prenderti tutto nel culo, ti va?-
– Se mi va? Non osavo domandartelo… inculare una bella donna come te mi fa sempre impazzire!- dissi, e ripresi a leccarla con tutto l’entusiasmo che avevo.
– Che bello, dai… ancora… ecco, fermati lì, lecca più veloce… più veloce… goodoo! oooohh! Sto godendo come una vacca, siiii… Se mi lecchi ancora il culo… Così… vengo di nuovo… Così, goodoo… goodoo… Sei fantastico! Che lingua hai! Adesso voglio farti assaggiare la mia.-

Saltò giù dalla panca dove la sostituii, mi spogliò in fretta e s’accosciò tra le mie gambe stuzzicando il membro eretto con rapidi bacetti e veloci leccatine al glande che svettava orgoglioso, poi lo risucchiò e per poco non venni solo guardando quella fantastica bocca inghiottirmi tutto, entravo in lei centimetro per centimetro e le sue guance paffute si gonfiavano mentre la sua testa si muoveva sull’asta ad un ritmo sempre più serrato.

– No, non voglio venire in bocca, voglio scoparti, incularti, ti voglio tutta! – dissi, fermandola.
– Si, ti voglio anch’io. Vieni, prendimi…sono tua. –

Un attimo ed ero in piedi. L’abbracciai asciugando il membro sul suo ventre piatto, si sollevò in punta di piedi sfregando i riccioli del pube sul mio muscolo duro come il marmo, le passai le mani sulle chiappe alzandola mentre il cazzo le s’incuneava fra le gambe scivolando sulla fessura bagnata. La depositai sulla panca e, con una mano attorno al collo mi attirò su di se mentre con l’altra mi accarezzava il membro guidandolo all’imboccatura del suo nido accogliente.
Armeggiò col glande spennellandosi ripetutamente la vulva prima di farmi affondare in lei con un colpo di reni che mi spedì direttamente a sbattere col meato sull’utero. Un urlò roco e prolungato mi fece capire tutto il piacere che stava provando ed io mi unii a quell’urlo mordendo con foga le mammelle.
Le sue gambe scattarono agili attorno ai miei fianchi attirandomi in lei più profondamente: era come un’altalena, sempre più in alto e sempre più veloce.
La testa mi girava dalla passione e dal desiderio ma Lisa mi teneva stretto. Dopo avermi preso il viso fra le mani m’infilò la lingua in bocca, facendola frullare vorticosamente.
Ci sapeva fare davvero, il suo culo era in movimento perpetuo, dondolando, ruotando e dandomi sensazioni fantastiche. Ero quasi sul punto di godere quando ci bloccammo simultaneamente, quasi fossimo comandati da un medesimo interruttore. Insieme ci guardammo nella parete a specchio divorandoci a vicenda con gli occhi: era un gioco sottile e sensuale.
Sempre fissando le sue pupille piano piano estrassi il membro dalla vagina, in modo da farglielo non solo sentire ma anche vedere tutto madido di umori.
Poi affondai lentamente in lei. Mi bastò una volta sola; quando i testicoli sbatterono nel solco delle natiche Lory rovesciò la testa socchiudendo gli occhi e lasciandosi sfuggire un gemito sordo e lungo.
Nell’estasi dell’orgasmo, le pareti della fica si strinsero attorno al cazzo, e proprio in quel momento sborrai tutto lo sperma che avevo accumulato dentro, senza fretta, con fiotti potenti e ritmati che le riempirono la vagina. I suoi muscoli si contrassero all’unisono coi miei, quasi risucchiandomi le ultime stille.
Non avevo mai goduto così copiosamente e sentivo il mio seme colarle dalla vagina e lo immaginavo scivolare, denso e caldo, nel solco fra le natiche.
Quel pensiero mi donò una nuova serie di contrazioni che, questa volta, la colsero di sorpresa…
Mi sorrise mentre mi abbandonavo su di lei e cercando la sua bocca. Intrecciai la lingua alla sua e ci baciammo a lungo.

Malgrado quel rapporto fosse stato così estemporaneo, quasi animale, la conclusione fu molto dolce e graduale, i nostri ritmi si erano trovati e fusi insieme permettendoci di godere uno dell’altra come avessimo un affiatamento affinato da decine di rapporti e non fosse, invece, la prima volta che ci concedevamo a vicenda. Uscii dalla sala operatoria ancora addormentato, la mia mente navigava nel mare della confusione totale, immagini e sensazioni del passato davanti ai miei occhi.
In un tempo che non so, ripasso’ nel mio cervello tutta la vita.
D’un tratto e durante il mio sonno, fui distratto da una piacevole sensazione.

Sentivo un calore nelle mie parti intime, così intenso al punto di raggiungere l’orgasmo.
Dopo un periodo di vuoto completo iniziai a svegliarmi. Tutto all’inizio mi sembrava appannato, lentamente iniziai a ricordare cosa mi era successo.

Il giorno precedente ero stato ricoverato in ospedale per un attacco di appendicite acuta, portato di corsa in ospedale e, senza indugio, portato d’urgenza in sala operatoria.
Sentivo il chirurgo abbastanza concitato dire ai collaboratori che vista l’eta’, ho 37 anni, non voleva correre nessun rischio.
Da qui la decisione di operarmi d’urgenza.

La mattina fu un via vai di medici ed infermieri, avevo dolori dappertutto, sentivo lo stomaco contorcersi, chiamai l’infermiera che subitamente mi porto’ un antidolorifico, dopo un po’ iniziai a sentirmi meglio.

Verso le 16.00 iniziarono le visite ed una colonna di parenti ed amici si alterno’ al mio capezzale “manco se stessi morendo”.
Per fortuna passarono quelle lunghe ore e venne la sera.

Ricevetti l’ultima visita del chirurgo che mi medico’ con la collaborazione di una infermiera niente male.
Mi accorsi che la tipa mi guardava con una certa insistenza. Li per li non ci feci caso.
Era veramente una bella ragazza, mora occhi castani un seno abbondante e poco piu’ sopra una bocca grande e carnosa.
Lei si accorse che anch’io la guardavo e forse ne fu contenta.

A medicazione fatta il chirurgo usci’, Sofia, questo e’ il nome dell’infermiera, si attardo’ un attimo e prima di uscire si giro’ verso di me augurandomi la buonanotte chiudendo la porta dietro di se.
Accesi la televisione e la spensi poco dopo, dopodiché spensi anche la luce centrale e rimasi con la notturna accesa.
Nel corridoi c’era il solito via vai di persone con i soliti brusii, mi assopii.
Non so quanto tempo passo’ nel frattempo in corsia era calato il silenzio totale.
Pensai che doveva essersi fatta notte. Infatti allungai la mano verso il comodino e guardai l’orologio erano le 2 passate.

Mi rimisi giu’ con la speranza di dormire un po’, la ferita mi faceva un male cane e, cazzo, non riuscivo proprio a prendere sonno.

Alla fine mi decisi, suonai il campanello e dopo qualche istante si apri’ la porta.
Una figura venne verso di me, riconobbi dalla voce e dalla poca luce che la circondava Sofia che mi chiese di cosa avessi bisogno.
Le dissi che avevo un male boia e che non riuscivo a prendere sonno.

– Aspetta solo un attimo – disse.

Ando’ via e torno’ dopo qualche istante con una siringa tra le mani, mi fece mettere di lato e mi inietto’ il farmaco aggiungendo – Vedrai tra un po’ andra’ meglio.

Ripresi la posizione supina, lei si avvio’ verso la porta e prima di uscire disse – Ora finisco il giro e poi ritorno da te.

Feci cenno con il capo e chiuse la porta.
Passarono circa 15-20 minuti quando vidi riaprirsi la porta.

– Eccomi – disse, richiudendo la porta dietro le spalle.

Si avvicino’ al letto e, senza proferire parola alzo’ la coperta.
Io, del tutto ignaro, pensai volesse controllare la medicazione.

Poso’ la mano sul mio ventre chiedendomi se faceva ancora male, io risposi che andava un po’ meglio.
Con mio grande stupore sentii la sua mano scendere lentamente verso il basso ventre.
La cosa mi turbo’, ma nello stesso momento provavo una bellissima sensazione.

Continuo’ ancora a scendere con la mano con molta delicatezza fino a raggiungere il pube. Vi si soffermo’ per un attimo e, senza darmi il tempo di dire o capire nulla, mi ritrovai col mio cazzo fra le sue mani. Inizio’ un leggero massaggio prima tra i peli poi giu’ fino alle palle.

A quel punto mi resi conto che qualcosa di molto piacevole stava per accadermi.

Ad un tratto prese ben saldo nella mano il mio cazzo e dopo averlo ben scappellato si chino’ iniziando a leccarlo.

Un calore immenso avvolse l’asta quando d’un colpo lo spinse fin nel profondo della gola.
Poi tolse la bocca per riprenderlo a menare con ritmo piu’ forte.

Io ero li inerme non potendomi muovere piu’ di tanto, riuscii pero’ ad allungare una mano e portarla dentro la scollatura del camice: aveva due tette da concorso tonde e sode con due capezzoli lunghi e duri come chiodi.
La sua mano si muoveva con maestria sulla mia verga, a tratti si fermava e assestava dei colpi secchi e violenti scappellandomelo tutto e dando dei leggeri colpi ai coglioni.

Ero al settimo cielo.

Tolsi la mano dal suo prosperoso seno, le passai la mano dietro la nuca invitandola a riprenderlo in bocca.
Lei lo scappello’ per l’ennesima volta, si chino’ su di me e inizio’ quello che mi sembro’ il bocchino piu’ bello della mia vita.
Inizio’ a titillarmi la punta del cazzo con la punta della lingua, poi inizio’ a girare tutto intorno la cappella con una lentezza estenuante per poi di colpo mettersela in bocca e succhiarla con avidita’.

Tutto questo duro’ alcuni minuti, minuti bellissimi e di piacere intenso.
La libidine assali’ tutto me stesso; allungai la mano ma questa volta la portai in mezzo alle sue gambe che divarico’ in modo osceno.

Salii direttamente verso la sua fica e dopo averle spostato gli slip da un lato introdussi le dita.
Sentii una peluria morbida e foltissima; sembrava avesse un gatto tra le cosce.

Con le dita le allargai le grandi labbra e iniziai ad accarezzarle il clitoride.

Lo trovai durissimo e lungo, sembrava quasi un mini cazzo. Piu’ glielo titillavo e piu’ lei si infoiava sul mio cazzo.
Passammo cosi’ alcuni minuti: lei sembrava un’animale una bestia in calore, la mia mano completamente bagnata dei suoi umori.

Ad un tratto lascio’ il mio cazzo iniziando ad ansimare dicendomi con un sospiro un soffocato – …..vengooooooooo!!

Abbandonai la sua fica e mi portai la mano prima al naso per sentirne l’odore poi di colpo in bocca e leccai tutto quel miele.

Quando si riebbe, riprese il cazzo in bocca che nel frattempo aveva perso di tono. In un istante lo riporto’ alla dimensione precedente, continuo’ ancora a leccare e succhiare.

Non ne potevo proprio piu’, ormai la voglia di godere era grande.

Lei di colpo passo’ da un ritmo forsennato ad un andamento lento, i coglioni non vedevano l’ora di svuotarsi.
Dovetti aspettare ancora qualche istante quando all’improvviso sentii salire per il canale urinario una quantita’ di sborra che di li a poco le avrebbe riempito la bocca.

Dopo qualche frazione di secondo infatti sbottai col primo schizzo abbondantissimo e successivamente con altri due, tre, quattro.
Ad ogni schizzo con colpi di reni affondavo il mio cazzo nella sua capiente bocca, lei, impassibile succhiava e ingoiava quella crema.

Quando ebbe finito mi lascio’ completamente esausto sul letto.

Mi addormentai.

Al mattino seguente fui svegliato: era lei con una tazza di the

– Buondi’! Come va? Tutto bene? – disse

– Si – Risposi

– Bene – disse ancora – Allora domani ci lasci.

– Non vedo l’ora – risposi

Poggio’ il vassoio sul letto e si allontano’.

Presi la tazza dal vassoio, bevvi il te e nel riporre la tazza vidi un foglietto.

Lo presi e lessi: e’ stato bellissimo, diceva, spero che dopo la tua dimissione ti farai sentire. Ho voglia di fare ancora qualcosa con te, questo e’ il mio cellulare, chiamami se vuoi, un bacio Sofia. Mi chiamo Lisa e qualche giorno fa, facendo le solite pulizie domestiche, mi è capitata tra le mani una fotografia del mio matrimonio, avvenuto alcuni anni fa e, guardandola, mi sono ritornati in mente i ricordi del giorno più bello della vita.

Certo, il giorno del matrimonio per una ragazza già e da ricordare di per se, se poi capita quello che è successo a me diventa indimenticabile per sempre.

All’epoca avevo 27 anni e convolavo a nozze dopo un fidanzamento di circa 5 anni con Marco, mio marito. Abitavo in una villetta di periferia, per cui il pranzo con tutti gli invitati lo facemmo in giardino a casa dei miei. Ero la seconda di tre figli con una sorella maggiore già sposata e un fratello minore, Giuseppe o meglio Pino come lo chiamavamo noi, di 18 anni appena compiuti e cresciuto in una scuola privata gestita da suore, quindi sempre un po’ timido e riservato.

Quel giorno era un giorno di allegria e mi sentivo eccitata ed euforica. Non ero vergine, avevo già avuto rapporti con il mio ragazzo, ma quel giorno, non so perché, forse il pensiero della prima notte, ero fuori di testa.

La cerimonia andò avanti con balli e fiumi di vino. Tutti eravamo trasportati dall’entusiasmo, tutti tranne Pino che con il suo carattere riservato sembrava un po’ triste.

Arrivò il momento di cambiarmi di abito e risalii nella mia camera. Mi accompagnarono mia madre e mia sorella maggiore. Io, per godermi per l’ultima volta la mia cameretta, decisi di restare da sola avvertendo i miei che avrei fatto le cose con molta calma.

Ero seduta sul letto quando qualcuno busso alla porta: era Pino che mi disse di aver portato il suo regalo. Così aprii, lo feci entrare e saltandogli al collo gli dissi: “Grazie, Pino, ero ansiosa di vedere il tuo regalo, come mai non l’hai mostrato giù a tutti ???”

Lui arrossendo in viso rispose: “Be Lisa sai…mi vergogno, ti ho regalato una cosa… forse un po’ troppo personale e non volevo essere preso in giro da tutti ”

Io risi e scartando il pacco dissi: “ma Pino! Non devi essere così timido, ormai sei maggiorenne e devi affrontare le cose con lo spirito di un adulto non sei più un bambino”

Quando finii di scartare il pacco mi ritrovai tra le mani un completino intimo formato da un paio di mutandine molto sgambate, quasi un tanga, e un reggiseno merlettato bianco che era una favola.

Rimasi senza parole.
Pino ormai tutto rosso con voce emozionata mi disse: “Spero ti piaccia… Non so se la misura vada bene ma puoi sempre cambiarlo. Ho speso tutto quello che avevo…ma avrei voluto fare di più” .

Mi resi conto che che la tristezza di mio fratello era dovuta al fatto che da quel giorno sarei andata a vivere fuori città e lui sarebbe rimasto solo.

Trasportata dalla euforia del giorno gli risposi: ” Pino è stupendo, ti giuro è il più bel regalo che abbia ricevuto ”

“Lisa veramente non fare cerimonie se non ti piace o la taglia è sbagliata puoi cambiarlo ”

“Ma nooo. Pino ti dico che è stupendo, non sto facendo cerimonie e poi non credo che la taglia sia sbagliata. Tu dovresti sapere quali sono le mie misure?” – L’ultima frase la dissi con aria furba di chi voleva mettere in difficoltà Giuseppe; sapevo infatti che lui spesso mi spiava quando ero in bagno o quando mi svestivo in camera.

Lui, sentitosi scoperto delle spiate dal buco della serratura, replicò quasi a difendersi: “No Lisa mi sono regolato ad occhio. E poi mi sono fatto consigliare dalla commessa… Si, si…la commessa ”

Io per cercare di alleggerire la tensione replicai: “Ma dai non devi scusarti! So che se triste perché da domani, non sarò più in questa casa e tu non potrai…”

Lasciai la frase in sospeso per vedere la reazione ma mio fratello non rispose e chinò la testa.

In quel momento mi sentii in difetto: forse avevo infierito troppo su di lui. Iniziai a provare uno strano senso di colpa, ero così euforica e lui così triste…dovevo fare qualcosa!
Così, trasportata dall’eccitazione del momento la porta a chiave ed esordii: “Visto che ti sei regolato ad occhi per la misura e visto che quando si fanno i regali poi bisogna sapere se sono veramente piaciuti…e che sei triste perché da domani non potrai più spiarmi quando mi spoglio…”

Lui mi interruppe: “Ma quando mai? Chi? Io??…”

Io allora ripresi: “dai non fare così tanto lo so che mi spiavi e a volte ero io che pur sapendolo ti lasciavo guardare… Insomma, se può servire a farti sorridere puoi rimanere qui”

Ero frastornata non sapevo neanche perché mi stavo comportando così, forse speravo che lui se ne andasse chi sa o forse mi eccitava farlo eccitare. Lui si sedette sul divanetto e io ancora in abito da sposa ero davanti a lui. Iniziai a spogliarmi, tirai fuori le braccia dal vestito e lo feci scivolare fino alla vita rimanendo solo con il reggiseno di pizzo bianco trasparente che mostrava le mie grosse poppe e i capezzoli che dall’eccitazione stavano quasi per bucare il tessuto. Non avevo il coraggio di guardare Pino.

Continuai sfilandomi completamente il vestito bianco e rimanendo in calze auto reggenti e slip bianchi che lasciavano intravedere il mio sesso castano scuro in contrasto con il candore dell’abbigliamento.

Alzai gli occhi e vidi che Pino quasi si vergognava a guardarmi. La sua patta visibilmente gonfia ed accentuava maggiormente il suo disagio.

Trascinata da quel gioco perverso che si era innescato mi slacciai il reggiseno mostrando il mio seno in tutto il suo splendore. Dopo le coprii con il reggiseno regalatomi da Pino mentre lui intanto dentro di se letteralmente sbavava.

La sua patta stava quasi per esplodere.

Feci la stessa cosa con gli slip, e feci in modo che lui potesse vedermi bene completamente nuda. Poi indossai quelli regalati che mi davano un aria ancora più sensuale.

Il silenzio nella stanza fu rotto dal coro degli invitati che mi invitavano ad affacciarmi così dissi ad Pino di non farsi vedere mentre io andavo alla finestra.

“Mentre io mi affaccio, se vuoi, puoi guardare anche da vicino” – aggiunsi in preda alla eccitazione più completa.

Mi girai verso la finestra e aperta la porticina dell’anta tira fuori la testa assumendo una posizione china in avanti. Divaricai le gambe per avvantaggiare la visuale ad Giuseppe non immaginando quello che di lì a poco sarebbe successo.

Stavo salutando gli invitati e mio neo marito che ballavano quando sentii Pino avvicinarsi alle mie spalle. Avrei voluto che il gioco innescatosi finisse lì, ma ormai non potevo più controllarlo: sentii la sua mano appoggiarsi sulla mia schiena e iniziare un lento massaggio prima sulla schiena e poi man mano scendere verso il fondo schiena.

Sudavo freddo e non potevo reagire.

Ad un tratto la sua mano si poggiò sulle mie natiche e con il dito inizio a esplorarle. Cercavo di non far capire cosa stesse succedendo alle mie spalle con sorrisi sforzati, intanto dietro di me la mano di Pino diventava sempre più intraprendente. Le sue mani si facevano sempre più ardite e mi tastavano con sempre più insistenza quasi a voler sfondare lo slip.

Poi le spostò verso le parti più intime. Ero eccitata e confusa, mi sentii spostare le mutandine e il suo freddo dito entro a contatto con la mia calda parte intima che era bagnata dall’eccitazione. Mi penetrò. Il mio urlo di piacere fu mascherato da un olè intonato con la musica.

Il ritmo del movimento del suo dito mi mandò in estasi.
Non resistetti più, quando cominciò ad usare anche la sua lingua sulle parti intime: salutai tutti dicendo che mi dovevo vestire e rientrai la testa.
Voltandomi trovai mio fratello in piedi e con la testa china mi disse: “Perdonami Lisa, ma non ho resistito. In fondo…sei stata tu a provocarmi”

Avrei voluto riempirlo di schiaffi, ma aveva ragione lui: ero stata io ha provocarlo lo guardai e notai che la sua erezione ormai era indescrivibile.

Allora gli dissi: “Cerca di non sporcarti i pantaloni altrimenti cosa racconterai??? ”
E lui, candidamente “Non posso farci nulla sta su da solo”
“Forse e meglio se li sbottoni, almeno non si macchieranno ” – insistetti, spinta dalla voglia di vederlo.

Lui si sbottonò i pantaloni e quando la sua verga fu coperta solo dagli slip con delicatezza lo toccai e glielo tirai da fuori. Era bellissimo: nonostante la sua giovane età aveva un pistolone niente male.

