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Ilaria e la scommessa Azzurra: Italia-Svizzera (1° turno)

By 17 Luglio 20214 Comments

Mercoledì 16 giugno 2021

«Squadra che vince, non si cambia» aveva sentenziato suo padre, sin dal termine della partita con la Turchia. Non era uno scaramantico, in genere, ma quando in ballo c’era la Nazionale lo diventava a livelli maniacali. Il successo degli Azzurri nel match d’esordio agli Europei, con quel netto 3-0 che Ilaria e i suoi genitori avevano vissuto a casa degli zii, lo aveva convinto che anche per la gara con la Svizzera si dovesse replicare. La moglie, dopo lunghi negoziati, era perlomeno riuscita a convincerlo a ricambiare l’ospitalità: stavolta sarebbero stati loro a mettere a disposizione la casa per cena e partita.

Ilaria, naturalmente, ci sarebbe stata. Col fidanzato aveva fatto pace, la domenica precedente lo aveva pure accompagnato all’aeroporto. Era partito per Londra in fretta e furia, quello “stage irrinunciabile” sarebbe iniziato di lì a pochi giorni, e voleva avere il tempo per sistemarsi nel monolocale che il padre gli aveva trovato. Lei aveva fatto buon viso a cattivo gioco, gli aveva augurato una meravigliosa estate e si era auspicata di poterlo andare a trovare presto, anche se di fatto lui ancora non l’aveva formalmente invitata. In realtà dentro il fegato le rodeva non poco: pensare di passare l’estate dei suoi 19 anni, quella post maturità, senza il suo ragazzo e con solo qualche videochiamata erotica a fare da surrogato, le risultava difficile da accettare.
Alla fine però era contenta di aver deciso di andare al mare coi suoi e con gli zii, di lì a una decina di giorni. Oddio, “deciso” forse non era il termine più corretto, visto che era stata la scommessa persa con suo cugino Paolo a scegliere per lei. Ma il modo in cui si era arrivati a quell’epilogo l’aveva divertita, e ora era determinata a prendersi la sua rivincita. Ecco perché non sarebbe mai mancata alla visione di Italia-Svizzera.

Di fatto, poi, era convinta di potersi giocare una buona mano, stavolta. «La Turchia è scarsa, la Svizzera è tutt’altra cosa» le aveva detto pochi giorni prima Federico, proprio mentre in macchina andavano all’aeroporto. Lei aveva ascoltato tutte le considerazioni del fidanzato, si era presa anche degli appunti mentali – o almeno aveva cercato di farlo – ed era arrivata a una conclusione: l’Italia stavolta non avrebbe avuto vita così facile.
Un po’ le faceva strano, per la verità, ritrovarsi a scommettere contro la squadra per la quale in teoria avrebbe dovuto fare il tifo. Ma a lei del calcio importava poco, e poi l’Europeo era appena iniziato, in quel momento non le pareva un reato di lesa maestà fare il tifo contro gli Azzurri. Specie se poteva aiutarla a rifarsi con quello spocchioso di Paolo.

Questo si era ripetuta nella testa, anche se era consapevole lei per prima di quanto quella “spocchia” l’avesse divertita. Quel duello messo in atto con suo cugino le aveva sgombrato la mente dalla malinconia per la separazione col fidanzato, e a dirla tutta… l’aveva anche un po’ intrigata. Aveva provato in qualche modo un senso di orgoglio e soddisfazione, quando lui aveva fatto accenno a quel costume che a suo parere le stava così bene. Era stato quasi un piccolo, innocente flirt… Diciamo che si erano divertiti a provocarsi a vicenda, e non l’aveva trovato così diverso da quando, piccolini, si punzecchiavano su mille cose, sempre pronti a prendersi in giro per poi riderne insieme.
Fu anche per quello che propose ai genitori di lasciare che fossero lei e Paolo ad andare a ritirare le pizze che avevano ordinato per cena. «Ha la patente da poco, deve fare pratica, no?» aveva detto con la convinzione di chi sa di essere nel giusto. E già sapeva che in macchina l’argomento scommessa sarebbe saltato presto fuori, e che lo avrebbero potuto affrontare liberamente.