Lo tenevo in mano e lo guardavo negli occhi, poi iniziai a scappellarlo e a carezzaglielo. Lui rispose toccandomi le tette e cercando di liberarle dal reggiseno.
Mi chinai e dopo averlo baciato iniziai a fargli un pompino. Era una sensazione strana avere il pisello in bocca di mio fratello.
Dopo qualche colpo dalla finestra arrivarono di nuovo i richiami “Lisa! Lisa!” così dovetti mollare la presa e riaffacciarmi.

Mentre salutavo con il sorriso sulle labbra Pino inizio ad abbassarmi le mutandine, lo lasciai fare consapevole di dove voleva andare a parare.

Inarcai la schiena e divaricai le gambe, sentii la sua cappella infuocata entrare a contatto con la mia vagina, che ormai non aspettava altro. Con un colpo sicuro mi penetrò. Giù tutti sventolavano i tovaglioli ed io in preda ormai all’orgasmo più puro fingevo di divertirmi per le loro cavolate. In realtà stavo godendo per la stupenda scopata che Pino mi stava regalando.

Dopo circa cinque/dieci minuti rientrai la testa e mi scatenai in un corpo a corpo con Pino che mi fece raggiungere l’orgasmo almeno tre volte. Scopammo sul lettino e trasportata dall’eccitazione gli donai anche il mio culo che fu profanato dal suo bastone con la stessa facilità di un coltello affilato che entra nel pane caldo.

Mi scopò in posizione prona per quasi dieci interminabili minuti dopo venne dentro ed io con lui provando un piacere che non avevo mai raggiunto in vita mia.

Dopo esserci ripresi dissi a mio fratello che quello che era successo era stata una debolezza comune, forse trasportati dal troppo vino che avevamo bevuto. Lui si rivesti e mi lasciò sola nella mia stanza.
Mi lavai e mi rivestii. Dopo scesi tra gli invitati e continuai a far finta di niente: ero sposata da meno di 10 ore e già avevo tradito mio marito, per di più con mio fratello.

Facemmo una foto di gruppo e Pino capitò alle mie spalle. Mentre ci preparavamo sentii la sua mano appoggiarsi sul mio culo. Feci finta di niente e il fotografo scattò.

Da quel giorno abito in un’altra città. Non ho mai confessato a nessuno quello che è accaduto quel giorno del mio matrimonio, ma da allora non ho mai più tradito mio marito e forse non lo farò mai.

Ancora oggi conservo gelosamente la foto di gruppo dove tutti eravamo felici, compreso Pino. Mi chiamo Fabio, ho 28 anni e sono sposato da due anni con una ragazza davvero carina e molto formosa, Serena, di 26 anni, con la quale ho un rapporto sessuale molto appagante.
Conobbi Serena sei anni fa e ci fidanzammo dopo una settimana di frequentazione.
Lei, come me, è molto curiosa ed assieme abbiamo fatto l’amore davvero in tutti i modi.
Dopo un paio di mesi di fidanzamento abbiamo fatto l’amore (per lei era la prima volta) e non mi ci è voluto molto per convincerla a provare il sesso orale e quello anale.
Purtroppo i suoi genitori non ci hanno mai permesso, da fidanzati, di andare in vacanza da soli, quindi le prime quattro estati le abbiamo trascorse in un paesino del Molise assieme a loro.
La madre di Serena è una signora abbastanza appariscente, che non dimostra i suoi 47 anni: alta un metro e sessantotto, magra e con un seno quinta misura.

Tutto inizia, come ho già detto, l’estate di qualche anno fa fa, quando Serena è costretta a ritornare a Roma a causa di un improvviso problema sorto nell’ufficio in cui lei lavora.
Io mi ero slogato una caviglia giocando a pallone sulla spiaggia e non potevo guidare la macchina. Serena decise di rientrare a Roma con il padre e non sarebbe tornata prima di cinque giorni; il padre infatti veniva a mare solo il sabato e la domenica mentre dal lunedì al venerdì era a Roma a lavorare.

Rimanemmo in casa quindi solo io e la madre di Serena.

Premetto che mai, prima di quei giorni avevo guardato colei che poi sarebbe diventata mia suocera come una possibile partner in un rapporto sessuale; con lei parlavo molto liberamente di ogni cosa e mi piaceva considerarla quasi un’amica.

Ma sin dal primo giorno in cui eravamo rimasti da soli, il suo atteggiamento cambiò.
Normalmente lei indossava solo costumi interi per fare il bagno, quel giorno invece indossò un due pezzi molto succinto, leggermente trasparente.
Normalmente piantavamo l’ombrellone in modo da stare vicini ad altre persone con le quali ogni tanto scambiavamo due chiacchiere, quel giorno invece la madre di Serena volle prendere il sole in una zona più isolata perché meno vicina al mare.
Mi sorprese quando, stesa con la pancia in giù, mi chiese di slacciarle il reggiseno del costume per evitare l’antiestetica striscia bianca sulla schiena. Così mi disse, domandandomi pure se mi imbarazzava spalmarle l’abbronzante sulle spalle.

Fu in quel momento che provai per la prima volta una forte eccitazione nei confronti di mia suocera.

Lei era sempre sdraiata a pancia in giù, ma parlava con me alzando la schiena e non era possibile che non si accorgesse che gran parte dei suoi grossi seni così risultavano ben visibili. Non era possibile che non si accorgesse che il mio sguardo cercava sempre più frequentemente di intravedere almeno un po’ dei suoi capezzoli.

Era chiaro: mi stava intenzionalmente provocando.

Ritornati a casa la mia convinzione andò via via aumentando. Lei, abituata a fare la doccia nel bagno, quel giorno la fece con me dietro casa all’aperto, aprendo più volte con disinvoltura i due pezzi del costume.
Quando poi uscì dalla camera da letto dov’era andata a cambiarsi, le mie convinzioni diventarono certezza: aveva indossato, al posto dei soliti camicioni, una magliettina bianca troppo stretta per lei e per i suoi seni e che faceva intravedere tutto il reggiseno!

Riconobbi la maglietta, era di Serena: mia suocera aveva indossato una maglietta della figlia. Oramai era chiaro che voleva provocarmi!

A tavola le cose non cambiarono: mia suocera iniziò a farmi domande “strane” sul rapporto tra me e Serena, dicendomi che sapeva benissimo che quando noi tornavamo la sera a casa, e lei ed il marito dormivano, noi ne approfittavamo per fare l’amore. Alzandosi da tavola per dirigersi verso il frigorifero mi disse “Una volta vi ho anche sentiti, ma la cosa non mi ha dato fastidio, anzi.”.

Fu a quel punto che mi alzai, mi avvicinai a lei che era di spalle, presi in mano i suoi seni spingendo il mio pene eretto contro il suo culo.

Lo schiaffo che ricevetti in cambio fu terribile. Ancora di più le sue parole: “Ma che credi di fare?? Sei impazzito?? Vattene da qui!!!”.

Il mondo mi crollò addosso, sarei voluto sprofondare. Mugugnai qualcosa cercando di chiederle scusa ed andai di corsa nella mia cameretta.
Mi sedetti sul letto mantenendomi la testa tra le mani. Non sapevo cosa fare.
Avrei dovuto supplicarla di non dire niente a Serena ed al marito? Avrei dovuto trovare una giustificazione per l’accaduto?

Rimasi così per una decina di minuti, mentre sentivo mia suocera muoversi nervosamente per la casa sbattendo le porte.

All’improvviso entrò nella mia camera. Mi sembrava di leggere nei suoi occhi profondo odio nei miei confronti.

Invece, continuandomi a guardare, si tolse la maglietta e si abbassò la gonna.

Rimasta in reggiseno e mutandine continuava a guardarmi. Mi alzai di scatto e non potetti fare a meno di guardarla dalla testa ai piedi.
Po portò le mani dietro la schiena e si slacciò il reggiseno facendolo cadere a terra.

Il suo seno era bellissimo e nonostante fosse quello di una maggiorata non era cadente.
Mi meravigliai di vederlo così in su. Portai le mie mani sui suoi seni stringendo tra il pollice e l’indice i suoi capezzoli che poco alla volta diventavano sempre più duri.

Mise una mano dietro la mia testa e la spinse verso di se. Avrei voluto abbassarla per andare a baciare i suoi capezzoli, ma lei invece mi tirò a se e iniziò a baciarmi.

Appena si staccò da me, si abbassò le mutandine e si stese sul letto.

Io le presi la mano e la portai sul mio pene oramai durissimo. Lei ebbe un sussulto che mi convinse a non perdere nemmeno un secondo per abbassarmi il costume e togliermi la maglietta.
Salii su di lei ed iniziai a baciarla, mentre con una mano stringevo con forza il suo seno. Poi presi il mio pene e finalmente la penetrai.

Iniziai ad andare su e giù lentamente ed un po’ alla volta aumentai il ritmo. Lei teneva gli occhi chiusi e gemeva sempre di più.

Il mio orgasmo si faceva sempre più vicino e io le chiesi se prendeva la pillola.
Mi rispose di no, chiedendomi di venirle addosso.

Appena pronunciò queste parole fui travolto dall’orgasmo: estrassi velocemente il pene dalla sua fica bagnatissima ed arrivai. Spruzzai tutto con forza ed il getto se non avesse incontrato il suo seno le sarebbe arrivato in faccia.

Rimanemmo così per una ventina di secondi.
Aprì gli occhi dicendo che era stato bellissimo. Io mi alzai, presi dei fazzolettini di carta e iniziai a pulirla.

Nel frattempo lei prese di nuovo il mio pene in mano, rimasto perfettamente duro.
Mi resi conto che lei non aveva raggiunto l’orgasmo.

Iniziai allora a leccarle di nuovo i seni, poi la feci sedere sul letto e mi alzai in piedi. Le avvicinai il pene alla bocca e lei mi guardò con lo sguardo stupito.
Capii che non aveva mai preso un uccello in bocca. Insistetti un poco ed ecco che lei, dopo aver chiuso gli occhi, aprì la bocca e la richiuse attorno al mio pene.

Imparò molto in fretta; dopo una ventina di secondi iniziai a provare piacere per come me lo succhiava.
Pensai, ridendo, che lo prendeva in bocca proprio come faceva Serena.
Mi chiese il motivo di quel sorriso ed io, senza più inibizioni, glielo dissi. Lei sorrise e continuò.

Poi mi fece stendere sul letto e salì sopra di me, essendo questo l’unica posizione – disse – nella quale raggiungeva l’orgasmo.
Dopo alcuni minuti venne, urlando come non avevo mai sentito. Mi chiese se anche io ero pronto per sporcarla di nuovo e queste parole mi eccitarono tantissimo.

Mi alzai e le chiesi di prendermelo ancora in bocca. Le chiesi anche se voleva provare a farsi arrivare in bocca.
Lei rispose di si e, nonostante fosse la prima volta non mostrò nessun impacciamento.

Serena in genere ingoiava la maggior parte dello sperma, la madre invece dalla bocca lo fece cadere sul seno e iniziò a spalmarselo con le mani.
Poi mi chiese di leccarne un po’ e di baciarla, ed io lo feci.

Passammo i giorni seguenti quasi sempre chiusi in casa facendo l’amore almeno tre volte al giorno.

Oltre al piacere dell’atto sessuale, era bellissimo la sensazione di libertà che provavo: potevo chiederle come se niente fosse di farmi venire in bocca.

L’ultimo rapporto l’abbiamo avuto la mattina prima che Serena ed il padre arrivassero.
Essendo consapevoli entrambi che sarebbe stato difficile dopo fare di nuovo del sesso ci impegnammo molto.
Lei venne come al solito stando sopra di me, io le chiesi di farmi una spagnola e di venirle in faccia.

Ci demmo un lungo bacio, con le lingue sporche di sperma, poi ci pulimmo.

Quando Serena giunse a casa le cose ritornarono alla normalità, a parte il fatto che mentre facevo l’amore con Serena sognavo la madre.

Ritornati a Roma, a parte un pompino che mi fece mentre Serena era in bagno a prepararsi, mia suocera mi disse che non era più possibile andare avanti così e che non bisognava rovinare due famiglie solo per una forte attrazione sessuale tra di noi.

Ho accettato con rammarico questa cosa.
Molti dicono che le suocere danno fastidio, la mia invece mi piace tantissimo! Il freddo era pungente e il vento portava una gelida aria di neve.
L’inverno era nel pieno e le bianche montagne lo accoglievano nel proprio grembo.

Il paesino sembrava appoggiato su un letto di neve.
Le luci gialle delle sue case spiccavano nell’azzurro del cielo e della neve, che ne rifletteva il colore, del crepuscolo.

Ma le grida delle ragazze e le risate dei ragazzi che giocavano e si rincorrevano su quel campo di pattinaggio riempivano l’aria di colore, e il calore delle risa riscaldava gli animi.

Noi pure ci paravamo intorno al campetto, divertendoci nel vedere pattinare i ragazzi sul campo.
Giunti da poche ore alla montagna le giacche a vento ancora non avevano preso il posto dei cittadini cappotti, e il secco freddo delle alpi ci coglieva disponibili e impreparati.
Lei, davanti a me, era appoggiata alla balaustra di recinzione del campo ed io, da dietro, la abbracciavo, per ripararla dal freddo e, talvolta, per baciarla sul collo.
Era il nostro primo capodanno insieme sulla neve.
Lei portò le mani dietro la schiena e le infilò nel mio capotto.
La abbraccia più stretta per riscaldare le sue gelide mani.
Sentii d’un tratto la punta delle sue dita scivolare sui miei pantaloni giusto al di sopra del mio membro; immobile lasciai la punta delle sue dita circoscriverne il contorno attraverso i tessuti per poi premerlo con tutta la lunghezza per saggiarne la durezza.

Io, allora, nell’ abbracciarla, feci scivolare una mia mano entro il suo cappotto e,per un lunghissimo istante, attraverso i tessuti che la coprivano, prese nel palmo uno dei suoi seni, lievissimamente stringendolo, mi illusi, forse, di avvertire turgido il suo capezzolo, confondendolo, forse, attraverso la lana del maglione, con un bottone della sua camicetta o la cucitura del suo reggiseno.

Ma, trascorsi alcuni minuti, dopo un paio di plateali cadute proprio davanti

a noi ed di trattenute risate, avvertii la sua mano risalire di nuovo, dentro al mio cappotto, questa volta fino alla cintura, da cui si tuffò all’interno dei miei pantaloni e, direttamente, dei miei boxer.
Avvertii la sua mano chiusa scendere sempre più in basso fino a sfiorarmi il membro, e solo allora aprirsi e afferrare a pieno palmo l’asta.
Sentii il gelo della sua pelle sul calore della mia e questo eccitò oltre misura i miei sensi tanto che non seppi trattenere un sospiro di piacere.
Repentinamente il mio membro si inturgidì ed a fatica i miei pantaloni poterono contenere la sua mano avvolta al mio pene turgido.

Ignari, intorno a noi, ragazzi e ragazze si muovevano e si rincorrevano gai dentro e fuori al campo di pattinaggio.

Sentii la sua mano scivolare sempre più in basso fino a che le sue dita poterono carezzare lievi i miei testicoli ed ancora il contatto della mia pelle riscaldata con il fresco delle sue dita rinvigorì la mia eccitazione.
Riportò quindi la sua mano verso l’alto, verso l’uscita, ma quando il suo palmo sfiorò, lungamente, il mio glande una grossa goccia uscì dal mio membro, fù allora la sua eccitazione che le impedì di togliere la mano dal mio intimo.
Sentii allora la sua mano aprirsi completamente per poi serrarsi attorno al mio membro stringendo forte il mio glande nel palmo per poi scendere improvvisamente fino alla base dell’asta e quindi risalire repentinamente e, quando questo suo movimento, determinava l’uscita di una goccia di liquido, la sua mano si soffermava sul mio glande, e il suo dito penetrava tra la pelle tirata verso l’alto e scivolava sul mio prepuzio e sul glande stesso tumido e bagnato.
E tanto più il mio membro si umettava tanto più la sua mano si trastullava sul mio glande bagnato e scivoloso, rendendomi sempre più eccitato e preda dei miei sensi impazziti grazie alla meravigliosa e dolcissima tortura della sua piccola mano.
Sentii le sue dita stringersi allora al mio membro e la sua mano muoversi sempre più ritmicamente dall’alto in basso fino a che la mia eccitazione giunse al culmine e il piacere mi colse, completamente, senza remore e difese, e il cuore impazzito pulsò con forza inaudita verso il mio membro e il seme caldo e denso esplose come da un vulcano dal mio fallo teso e turgido, e come da una fontana lo schizzai sulle sue dita, sulla sua mano e caldissimo lo avvertii colare come lava sulla sua pelle e sulla mia mentre la sua mano si beava di quel bagnato e gaia vi giocava come un bimbo nella sua tinozza, come un pesce nel suo ruscello, fino a estrarre ogni goccia del mio seme, fino a esalare ogni goccia della mia passione.

Allora la presi tra le mie braccia e, con forza la rigirai verso di me, così facendo, per un attimo, apparve non più nascosto il suo gesto e da dove la sua mano stava uscendo, ma troppo forte bisogno di baciarla.
Colsi, prima di posare le mie labbra sulle sue, lo sguardo sorpreso di una giovane pattinatrice che, tuttavia, nell’incontrare quello altrettanto esterrefatto dell’amica, finì col volgersi in un sorriso così gaio e divertito da fissarsi con un senso di allegria nella mia memoria, poi, chiusi gli occhi e tutto ciò che era al di fuori della sua bocca e della mia scomparve dissolvendosi nella nostra passione. *** 30 anni fa – Autunno ***

Eri la mia compagna di liceo. All’inizio una come tante.
Forse meno, perché l’aria da snob che avevi ti rendeva ai miei occhi insopportabile.
E poiché sono un tipo orgoglioso, non ti vedevo nemmeno bella.
Tu sentivi la mia ostilità e ripagavi il mio sentimento ignorandomi.

Poi, chissà perché, un giorno io ti guardai in un altro modo.
Tu anche.

E fu tutto diverso: mi innamorai di te.

Fu un amore in cinemascope il mio, a caratteri cubitali, travolgente come un caterpillar impazzito, folle e disperato, uno di quelli che il cuore non riesce né a concepire né a dominare, uno di quelli che turano ogni poro della pelle, che tolgono il sonno e l’appetito, che martellano incessantemente il corpo di giorno e l’anima di notte.
Uno di quelli come si vedono nei film, come si leggono nei libri delle favole, come non accadono nella realtà.

Non avrei mai creduto che tu, come un essere alieno, saresti entrata in me facendomi star male da cani: eri l’amore dei sedici anni!

Diventasti la mia principessa, io il tuo cavaliere virtuale, orgoglioso di averti conquistata.
Avrei combattuto contro i draghi più feroci, contro i mostri più orribili delle favole, per te.
Avrei scalato montagne mille volte più alte dell’Everest, sarei disceso nelle immense e inquietanti profondità dell’Oceano, per te.

Ti adoravo e veneravo come una dea.

Sognavo di volare con te sul tappeto volante dei miei sogni, dei miei desideri e portarti in giro per l’universo mostrandoti orgoglioso agli esseri umani di terre lontane e dire loro: “questa è la mia donna, questo è il mio grande amore”.

Non sarebbero bastati il genio e la fantasia di Prevert, di Neruda, di Garcia Lorca, di Baudelaire per rendere onore a quel mio amore. Non avrei trovato nei vocabolari di tutto il mondo le parole più adatte a descriverlo e a raccontare quanto grande fosse.
Ero talmente innamorato di te che nemmeno pensavo al sesso.

…o forse ci pensavo…

Ma l’idea era così sconvolgente, così traumatizzante che preferivo tenere lontano dalla mente quel dolcissimo e inebriante sentimento.
Solo nella mia intimità, mi accorgevo di quanto tu fossi importante per me a qualsiasi livello.
Sarei stato il tuo schiavo per dieci, cento vite, pur di vederti felice e realizzata.

Ti avrei tenuta in palmo di mano, coccolata e vezzeggiata come il più tenero dei pulcini.

Per l’eternità.

Ti avrei potuto ricoprire di fiori, ma non sarebbero bastati i prati dell’universo intero per renderti omaggio.

Purtroppo già allora sapevo che il mio era solo un sogno e nulla più.
Un amore impossibile, anche se i tuoi sguardi, i tuoi occhi dicevano quello che la tua bocca non ha mai osato pronunciare e il tuo cuore, sintonizzato sulla stazione radio del mio amore, parlava a chiare lettere. Io bevevo le emozioni ed il sentimento che esso mi trasmetteva. Con estasi. Con tormento. Con amarezza. Con dolore.

Come Prometeo, offrivo senza ribellione il mio fegato al becco dell’aquila affamata che me lo divorava giorno dopo giorno, senza sosta: pur di continuare ad amarti preferivo soffrire pene da eroe della mitologia greca.

Dei del Cielo! Perché avete congiurato contro di me, impedendomi di realizzare il sogno più bello di tutti?
Dei degli Inferi! Perché non avete voluto che io e Lei viaggiassimo insieme fino allo spegnersi delle nostre vite?
Quanto grandi sono state le mie colpe perché mi fosse negato quell’amore?

Il sole dell’estate imminente, al termine del ginnasio, segnò la dolorosa fine del mio sogno: come una bolla di sapone salisti in alto leggera, volasti via sotto la spinta lieve della brezza marina e ti dissolvesti nell’aria.
Sapevo che difficilmente ti avrei rivista. Solo un caso fortuito della vita lo avrebbe consentito, così quelli che seguirono furono i giorni più tristi della mia giovane esistenza.

Avrei voluto che quell’anno scolastico non finisse mai, che continuasse per sempre, così per sempre avrei potuto continuare ad averti accanto a me per contemplarti e amarti. Splendida. Affascinante. Lontana. Irraggiungibile.

Ricordo il tuo corpo dalle linee armoniose, perfette come una statua di Fidia. Ricordo le tue apparizioni sulla spiaggia quando tutti, proprio tutti, si giravano a guardarti.

Al mare riacquistavi la tua sessualità e ti vedevo donna. E che donna!

Godevo della tua bellezza in silenzio. Affascinato. Stregato. Sedotto. Vinto.

Non è facile descrivere quello che avrei desiderato fare di te, con te: da una parte non avrei voluto sfiorarti nemmeno con un dito per non sciupare la tua bellezza infinita, dall’altra ti avrei divorato con la foga della mia giovane vita e ti avrei stropicciata come un foglio di carta stagnola per meglio assaporare le tue forme provocanti e ti avrei regalato baci uno più saporito dell’altro.

Non oso nemmeno pensare a quello che avrei provato se solo fossi riuscito a penetrare la tua morbida carne.
Mi sarei sciolto dentro di te come burro al sole, prima di trarre dal tuo corpo estasiato dal piacere, come dalle magiche corde di un’arpa, melodie celestiali.
Come una farfalla multicolore mi sarei posato su di te e avrei impollinato il mio corpo del tuo nettare.

Il mondo intero si sarebbe fermato a guardare noi due avvinghiati l’uno all’altro e a sentire le nostre grida di innamorati mentre, come Apollo e Dafne, celebravamo l’apoteosi del nostro amore immersi nei verdi paesaggi dell’Arcadia.

Avrei tirato fuori dal tuo ventre quel piacere primordiale che la nostra madre-terra provò quando, dopo esser stata fecondata per la prima ed ultima volta, originò la vita.
Avrei regalato agli dei tutto l’immenso piacere che tu avresti potuto darmi unendoti a me, perché lo trasformassero in un dio.
E come per magia i nostri corpi non avrebbero fatto ombra alla luce del sole.
Perché chi si ama non ha corpo. Ha solo anima. E l’anima è un’aquila maestosa che vola nel cielo, sopra tutto e sopra tutti, inafferrabile.

Ma il mio sogno irrealizzato, come un martire giovane e innocente, qualche tempo dopo (mesi, anni, mai?) finì in croce, tristemente, in un giorno di giugno lontano: il destino avverso aveva vinto e io non volli che mai più un’altra donna profanasse il tuo ricordo.

*** 10 anni fa – Primavera ***

Il tempo consumò inesorabilmente venti lunghi calendari da quel giorno.
Ormai della grande passione bruciata furiosamente in quell’anno lontano era rimasta in me una piccola, tenue fiammella, che però come un virus tenace, resisteva e si opponeva con ostinazione profonda per non far scivolare il tuo ricordo nel mare dell’oblio.
Mi accorgevo che, se solo indugiavo più di un attimo nel ripensarti, essa divampava in fiamma turbinosa: non avrei mai pensato che sarebbe potuta accadere una cosa simile perché, dopo tutto il tempo trascorso, la mia passione per te avrebbe dovuto spegnersi per sempre.

Il destino, terribilmente cattivo, imprevedibile, creò l’occasione per metterci di nuovo uno di fronte all’altro.

Era primavera inoltrata.

Mentre facevo il footing sulla spiaggia ti rincontrai. Fosti tu a riconoscermi, a chiamarmi, a venirmi incontro e a stringermi fra le tue braccia.
Ti riconobbi subito e subito il cuore prese a galoppare furiosamente.
Ero di nuovo piccolo e balbettante di fronte a te. Respirai forte per riprendere fiato.
Confuso, dissi qualche banale parola di saluto che non ricordo, mentre ricambiavo timidamente il tuo abbraccio e ti baciavo sulle guance.
Una sensazione sconosciuta mi tolse il fiato.

Il tuo fascino era rimasto inalterato, anche se le unghie del tempo avevano scalfito la tua bellezza.
Ciò mi ferì a morte perché avrei voluto, amore mio dolcissimo, che essa avesse avuto la forza di resistere all’usura del tempo e che tu, come una lastra d’acciaio inossidabile, ti fossi presentata a me quel giorno, giovane e radiosa come ti desideravo e ti ricordavo.
Avrei preferito sobbarcarmi anche il peso dei tuoi anni, se solo fosse bastato a metterti al riparo dai guasti del tempo.

Non so cosa tu provasti nel vedere il mio viso segnato e maturo, i miei capelli argentati.
Forse non te ne dispiacesti.
Di certo il mio compito era stato assai più agevole del tuo: non avevo una bellezza superba da salvare.
Il rammarico che provai, pensando che il libro della tua vita fosse stato sfogliato da altri senza che io avessi potuto leggerne le pagine più belle, più importanti, più intime, fu grande.

Il tuo odore era rimasto nelle mie narici e nella mia anima intatto nel corso degli anni, senza che nessun altro fosse riuscito a sopraffarlo.
Mi riportò alla mente le festicciole che organizzavamo a casa quando ballavamo con le canzoni di Rita Pavone e di Gianni Morandi e le struggenti emozioni che provavo nello stringerti fra le mie braccia per un ballo, se riuscivo a vincere la terribile concorrenza degli amici e degli estranei.

Mi sudarono le mani, come allora, come sempre, quando ti stavo vicino.
Indugiammo a lungo in quell’abbraccio che avrei voluto durasse per sempre.
Vinta l’incredulità iniziale, ti strinsi sempre più forte a me. Non volevo più lasciare qualcosa che credevo di aver perduto per sempre.
Rimanemmo muti ad ascoltare soltanto i nostri respiri alterati da un’emozione profonda.

Ci staccammo dopo molto tempo. Ti guardai negli occhi, alla ricerca di un segno di imbarazzo, di un’emozione, ma come sempre il tuo sguardo era indecifrabile.

Dio! – Pensai – Se rinasco voglio essere donna per poter condurre il gioco dell’amore e capirci finalmente qualcosa!

Sorridevi ancora quando mi tirasti a te e mi baciasti. Fu incredibile, meraviglioso e inaspettato.

Assaporai le tue labbra con trasporto mentre un vento vorticoso si alzava intorno a noi sollevando sabbia, polvere e le nostre anime.
Fummo catapultati a velocità vertiginosa negli spazi infiniti dell’universo fra le nuvole dense come panna montata, mentre sotto ai nostri occhi scorrevano i meravigliosi paesaggi di quell’Arcadia, che sempre avevo immaginato fossero il teatro più adatto per la rappresentazione del nostro amore.

Poi il vento impetuoso cessò e le anime si ricongiunsero ai loro corpi, quando ci staccammo dal nostro bacio.
I pensieri riaccesero il mio cervello frastornato. Uno su tutti dominava: il grande giorno, quello che avevo atteso da sempre, era arrivato!

Ora che finalmente mi sentivo padrone e signore di te che avevi segnato così profondamente il corso della mia vita, avrei finalmente recuperato qualche pagina dal libro della tua vita.

Mi lanciasti la solita occhiata enigmatica, mi prendesti per mano e senza dire una parola mi trascinasti dietro ad una duna.

Togliesti il reggiseno offrendo ai miei occhi increduli la vista dei tuoi seni da Venere di Milo.
Abbassasti lo slip mostrandomi quel paradiso che per anni aveva tormentato i miei pensieri, solleticato i miei desideri e tutto il mio essere.

I miei sensi impazienti si scatenarono.

Dei del Cielo! Dei degli Inferi! Allora sono affrancato dalla pena che mi avevate inflitto! Allora la mia colpa non è stata così grande se ora mi consentite di cogliere il fiore più bello da un giardino così prezioso!

Ero del tutto incapace di comprendere se vivevo un sogno o una realtà, ma le mie dita bagnate erano lì a dimostrarmi che era tutto vero.

Forse per farti mia prima che il sogno svanisse, ti penetrai con la foga di un adolescente inesperto. Liberai il mio seme nel tuo grembo, consacrando l’eternità della nostra unione.
Furono momenti di trasporto incredibile, il cui ricordo ancora adesso mi fa venire la pelle d’oca e gli occhi lucidi.

Giocammo con i nostri corpi per un tempo che non riuscii a quantificare. Poi ci rivestimmo in silenzio mentre il sole affogava nelle acque placide di un mare ruffiano, colorando di un rosso malinconico e struggente il cielo. Assaporammo intimamente la gioia profonda che scorreva nelle nostre vene e dava un nuova e incredibile vitalità a tutte le nostre cellule.

Capii allora che anche tu, schiacciata dal mio stesso destino infame, mi amavi, che mi avevi sempre amato teneramente, profondamente, e che tutti i lunghi attimi consumati dal tempo fino al nostro incontro di quel giorno, non erano andati perduti.

Ritornammo là dove ci eravamo incontrati e salutati.

Tu mi guardasti sorridente, con i tuoi occhi scuri ed enigmatici.
Addio – mi dicesti a bassa voce, quasi per non farti sentire, stringendoti ancora una volta a me con trasporto. Prima ancora che io potessi chiederti una spiegazione, mi chiudesti la bocca con un bacio appassionato.

Quel bacio lungo e stordente, non so perché, ebbe però uno strano sapore d’addio.

Rimasi impietrito ed incapace di proferire parola mentre raccoglievi la tua roba.
Addio – mi ripetesti baciandomi velocemente sulle labbra, mantenendo lo sguardo basso.
Ti guardai intimidito mentre ti allontanavi e sparivi dietro ad una duna più grande delle altre. Ora il freddo vento dell’Artico sembrava essere arrivato fino a me, perché un brivido mi scosse dal profondo. Senza più energie e senza nessuna volontà di reazione, mi lasciai cadere a terra. Mille pensieri come mille dardi, trafissero il mio cervello. Tristi. Malinconici. Rabbiosi.
Rivolsi uno sguardo al cielo ormai buio un grido: Dei del Cielo, perché avete voluto che la mia esistenza fosse così misera e triste?

Non ti rividi mai più. Più e più volte ho ripensato a quei brevi attimi di comune felicità. Quel ricordo, come una persecuzione, mi ha condannato ad un rimpianto senza fine: il mio fegato continua ad essere straziato dall’aquila insaziabile del mio dolore, tanto che ancora adesso indulgo nel pensare che sarebbe stato meglio non averti mai rivista ed avuta tutta per me.

*** Pochi giorni fa – Autunno ***

Ho avvertito una fitta lancinante al petto, quando ho saputo che hai deciso di troncare la tua giovane vita, lanciandoti contro una metropolitana assassina, lasciando per sempre questo mondo infame: non c’è spazio per i cuori nobili su questa terra.

Un senso di nausea e di vomito mi ha colto e il mio fragile cuore ha cessato di battere per qualche istante. Ho perduto i sensi e quando mi sono risvegliato dal mio sonno di morte, nella mente scorrevano, come tante diapositive, le immagini più belle dei pochi attimi felici di vita vissuta insieme: come la lama affilata di un bisturi hanno lacerato il mio cervello. Ho pianto lacrime amare e disperate.

Il tuo tragico gesto ha dimostrato al mondo intero l’amore travolgente che nutrivi per me. Ma non occorreva arrivare a tanto per dimostrarlo: io lo sapevo.

Lo stesso tragico destino ci ha accomunato ed entrambi ne siamo rimasti schiacciati.

Forse qualche dea gelosa della tua femminea bellezza, qualche dio invidioso delle attenzioni che tu hai osato riservare a me, non ci ha permesso di vivere la vita come avremmo voluto.
Non ho potuto cogliere quel fiore di rara bellezza che tanto desideravo e che non avrei mai sciupato: lo avrei messo fra le pagine del libro di poesie da me preferito per impedire che il tempo me lo rovinasse.

Amore mio, avrei voluto che tu come un faro illuminassi la mia vita e invece la tua esistenza si è spenta nel buio di una stazione della metropolitana.
Se avessi lottato con tutte le mie forze, forse, avrei potuto strapparti al mostro che ti teneva abbracciata. Se avessi avuto una grande determinazione, forse tutto ora sarebbe diverso.
Avrei dovuto avere la consapevolezza che tu davvero mi amavi, che tu davvero volevi unirti a me. Allora sì che come San Giorgio avrei lottato contro il drago dalla lingua di fuoco!

I miei rimpianti finiscono qui.

Dopo la tua scomparsa da questo mondo, non ho più accettato di esistere e di continuare a bere l’amaro fiele dal calice della mia vita.
Prima non ho avuto il coraggio di farlo: ho sempre coltivato la segreta e mai sopita speranza di rincontrarti e poter camminare con te un giorno, mano nella mano.
Forse ho meritato tutta la sofferenza patita, perché sono stato e sono un incapace.

Nemmeno nel mio ultimo atto ho avuto successo. Il colpo di pistola sparatomi alla tempia non ha spento il mio spirito vitale.
Ora giaccio in coma profondo nella sala di rianimazione di un ospedale, intubato, con le flebo ai polsi, mentre una macchina cuore-polmoni respira per me.

Solo il cervello funziona ancora, ma ormai, bucato come una fetta di gruviera, sento che i miei ricordi e i miei pensieri stanno scivolando via, uno ad uno, come gocce di un liquido che fuoriescono da un recipiente bucato. Non mi è rimasto molto più tempo da vivere e spero di riuscire a completare la testimonianza di questo amore impossibile.

La mia anima gravita sopra di me e attende impaziente che questo povero corpo si spenga per poter fuggire via e venire da te. Sono sull’orlo di un precipizio avvolto da una caligine diffusa, appena rischiarata da una luce tenue che però non lascia trasparire nulla. L’ultima lacrima che è scesa dai miei occhi, qualche ora fa, ha corroso la carne della mia guancia come una goccia di acido solforico.

Ti ho amato tanto. Di un amore bello e folle. Ho patito l’inferno prima di poter raggiungere la serenità dello spirito che ora ho.

Amore mio, adesso non mi accontenterò di guardarti e di nutrirmi passivamente del tuo e del mio amore: non sono più un bambino innamorato, ma un uomo forte e determinato, un vero guerriero, che lotterà contro tutto e contro tutti, anche contro di te se sarà necessario, per far valere e difendere questo amore.
Non mi basterà cullarti, non mi basterà vezzeggiarti. Ora ho davanti a me tutta un’eternità per amarti nel modo giusto.
Il tempo della rivincita è arrivato e voglio riappropriarmi di tutto quello che mi è stato avaramente e lungamente negato. Sempre che tu lo voglia. Ma già so che tu lo vorrai e che stai aspettando con ansia il momento del nostri incontro.

Arriverò in sella ad un cavallo nero e sarò finalmente il tuo cavaliere. Insieme galopperemo per le celesti praterie del cielo e vivremo giorni felici. Terremo d’occhio gli innamorati che sulla terra, la nostra amata terra, soffrono le pene che noi abbiamo vissuto e veglieremo affinché il loro amore non finisca come il nostro: tragicamente.
Solo così la nostra vita terrena non sarà stata inutile.

Il nostro amore indistruttibile, ancorché inviso agli Dei, non potrà mai più essere contrastato. Sogno di tenerti la testa poggiata sul mio petto, teneramente abbracciata a me. Amore mio, la mente sta cedendo inesorabilmente.

Adesso che il mio spirito è pronto per volare via, ho paura di compiere l’ultimo passo. Ma il tuo volto bellissimo e sorridente, che vedo nella nebbia che mi circonda, e le tua braccia aperte pronte ad accogliermi renderanno l’ultimo cammino più agevole.

A presto, amore. Maria era una madre molto affettuosa, una moglie giovanile e graziosa, aveva lunghi capelli scuri con degli occhi verdissimi ed era ritenuta da tutti una delle più belle donne della città.
Amava e rispettava tantissimo suo marito Filippo.

Filippo era un buon marito e un professionista stimato in campo lavorativo.
Aveva sostituito il padre, da poco in pensione, nella guida di una piccola industria tessile nel nord Italia e grazie al suo lavoro poteva assicurare alla sua famiglia un altissimo tenore di vita.
Filippo amava terribilmente sua moglie.

La sua personalità comunque era decisamente più debole di quella di Maria: eccolo il loro unico problema.
Maria rimproverava spesso suo marito di essere molte volte un debole, di lasciare a lei tutte le decisioni più importanti.
Spesso avrebbe voluto vicino a se un uomo più forte, più deciso. Ma poi l’infinita dolcezza di Filippo, il suo sconfinato amore, le sue premure continue gli facevano scacciare via velocemente questi dubbi.

Filippo era poi un padre esemplare, amatissimo dai suoi due bambini e per Maria la famiglia era fondamentale.
Era molto attaccata alla sua famiglia: a sua madre Francesca, a suo fratello minore Giacomo, ma soprattutto ad Alessia, da sempre considerata la piccolina di casa.
Il papà lo aveva perduto quando ancora era una liceale.
Tutte e tre le donne passavano molto tempo insieme, anche se questa loro forte unione a volte dava fastidio a Filippo.
Non era cosa insolita che Maria si sacrificasse per sua madre o per Alessia.

La “piccola” di casa aveva dei seri problemi familiari: suo marito Gianni era stato di recente licenziato per la quarta volta nel giro di poco tempo a causa della sua inaffidabilità.

A Gianni il lavoro non era mai andato molto a genio; preferiva decisamente vagare la notte per squallidi locali notturni della zona.
Certe volte rincasava completamente ubriaco, per cui era pressoché impossibile per lui alzarsi di buon mattino e recarsi al lavoro.

Ben presto anche la situazione economica della coppia subì un vero e proprio tracollo.
Anche qui la colpa fu solo ed esclusivamente di Gianni, che in breve tempo riuscì a portare in rosso il conto in banca di sua moglie. Nel giro di un anno arrivò addirittura a cambiare ben tre automobili.
Insomma Gianni era veramente la pecora nera della famiglia.

Sia Francesca che sua sorella Maria avevano fatto molte pressioni su Alessia affinché aprisse una volta per tutte gli occhi.
Soprattutto Maria voleva che la sorella scuotesse suo marito, che oramai aveva toccato il fondo.
Maria non era riuscita mai a capire che cosa avesse trovato di buono sua sorella in Gianni: non era bello ma piuttosto basso ed appesantito nel fisico, non era colto ma soprattutto era di una rozzezza unica.

Maria e Filippo lo trovavano veramente volgare.

Gianni, naturalmente, era molto geloso della famiglia di Maria.
Era geloso del bellissimo rapporto che lei aveva con Filippo: mai un litigio tra loro, un attimo di tensione.
Invidiava la loro bellissima casa e la loro situazione economica.

Era oramai arrivato il mese di Luglio e Filippo si trovò costretto ad invitare nella sua casa al mare Alessia e suo marito che altrimenti non avrebbero potuto recarsi in vacanza per via dei loro problemi economici.

Anche per Maria fu una decisione molto sofferta, ma sua sorella veniva prima di ogni altra cosa.

Filippo aveva cercato in tutte le maniere di far cambiare idea a sua moglie, ma questa fu irremovibile: Alessia aveva il diritto di godersi un po’ di mare; in quanto a Gianni i due coniugi pensarono di ignorarlo il più possibile.

Ma convivere con Gianni, anche se per un tempo limitato, era veramente difficile.

Tutti in casa si davano da fare: Filippo si recava spesso in paese per fare la spesa, Maria e sua sorella si alternavano ai fornelli e nei lavori domestici. L’unico che in casa non dava assolutamente una mano e che non si poneva nemmeno il problema di farlo era Gianni.

Passava il tempo a leggere futili riviste sul gossip per tenersi informato sulle vacanze estive dei vip e così la sera, quando i quattro si ritrovavano al fresco sul patio, passava il tempo a commentare le notizie apprese da quella riviste.

Inevitabilmente Filippo, non sopportando il cognato, era il primo ad alzarsi ed andare al letto.
Maria si tratteneva un po’ di più per salvare le apparenze e per non dispiacere la sorella, ma alla fine anche lei lasciava la coppia da sola.

Una notte Maria non riusciva a prender sonno, si alzò dal letto lasciando Filippo in camera a dormire e decise di tornare a godersi il fresco del patio, dove un’ora prima aveva lasciato come al solito sua sorella e suo cognato.

Pensando che oramai tutti dormissero, scese le scale senza accendere la luce, cercando il più possibile di non far rumore.

Quando stava per aprire la grande vetrata e accedere alla parte esterna della villa si bloccò.

Rimase paralizzata dalla scena che si presentò davanti ai suoi occhi: sua sorella Alessia urlava come un’ossessa mentre il marito la stava scopando.