Ed aveva ragione, oh se aveva ragione… Erano partiti da casa da neanche due minuti, quando lui le chiese sornione: «Allora, cosa ci vogliamo giocare stasera?».
Lei decise di fare la sfacciata: «Non so se ti conviene scommettere, stavolta».
Al che lui scoppiò a ridere, come per smascherare quello che già aveva annusato come un bluff. «Ma non avevi detto che volevi rifarti dopo l’ultima volta?» le fece notare con un sorriso.
Lei lo ribadì, e poi arrivò dritta alla proposta: «Se stasera l’Italia non vince… durante le due settimane che saremo al mare, sarai un po’ il mio schiavetto. Quando ci sarà da lavare i piatti, da andare a fare la spesa, insomma quando i miei genitori mi chiederanno di fare qualunque cosa… tu sarai pronto a farla al posto mio».
Paolo sorrise. L’idea che sua cugina, fra tutte le cose a cui poteva pensare, avesse immaginato uno scenario fra padrona e schiavo, lo divertiva. Di più, lo stuzzicava.
«Ci sto» replicò senza alcuna esitazione.
«Sicuro? Guarda che la Svizzera è forte… Ha vinto il girone di qualificazione davanti alla Danimarca, se non sbaglio».
La nonchalance con cui era uscita questa informazione, chiaramente imparata a memoria, fece calare qualche secondo di irreale silenzio nella macchina.
«Wow, qui qualcuno ha fatto i compiti!» scherzò a quel punto lui, senza poter nascondere l’entusiasmo. Il fatto che Ilaria si fosse così impegnata per quel loro gioco, lo appassionava. Allo stesso tempo, però, non poteva resistere all’impulso di prendersi gioco di lei: «E dimmi, visto che sei così esperta… Riesci a nominarmelo, un giocatore della Svizzera?».
Istintivamente, Ilaria si morse il labbro inferiore. “Bastardo”, pensò fra sé e sé. Non conosceva i giocatori italiani, figurarsi se poteva indovinare quelli svizzeri. Più passavano i secondi, più il suo silenzio diventava imbarazzante.
«Ehm… – disse con un volume di voce sempre più basso – Beh… Per esempio… Hunziker?».
Quando arrivarono in pizzeria, Paolo stava ancora ridendo.

«Senti, c’è una cosa di cui ancora non abbiamo parlato – osservò lui, sulla via del ritorno con i cartoni della pizza caldi nel bagagliaio – Se l’Italia vince, tu che metti in palio?».
Se la aspettava, questa domanda. Più o meno da cinque giorni, cioè da quando aveva iniziato a pensare alla risposta.
«Sai quel costume verde e bianco che hai nominato l’ultima volta? Se l’Italia vince, lo indosserò per te».

La proposta gli era piaciuta, questo era stato evidente. Ma forse lo aveva messo anche un po’ in soggezione, perché per il resto del tragitto non disse molto. Non chiese dettagli, nulla. Ilaria si sarebbe aspettata una partecipazione diversa, e non poté fare a meno di chiedersi se avesse fatto bene ad azzardare così tanto.
Anche durante la cena Paolo restò taciturno, tanto che sua madre glielo fece notare.
«Mi sa che sento la tensione della partita» si giustificò lui.
«Ma come? – intervenne il padre – Non avrai mica paura della Svizzera?».
Lui scosse la testa. E poi, guardando sua cugina con la coda dell’occhio, spiegò: «È che stasera ci giochiamo tanto…».
Lei se ne accorse, e per un attimo le brillò una luce negli occhi. Strinse le labbra per trattenere un sorriso che già faceva capolino, e staccò gli occhi dai suoi concentrandosi sul proprio piatto.
«Vero, vero, se vinciamo siamo già quasi qualificati» convenne il padre, infilandosi in bocca un enorme spicchio di pizza.

Quella sera le due mamme rimasero in cucina, almeno inizialmente. Non solo perché la cena era iniziata un po’ più tardi rispetto all’altra volta, e c’era ancora da finire di mettere a posto. Ma anche perché a loro della partita non interessava granché, e preferivano restare a chiacchierare tranquille.
Il salotto era meno ampio di quello della casa degli zii, ma stavolta i ragazzi poterono accomodarsi su uno dei due divani, con i padri sull’altro. Fra Ilaria e Paolo c’era il piccolo Alessandro, già agitatissimo e seduto praticamente sulla punta del cuscino.