Alessia era piegata a novanta gradi, con le mani si teneva al bordo del tavolo che a causa dei poderosi colpi del marito traballava paurosamente. Dopo alcuni minuti i due cambiarono posizione: Alessia prese a cavalcare Gianni mentre questo era seduto sul dondolo.

Maria dalla sua posizione poteva ammirare il cazzo mostruoso del cognato che entrava sino alla radice nel sesso grondante della sorella.
Era stravolta alla vista della sua esile sorellina che accoglieva dentro di se quel mostro tra le sue gambe!
Ipnotizzata da quella visione Maria non si era accorta che Gianni l’aveva scorta: i due incrociarono per un attimo lo sguardo.

Riavutasi, Maria corse via in camera sua.

Fu una notte agitatissima per lei: cercava in tutti i modi di scacciare quello che aveva visto dalla sua testa: la faccia della sorella sconvolta dal piacere, il grande cazzo del cognato che si faceva strada tra le sue cosce, i suoni di quell’amplesso furioso.

Fu difficilissimo per lei ammetterlo, ma si sentiva eccitatissima. Prese a strusciarsi a suo marito Filippo, lo accarezzò a lungo tra le gambe.
Filippo però continuò a dormire.
Aveva percepito qualche cosa, ma la stanchezza per la lunga gita in canoa del giorno precedente lo fece ripiombare nel sonno profondo.

La mattina seguente, mentre i quattro facevano colazione insieme, Gianni chiese alla cognata come mai avesse quelle occhiaie così marcate. Le chiese, sorridendo maliziosamente, se era stato a causa di digestione del “pesce” che aveva mangiato la sera prima.

Mentre Maria era in cucina a lavare, prima di scendere in spiaggia, le tazze della colazione, arrivò Gianni.

A bassa voce gli disse:
“Questa notte hai sognato di esser presa dal mio amichetto? Guardalo, è qui!”.

Maria abbassò lo sguardo e vide che aveva liberato dal costume il suo cazzo già in piena erezione.
Cercò di allontanarsi, ma venne bloccata.

Gianni aggiunse:
“Oggi risalirò dalla spiaggia prima del solito. Ti aspetto. So che verrai, hai troppa voglia di me!”.

Quella mattina in spiaggia Maria cercò di non pensare a quanto successo in quelle ultime ore.
Così come gli aveva detto, Gianni verso le undici salutò tutti dicendo che si sarebbe recato in paese.
Filippo era come al solito fuori per un giro in canoa con i due figlioli, mentre Alessia continuava a crogiolarsi al sole.

Dopo nemmeno quindici minuti, Maria, come un automa, salutò la sorella, dicendole che rientrava a casa prima quella mattina visto che la sera passata non era stata molto bene.

Rientrando nella splendida villa Maria sentiva il cuore battere all’impazzata.
Fece un giro del piano terra, non trovò nessuno.
Si diresse allora nella sua camera da letto e lì trovò il cognato: Gianni era sdraiato nudo sul letto, con il cazzo in piena erezione.

Maria senza dire una parola si sfilò il suo costume.

Il burbero marito di sua sorella alzandosi gli disse:
“Oggi finalmente sarai scopata da un vero uomo!”.

La tirò con forza sul letto e in un attimo gli fu sopra.

Prese a baciarla con foga sul collo, poi iniziò a scendere lungo il suo splendido corpo.
Rimase a lungo tra i suoi due seni, succhiò con decisione i suoi capezzoli e enfine si posizionò con la sua lingua tra le sue gambe.
Nel frattempo Maria era in preda al piacere. Nessuno mai l’aveva leccata in quella maniera.

Gianni poi la fece mettere di fianco per arrivare a leccarla anche dietro, sul forellino posteriore: era la prima volta che un uomo le leccava l’ano.

Quando Gianni capì che oramai la sua splendida cognata era sul punto di esplodere si bloccò.

Maria lo implorò di continuare, ma Gianni voleva scoparla.
Le allargò le gambe e un attimo dopo il suo grosso arnese entrò dentro Maria.

Iniziò una furibonda pompata, con la donna che completamente fuori di sé urlava tutto il suo piacere.

L’orgasmo per Maria fu la naturale conseguenza del martellamento subito dal quel cazzo gigantesco.

Gianni non era però ancora soddisfatto: fece mettere la cognata a quattro zampe, l’afferrò per i fianchi e riprese a scoparla ancora in fica.

I colpi che Gianni affondava erano di una violenza inaudita, Maria sentiva che la sua fica non sarebbe più stata la stessa:
il grosso cazzo di Gianni stava trasformando la sua piccola galleria in una vera e propria autostrada a quattro corsie!

Il piacere era immenso, accresciuto dagli insulti che le rivolgeva il cognato, che continuava a definirla una vacca, una grandissima troia.
All’ennesimo affondo la donna ebbe il suo ennesimo orgasmo.

A questo punto Gianni tirò fuori il cazzo per eiacularle in bocca.
Maria fu costretta, per la prima volta nella sua vita, a ingoiare tutto.

A pranzo Maria non riuscì a guardare negli occhi sua sorella e suo marito Filippo. Sebbene si sentisse in colpa, sapeva benissimo che avrebbe nuovamente cercato il cognato.

Aveva finalmente capito perché sua sorella aveva sposato Gianni. Mia sorella Elisa è al sesto mese di gravidanza.

Negli ultimi tempi l’ho vista un po’ strana. E’ scostante, insofferente, scatta spesso per cose da niente.
Da quando si è messa in maternità poi, la cosa è diventata ancora più evidente.

Ha trentuno anni, capelli neri lisci a caschetto, alta un metro e settanta e un fisico che prima di restare incinta poteva senz’ombra di dubbio definirsi statuario. Da sempre è stata una fanatica della forma fisica e per questo, sia da nubile che ora da sposata frequenta assiduamente una palestra dotata di solarium, centro estetico ecc. ecc.

A me questa sua mania mi andava bene, perché ogni anno al mare me la gustavo in costume due pezzi e, vi assicuro, che era un piacere per gli occhi.
La cosa era diventata ancora più piacevole perché, dopo molti anni, mi permetteva di spalmargli la crema solare. All’inizio era solo sulla schiena, poi, con il passare del tempo e sciolto qualche reciproco imbarazzo, anche sulle gambe e su fino alle chiappe.
Vi confesso di aver perso il conto delle seghe che mi sono fatto dopo quei massaggi ma anche dopo averla spiata di nascosto in casa ogni volta che potevo.

Purtroppo tutto ciò si è interrotto quando due anni fa si è sposata ed è andata a vivere con il suo uomo. Da allora non ho avuto più grandi occasioni di potermela gustare.

Io sono Luigi, ventisei anni, programmatore in una società di informatica. Il mio lavoro non ha orari fissi; spesso capita che se lavoro fino a tardi un giorno, uno dei successivi resto a casa per recuperare le ore di lavoro straordinario. Questa flessibilità mi rende indipendente e mi permette di tornare a casa ad ora di pranzo per un pasto decente e un riposino piuttosto che accontentarmi del classico panino in piedi al bar sotto l’ufficio.

Ora che non andava al lavoro mia sorella veniva quasi tutti i giorni a passare qualche ora da noi perché si annoiava a stare da sola in casa, visto che suo marito stava via tutto il giorno per lavoro. Spesso si sfogava un po’ con mamma ed un po’ con me sulle cause di questa sua insofferenza. Mia madre era solita dare la colpa del suo nervosismo all’inattività forzata, io invece avevo iniziato a pensare che ci fosse qualcos’altro sotto.
Al pensiero che la cosa dovesse andare avanti per i restanti tre mesi della gravidanza mi veniva da piangere.

Era per questo che negli ultimi tempi tornavo a casa di meno durante la pausa pranzo. Con lei in giro infatti, invece di rilassarmi uscivo di casa il pomeriggio sullo stressato andante.

Tempo fa, uno dei giorni in cui sono tornato a pranzo, lei risentita me lo fece notare:
“Mamma dice che fino a qualche giorno fa tornavi a pranzo tutti i giorni invece ora che ci sono io non torni quasi mai. Ti da fastidio la mia presenza?”

Avrei dovuto risponderle di sì ma sapevo che non avrebbe capito. La realtà era che, se avesse avuto gli atteggiamenti di sempre, cioè come quando non era ancora incinta, non mi sarei perso un giorno con lei per niente al mondo. Siccome però lei si ostinava a dire che è quella di sempre, negando l’evidenza della sua insofferenza e del suo continuo nervosismo, allora cercavo di evitare l’argomento per non creare ulteriori attriti.

“Ma che dici?! E’ che questo periodo lavoro con società che sono fuori città e non riesco a tornare per il pranzo. Ma è un periodo che passerà”.

La sera però mia madre mi fece notare che non era bello evitare mia sorella.

“Ha bisogno dell’aiuto di tutti noi per superare questo momento” – mi disse – “Invece proprio quando lei è qui e gradirebbe scambiare due chiacchiere con te, sei latitante. Le giustificazioni che le hai dato possono convincere lei, ma a me non la dai a bere! Ricorda che ora sei cresciuto e visto che tuo padre non c’è più, devi fare l’uomo di casa”.

La cosa mi lasciò seccato: “Mamma, io ho già i miei problemi cui stare dietro. Elisa dovrebbe sfogarsi di più col marito che non con me. Cosa posso fare io per aiutarla?”.

“Intanto dovremmo riuscire a capire cosa ha. Magari convincendola a fare qualche seduta da uno psichiatra. Spesso le donne in attesa di un figlio hanno di queste reazioni. Un professionista potrebbe suggerirgli il modo più adatto per affrontare questo periodo. Se ci riusciamo la cosa sarà a beneficio di tutti, non credi?”.

Più tardi, mentre ero sdraiato sul letto pensai che mia madre avesse ragione. Bisognava, in qualche modo aiutare Elisa a tornare la persona di qualche mese prima: la mia Elisa. La mattina dopo, prima di uscire per il mio giro, dissi a mia madre di parlare con Elisa della sua idea dello psicologo per vedere la sua reazione.

Lei abbracciandomi sulla porta mi disse: “Grazie, Luigi”.

“Grazie a te, mamma. Mi hai fatto capire quanto è importante per me la mia famiglia…..e quindi Elisa. Ci vediamo dopo”.

Quando tornai a casa mia madre è sola.
“Ho provato a parlare della nostra idea con tua sorella ma non l’ha presa bene. Mi ha detto che lo psicologo serve a noi non a lei. Dice che non riusciamo a capire che un eventuale problema, se c’è, è di tutt’altra natura. Se ne è tornata a casa sua dicendo che non ci avrebbe più disturbato! Devi parlare con lei, Luigi, magari a te da’ retta. Mangia, poi, prima di tornare al lavoro, passa da lei, per favore”.

Mia madre era preoccupata e anche io non mi sentivo molto tranquillo: la situazione rischiava di sfuggirci di mano. Qualche giorno prima ne avevo parlato anche col marito il quale mi aveva risposto, demoralizzato, che non sapeva più come prenderla. Mi disse che, a sentire Elisa, lui la trascurava.
Lui ovviamente mi disse che non era vero. Lui era un uomo in carriera e i suoi ritmi di lavoro non gli lasciavano troppo tempo per la famiglia.

“Va bene mamma, calmati, mangio qualcosa e vado da lei. Vedrai che la calmo e te la rimando qui” – risposi a mamma.

Suonai più volte il campanello prima che Elisa venisse ad aprirmi.

“Che vuoi?” – mi chiese seccata – “vuoi farmi anche tu il discorso che mi ha fatto mamma stamattina? Pensi anche tu che stia diventando esaurita?”.

“Non dire stupidaggini Elisa, voglio solo fare due chiacchiere con te, se ti va”.

Mi guardò indecisa. Lei era ancora sulla porta e io sul pianerottolo.
La sua aria seccata cominciò a sparire e i suoi occhi diventarono lucidi.
Aveva sicuramente bisogno d’aiuto. Forse aveva ragione lei: non le serviva lo psicologo, aveva bisogno di sfogarsi e raccontare qualcosa che si stava tenendo dentro da tempo. Ma intorno a se, i suoi familiari, con il loro comportamento ottuso e superficiale, non le davano il coraggio di aprirsi e confidarsi. Si spostò, mi fece entrare e poi chiuse la porta.
Mi avvicinai e l’abbracciai. Lei si lasciò andare e iniziò a piangere.

“Non ti devi più preoccupare di niente Elisa, ora ci sono io con te” le dissi provando a confortarla.

La feci sedere sul divano e le preparai una camomilla. Mentre la sorseggiava, trovandone giovamento, iniziammo a guardarci senza parlare. Aspettai i suoi tempi senza metterle fretta.

“Fanculo il lavoro” – pensai.

“Grazie Luigi” mi disse guardando dentro la tazza che stringe tra le mani.

“Se non ne vuoi parlarne non fa niente Elisa” – disse – “se vuoi resto solo a farti un po’ di compagnia”.

Mi sedetti vicino a lei e cercai di incoraggiarla a sfogarsi con me. In fondo potevo benissimo essere lo psicologo di mia sorella.

“Che ti succede Elisa? Dov’è finita la sorella forte ed allegra che ho sempre avuto?” – le chiesi carezzandogli la schiena.

“Non se ne è mai andata, Luigi. E’ qui a fianco a te, magari un po’ più cicciotta…” dice, accennando al pancione “……ma è sempre qui. E’ che mi sento un po’ sola…trascurata…Pensavo che questo periodo dovesse essere il più bello per una donna, invece lo sto passando praticamente in solitudine”.

Sembrava che lo sfogo fosse già finito anche se la sua espressione faceva capire che non aveva ancora detto la cosa più importante.

Preso dalla paura che si fermasse osai chiederle: “C’entra qualcosa tuo marito?”

Da come mi guardava capii di aver centrato il problema.

“Finalmente qualcuno che inizia a rendersi conto della situazione” rispose tra il rassegnato e l’ironico.

“Ma perché non ne hai parlato anche con mamma?” gli chiesi.

“E cosa dovevo dirle? Che da quando siamo sposati mio marito non ha quasi mai tempo per me e ora che aspetto un figlio ne ha ancora meno? Ricordi quando mi faceva la corte? Era proprio mamma che insisteva affinché me lo prendessi come marito. Non che poi lo abbia fatto per questo, ma se ora le dicessi che ho dei problemi con lui, si sentirebbe in parte responsabile e non voglio!”

Sapevo che il marito è un brav’uomo, tutto casa e lavoro. Forse, preso dalla carriera, meno casa e più lavoro.
Sapevo che volesse bene a mia sorella ma un po’ a modo suo, senza preoccuparsi mai di quelle che fossero le esigenze di sua moglie.
In fondo era un uomo ottuso che stava trascurando una donna stupenda, mentre altri uomini si sarebberi fatti in quattro per averla.

“Se posso aiutarti a riempire qualcuna delle sue mancanze, sono qui” – le dissi affettuosamente.

“Magari!!” mi risponse guardandomi e per la prima volta sorridendo divertita.

Ero contento di averla fatta sorridere anche se, francamente, non ne capivo il motivo.

Poi, evidentemente più rilassata, proseguì: “Quello di cui avrei bisogno urgentemente, per stare meglio, è un marito premuroso su alcune cose…oppure…un’amante!”.

Restai di sasso: finalmente si era chiaro il vero problema di mia sorella. Detto con linguaggio da caserma, aveva bisogno di cazzo!!

Lei, arrossendo, iniziò a ridere: “Che c’è? Ti ho scandalizzato? Oppure non pensavi che io avessi di queste esigenze? Oltre ad essere tua sorella sono una donna sai? Come quelle che guardi per strada con espressione libidinosa”.

Si fermò un attimo, combattuta tra il continuare e il lasciar perdere.
Decise di proseguire: “Sai da quanto tempo mio marito non mi tocca? Dal terzo mese di gravidanza! Cioè…sono più di tre mesi che sto a stecchetto. Forse per lui non è un problema ma per me sì, eccome! Se a questo aggiungi che già prima non era sicuramente un maniaco del sesso, fai uno più uno ed ecco che hai davanti a te una donna che, uscendo di casa, potrebbe violentare il primo uomo che si trova di fronte”.

Guardando la mia espressione meravigliata proseguì: “Che c’è? Ti ho spaventato?”.

“No, anzi, è che…pensavo proprio il contrario!”.

“Cioè?”.

“Beh, insomma… Sì… Pensavo…beato lui!! Ecco. Ora te l’ho detto.”

Lei si avvicinò e mi diede un bacio su una guancia dicendo:
“Guarda che ora fisicamente non sono più la ragazza che vedevi al mare in costume, ho un po’ più di ciccia addosso non vedi?”.

“Per me staresti benissimo in costume. Uniresti la bellezza del tuo fisico alla bellezza della maternità. Dovresti andare qualche volta al mare a prendere un po’ di sole e a fare qualche bagno. Ti farebbe bene”.

I miei complimenti le avevano fatto bene. I suoi occhi iniziarono ad illuminarsi. L’espressione del viso si raddolcì. Iniziai a intravedere la sorella che ricordavo.

“Mi ti immagini in costume con questa pancia?” – disse lei rilassata – “farei ridere”.

“Secondo me invece gli uomini ti sbaverebbero dietro. Sei sicuramente meglio di tante donne che si vedono sulle spiagge” – le rispondo.

“Ma che ne sai di come sto in costume? Il mio fisico si è appesantito, è cambiato”.

“Per me è una tua fissazione. Non mi sembra di vedere tutti questi cambiamenti, a parte la pancia ovviamente. Dovresti fare una prova” – la sfidai.

Lei ci pensò un attimo e poi mi disse: “Aspetta qui”

Andò verso la sua camera, la sentii trafficare con l’armadio poi, dopo circa dieci minuti tornò con un accappatoio indosso e si mise davanti a me.

“Sei pronto?” – mi chiese – “Ma devi promettermi di non ridere”.

“Promesso” dissi io pensando a ciò che avrei visto.

Con un po’ di imbarazzo tolse l’accappatoio e lo lasciò cadere a terra. Si diventò rossa in viso quasi a pentirsi di ciò che ha appena fatto. Stava per chinarsi a raccogliere l’accappatoio ma io la fermai.

“No!” – Le dissi deciso – “No, per favore… Sei stupenda. Sei… Sei ancora meglio di quanto pensassi”.

Rassicurata si tirò su e si lasciò guardare. Capii che in quel momento tra noi stava iniziando una complicità di cui avremmo mantenuto il segreto. Mia sorella stava iniziando a farmi prendere il posto di suo marito per quelle cose in cui si sentiva trascurata da lui. La cosa mi elettrizzava.

“Sono come mi ricordavi?…..A parte la pancia?”.

“Beh…sì”.

“Bugiardo! Dimmi cosa pensi con franchezza”.

“Che sei tanta. I chili in più sulle gambe quasi non si notano, mentre quello che si nota benissimo è…il tuo seno. E’ aumentato di parecchio, mi sembra”.

“Hai ragione, Luigi. Ho dovuto comprare reggiseni nuovi due taglie più grossi. Ora porto una sesta. Spero che dopo la gravidanza torni alle dimensioni originarie”.

“Speriamo di no invece” – le dissi quasi senza pensarci.

Lei mi guardò sorpresa.

“Speriamo che resti così, lo preferisco. Ti fa più…femmina. Sì. Ti fa più femmina”.

Non mi stancavo di guardarla. E il costume che indossava non era certamente dei più casti. Era di quelli con minuscoli laccetti che tengono due piccoli triangolini di stoffa sulle maestose mammelle a coprire poco più che i capezzoli. I reggiseni li aveva ricomprati di due taglie più grosse ma il costume no. Tutto quel ben di dio debordava da ogni parte per la gioia dei miei occhi.
Tutto l’allenamento che faceva in palestra faceva si che, nonostante le dimensioni, che il suo seno non fosse cadente anzi si era riempito restando alto e tonico come se le fasce muscolari del petto fossero, già loro, un reggiseno naturale.
Anche i chili in più sui glutei e sulle gambe si erano distribuiti omogeneamente, in modo da non far nascere cellulite o pelle flaccida. Tutti i muscoli del suo corpo, allenati per anni, avevano fatto un ottimo lavoro e la prova era davanti a me.
Restai meravigliato nel costatare che mia sorella mi arrapava più di qualche anno fa. Erano forse i due anni che son passati senza poterla ammirare in costume.

‘Se continuo a guardarla così va a finire che si incazza’ – pensavo.

Lei invece considerò la mia espressione eccitata come il più bel complimento che avesse mai ricevuto e, incoraggiata, quasi a ringraziarmi disse tornando in camera sua: “Continua a stare qui”

Quando rientrò, stessa scena di prima: lasciò cadere a terra l’accappatoio e si gustò la mia reazione.

“L’avevo comprato per cercare di invogliare mio marito, ma lui…niente! Sono proprio così brutta con questa roba addosso?”

La “roba” che indossava era un completo intimo bianco formato da reggiseno con le coppe in velo trasparente, tanga con il davanti in velo che lasciava intravedere il pelo nero di mia sorella e calze autoreggenti. Un coordinato da infarto completato da scarpe con dieci centimetri di tacco.

“Sarà forse che con lui non ho indossato le scarpe ma ero in pantofole?” – mi domandò ironica.