«Quanto è veloce questo Spinazzola, ma con chi gioca?» chiese la ragazza più o meno al decimo minuto, ottenendo una risposta quasi in coro da tutti i maschi: «Roma».
Non poté fare a meno di notare come fosse rimasta l’unica donna nella stanza, l’unica che guardava la partita da “profana”. Anche lei comunque non faticò a rendersi conto che l’Italia giocava meglio, molto meglio. E quando una decina di minuti dopo arrivò il gol su calcio d’angolo, segnato da quello che l’ultima volta lei aveva definito “l’energumeno con la testa quadra”, realizzò di aver scommesso ancora una volta sulla squadra sbagliata.
«Peccato, Hunziker non ci è arrivato!» la prese in giro Paolo, saltellando dalla gioia davanti a lei. In tutta risposta, la ragazza si sfilò una ciabatta dal piede e gliela tirò, con un broncio che tradiva la difficoltà a contenere la voglia di ridere. Lui però con un riflesso felino schivò il colpo, e la ciabatta andò a colpire la libreria, non troppo lontano dalla tv.
«Ilaria!» la rimproverò il padre, serio. Lei chiese scusa, mentre Paolo si riaccomodava furtivo sul divano, sforzandosi di non ridere. Non appena gli fu a tiro, lei lo colpì con uno schiaffetto sul braccio.
«Forse ha fatto fallo di mano» disse a un certo punto lo zio, ridestando la loro attenzione. Ed era proprio così, pochi secondi dopo l’arbitro ufficializzò che il gol era annullato. Ilaria non riuscì a trattenersi, balzò in piedi e fece il verso a suo cugino con lo stesso beffardo balletto. Ci mise pochi secondi, tuttavia, ad accorgersi dei due adulti che la guardavano malissimo, e così silenziandosi si accartocciò di nuovo tra i cuscini. «Stronzo» mimò solo col movimento delle labbra, per evitare che gli altri la sentissero, a un Paolo intento a ridersela sotto ai baffi.

Il gol, in ogni caso, era nell’aria. Passarono sì e no altri cinque minuti, e un’irresistibile discesa da centrocampo portò un giocatore dell’Italia a battere a rete da pochi passi. Stavolta Paolo contenne la propria esultanza, anche se l’entusiasmo sul suo volto era evidente.
«Questa è già vinta – le disse spavaldo – Vedrai se non gliene diamo tre anche oggi…».
Lei rimase in silenzio per qualche secondo. Le sembrava evidente che a quel punto l’Italia fosse favorita, e così pensò che valesse la pena di rischiare il tutto per tutto.
«Vuoi alzare la posta?» gli chiese sottovoce.
Lui la guardò con aria interrogativa, e lei sorridendo gli porse la mano: «Se punti sul 3-0, magari la ricompensa sarà più preziosa».
Paolo scrutò nei suoi occhi, cercando di capire quali fossero le sue reali intenzioni. Ma poco importava, a quel punto per nessun motivo al mondo poteva scegliere di tirarsi indietro. E così le strinse la mano, senza neppure chiederle ulteriori delucidazioni.

Non appena si concluse il primo tempo, sempre sul risultato di 1-0, Ilaria si alzò e senza dire nulla se ne andò nella propria camera. Fece ritorno solo dopo una decina di minuti, poco prima che iniziasse la ripresa.
«Ila, dove sei sparita?» le chiese sua madre, che nel frattempo aveva preso il suo posto sul divano. Ora Paolo era seduto accanto alle due donne, mentre il piccolo Alessandro si era spostato vicino ai papà.
«Approfitto di ogni minuto libero per studiare, lo sai» rispose sedendosi sul bracciolo vicino al cugino. Due giorni dopo avrebbe sostenuto il colloquio per l’esame di maturità, ed effettivamente nell’ultimo periodo aveva passato ogni ritaglio di tempo sui libri.
«Ma sarai preparatissima ormai» disse sua zia, facendo il gesto di alzarsi per cederle il posto sul divano. Ma lei la bloccò: «No, resta. Mi sa che ora torno di là, c’è un capitolo che vorrei finire di ripassare prima di andare a dormire».
Il cugino ascoltò questa frase senza far trasparire alcuna emozione, ma certamente fu sorpreso e anche un po’ deluso di sentirla. Almeno fino a quando, pochi secondi dopo, Ilaria aggiunse: «Paolo, non è che ti andrebbe di interrogarmi? Mi sarebbe utile il tuo aiuto, se ti va…».

Il ragazzo la guardò con gli occhi spalancati, come pure il resto della famiglia. Gli stava davvero chiedendo di rinunciare a vedere il resto della gara? Ai più sembrò una provocazione irricevibile.
«In fondo… – continuò, ripetendo le sue parole di poco prima – Questa partita ormai si può già considerare vinta, no?».
Nel dire così, fece un impercettibile movimento con le gambe, accomodandosi meglio sul bracciolo. Come risultato, la gonna di jeans che indossava scese di un centimetro, forse meno. Ma tanto bastò per far spuntare sul fianco il filo verde di quel perizoma che Paolo, e per fortuna solo lui, riconobbe all’istante.

Immediatamente, forse per una forma di pudore che stupì lui stesso per primo, distolse lo sguardo e lo rivolse al televisore davanti a sé. Le squadre erano sul rettangolo di gioco, pronte per il secondo tempo.
«Come “già vinta”?» sbottò il padre della ragazza, che solo per una questione di decenza evitò gesti scaramantici sicuramente poco eleganti.
A interrompere quel momento di perplessità collettiva fu proprio Paolo: «Certo, ti aiuto» disse con un tono di voce inespressivo, quasi robotico, scattando in piedi e tenendo sempre lo sguardo fisso davanti a sé. Tutti gli adulti, e in particolare suo padre, rimasero a bocca aperta.
«Ma… c’è la partita…» gli disse incredulo.
Il ragazzo tornò allora a guardare sua cugina, bisognoso di un aiuto.
«La partita la possiamo guardare sul mio computer – replicò lei, balzando in piedi a sua volta – Potrai seguirla senza problemi, devi solo controllare che mentre ripeto non dimentichi alcun punto della mia scaletta».
Paolo fece spallucce verso il padre, abbozzando un mezzo sorriso che un po’ tradiva il suo senso di eccitazione mista a sorpresa. Dopodiché, senza aggiungere altro, nello stupore generale abbandonò il suo posto e seguì Ilaria in camera.

Dopo aver chiuso la porta, dolcemente per non fare sentire lo scatto, i due ragazzi si guardarono per qualche secondo, e poi contemporaneamente scoppiarono a ridere.
«Ma mi spieghi cosa stiamo facendo?» chiese Paolo, ancora frastornato. Non tanto dalla visione del filo del perizoma, quando dalla situazione, dal modo in cui lei aveva deciso di mostrarglielo.
«Anche stasera ho onorato la scommessa! L’hai detto tu che la partita era già vinta, no? E io ho indossato il costume come promesso!». Nel dire così, infilò due dita sotto al top nero senza maniche che portava fin da inizio serata, all’altezza dell’ascella, afferrò una bretellina del bikini e gliela mostrò come ulteriore prova.
«E quindi… perché mi hai portato qui? Vuoi farmi vedere come ti sta?».
«Eh no, signorino – gongolò compiaciuta – Abbiamo alzato la posta, ricordi? Hai scommesso sul 3-0».
Paolo afferrò la sedia davanti alla scrivania. Anche se non voleva ammetterlo, le gambe un po’ gli tremavano, e aveva bisogno di sedersi.
«Quindi… – ripeté – Se facciamo tre gol… ti spogli?».
Ilaria si morse il labbro, detta così non le piaceva molto.
«Quindi… – precisò – Se l’Italia fa tre gol e non ne subisce nessuno, ti mostrerò come mi sta il costume».
«Okay, ma quindi…?».
La ragazza sbuffò. Non capiva se suo cugino la stesse di nuovo prendendo in giro, con tutte quelle domande.
«Se invece ne dovessimo fare quattro… che faresti?».

Lo fissò, alzando le sopracciglia. Stava davvero osando così tanto? Se per tre gol doveva spogliarsi fino a rimanere in bikini e perizoma, per il quarto lui cosa poteva mai volere? Le stava forse proponendo di mettersi in topless? Per un secondo, le tornò alla mente quell’immagine di sé con addosso solo il perizoma, che aveva turbato il suo finale di serata alla partita precedente.
«Penso che la posta in palio sia già abbastanza alta così, non credi?» osservò, stando lì in piedi davanti a lui con le mani sui fianchi.
Paolo non poté fare a meno di convenire: «Okay… E se invece…?».
«Che palleeeee!» esclamò a quel punto Ilaria, buttandosi a sedere sul letto.
«Ehi, concedimelo… Quando mi ricapita, una cosa del genere?».
A questa frase lo guardò e sorrise, e lui fece altrettanto.
«Dai, dimmi» lo accontentò.
«E se invece… Ne facciamo solo due? Almeno un pezzo del costume posso vederlo?».