“No. Sarà che tuo marito è un idiota!” – le risposi deglutendo a fatica, senza staccarle gli occhi di dosso.

Avevo l’uccello sotto i pantaloni duro e dritto come un obelisco. Siamo rimasti a fissarci per qualche minuto.

Le avrei voluto saltare addosso immediatamente.
Pensavo che ci sarebbe voluta una quantità industriale di seghe per onorare la memoria di quella visione.

Poi mia sorella mise le mani dietro la schiena e sganciatosi il reggiseno se lo tolse e me lo lanciò.
Avevo davanti a me il più bel paio di zinne mai visto.
Mi aveva lanciato una sfida da cui non potevo esimermi. Sbottonati i calzoni, sollevai il bacino e li tirai giù fino alle caviglie insieme alle mutande.

Il mio cazzo svettava prepotente davanti a mia sorella che a quella vista lanciò un gridolino di stupore. Si avvicinò e si inginocchiò davanti a me liberandomi da scarpe e indumenti. Allargai le gambe e lei avvicinò il viso al mio uccello. Lo prese in mano accarezzandolo, accennando ad un lento su e giù.
Era sorpresa di avere un fratello con un arnese di quelle dimensioni. Se lo stava letteralmente divorando con gli occhi. Il movimento delle sue mani diventò sempre più marcato. Ogni volta che la sua mano scendeva lo scappellava completamente, poi, risalendo, la rimandava nel suo fodero.
Mi fece un po’ male perché era completamente asciutto e nonostante il piacere che provavo per la situazione che stavo vivendo, avevo il viso contratto. Mia sorella se ne accorse, lo scappellò completamente e chinando la testa fece cadere sulla punta una gran quantità di saliva.
Inizò ad andare su e giù con piacere ma piano piano ritornammo alla situazione di prima.
Questa volta chinò la testa e prese in bocca la cappella. Mentre la ciucciava, con la mano continuava a segarmi vigorosamente. Poi mi mise le mani sulle gambe e iniziò a farmi un bocchino da paura.

Non avrei mai pensato che una donna non professionista del settore potesse essere così brava a far sparire nella sua bocca un cazzo delle dimensioni del mio.
Invece mia sorella mi stava facendo ricredere. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare pensando agli errori fatti da me e mia madre.
Mia sorella non aveva nessun problema anzi, non c’era donna più donna di lei. Ad un certo punto lo mollò e se lo mise tra le tette calde e morbide, iniziando a farmi una succulenta spagnola.
Stavo per venire, non ce la facevo più e non avevo intenzione di resistere: volevo scaricarmi su di lei.
Continuando a fare su e giù con le tette, quando si accorse che stavo venendo lo imboccò nuovamente e mi lasciò svuotare così in lei.
Non ricordo di aver mai fatto una sborrata più lunga, sembrava non volesse più finire.
Lei ad occhi chiusi e con espressione estasiata continuò ad inghiottire golosa senza farne cadere neanche una goccia finché non fu sicura che avevo finito. Poi se lo rimise tra le tette e ricominciò da dove aveva lasciato poco prima, imprimendo al su e giù un andamento più dolce, quasi a cullarlo.
Il mio cazzo, che era rimasto abbastanza vispo, a quel trattamento riacquistò le sue dimensioni iniziali per la gioia di mia sorella che, salitami a cavallo, si posizionò la cappella sulle labbra della fica e lentamente lo spinse fino in fondo sedendosi con le sue chiappe sulle mie gambe.
Teneva il busto leggermente scostato da me a causa del pancione e questo mi permetteva di gustarmi le sue mammelle. Restò immobile per qualche minuto su di me, intenta a gustare un qualcosa di cui aveva un vago ricordo. Me lo mungeva con i muscoli vaginali come se volesse adattarsi perfettamente a forma e dimensioni.

“E’ enorme fratellino”: sussurrò con voce rotta dal piacere mentre cominciava a dondolare su di me.

“…è veramente enorme! Adatto per togliere alla tua sorellina tutta la fame che ha” – proseguì

Poi iniziò a tirarsi su lentamente come se volesse farlo uscire. Si fermò lasciando dentro solo la cappella mentre le mie mani le carezzavano le chiappe e i fianchi. I suoi umori colavano lungo la mia asta. Solo quando ridiscese di botto facendolo sparire completamente in un attimo dentro di lei capii che aveva aspettato proprio quello, cioè che i suoi umori me lo lubrificassero per bene.
Cominciò a dondolarsi nuovamente per poi ripetere l’operazione. Lo fece più volte con frequenza sempre maggiore finché iniziò a fare un su e giù costante.
Sembra che la fase precedente le fosse servita per prendere le misure. Ogni volta riusciva a farlo uscire tutto tranne la cappella.
Le sue mammelle seguivano il ritmo e né io né lei cercavamo di bloccarle. Volevamo arraparci sempre di più l’uno con l’altra.
Aveva i capezzoli e le aureole gonfie che sembravano chiedere di essere ciucciate e così feci mentre lei mi cavalcava come un’ossessa urlando il suo piacere. Con quel trattamento Elisa venne quasi subito. Era un godimento liberatorio, un ritorno a quella giovialità nella vita che credeva aver perso definitivamente. Godeva e contemporaneamente piangeva di felicità.

Rallentò il ritmo sollevandosi le mammelle e offrendomele da ciucciare: “Finché non nascerà il bambino le ciuccerai ogni giorno tu,……vuoi?”

Avrei potuto rifiutare un’offerta così generosa?

Mentre le ciucciavo le zinne che lei alternativamente mi offriva, iniziai ad accarezzargli il forellino anale. Mi accorsi che lei gradiva quel trattamento visto che ogni volta che lo toccavo aumenta il livello dei suoi gemiti. Si sollevò come aveva fatto precedentemente lasciando dentro solo la cappella e tirò leggermente indietro il culo, mentre continuava a tenere le mammelle sollevate per offrirle alla mia bocca, con il chiaro intento di facilitarmi il massaggio del suo buchetto.
In quella posizione, mentre le ciucciavo le zinne, teneva la testa all’indietro, gli occhi chiusi e gemeva senza inibizioni.
Quando mi staccai da lei, tirò su la testa, aprì gli occhi. Le massaggiavo il buco del culo e la guardavo senza vergogna ma solo con tanta voglia di godere. Il suo ano iniziò a rilassarsi sempre di più e le mie dita fecero a turno a forzarlo senza entrare ma solo a saggiarne la resistenza. Poi, raccolti un po’ dei suoi umori, lo lubrificai e sempre guardandola negli occhi iniziai a spingere il dito medio dentro.
Lei aprì la bocca come per gridare ma il grido le rimase in gola. Sembrava rimasta senza fiato ed io mi fermai con la punta del dito dentro.
Invece d’un tratto scese su di me impalandosi con il cazzo e facendo entrare completamente il mio dito nel suo didietro.

Si ritirò su e scese nuovamente: “Porco! Sei un porco…ecco cosa sei!”.

Iniziò a ripeterlo ad ogni su e giù come una cantilena. Non capivo più niente. Continuai a lubrificarle il buco del culo con i suoi stessi umori e con la mia saliva inserendoci poi uno due tre dita. Dopo un po’ di quel trattamento sembrò che avesse preso cazzi nel culo da una vita tanto le dita vi scorrono dentro facilmente. All’ennesima volta che si sollevò la bloccai in quella posizione glielo sfilai dalla fica.
Spostai il bacino un po’ più giù sul divano mentre lei mi guarda smarrita, sorpresa, quasi a chiedere perché avessi interrotto quella meraviglia. Quando poggiai la cappella sul buco del culo il suo viso si illuminò nuovamente.
Spinse leggermente in basso e la cappella iniziò ad entrare. Poi si fermò per abituare i muscoli anali alle mie dimensioni.
Piano piano mi accorsi che la sua carne cominciava a cedere, spinsi un po’ verso l’alto mentre contemporaneamente mia sorella spingeva verso il basso e lentamente ma inesorabilmente il mio cazzo sparì nelle viscere di Elisa.

“E’ bellissimo” – disse dopo qualche secondo lei.

La presi per le chiappe e la sollevai finché nel culo rimase solo la cappella. Poi la feci scendere fino a rientrare tutto in lei. Ogni volta la sentivo più morbida e il nostro godimento iniziava nuovamente a salire.
Prese le mie mani e se le mise sulle tette facendosele strizzare. Il su e giù divenne furioso, il mio cazzo che spariva ad ogni affondo completamente nel suo culo.
Appena prossimi al pundo di venire la bloccai e la feci scendere posizionandola a pecora sul divano. Andai in cucina e presi un cetriolo di dimensioni notevoli e la bottiglia dell’olio. Tornato da lei e dopo averle dato una succulenta leccata le infilai il cetriolo nella fica.
Mia sorella ora è tra l’imbarazzato e l’eccitato. Quest’ultima sensazione si trasformò quasi subito in piacere prendendo il sopravvento. Iniziò di nuovo a sospirare e a gemere. Poi oliato per bene il cazzo e glielo spinsi nuovamente nel culo.

“Sei matto Luigi?!?!?! Così mi uccidi!!!! E’…troppo bello…oooooddddiiooo…siiiiiii! Dai fratellino! Mi devi far recuperare il tempo perdutoooooo… Spingi, porco!!! Sfonda il culo di tua sorellaaaaa!!!! Ti piace, ehhh?? Ne hai mai sverginati di più belli? Mi stai facendo morire!!!! Oohhh che gusto… Non ti fermare, ti prego!!!! Ti supplico!!!! Continua!!! Inculami, dai!!! Porco…inculami…continua così!!!! Dove sei stato fino ad oggi?? Sto venendoooooo!!! Fammi venire, dai… Siiiiii!!!!! Sto venendo! Aaaaaahhhhhhh”.

“Se avessi saputo che eri così troia ti saltavo addosso dieci anni fa sorellinaaaa! Hai un buco di culo che sembra fatto apposta per il mio cazzo Elisa…..che gustooooo…..”.

Mentre me la inculavo con foga alternavo carezze al suo pancione e alle sue stupende zinne che incontrollate sbattevano continuamente tra loro. Venimmo insieme ed fu un’altra sborrata mostruosa per entrambi. Quando le tolsi il cetriolo dalla fica, fu come se avessi tolto il tappo ad una bottiglia di spumante. I suoi umori schizzarono addosso al mio uccello quasi a volerlo lavare.

Mi fece sedere sul divano, mi risalì a cavallo e mi abbracciò facendomi affondare il viso tra le sue tette.
Sprofondammo in uno stato di dormiveglia per circa un’ora.
Ripresi i sensi mi accorsi che s’era quasi fatta l’ora del rientro di suo marito, così la salutai e tornai direttamente a casa.
Dissi a mamma che avevo fatto una lunga chiacchierata con Elisa, che lei aveva iniziato a confidarsi con me e che continuando a vederla per qualche tempo sicuramente le cose sarebbero tornate a posto.

Mia madre sembrò subito sollevata. Mi disse solennemente: “Luigi, come madre farò qualsiasi cosa per te se tu mi assicuri che veglierai e proteggerai me e tua sorella. Tu da ora in poi sarai l’uomo di casa. Non hai che da chiedere, mi hai capito?”

Che dire? Questo ed altro per il bene della famiglia! Forse non mi crederete, ma la mia vita è stata un incubo dalla più tenera età.
La fine dell’incubo è avvenuta pochi mesi fa, quando ho conosciuto Giada.

Ma partiamo dall’inizio. La natura mi ha fatto piuttosto piccolo, solo un metro e sessantacinque, non particolarmente bello, e mi ha dotato di una mostruosa appendice. Purtroppo non sto parlando del naso…

Certi uomini, desiderano da sempre essere superdotati nell’illusione che ciò possa aiutarli con le donne.
Ma a tutto c’è un limite: quando la natura vi costringe a portarvi appresso un birillo delle mie dimensioni sono più i problemi che il resto.
Credetemi, è un pesante fardello da portare, non solo fisicamente, ma anche psicologicamente.

Da bambino i compagni mi prendevano in giro. Poi, con il passare del tempo, divenni l’idolo dei compagni di scuola e il terrore delle ragazze che mi guardavano come un essere alieno. Qualcuna, più curiosa delle altre, si lasciava segretamente corteggiare, accettava di uscire con me. Ma tutte, appena intravvisto il mostruoso coso, fuggivano terrorizzate.

Con il passare degli anni mi sono rassegnato alla solitudine, interrotta di tanto in tanto con delle puntatine da qualche prostituta, quando il desiderio si faceva insopportabile. Anche con queste c’è stato poco da fare: qualche leccatina, tanti lavori di mano, ma nessuna si è mai azzardata a concedermi anche solo di provare la penetrazione.

E’ andata avanti avanti così per 35 anni, sino a che nell’appartamento vicino a me non è venuta ad abitare Giada, una vedova di circa 40 anni, bionda e con un volto carino anche se decisamente in carne. Giada non è una delle solite grassone: pur essendo decisamente robusta, è tonica come una ragazzina, le gambe sono ben modellate, il seno prorompente ma sodo, il sedere alto ed elastico.

Come spesso capita ai nuovi arrivati, i primi giorni Giada si dimostrò affabile con tutti, anche con me.
Mi chiesi quanto sarebbe durato, quanto avrebbero impiegato le male lingue del palazzo a rendere la nuova venuta edotta delle curiose caratteristiche del suo vicino di casa.

Ma con mia grande sorpresa i giorni passavano e l’atteggiamento di Giada nei miei confronti non cambiava. Anzi, diveniva sempre più gentile e cordiale. Malgradot tutto continuavo a ripetermi “non t’illudere è solo una questione di tempo ed anche lei si comporterà come gli altri”.

Una sera rientrato a casa dopo essere stato a vedere un film porno, uno dei rari sfoghi che mi concedo, la incontrai all’ingresso del palazzo.
Come spesso mi capita, il mio simpatico amico si manteneva se non in completa erezione, quantomeno eccitato, rendendo il bozzo nei miei pantaloni particolarmente evidente. Tenevo come al solito le mani nelle tasche per dissimulare la cosa.

Chiamai l’ascensore.

Stavo attendendo l’arrivo della cabina, quando sentii aprire il portone di ingresso e, poco dopo, la voce gentile di Giada salutarmi: “Buona sera signor Piero, anche lei ha fatto le ore piccole, eh?” disse lei.

Io imbarazzato, le rivolsi un saluto laconico: “Buonassera signora Giada”.

Lei, con il suo carattere gioviale, continuò a parlarmi e a farmi domande ottenendo da me semplici monosillabi. L’ascensore arrivò ed entrammo nella cabina e lei pigiò il bottone del nostro piano. Il mio umore era pessimo: costretto a fare l’impossibile per nascondere quell’ingombrante bozzo. Mi sentivo frustrato e imbarazzato.

Ad un certo punto presi coraggio: decisi che era venuto il momento di rompere gli indugi. Prima o poi sarebbe accaduto che anche lei venisse a conoscenza della mia particolarità. Sfilai le mani dalle tasche e a quel punto la mostruosa sagoma del mio pene eccitato fu ben visibile sotto la stoffa dei pantaloni.

Il mio movimento attirò il suo sguardo. Smise di colpo di parlare, mentre i suoi occhi increduli si erano posati sul mio pube.
La sua bocca si dischiuse leggermente mentre un’improvvisa vampata la fece arrossire.

Negli anni avevo maturato una certa ironia verso la vita. Dentro di me ridacchiavo per la scontata reazione.
“Adesso non parlerà più e la prossima volta che c’incontreremo salirà le scale a piedi pur di non restare sola con me nell’ascensore” mi dissi.

La osservai lottare per riprendere il controllo, mentre l’ascensore arrivava al piano.
Le aprii la porta per farla uscire. Lei, ripresasi, uscì passandomi a fianco e sorridendomi.

Fui io a sussultare quando inavvertitamente, pensai, i suoi fianchi mi sfiorarono premendo leggermente contro il bozzo dei miei pantaloni.
Si diresse verso la porta del suo appartamento, inserì le chiavi e le girò.
Poi, prima di aprire, si voltò verso di me e con un radioso sorriso mi disse: “Signor Piero, qualche sera, magari ad un’ora meno tarda, se si sente solo, perché non mi viene a trovare ?”

Rimasi di sasso mentre la guardavo aprire la porta e scomparire nel suo appartamento.
Una tempesta d’emozioni flagellava la mia mente. Lentamente entrai nel mio appartamento.

In passato, soprattutto in gioventù, mi ero illuso troppe volte. Quella sera riconobbi subito i sintomi premonitori dell’ennesima cocente delusione. Mi rifiutai con forza di aspettare che la solita dolorosa storia si compisse: mi gettai sul telefono, chiamai il 12 e chiesi il numero di Giada.

Chiamai Giada; non avevo il coraggio di presentarmi direttamente alla sua porta.

Lei rispose dopo un poco, evidentemente stava preparandosi per la notte.

“Giada, mi scusi se la disturbo, sono Piero” dissi.
“Signor Piero! Nessun disturbo! Le è successo qualche cosa? Sta male?” mi domandò con voce preoccupata.
“No, niente. Stia tranquilla” – risposi in stato confusionale – “Ma si! La verità è che sto male…Senta! Devo assolutamente farle una domanda…mi scusi, la prego…cerchi di capire” continuai.
“Ma certo, Piero, dica pure!” – disse lei un po’ sconcertata.
“Scusi…ma io devo sapere…le vicine non le hanno parlato di me? Non si è accorta di nulla poco fa sull’ascensore…? Me lo dica sinceramente!”

Dall’altro capo del microfono vi fu un attimo di silenzio, poi rispose con voce calma e sensuale: “Certo! Le vicine mi hanno parlato di te…e sì, mi sono accorta della tua erezione questa sera in ascensore. Come avrei potuto non notarla?”

“E allora non capisco il perché di quell’invito” sbottai esasperato.

Una nuova pausa.

“Non capisci? Mi sembrava ormai più che ovvio: m’interessi”: disse lei con calma
“Non è possibile” risposi io sconvolto.
Lei fece una pausa più lunga: “Se non ci credi, vieni da me ora” – poi aggiunse – “Ti aspetto” – e riattaccò.

Rimasi immobile come uno stupido a fissare la cornetta.
Riattaccai il telefono mentre il mio cervello vorticava freneticamente cercando di decidere il da farsi.
Dovevo togliermi il dubbio! Il cazzo si ergeva in tutta la sua potenza, dandomi fitte dolorose, ingabbiato com’era dai pantaloni.

Di scatto mi mossi ed andai da lei.

Giunto davanti alla porta mi bloccai nuovamente indeciso, ma lei mi venne in soccorso aprendo la porta.
Indossava una lunga vestaglia. Sorridendomi disse “Entra, presto!”
Entrai e lei richiuse la porta. Poi mi prese per mano e mi trascinò lungo il corridoio.

“E’ molto tardi e domani mattina devo andare a lavorare presto. Dovrai accontentarti di una cosa veloce, ma ci rifaremo domani sera”

Eravamo giunti in camera da letto ed io non avevo pronunciato nemmeno una parola.
Mi baciò con passione poi mi fece sedere sul letto.
Si tolse la vestaglia e rimase nuda davanti ai miei occhi. Nonostante il fisico abbondante la trovai bellissima.
Si gettò ai miei piedi e prese ad armeggiare con i pantaloni.
“Muoio dalla voglia di vederlo di toccarlo” – disse mentre il fiato incominciuava a mancarle ed il respiro diventava più affannato.

I pantaloni si aprirono ed il mio Mostro saltò fuori prepotentemente.

Mi sarei aspettato a quel punto un grido di orrore, ma lei emise un gemito eccitato.
“E’ bellissimo! Bellissimo!” esclamò, mentre lo fissava e mi aiutava ad abbassare i pantaloni.

Vi si gettò sopra, accarezzandolo, baciandolo, leccandolo avidamente. Alternava il lavoro di bocca a frasi che rassicuranti: “Questa sera è tardi ma domani voglio godermelo tutto! Sarà stupendo sentirlo affondare dentro la mia fica”

Io la ammiravo stupito.

Continuò per un po con il suo lavoro di bocca, poi si fermò a guardarmi.
“Ti piacciono, le mie tette?” – domandò.

Io annuii.

“Vuoi che ti faccia godere tra le mie tette ?” – domandò nuovamente.

“Si…” risposi con un filo di voce rotto dall’emozione.

Lei sorrise entusiasta e fece affondare il mio enorme cazzo nel solco delle sue superbe tette.

Le sode carni si strinsero intorno alla mia asta. Prese ad agitarsi masturbandomi in una alla spagnola memorabile
Ero eccitatissimo e sentivo la tensione continuare a crescere.

“Si Piero! Così! Voglio vederti godere! Voglio sentire il tuo caldo sperma su di me, tra le mie tette, sul mio viso” diceva in preda ad una tremenda eccitazione.

Non avevo mai visto una donna in quello stato. Normalmente con il freddo e professionale lavoro delle puttane facevo fatica a godere. Quella sera invece in un attimo ero pronto ad esplodere. Venni con il più violento e prolungato orgasmo della mia vita.
La quantità dello sperma che le riversai addosso fu proporzionale alla violenza del piacere che s’era impossessato di me.
Il primo abbondantissimo schizzo volò sino a stamparsi sul suo viso e sulla sua bocca. Lei la spalancò prontamente.
Gli schizzi successivi seguirono lo stesso percorso del primo ma vennero catturati dall’avida bocca di Giada.
Poi, lentamente, i fiotti di sperma persero in potenza e le imbrattarono il collo ed i seni mentre io terminavo il lungo gemito che avevo emesso dall’inizio dell’orgasmo.

Grato per il piacere appena provato, la feci sollevare e malgrado fosse oscenamente imbrattata del mio sperma, la baciai appassionatamente.

Quella notte dormii come un sasso, sognando l’incontro del giorno dopo: la prima volta in cui avrei posseduto una donna.

La sera dopo mi aveva invitato a cena per le 19. Alle 18 e trenta, ero già da lei, eccitatissimo.
Quando mi venne ad aprire la baciai.

Appena ci staccammo disse: “Sei in anticipo, non è ancora pronto!”

Io la incalzai: “Non mi interessa la cena, sei tu che voglio!” e la baciai nuovamente.

Lei ridacchiò: “Vorrà dire che mangeremo dopo, negli intervalli”

Insieme corremmo in camera e ci spogliammo a vicenda con mani ansiose.
Per la prima volta ci ritrovammo sul letto completamente nudi, baciandoci accarezzandoci.

La trovai calda e bagnata.

“Giada, sei sicura? Sai…io non ho mai…”
“Davvero? Mai con nessuna ?” – mi domandò

Annuii.

“Allora salteremo i preliminari, o meglio, li limiteremo al minimo indispensabile” – mi disse e si chinò iniziando a leccarmi ed insalivare il glande e l’asta. Poi si stese sul letto e si scosciò oscenamente. Per la prima volta vidi la sua vagina rosea e dilatata.

Portò le sue mani alla bocca, si leccò ripetutamente le dita per poi scendere a lubrificarsi la vagina.
Ripetè l’operazione una seconda volta ma spingendo profondamente le dita nella rosea spaccatura.

“Presto Piero! Scopami!” – disse con un gemito.

Mi posizionai tra le sue gambe brandendo il mio enorme fallo. Glielo poggiai timidamente all’ingresso vagina e spinsi.
La vidi dilatarsi mentre il glande iniziava a penetrare.

Si dilatava sempre più. Mi aspettavo da un momento all’altro di non riuscire più a proseguire con la penetrazione ed invece continuavo a scivolarle dentro. Mi lasciai prendere dalla foga e spinsi con troppa decisione.

Lei lanciò un urletto di dolore: “Adagio, amore! Adagio!” mi supplicò.

Ripresi il controllo.

Ormai tutta la cappella era in lei e continuavo ad affondare senza ostacoli. Mi stesi su di lei e la baciai. Poi mi dedicai alle meravigliose tette coprendole di baci, succhiando i suoi grossi e scuri capezzoli.

Ormai la parte più difficile era passata: lei incominciava a bagnarsi copiosamente ed io scivolavo in lei con facilità.
Finalmente, incredulo, affondai completamente in lei sentendo il contatto della mia cappella con il suo utero.

“Scopami! Scopami!” m’incitò Giada.

Presi a muovermi in lei, dapprima timidamente poi con più decisione.

Incredulo e felice, la sentii venire sotto di me.
Il suo robusto corpo fu scosso dagli spasmi dell’orgasmo, mentre dalla sua bocca usciva un gemito prolungato.
La sua vagina s’inondò d’umori ed il mio cazzo cominciò a scivolare rapidamente in lei, emettendo un rumore di sciacquettio osceno.

L’eccitazione mia fu indescrivibile!
Per la prima volta possedevo una donna e lei era riuscita a godere di me.
Ero ormai prossimo all’orgasmo e lei se ne accorse.
“Sborra Piero! Allagami tutta!” – mi sussurrò prendendo a leccarmi selvaggiamente l’orecchio.

Venni praticamente subito, allagandole il ventre con un’interminabile fiotto di sperma. La sentii venire nuovamente sotto gli ultimi miei colpi.

Rimanemmo a lungo abbracciati.

Poi lei mi scosse: “Ora devi mangiare, non voglio che il mio lavoro in cucina vada sprecato! E poi dovrai ricaricarti d’energie per il dopo cena, c’è ancora molto lavoro da fare” – ridacchiò.

Mangiammo nudi. Quell’intimità con una donna per me completamente nuova mi faceva sentire euforico. Risi e scherzai come mai avevo fatto in vita mia. Finita la cena Giada si alzò ed incominciò a sparecchiare la tavola per poi sistemare i piatti nel lavello.
Mentre lo faceva, ammiravo il suo sedere. Era grande ma perfettamente modellato con natiche sode e alte con piccole tracce di cellulite, più che normali in una donna di quell’età.

Il mio cazzo tornò ad eccitarsi e quando lei voltò la testa per sorridermi, accortasi della mia eccitazione mi domandò con naturalezza: “Che cosa c’è Piero? Ti piace il mio culo?”

“Certo Giada! Di te mi piace tutto”
“Non stari mica pensando d’infilarci quel tuo meraviglioso affare vero?” – scherzò lei.
“Naturalmente no, ma solo perché non sarebbe fisicamente possibile”
“Vogliamo scommettere” disse lei.

Ammutolii.

“Mi stai prendendo in giro” ridacchiai riprendendomi.

Lei mi guardò con un sorriso enigmantico. Poi andò verso il frigorifero, lo aprì, prese il panetto del burro e me lo porse.

“Vediamo chi dei due ha ragione” – disse con aria di sfida.

Tornò ad appoggiarsi al lavello, leggermente chinata in avanti ondeggiando il suo bel culone.
Rimasi fermo, indeciso sul da farsi con il burro in mano che incominciava a sciogliersi. Mi alzai e mi avvicinai, staccai un pezzo di burro e lo spinsi nel solco delle natiche. Strusciandolo sul capace sfintere di Giada.
Lei gemeva ed ondeggiava i fianchi. Con le dita ben lubrificate dal burro, affondai nel suo sfintere lubrificandolo internamente.

Lei si aprì dolce ed accogliente. Con una mano le accarezzavo il clitoride e la vagina mentre con l’altra continuavo a lubrificarle e dilatarle il culo.

Giada si stava scaldando, la sentii bagnarsi al tocco della mia mano.

Le dita che affondavano nel suo capiente sfintere erano due, poi tre. Ormai impaziente smisi di penetrarla e mi cosparsi di burro il cazzo.
La mie erezione era ancor più evidente del normale. Appoggiai la cappella allo sfintere e spinsi con decisione.

La vidi mordersi le labbra, mentre incredulo iniziavo ad affondare in lei.
Sentii il suo sfintere cedere e accogliere il mio cazzo in una rovente morsa.

“Di più! Di più!” – implorava Giada.

Spinsi finchè la mia interminabile asta scomparve completamente nel suo intestino.

Sfiorai le prosperose natiche e con un’ultima spinta sentii il mio pube aderire alla sua pelle.
Lei si chinò in avanti e, allungato un braccio da sotto, prese ad accarezzarmi i coglioni, mentre io iniziavo a stantufarle in culo.

“Giada! E’ incredibile! Sono tutto dentro di te, amore” – mormorai io impazzito di libidine
“Lo sento Piero! Sbattimi! Te ne prego” – rispose lei.

L’accontentai, afferrandola per i fianchi e iniziando a sbatterla con foga.

Mi resi conto che mi stavo eccitando troppo rischiando di venire travolto dall’orgasmo. Rallentai il ritmo mentre le mie mani afferrarono le belle tetteone di Giada che sobbalzavano sotto i miei colpi e le palpai.

Le dita stuzzicarono i grossi capezzoli, mentre lei aveva iniziato ad accarezzarsi freneticamente il clitoride.

Riconobbi i segni dell suo imminennte orgasmo. Continuai a pomparla sino a che lei non esplose urlando di piacere.
Mentre lei godeva io accelerai il ritmo e venni mia volta riempendole il culo di sperma.

Da quel giorno io e Giada non ci siamo più fermati. Lei sembra ringiovanita di 10 anni, ha persino perso qualche chilo.
Io…io sono un altro uomo…… Era una calda serata di luglio.
I miei genitori erano andati…chissà dove, come al solito. Ogni tanto partivano per un viaggio strano: Patagonia, Malawi, Mongolia superiore.
Ne avevo approfittato per tornare più tardi del solito, restando in giro per locali con gli amici.
Alla fine di quel giro non vedevo l’ora di infilarmi nel mio letto e dormire fino alle undici del giorno dopo.

Al diavolo le lezioni universitarie!

Rientrai in casa, avvolta dal silenzio e al buio mi diressi nella mia stanza, inciampando in un numero imprecisato di cose fra mille bestemmie.
“Cos’è tutto questo casino?” – pensai mentre accendevo la luce della mia stanza.
Poi lì, in bella vista, sopra al cuscino c’era un bigliettino, scritto con scrittura orlata. Lo raccolsi con curiosità.

“Ciao tesoro, sono venuta a dormire qui da voi. Se vuoi che ti faccia un bel ‘regalo’ raggiungimi in camera dei tuoi, MA FAI PIANO!!! C’è Dalia che dorme. Non accendere la luce, mi raccomando!!! Ti aspetto, Marina”

Caddi sul letto come una pera cotta mentre il cuore cominciava a battere all’impazzata: era da un po’ che mi scopavo la migliore amica di mia sorella, Marina. Naturalmente quella pazza isterica non ne sapeva niente. Chissà che scenate avrebbe fatto! Dalia mi credeva ancora un bambino anche se avevo appena tre anni in meno dei suoi 23, e della sua amica.

Mi spogliai rapidamente facendomi una doccia veloce. Sotto l’acqua bollente cominciai a pregustare il sapore di quella sua vagina bollente, e di quel culo sontuoso. Peccato che fosse scarsa di seno e che l’oscurità non mi avrebbe permesso di godere dei suoi occhioni verdi e dei lunghi capelli biondi agitati dai movimenti del nostro amplesso.

Però chiavare così, al buio, in silenzio e con il rischio di svegliare mia sorella rendeva tutto più interessante e mi eccitava terribilmente. Quella maiala di Marina ne aveva inventata ancora un’altra delle sue!

La prima volta che avevamo fatto l’amore era in verità la mia prima volta in assoluto. Mi era saltata addosso con la scusa di un massaggio, poi aveva cominciato a cercare posti sempre più strani per scopare: in macchina, in un fienile, in un hangar dell’aeroporto militare (il suo ragazzo, emerito cornuto inconsapevole, era cadetto pilota)… Una volta arrivò perfino a farmi un gustoso lavoretto di bocca in un confessionale in chiesa, fortunatamente quando non c’era messa…al prete cui mi confessai per poco non gli venne un colpo!!!!

Oramai ero pronto: mi asciugai per bene preparandomi mentalmente al divertimento che mi aspettava.

Raggiunsi la camera dei miei genitori inciampando e bestemmiando un altro paio di volte in quelli che dovevano essere abiti e cianfrusaglie di Marina e aprii la porta con calma, col fiato corto

Nel buio non scorgevo nulla ma sentivo il respiro leggero di una persona che dorme. Già appena entrato si sentiva un odore inebriante, di femmina…evidentemente la bambina si era divertita un po’ da sola.

Mi avvicinai lentamente al letto, abituando con calma la vista al buio. Dopo un po’ di tempo riuscivo a scorgere la sagoma di un corpo che dormiva tranquillo coperta solo da un lenzuolo leggero. Mi infilai con una tremenda erezione sotto il lenzuolo, levandomi i boxer che usavo abitualmente per dormire.

Allungai leggermente la mano e la sfiorai delicatamente. Stava dormendo a pancia in giù. Riconobbi al tatto una delle mie vecchie camicie. Percorsi col dito fino alle braccia reclinate sotto il cuscino e poi giù.
Sorrisi tra me e me.
La sua posizione con le braccia alzate aveva sollevato ulteriormente la camicia e, sebbene Marina non era molto fornita di petto ed io sono bello grosso di taglia, l’orlo non arrivava più in là dell’inizio del taglio del sedere.

Sfiorai con delicatezza le natiche scivolando giù fino al perineo (scusate, studio medicina: è il tratto che separa il sedere dalla vagina).

Marina lo chiamava affettuosamente “il tavolo da biliardo” perché è il posto dove si scontrano le palle, ed è anche una delle zone dove adorava essere stimolata maggiormente.
Mi infilai sotto il lenzuolo, sfiorando con le labbra le cosce tornite e le natiche sode.

Sentii un tremito provenire da Marina, un “Uh !?!” improvviso e assonnato squarciò il silenzio.

Allungai prontamente la mano verso le sue labbra, intimando perentorio uno “Sssshhhh!!!” di avvertimento.

Riuscii a riconoscere al tatto il sorriso che le si apriva sulle labbra e il piccolo cenno di assenso con la testa. Poi portò la testa sotto al cuscino.

Bene, perché quando la ragazza aveva un orgasmo poteva essere MOLTO rumorosa. Quella volta nell’hangar allertammo tutta la base…che figura !!!

Tornai con le labbra sulle sue parti intime annusando a piene narici: un odore di umore vaginali mi travolse come un treno in corsa e ciò mi eccitò ancora di più.

Non avevo fretta, avevo tutto il tempo del mondo e me la volevo gustare: così toccai con la punta della lingua il perineo, provocandole un fremito seguito da una risatina, e iniziai a leccare con calma e voluttà, assaporando quel suo sapore salato.

Dei sospiri e dei mugoli fecero eco alla mia manovra. Dopo un po’ le alzai leggermente la gamba sinistra, facendole segno di girarsi. Marina capì al volo e si mise supina, divaricando ben bene le gambe.

Alzai l’orlo della camicia e mi rituffai sul suo sesso rovente. Il calore umido che proveniva dalla vagina era pazzesco. Tracciai con l’indice il bordo delle grandi labbra, spremendole con le piccole e infilando poi un dito dentro il canale. Marina sobbalzò con un urlo soffocato, irrigidendosi per un istante.
Cominciai a muovere il dito come un pazzo, e ben presto ne aggiunsi un secondo. Marina non dava segno di fermarsi, si agitava ad ogni spinta della mia mano, che era ormai umida dei suoi umori.

Mi era ormai venuta l’acquolina in bocca: tolsi le dita dalla vagina e mi abbassai, iniziando a leccare i contorni delle gambe.

Un “ooooohhh” soffocato fece eco alla mia manovra. Marina nonostante fosse bionda naturale (questo, fidatevi, è sicuro) non era affatto scarsa a peli in quella zona. Erano tutti bagnati, naturalmente. Continuai a leccare come un disperato, tenendo ben divaricate le gambe con le mani, per evitare lo stritolamento!!!

Marina si contorceva, sentivo che stringeva il cuscino per non urlare. Ben presto fui investito dal sapore delle sue secrezioni vaginali.
Adoravo il loro sapore ma…quella notte era, come dire, più buono, quasi zuccherino. Non me ne curai più di tanto: bevvi avidamente ripulendo tutto.

La ragazza arrivò rapidamente all’orgasmo, dopo che io le avevo titillato con la lingua il clitoride duro e teso. Inarcò le reni con una serie di urli soffocati e scomposti.

Le diedi il tempo di riprendere fiato poi le raccolsi le gambe mettendole ad arco. Mi misi in ginocchio e le alzai il bacino puntando il mio pene ingrossato e paonazzo all’apertura della vagina. Poi con un colpo secco e deciso la infilazai.

Un “aaahhhh'” si levò da sotto il cuscino.

La vagina di Marina aderiva perfettamente al mio uccello. Le pareti interne stringevano sapientemente sull’asta. Ad ogni mio movimento percepivo le scintille di piacere. Dovevo cercare di contenermi per non venire immediatamente. Mi feci forza per rimanere in silenzio.
Iniziai a muovermi prima con un ritmo lento e cadenzato, accompagnato dai suoi movimenti pelvici, poi sempre più veloce e assatanato.

Vedere Marina contorcersi come una vacca sotto di me mentre me la scopavo come un ossesso, sapere che mia sorella, Miss perfezione, Miss “calma che risolvo tutto io”, Miss “non ti arrabbiare e non essere sboccato”, dormiva tranquilla e non immaginava che a pochi metri mi stavo sbattendo la sua migliore amica mi eccitava ancora di più. Immaginavo il viso contorto di Marina dalla lussuria. I miei sospiri si confondevano con i suoi mugolii, che si facevano sempre più forti.

In breve la sentii arrivare all’orgasmo. Iniziò ad inondandomi di secrezioni e ad agitarsi come un ossessa. Per precauzione premetti il cuscino sopra la sua faccia per evitare che le urla svegliassero mia sorella. La sua vagina si animò come di vita propria, stimolandomi ovunque.

Ormai ero prossimo anche io. Marina giaceva quasi esanime. Un attimo prima di venire mi ricordai che lei non usava metodi contraccettivi. Estrassi il membro da quella fornace e, malgrado la tentazione di venirle addosso fu molto forte, sapendo che che il giorno dopo lei non avrebbe saputo come giustificare le macchie a mia sorella, mi girai di lato e masturbandomi con un paio di colpi venni copiosamente sul letto.

Mi gettai di lato sfiancato.

Come accade ogni volta che faccio l’amore venni preso da una gran voglia di latte.

Ebbene sì, sono fatto così. Marina lo sa bene e per eccitarmi mi faceva vedere che nella sua borsa c’era sempre un quarto di litro di latte fresco.

Mi alzai e mi diressi verso la cucina, inciampando altre tre o quattro volte.

La luce del frigorifero illuminò un bigliettino sul cartone del latte. Era un’altro messaggio di quella pazza di Marina!!!

Lo lessi curioso mentre sbevazzavo il latte: “Tesoro caro, scusami ma sono dovuta andar via. Giulio ha avuto una licenza premio e l’ho saputo all’ultimo minuti. Ma se sei qui vuol dire che hai gradito il regalo che ti ho fatto per scusarmi con te. Alla prossima! Con amore, Mari”

NON ERA LEI?
Metto in moto il cervello…non penso che abbia avuto il tempo di chiamare altre amiche…ma allora? Chi era?

Poi un lampo: ODDDIOOO MI SONO SCOPATO MIA SORELLA !!!!!

Il cartone del latte mi scivolò dalle mani. Mi accasciai su una sedia disperato.

“Oddio che cazzo ho combinato…quella stronza di Marina…ma che cosa ha pensato? Mia sorella, quella pazza isterica scatenerà i miei genitori, la polizia…andrò in galera!”

Mi sentivo perso, disperato. Cercai di ritrovare la calma respirando profondamente.

Dunque, se mia sorella non aveva protestato vuol dire che se lo aspettava. Escludendo che fosse d’accordo sul fatto che fossi io tra le sue gambe…ma allora, come mai?

Mi alzai facendo maggiore attenzione a fare silenzio. Chiusi con calma la porta del corridoio e accesi la luce del salotto.

Per terra tra gli oggetti su cui avevo inciampato più volte troneggiava una delle cose più strane che avessi visto in vita mia: una specie di mutanda di pelle, sulla quale nera agganciato un gigantesco fallo di gomma completo di testicoli e peli.

Mio Dio! Un cazzo finto!

Raccolsi quello strano oggetto cercando di soffocare le risate con una mano.

Il regalo non era solo per me! Mia sorella era già umida e si aspettava che venisse Marina!!!
Quella ninfomane non solo si faceva me, ma si era fatta più volte anche la sua migliore amica!!! Che maiala !!!!

Mi sedetti sul divano continuando a ridere e agitando nell’aria quel coso.

“E brava Marina! Sei riuscita a farmi scopare mia sorella…”

Le avevo detto un giorno mentre ci rotolavamo come matti sul letto che non mi sarebbe dispiaciuto darle una lezione’
Guardai una foto in una cornice d’argento sul tavolino: era stata scattata ad una festa di matrimonio penso.

Mia sorella avevo un bell’abito blu elettrico, le braccia scoperte abbronzate, i riccioli castani che le incorniciano il viso e le spalle, un sorriso radioso, la collana di filigrana dorata. Notai come avesse lo stesso culo maestoso di Marina. In più, rispetto a lei, notai il seno… Meraviglioso, una quinta un po’ cadente ma perfettamente sodo e rotondo.

Se non fosse per quel carattere da ‘maestrina calma e frigida’, pronta a bacchettarti sulle mani…però…ripensandoci bene…a letto si era comportata bene!

Allora la sua è tutta una recita!

Dunque potrei tornare in camera mia, serbare per me il segreto di essere riuscito a scoparmi mia sorella, oppure…

Dirigendomi in camera da letto dei miei genitori pensai: “meglio l’oppure”

L’indomani la luce del giorno illuminava la stanza. Non ero riuscito a dormire un granchè bene…mi addormentavo e svegliavo dopo un quarto d’ora in preda al nervosismo.

Invece Dalia dormiva di gran gusto, respirando rumorosamente. Mi piaceva vederla dormire.
Poi, improvvisamente, si destò iniziando a stiracchiarsi.

Socchiusi gli occhi facendo finta di dormire.

“Ahhhh che bella dormita!” – disse contenta – “Tesoro! Che bella sopresa mi hai fatto stanotte, dopo ieri sera…però non credevo…ODDDIO DAVIDE CHE DIAVOLO CI FAI TU QUI !?!?!”

Mi sferrò un paio di calci nelle parti basse. Per fortuna non caddi a terra.

Sentii la coperta quasi lacerarsi mentre lei la strattonava per coprirsi dalla vergogna.

Feci finta prima di soffrire per i calci (e là non finsi molto) poi di sbandare vedendola lì: era livida dalla vergogna seduta nel letto che si proteggeva con la coperta tendendosela stretta.

“Odd-ddio Dalia…io…non sapevo” – balbettai – “credevo che ci fosse…”
“Che ci fosse chi !?!?” – rispose irata.
“Beh…che ci fosse…Marina…”

Un lampo di comprensione le passò nel volto, divenne ancora più rossa dalla vergogna.

“Vuoi dire che stanotte…?” – balbettò stavolta lei – “che…tu e io…?”

Feci finta di rimanere ammutolito dall’orrore. Lei scoppiò in un pianto dirotto, soffocato dalla vergogna.

“Ma cosa ho fatto !!? ” – gemeva- “Ho fatto l’amore con mio fratello! Che…che sono…”

Eh sì, mia sorella non riusciva a dire parolacce. Mai.
La abbracciai. Dopo un primo scatto ritroso all’indietro, si abbandonò con la testa sulla mia spalla nuda. I suoi riccioli e le lacrime mi facevano solletico.

Era la prima manifestazione di affetto di mia sorella dopo tempo immemore.

Cercai di non pensare ai seni gonfi che mi premevano il petto e di non eccitarmi.

La lasciai sfogare per un po’. Aveva addosso una delle mie vecchie camicie…non immaginavo lontanamente che anche lei ci dormisse. Mi spiegai il perché l’orlo inferiore così alto…

Ad un certo punto mi prese per le spalle, seria.

“Davide, non ne dovremo far parola con nessuno…hai capito ?!? Con nessuno! Neanche con mamma e papà, con nessuno !!!”

“Va bene Dalia, non c’è problema.”

“E neanche con Marina.”

“Va bene.”

Mi guardò tra il serio e l’incazzato.

“Dimmi la verità, Davide” – mi disse guardandomi fisso negli occhi – “lei ha approfittato di te…quella…quella…”

“No” – risposi calmo – “Dalia, non ho più dieci anni. Marina ed io scopiamo ormai da un anno a questa parte e ci piace ad entrambi.”

Mi diede un sonoro ceffone.

“Non parlarmi così!” – sibilò pallida dalla furia. Non reagii ma continuai a parlare.

“E perché non dovrei? E’ la verità !?! A lei piace…fare l’amore con me, e a me con lei…Ci divertiamo! Che c’è di male? In fondo…anche a te è piaciuto, non è vero !?!”

Allargò gli occhi dallo stupore.

“Cosa !?!” – chiese di scatto.

Preferii glissare sulla mutanda fallica.

“Beh…mi riferivo a stanotte…”

Abbassò lo sguardo, non ho mai visto il suo volto così arrossato.

“Sì…è stato bellissimo, ed intenso… ” – mormorava piano piano quasi sottovoce.

“Anche a me è piaciuto molto, sorellona!” – annuivo felice – “quindi…”

Lei mi guardò con aria sconvolta, poi vedendo la mia erezione che si alzava imperiosa sbiancò.

“Mamma mia! Davide! Non starai mica pensando…guarda che noi siamo fratelli, è incesto! Non si fa! Stai scherzando..?”

Non si alzò per scappare, ma si ritrasse sulla spalliera del letto. Conoscevo come era fatta Dalia: anche se l’idea le era piaciuta non l’avrebbe mai accettata, forse anche per orgoglio. Avrei dovuto forzare un po’ la mano per convincerla.

Le abbassai le braccia e le sbottonai la camicia mentre lei mi guardava attonita.

“Davide sei pazzo! Fermati…ti prego! Non si fa! Già abbiamo…”

“Appunto. Il più è fatto.”

Dopo gli ultimi bottoni potevo finalmente ammirare i suoi seni, liberi dal reggiseno e maestosi. Mi tuffai sulle grosse aureole e sui capezzoli leccando e baciandoli come un disperato. Mia sorella cercò di scostare la mia testa senza riuscirci.

“Davide…calmati…mmmmhhh… Lo so, sei sconvolto, ma…ahhhh…questa pazzia deve finire…non si fa! Mmmmmm…non voglio!!!”

Dopo un po’ alzai la testa e la guardai da dietro la curva dei seni: si mordeva il labbro inferiore. Dovevo agire in fretta.

“Ti prego Davide…basta!!! Non sta bene…”

Con uno scatto le saltai in mezzo alle gambe allargandole. Dalia lanciò un urlo disperato e mi afferrò la testa senza però opporre alcuna resistenza mentre le affondavo di nuovo l’uccello nella figa. Rimase a fissarmi negli occhi e a gemere dopo il primo affondo.

Inizialmente immobile e ammutolita, man mano che aumento il ritmo, cominciò rispondere agitando il suo bacino. Dopo cinque minuti mi avvinghiò con le sue gambe. Sentii i capezzoli che strusciavano sul mio petto. Cercai la sua bocca per un bacio. Lei inizialmente cercò di fuggire, poi si lasciò andare. Le nostre lingue si intrecciarono.

Mi staccai. Mentre spingevo lei continuava ad emettere mugolii in silenzio fissandomi.

Poi la rigirai e la misi a quattro zampe.

Volevo soddisfare un mio vecchio desiderio. Cominciai a montarla alla pecorina, tenendola per i grossi seni, stuzzicando i capezzoli gonfi e duri. Era così bella vista da dietro: la sua schiena abbronzata, i capelli scomposti, la testa che ciondolava in preda alla lussuria.

Fu allora che mia sorella si lasciò andare.

“Sììì che porca che sono! Dai, fratellino, fottimi!! Trombami!! Scopami!!! Ahhh che bel cazzo duro che c’hai…oooohhhh!! Che troia che è stata Marina a scoparti prima di me…arrrhh…chiavami con forza!!! Come una puttana!!! ahhh!!”

Dalia era sempre più eccitata, inarcò il corpo all’indietro afferrandomi per le spalle mentre io continuavo a scoparla. Strinse le mie mani sui suoi seni.

“Daiii…ahhh…dai tesoro, piccolo mio…che vengo…oohhhh…chiavami ancora…ahhhh!!!”

E arrivò all’orgasmo con un urlo fortissimo. Il mio pene fu irrorato di umori. Vedere la bambina perfetta che godeva come una disperata mi fece raddoppiare le forze. Continuai a fotterla con più foga mentre lei si stendeva supina.

Dopo poco anche io ero prossimo all’orgasmo. La avvertii.

Mia sorella scattò come un serpente girandosi e aprendo la bocca. Dopo poco le venni in viso copiosamente.
Lo sperma le bagnò i capelli ricci ed i seni gonfi dall’eccitazione.

“Mmmm fratellino…è stato bellissimo!”

Io intanto ringraziavo Marina del suo bel regalo, che mi avrebbe allietato per chissà quanti altri giorni.

Ora che mia sorella si era sciolta, magari…avremmo potuto provare anche una cosa a tre.

Marina non era il tipo da tirarsi indietro. Booom!

Il sibilo della frenata e il botto dell’urto fecero un tutt’uno nella strada intasata di traffico.
Mi sentii venir meno le gambe non per essermi infortunato fisicamente, ma piuttosto perché immaginai il danno subito dalla mia auto nuova fiammante, appena uscita dal concessionario.
Mi accostai lungo il marciapiedi e uscii a controllare, adirato con chi m’era piombato addosso tamponandomi sul retro

Da una mercedes bianca vidi scendere una ragazzina.

Controllai la rabbia e sforzandomi di rimanere calmo le chiesi conto della sua manovra azzardata: mi spiegò farfugliando che andava di fretta, perché doveva riportare l’automobile a casa sua prima del rientro dei genitori.

Pretesi subito la compilazione del CID. Il danno era grosso: sicuramente avrei dovuto sostituire l’intero paraurti posteriore. L’auto della stronzetta spraticona, invece, neanche un graffio.

Ilaria – questo il suo nome – mi confessò di non avere la patente e che perciò non avrebbe potuto fare niente in ordine all’assicurazione. Aveva compiuto 18 anni da appena una settimana e non era ancora iscritta all’autoscuola. Intanto però, in assenza del padre, prendeva la macchina della madre per andarsene in giro a cazzeggiare con le amiche.

Mi mise in mano la sua carta d’identità e il numero del suo cellulare, pregandomi di chiamarla più tardi senza contattare i suoi: mi avrebbe risarcito la spesa in contanti.

Quando la chiamai, mi fissò appuntamento per quella sera stessa in un bar del centro. Mi fu facile riconoscerla: alta e snella, un culetto a mandolino, un seno troppo vistoso per la sua giovanissima età, il viso incorniciato da un caschetto di capelli fulvi, gli occhi ancora pieni di paura per l’incidente. Dichiarò impacciata di volermi risarcire, ma che non avrebbe potuto farlo subito perché non aveva tutti i soldi necessari per la riparazione della mia automobile.

La rabbia tornò a disegnarsi sul mio volto. Lei se ne accorse e mi propose un risarcimento in natura.

Non riuscivo a capire ancora a cosa alludesse e tornai a minacciarla di dire tutto al padre, per ottenere quanto mi spettava.

Ilaria fu allora più esplicita: si sarebbe lasciata scopare da me tutte le volte che avrei voluto e come avrei voluto.

La proposta mi sembrò così stramba che preferii andarmene e lasciarla nell’incertezza.

L’indomani raccontai tutto a due miei amici quarantenni single come me, i quali, a mente più fredda della mia, mi fecero capire l’importanza dell’opportunità che m’era capitata tra le mani. Avrei potuto fottermi la troia a mio piacimento e (magari anche) per tutta la vita!

Cominciai allora ad apprezzare la proposta di Ilaria. La contattai e accettai il suo “risarcimento”; la puledrina, per inesperienza, si era legata con un impegno che, in realtà, era eccessivo rispetto al danno che doveva pur riparare.

La incontrai dopo una settimana: la feci salire sulla mia macchina e la portai a casa mia. Avevo una voglia matta di vendicarmi con lei. Senza alcun preliminare la spogliai del tutto e tolta minigonna e maglietta le puntai alle labbra il mio cazzo.

Volevo che si sentisse una bagascia.

Lei sapeva di dovermi soddisfare in tutto e remissivamente assecondò i miei desideri. Cominciò a slapparmi l’asta e le palle con una perizia che certamente non le proveniva dalla pratica ma dalla congenita troiaggine.

Sentii la minchia ingigantirsi lentamente dentro la sua bocca, mentre le guance le si gonfiavano come quando ci si sta abbuffando. Lei era come in trance: con le palpebre socchiuse si lasciava manipolare docilmente, senza protestare, limitandosi a mugolare e a sospirare, mentre le mie mani la palpavano freneticamente.

Ilaria si applicava devotamente al pompino, impegnandosi come se volesse succhiarmi l’anima.

Io nel frattempo esploravo eccitato le fessure più intime del suo corpo: la fica bagnata e contornata da una peluria rossiccia ben curata, rasata a modo, l’ano stretto e piacevolmente elastico a giudicare da come accoglieva il mio medio prima e poi anche il pollice.

Pregustai la scopata che mi accingevo a fare.

La feci stendere sul divano, le alzai le gambe poggiando le sue caviglie sulle mie spalle, e le affondai il cazzo nella fregna.

Fu allora che la troia iniziò a proferire con un filo di voce roca qualche monosillabo: “sì….sì….dai! ooooh…ohhhh!”.

La cavallina stava già godendo!

Questo mi infoiava, ma mi faceva anche arrabbiare: volevo farle pagare caro il paraurti!

La pompai con foga selvaggia con l’intento di farle male; ma lei riusciva ad tener testa a tutti i miei affondi.
Allora la feci girare e le puntai la cappella sullo sfintere: appena diedi il primo colpo la zoccola si rese conto di ciò che l’aspettava e mi supplicò di fare piano. Avevo finalmente trovato la “via stretta” della vendetta: infierii non curante dei suoi lamenti, violandole il bel culetto da adolescente cresciutella.

La chiavai con estrema soddisfazione: vedevo entrare e uscire il mio bastone di carne da quel buco stretto che ogni volta si apriva e si chiudeva come una voragine.

Aveva il retto pulitissimo e questo aumentò la mia soddisfazione.

Con le mani le tenevo i fianchi, costringendola a dimenarsi e ad adeguarsi al ritmo della chiavata.

Di tanto in tanto le tiravo i capelli e lei inarcava superbamente la lunga schiena contorcendosi per il dolore e voltandosi a guardarmi. Potevo leggere nel suo sguardo odio che si tramutava in sottomissione appena le mie mani afferravano le sue grosse tette tette e le mie dita si affrettavano a strizzarle i capezzoli turgidi. Dolore e eccitazione le deformavano il viso.

Tornai a scoparla nella fichetta ancora acerba: la feci mettere a cavalcioni su di me e le ordinai di cavalcarmi. Si scatenò andando su giù lungo il mio cazzo, mentre affondava le unghie nei miei pettorali.

Percepii presto i suoi fremiti e sentii le sue cosce serrarsi nella morsa causata dall’orgasmo che le montava dentro.

Anch’io non mi trattenni più e sborrai urlando animalescamente.

Sono già tre mesi che mi scopo la diciottenne rossa, che intanto s’è già regolarmente munita di patente di guida.

Ma rimane davvero una spericolata! L’autobus mi aveva lasciato al bivio di una stradina stretta e polverosa, dove un cartello scritto a mano indicava “Campo di Pian della Castagna, km.8”. Qualcuno s’era divertito ad aggiungere sotto l’indicazione la scritta “di salita!”.
Me l’avevano detto che avrei dovuto arrangiarmi nell’ultimo tratto, ma non mi avevano specificato la distanza né la pendenza. Bell’affare.

Dieci del mattino, sole già alto, giornata calda e un pesante zaino da portare sulle spalle per otto chilometri, in salita!
E quando sarei arrivato?
Sedetti sul paracarro con lo zaino a terra e mi misi a pensare. Mi aspettava una bella sfacchinata; è vero che a diciannove anni non dovrebbe essere la fine del mondo, ma cominciavo a pentirmi di aver aderito a quel ‘Campeggio nel bosco’, organizzato, diciamo così, da un gruppo di miei amici.
Un posto sperduto lontano dalla civiltà alla fine di quella specie di viottolo largo, dove a malapena ci passava un’auto.
Chiamai Carlo, l’ideatore, al telefonino. Gli dissi dove stavo e la triste prospettiva. Mi rispose laconicamente che erano ‘cavoli miei’.
Lassù si stava benissimo…e c’erano anche le allegre ragazze, quelle che all’Università sembravano le santarelline.
‘Se ti raccontassi cosa c’è qui…!’ – aveva concluso Carlo prima di chiudere la comunicazione.

Pensai di aspettare il passaggio di un autobus di linea e tornare a casa. Andasse a fare in cxxx il ‘Campeggio nel bosco’!
Proprio in quel momento sopraggiunse un’auto, lampeggiò indicando che avrebbe voltato per quella stradicciola.
Era molto grossa e mi chiesi se ce l’avrebbe fatta a passare. La guidava una donna che appena voltato, si fermò e abbassò il vetro del finestrino sorridendomi.

“Vuoi un passaggio?”

“Magari!”

“Metti lo zaino nel portabagagli e salta su.”

Feci come mi aveva detto, aprii lo sportello. Mi colse un’aria fresca e un profumo di buono. Entrai, sedetti e allacciai la cintura di sicurezza. Tornò a sorridermi; non era certo giovanissima, forse aveva anche qualche anno più della mia mamma, una quarantina insomma, ma era simpatica.
Non posso dire fosse bella. Non portava trucco, il viso acqua e sapone, i capelli, di un biondo indeciso, erano raccolti a coda di cavallo. La camicetta allacciata in vita, a quanto mi era dato vedere, conteneva un seno non eccessivo ma certamente senza reggipetto. Lo si intravedeva chiaramente. Gonna di cotone a fiori, plissettata, abbastanza su, quasi a metà coscia, e le gambe ben in mostra, di fattura piacevole.
Erano dorate e glabre. Un esame puramente estetico, senza alcun riferimento d’altro genere.

Mi tese la mano.

“Come ti chiami?”

“Piero.”

“Io sono Beatrice. Stai andando al Campo dove sono i tuoi amici?”

“Si, lo sa? Abbiamo fatto un piccolo campo, con le nostre tende.”

“Certo che lo so. Al bivio c’è il cartello che lo dice e nei giorni scorsi ho dato un passaggio ad altri tuoi amici. Sei in ritardo, vero?”

“Si, ho dovuto attendere che i miei andassero in villeggiatura.”

Si avviò lentamente. Tornò a guardarmi, fissò le mie cosce, abbastanza muscolose, che uscivano dai corti pantaloncini.

“Sei ben messo, ragazzo. Fai ginnastica?”

“Quando posso.”

“Cosa?”

“Principalmente tennis, nuoto, palestra…ma lo studio me l’ha fatta un po’ trascurare.”

Allungò una mano, palpò ben bene la coscia, in più parti.

“Non si direbbe” – Passò con la mano al bicipite – “Anche qui, niente male…”

Si assicurò anche della consistenza dei pettorali, quasi con distacco professionale, e quindi degli addominali. Più o meno casualmente si strusciò lentamente sul mio pisello che, carico e voglioso com’era, non restò insensibile.

“Lei è medico?”

“No, sono biologa.”

“E’ in vacanza?”

“Si, ho una villetta poco prima del termine di questa stradina, e vi si accede da una stradina ancora più piccola, nascosta tra le querce.”

“Sta con i suoi?”

“Con mia sorella. E’ più anziana di me. Ha ceduto la farmacia e non mi lascia sola un momento. Per questo, appena posso, prendo l’auto e scappo in paese.”

Mi guardò sempre con un sorriso enigmatico.

“E tu, che facoltà frequenti?”

“Ho terminato il primo anno di economia e sono riuscito a superare tutti gli esami, una sgobbata!”

“Hai fatto anche l’esame con Marinucci?”

“Si, ho preso trenta. Lo conosce?”

“E’ mio cugino. Ma non star a darmi del lei, mi fai sentire così vecchia!”

Cercai di essere carino.

“Ma che vecchia e vecchia! Lei…scusa…tu…sei giovanissima!”

“Sì? Di primo pelo! Due anni fa ho girato la boa degli ‘anta’. E’ tutto un tramonto!” – Scosse significativamente il seno – “Altro che la tua saldezza…. Senti!”

Mi prese la mano e la portò sulla sua coscia, proprio là dove finiva l’orlo del vestito, sulla carne nuda. Fu naturale che stringessi, palpassi.

“Però! Fai ginnastica anche tu?”

“Raramente, un po’ di tennis. Basta!”

Non tolsi la mano. Quel contatto mi piaceva e mi stava eccitando parecchio.
Non mi era mai capitato di ‘tastare’ una donna di quell’età, mi aspettavo qualcosa di più molle. Era piacevole quel contatto. Piacevolissimo.
Mi spinsi un po’ in su. Inutile, giovane o non giovane, la strada per la ‘gnocca’ è sempre quella, e l’effetto non cambia. ‘Pisellone’ lo confermava.
Beatrice strinse le gambe e serrò la mia mano. Mi rivolse uno sguardo enigmatico. Poi, senza nulla dire, allungò la mano e la posò decisamente sulla mia patta, ben rigonfia.

“Allora, ragazzo, non menti quando dici che non sono vecchia. Mi sembra che lo stai dimostrando chiaramente.”

E ‘lo’ afferrò, con risolutezza, energicamente, stringendolo attraverso la stoffa dei pantaloncini. La mia reazione fu di salire ancora con la mano…

Per Diana! Non aveva mutandine!

Era una foresta di seta, di ricci che sembravano muoversi animati di vita propria.

Beatrice svoltò in un viottolo, nel quale la macchina passava appena appena, girò ancora e si fermò sotto i castagni, nel fitto del sottobosco più alto dell’auto. Spense il motore, poi senza parlare, maldestramente abbassò la zip dei miei shorts lasciando libero il mio pisellone, ritto e palpitante.

Tirò su il vestito e mi si mise a cavallo sostenendosi sui piedi. Preso il glande con due dita, con l’altra mano scostò le grandi labbra, ‘lo’ portò alla sua vagina che fremeva e vi si impalò, quasi di colpo, cadendo con le sue sode chiappe sulle mie cosce. Si spostò in avanti, ne voleva ancora, ce n’era certo, ma non ne entrava di più.

Cominciò a dimenarsi, dapprima piano, poi sempre più lascivamente, con la testa rovesciata, gli occhi socchiusi. Gemeva sempre più forte.
Ad un tratto slacciò la blusa, l’aprì, avvicino un capezzolo alle mie labbra.
Cominciai a ciucciare.
Il collegamento tetta-vagina era perfetto. Io ciucciavo e lei mungeva il mio fallo. Meravigliosamente.
Un attimo prima che io godessi, fu lei a gridare un lungo e soffocato ‘eeeeeccccooooooooo!’ che la travolse e si strinse a me, quasi mi stritolava quando il mio seme, caldo e abbondante, irruppe in lei.

“Come sei bravo, Piero, come sei bravo! …si! Riempimi di te, di te…” E si avvinghiò voluttuosamente.

Non so per quanto tempo restammo così. Immaginavo lo stato dei miei pantaloncini, perché sentivo scorrere sulle gambe quanto usciva da lei. Percepivo il calore del suo grembo, le piccole contrazioni e questo stava facendo rifiorire la mia eccitazione.

Il mio sesso stava ricrescendo in lei, di nuovo. Mi guardò, con occhi sfolgoranti.
Era sudata. Ed era bellissima. Si mosse un po’.

Sì, la rivolevo, volevo ancora esplodere in lei. Non mi fece attendere. Cominciò a muoversi più ardente e impetuosa di prima. Il ‘ciac ciac’ delle sue natiche sulle mie cosce ritmava il crescendo della nostra voluttà. Le mie labbra si alternavano sui suoi capezzoli, le mani erano afferrate ai suoi glutei, li accompagnavano…

“Amore mio, amore mio…mio…miooooooohhhhhh!”

E proprio allora il mio seme la invase nuovamente, spargendosi in lei.

Ci eravamo rassettati alla meglio, avevo aperto lo zaino, tirato fuori dei pantaloncini puliti.
Beatrice mi seguiva cogli occhi, estasiata. Si avvicinò a me, mi abbracciò, mi baciò sulla bocca a lungo stringendomi forte.

“Grazie, bambino mio! Mi hai resa felice, beata. Non ti dimenticherò mai! E’ stato bellissimo, meraviglioso…Grazie!”

Riaccesa l’auto, tornò sulla stradina principale e mi portò fino allo slargo dove, dopo pochi metri, era piantato il ‘campo’.
Presi lo zaino, le tesi la mano.

Ci salutammo così, per paura che qualcuno del ‘campo’ potesse vederci.

Quando giunsi al campo fui accolto da un coro di applausi, di grida.

“Ecco Piero!”

Posai lo zaino per terra. Mi porsero una lattina d’aranciata. L’aprii. Bevvi un sorso.

“Ragazzi, devo svelarvi quello che mi è capitato.”

Risero tutti. Le ragazze accennarono ad allontanarsi. Carlo fece segno di stare zitti.

“Silenzio! Ora Piero ci racconta come ha conquistato Beatrice la scopatrice, quella che s’apposta sulla statale per dare un passaggio a qualche bel fusto per poi farselo come un’assatanata…Silenzio!” Mi chiamo Marco e vorrei raccontare quanto mi e’ successo alcuni anni fa.
A quel tempo avevo 19 anni e stavo con una ragazza di 16 di nome Maria, una rossa tutto pepe. Non perdevamo occasione per fare l’amore sebbene la cosa non fosse cosi’ semplice; la mia famiglia e la sua erano numerose e avere un vero letto a disposizione era cosa ardua.
Ci arrangiavamo in macchina, a casa di amici studenti fuori sede, comunque sempre in situazioni di fortuna.

I fratelli maggiori di Maria erano tutti sposati, uno di loro conduceva un ristorante insieme alla moglie.
Una estate, durante le vacanze, mi proposero di dare una mano al ristorante per una settimana.
Lei, Francesca, ed il fratello di Maria abitavano in una villa in campagna. Dissero che non avrebbero avuto problemi ad ospitare me e Maria, che Maria aveva prontamente accettato la proposta. Finalmente saremmo potuti stare insieme quasi tutto il giorno!

Arrivò il primo giorno di lavoro: una fatica tremenda, caldo fuori, caldo in cucina. La fatica era attenuata però dal pensiero della serata con Maria. Non potete immaginare la mia sorpresa quando, mi venne mostrata la mia stanza: letto matrimoniale e, ulteriore sorpresa, condiviso con Maria. La cosa mi lasciò inizialmente imbarazzato. Come? A letto insieme a casa di suo fratello?
Maria si accorse del mio imbarazzo e mi spiego’ che suo fratello e sua cognata Francesca “non erano all’antica”.

Quella notte fu indimenticabile.

Maria si presentò a letto vestita con una leggerissima camicia da notte e…niente sotto.
Rimasi basito nel vederla così bella: i capelli sciolti sulle spalle, la pelle bianca tipica delle rosse, la camicia da notte che evidenziava i suoi piccoli seni sodi ed i rigonfiamenti dei capezzoli già turgidi.
Lei sali’ carponi sul letto guardandomi dritto negli occhi, si avvicinò a me gattonando e infine prese ad accarezzarmi il viso.

“Sei molto simpatico a mio fratello ed a Francesca, anzi lei mi ha detto che ti trova molto bello”.

Mentre diceva questo era salita a cavalcioni delle mie gambe e lentamente aveva cominciato ad accarezzarmi il petto indugiando sui capezzoli.
Mi lasciai coccolare dal suo massaggio e dalle sue carezze sempre più sensuali. Poi si chinò a baciarmi i capezzoli.
Il mio cazzo era già in tiro, lei, accortasene, scivolò giù e, presolo in mano, cominciò a succhiarlo.

Era bravissima! Le sue labbra lo avvolgevano mentre la sua lingua scorreva lungo il bordo della cappella.
Il suo lavoro di bocca, il vederla china su di me, i suoi rossi capelli arruffati mi facevano impazzire.
Ero immobile in balia delle sue mani e della sua bocca.

Non volevo venirle in bocca e sciupare subito l’occasione di avere a disposizione un vero letto. Così la girai ed iniziai a leccarle la passera.

Era già bagnata e dal ciuffo di peli rossi che la contornava veniva un odore agrodolce che mi inebriava.
Iniziai a leccarla con maggior passione; le presi il clitoride tra le labbra, provocandole un gemito.

Cercai di zittirla con una mano per paura che ci sentissero ma lei ansimando mi disse: “Stai tranquillo, sanno tutto…”.

Non me lo feci ripetere due volte, la portai sulla soglia dell’orgasmo quindi la tirai a me ed iniziai a penetrarla.
Lei godeva e si dimenava come una pazza. Io, prossimo a venire, come al solito uscii per non venirle dentro.
Lo facevamo per paura che lei restasse incinta. Poi la feci girare a quattro zampe e dopo una buona lubrificazione iniziai ad affondare nel suo secondo canale. Non ebbi difficoltà, non era la sua prima volta per cui non le feci male, anzi, iniziò fin da subito a godere come una pazza pronunciando mezze frasi incomprensibili.

La stantuffavo come un forsennato e sentivo le mie palle sbattere contro la sua figa.

Ad un tratto mi accorsi che la porta era socchiusa e che qualcuno ci stava spiando.

Mi bloccai un attimo.

“Che fai? Non fermarti” – disse Maria.

Rimasi interdetto per un momento. Certo se quel qualcuno, suo fratello o sua cognata, avesse avuto qualcosa da ridire avrebbe già fatto irruzione nella stanza, quindi mi sforzai di ignorarlo e ripresi a stantuffare.

Un orgasmo violento ci colse improvvisamente. Ci accasciammo stravolti sul letto. Io rimasi così per un po’, appoggiato alla schiena di Maria, finche’ il mio uccello non si sgonfiò ed uscì fuori da solo.

Ci addormentammo uno affianco all’altro e dormimmo fino al mattino. Il giorno dopo, mentre andavamo al ristorante, confidai a Maria quanto era successo la sera prima. Lei non si mostro’ sorpresa anzi, parlandomi di suo fratello e sua cognata mi disse: “Devi sapere che mio fratello e Francesca hanno dei problemi, o meglio, mio fratello ha dei problemi. Stanno cercando di avere un bambino attraverso l’inseminazione artificiale. Io e Francesca siamo molto amiche e lei si e’ confidata con me. E’ da un po che lei e mio fratello non hanno rapporti…probabilmente avrà’ voluto godersi lo spettacolo”.

La naturalezza con cui lo disse mi lasciarono un po’ allibito. Le notti successive la scena continuò a ripetersi.
L’ultimo giorno della settimana il fratello di Maria ci disse che avrebbe dovuto allontanarsi per partecipare ad una manifestazione fieristica del settore, credo si chiamasse CIBUS.

Quella sera cenammo in tre: io, Maria e Francesca. Maria e Francesca avevano un’intesa straordinaria nonostante la differenza di età’ (Francesca aveva più di 30 anni). Quella sera feci gli onori dell’uomo di casa: stappai il vino, versai da bere, mi offrii di lavare i piatti. Dopo cena ci sistemammo tutti e tre sul divano per guardare un film.

La pellicola non era male. In un attimo di distrazione posai nuovamente gli occhi su Maria e vidi che, seduta alle spalle di Francesca sulla spalliera del divano, le massaggiava le spalle.
Francesca indossava una leggerissima canottiera di lino a cui Maria aveva abbassato le spalline per massaggiarla meglio, cosi’ facendo pero’ l’indumento aveva lasciato scoperto il seno di Francesca.

Iniziai a sudare. Vedevo le mani di Maria scendere sulle sue spalle, per poi risalire. Ad un tratto notai che invece di salire sulla schiena passarono sul davanti e cinsero il seno di Francesca.

Francesca aveva gli occhi chiusi, mugolo’ leggermente e reclino’ la testa indietro per appoggiarla sul grembo di Maria.

Rimasi esterrefatto da quello spettacolo: le attenzioni di Maria si erano concentrate sul seno della cognata. Vidi chiaramente Maria titillarle i capezzoli. Una scossa elettrica scivolò tutto lungo la mia spina dorsale arrestandosi all’altezza dei coglioni, il mio cazzo si risvegliò impetuosamente. Iniziai a sudare freddo.

Incrociai gli occhi di Maria: aveva un’aria furbetta e maliziosa, pareva che mi provocasse.

Io, al limite del controllo, con il cazzo premeva contro la patta dei pantaloni, scesi carponi e mi avvicinai alle gambe di Francesca.
Iniziai ad accarezzale le gambe partendo dalle caviglie. Lei per risposta alzò con le mani la sua ampia gonna fino a scoprire le mutande che mostravano già un evidente alone.

Non attendevo altro: presi a leccarle l’interno delle cosce avvicinandomi sempre più alla sua figa.
Quando iniziai a leccarla attraverso la stoffa lei prese i bordi degli slip e se li sfilo’ lasciandomi campo aperto.

Intanto Maria continuava ad accarezzarle i seni ed i capezzoli.

Io succhiavo e leccavo, Francesca era bagnatissima e già’ sentivo le prime avvisaglie dell’orgasmo. Maria passò a fianco a lei e prese a succhiarle i capezzoli.

Francesca iniziò a godere con orgasmi a ripetizione. Io allungai la mano e con le dita iniziai a sgrillettare Maria.
Non ce la facevo più, il cazzo mi doleva, mi sbottonai i pantaloni e in un attimo me li tolsi.
Guardai Maria che mi fece con il capo un cenno di assenso.

Iniziai a sfregare il cazzo sulla figa oramai fradicia di Francesca. Ad ogni passaggio lei emetteva un piccolo grido di piacere.
Poi lentamente puntai la cappella all’imbocco del suo forno rovente e spinsi dentro.
Lei rispose con una contrazione dell’addome. Il suo calore mi avvolse ed io cominciai a muovermi, dentro e fuori, dentro e fuori con lentezza e decisione.

Maria nel frattempo si era messa dietro di me, il suo bacino contro le mie natiche e accompagnava le mie spinte.

Stavo per venire e volevo, come al solito, uscire per non sborrare dentro, ma Maria me lo impedì.

Venni dentro Francesca.

Un litro di sperma a fiotti riempiva Francesca che gridava di piacere strizzandosi i seni.

Mi lasciai cadere sulla schiena. Maria si sedette sul mio viso. Iniziai a leccarla con dovizia mentre lei mi ripuliva il cazzo. La sentii venire dopo pochi minuti.

Quell’episodio segnò la fine della mia settimana di aiuto al ristorante.
Tornai a casa e ripresi la vita di sempre con Maria.
Circa tre mesi dopo io e Maria ci lasciammo, io andai a studiare in un’altra città e non la rivividi piu.

Un giorno, durante un breve periodo di vacanza, mi trovavo a camminare per strada quando incontrai Francesca con una pancia molto evidente.

“Sono incinta di circa tre mesi” – disse facendomi l’occhiolino -“…sai? La fecondazione artificiale!” Sono Alex e sono sposato da quattro anni.
Mia moglie Sara è una donna molto dolce ma anche molto decisa, la nostra vita procede tranquilla, anzi procedeva tranquilla perché da alcuni mesi sono cambiate parecchie cose.
Non sono mai stato un macho, anzi, il mio aspetto fisico è tutt’altro che prestante e anche dal punto di vista sessuale non sono quel che si dice un predatore.
Sara invece è molto più irruenta, spesso è lei a prendere l’iniziativa e propormi nuovi giochi perversi.
Un po’ di tempo fa ad esempio mi chiese di sodomizzarla. Fui felice di accontentarla e da allora questa è la nostra pratica preferita.

Ma la svolta alla nostra vita avvenne lo scorso carnevale: fummo invitati a casa di alcuni amici per una festa in maschera e dopo vari ripensamenti decidemmo di scambiarci i vestiti. Lei avrebbe indossato i miei ed io i suoi.
Decidere quale vestito avrebbe indossato lei fu abbastanza semplice ma quando si trattò scegliere il suo per me le cose andarono per le lunghe.

Io avrei preferito un semplice tailleur ma lei mi convinse ad indossare un vestito da sera nero. All’inizio ero un po’ titubante ma poi decisi di accontentarla.

“Ti truccherò io e con il gel ti farò un acconciatura punk!” – disse

Sara sembrava molto eccitata dalla cosa e mano a mano contagiò anche me. Mi sottopose ad un depilazione completa, cosa che non comportò un gran sacrificio visto non sono mai stato un tipo villoso. Volle radermi anche i peli del pube ed io, preso dal gioco non mi opposi. Poi mi fece infilare un tanga ed un corsetto con i lacci che riuscì ad ovviare alla mancanza del seno.

“Sai che così sei proprio arrapate” – disse Sara complimentandosi con se stessa del risultato – “Hai un culetto irresistibile avessi l’uccello mi ti farei subito.”

Mi guardai allo specchio. Il risultato era niente male. Vedevo una diversa parte di me, come sarei stato se fossi nato donna. La cosa mi intrigava parecchio.

Sara non ci mise molto a prepararsi.

Fu una serata divertente. Dopo qualche difficoltà iniziale con i tacchi cominciai a sentirmi a mio agio in questa nuova veste e quando tornammo a casa non diedi tempo a Sara di cambiarsi le abbassai i pantaloni e la rovesciai sul divano e la sodomizzai a lungo con grande piacere per entrambi.

Pensai che la cosa fosse finita lì invece, alcune sere dopo mi ritrovai solo a casa. Sara si era fermata dai suoi genitori. Il ricordo di quella folle serata mi fece venir voglia di vestirmi di nuovo da donna. Cercai di resistere a quella strana tentazione ma con il passare del temponella mia testa divenne una specie di frenesia. Ruppi ogni indugio, andai in camera da letto e mi misi a cercare il vestito ed il corsetto, poi mi spogliai e lentamente iniziai a vestirmi.

Man mano che mi infilavo nei vestiti di Sara era come se mi trasformassi in un’altra persona con desideri e caratteristiche nuovi. Mi ammirai allo specchio, le mani che dapprima lisciavano il vestito cominciarono ad accarezzare il mio nuovo corpo. Sollevai il vestito e mi girai per osservare il mio culetto segnato dal tanga.

Aveva ragione Sara: era proprio appetibile. Cominciai ad accarezzarlo e all’improvviso le fitte di piacere invasero il mio corpo. Non ero eccitato come al solito. Era un’eccitazione nuova, il mio uccello era gonfio e sensibile ma non in piena erezione. L’eccitazione era localizzata intorno alla zona anale.

Pian pianino fui preso dal desiderio irrefrenabile di essere inculato, le mie dita cominciarono a forzare il buchetto che cedeva senza opporre resistenza. Il dito però non mi bastava così cominciai a cercare in giro finché non trovai un tubetto di crema delle dimensioni giuste, lo bagnai con la saliva e mi sodomizzai.

Le fitte di piacere mi sommersero e dopo alcuni minuti sentii lo sperma colarmi fra le gambe.

Mi accasciai sfinito. Mai avevo provato un delirio simile.

Un pomeriggio di pochi giorni dopo, approfittando dell’assenza di Sara, in preda alla medesima frenesia, mi spogliai, sistemai la poltrona davanti allo specchio della camera da letto e, indossato il corpetto e il tanga cominciai a sodomizzarmi con un grosso astuccio da sigari che avevo comprato per l’occasione. Le maggiori dimensioni del portasigari mi portarono immediatamente al punto di non ritorno e dopo pochi secondi abbondati fiotti di sperma mi inondarono le cosce.

Ero sconvolto, mi ci volle un po’ per accorgermi che Sara era alle mie spalle e mi guardava compiaciuta. Cercai di ricompormi ma lei si precipitò fra le mie braccia e coprendomi di baci mi sussurrò: “Stai tranquillo…è un po’ che ti guardo e mi sono eccitata da morire. D’ora in poi li faremo insieme questi giochetti se vuoi…”

“Certo saremo due amichette porcelle”.

Prese la mia mano e se la portò fra le gambe.

“Senti come mi hai fatto eccitare? Fai qualcosa ti prego! ”

La feci sedere sulla poltrona al mio posto e le sfilai le mutandine. Le dischiusi le labbra della figa con la lingua e iniziai a titillarle il clitoride poi, recuperato l’astuccio glielo feci scivolare lentamente nel culo.

“Sì!!! Così!!! Non ti fermare…”

Intensificai il movimento fino a quando le sue cosce mi serrarono la testa per poi abbandonarsi mentre il suo ventre si agitava in preda agli spasmi. Fu un orgasmo così intenso che non riuscì a trattenere piccoli schizzi di urina che mi bagnarono il petto.

Alcuni giorni dopo tornò a casa più tardi del solito carica di pacchi e pacchetti. Le chiesi cosa avesse comprato.

“Cose per noi…”

Presi un pacchetto incuriosito ma lei mi fermò.

“Non essere troppo curioso. è una sorpresa”.

Mi prese per mano e mi portò in camera da letto e cominciò a spogliarmi.
Dai pacchetti uscì un guardaroba completo: tanga, un corpetto nero, scarpe con il tacco, calze nere. Cominciò a truccarmi e pettinarmi poi mi fece indossare le cose che aveva comprato per me.
Rimaneva ancora un pacchetto, le chiesi cosa ci fosse.

“E’ una sorpresa” mi rispose.

La vestizione era finita. Mentre mi guardavo allo specchio ammirando i risultati del lavoro di Sara ero in preda ad una vera e propria frenesia. Sara intanto si era spogliata e con gesti lenti mi accarezzava il culetto sussurrandomi paroline dolci ed arrapati. Quando capì che non resistevo oltre allungò la mano e prese a scartare il pacchetto che era rimasto sul letto.

Ne venne fuori un doppio dildo di grosse dimensioni.

“Ti piace la sorpresa che ti ho preparato? Adesso la tua Sara ti inculerà come non avresti mai potuto fare da solo.”

Ero eccitatissimo all’idea sebbene un po’ preoccupato dalle dimensioni.

“Non preoccuparti” – mi rassicurò – “So come fare e poi da quello che ho visto l’altra volta il tuo culetto mi sembra abbastanza esercitato. Aiutami ad infilarmelo.”

Si sedette sul letto con le gambe aperte ed insieme facemmo scivolare il dildo nella sua vagina.

“Dammi solo un momento…”

Quando si fu ripresa si alzò. Era bellissima, il dildo era dello stesso colore della sua pelle, sembrava un essere ermafrodita.
Si posizionò alle mie spalle e iniziò a baciarmi le spalle poi scese e la sua lingua si insinuò fra le mie natiche e raggiunse il buchetto inondandolo di saliva.

Mi chinai in avanti arcuando la schiena per offrirmi alla penetrazione.

Sentii la punta del dildo spingere con decisione, cercai di dilatare al massimo lo sfintere ma, date le dimensioni, sembrava non ci fosse speranza poi, all’improvviso, lo sentii scivolare dentro di colpo.

Restai senza fiato.

Sara intanto dopo un attimo di pausa iniziò un movimento lento ma deciso. Fui invaso da una libidine incredibile. Dallo specchio guardai Sara negli occhi lei mi sorrise felice.

Allora le dissi: “Dai, spingi! Che aspetti?”

Inizio ad affondare colpi sempre più poderosi finché non venimmo insieme.

Adesso la nostra vita è cambiata. Quando vedo Sara girare nuda per casa con il dildo che si erge fra le sue gambe vado in camera da letto mi infilo le calze ed i corpetto ed aspetto mia moglie che viene a sodomizzarmi.

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