Stavolta il silenzio durò più a lungo. Si guardavano negli occhi, come in attesa di una mossa dell’altro. Ilaria ci stava pensando davvero, era evidente, ma forse le mancava il coraggio per accettare questa nuova scommessa.
«Beh…» disse infine, ma prima che potesse completare la frase fu interrotta da un urlo proveniente dall’altra stanza. I due ragazzi si guardarono di nuovo, stavolta entrambi con gli occhi sbarrati.
«Accendi il computer, presto!» disse Ilaria, indicando il pc sulla scrivania.
Mentre aspettava il caricamento, Paolo si chiese come avesse fatto a dimenticarsi di una cosa tanto importante. La partita era probabilmente ricominciata da almeno cinque minuti buoni, e lui in quel lasso di tempo non ci aveva pensato per nulla. Appena vide l’immagine, però, sorrise: avevano intuito bene, l’Italia aveva segnato il 2-0. Ilaria si mise in piedi alle sue spalle, incredula, a guardare i tanti replay.
«Manuel Locatelli… Ma chi è questo? Non l’ho mai sentito. È uno che segna spesso?».
«Sono abbastanza convinto che sia la prima doppietta della sua carriera» le rispose il cugino, divertito.
«Ovviamente…» osservò sarcastica, con un filo di voce.
Era stato, peraltro, un gran bel gol. Un tiro preciso dal limite dell’area, imparabile per il portiere. Quando anche l’ultimo replay si concluse, Paolo si girò verso sua cugina, per riprendere il discorso che ora si faceva attuale come non mai. Ma rimase pietrificato, con la bocca spalancata, nel vedere che lei si stava già togliendo il top.

Ilaria era in piedi, al centro della stanza, e ora gli dava le spalle. Si stava sfilando quel top nero dalla testa, e già alla vista delle cordicelle del bikini sulla schiena, a suo cugino si azzerò la salivazione. Lo gettò sul proprio letto, e poi rimase lì così per qualche secondo, con le mani sui fianchi. Paolo ammirò la sua figura, in particolare la rotondità di quel fondoschiena che gli sembrava davvero un’opera d’arte. Avvolto in quella gonna di jeans, che le arrivava fino a metà coscia, il sedere di Ilaria risaltava che era una meraviglia.
La ragazza girò leggermente la testa, per osservarlo con la coda dell’occhio. «Ora però non è che fai il maniaco e lo rendi imbarazzante, vero?» gli intimò.
«Chi, io? Sono perfettamente a mio agio» rispose con la faccia tosta di chi sapeva di mentire. E poi aggiunse: «E comunque ti vedo già sul riflesso del quadro davanti a te, per cui non so che ti preoccupi a fare».
Solo in quel momento Ilaria si accorse di quel riflesso. «Checcavolo… e tu dirmelo prima, no?» esclamò, girandosi e ripetendo il gesto del lancio della ciabatta di poco prima. Stavolta però andò a segno, nonostante lo scatto di Paolo che deviò leggermente il colpo con una mano, mettendosi a ridere.

Ora finalmente ce l’aveva lì, di fronte a sé, con indosso il bikini. Un’immagine che per bellezza non aveva niente a che vedere, con quello sbiadito riflesso sul quadro. Di fatto erano due anni che non vedeva sua cugina in costume, anche perché l’estate precedente i suoi buoni risultati scolastici erano stati premiati dai genitori con un viaggio studio negli Stati Uniti, e dunque non era andato al mare con loro.
«Vabbè, non esaltarti – si schermì Ilaria – Non è niente di più di quanto vedrai fra dieci giorni al mare…».
Ma la situazione era completamente diversa, e lo sapeva anche lei. Oltretutto, in quei due anni il seno le era cresciuto quasi di una taglia, passando da una seconda abbondante a una terza piena, e quel bikini a triangolo verde dai laccetti bianchi faceva un po’ fatica a contenerlo tutto. Se ne era resa conto anche lei quando lo aveva indossato, pochi minuti prima, e la cosa per un attimo l’aveva quasi fatta vacillare. Ma alla fine aveva deciso di andare avanti comunque con quel gioco.

«Ma ti sono cresciute le tette?» le chiese lui all’improvviso, senza alcun tipo di filtro.
La cosa non avrebbe dovuto stupirla così tanto, da sempre era abituata a parlare apertamente con lui di quasi tutto. Ma non poté fare a meno di coprirsi incrociando le braccia sopra al seno, un gesto istintivo accompagnato anche da un improvviso rossore al volto.
«Bonjour finesse!» commentò sarcastica, scatenando la risata di suo cugino.
«No dai, non volevo… – provò a giustificarsi – Era un complimento maldestro, tutto qui».
Alla parola “complimento”, il rossore in viso forse aumentò. Ma allo stesso tempo l’orgoglio le fece abbassare nuovamente le braccia. Anzi, prendendo le due bretelline si sistemò il bikini, facendo quasi inavvertitamente il gesto di soppesarlo.
«Alla fine quanto è che non mi vedevi così… un paio d’anni? Magari sono un po’ ingrassata».
«Non è esattamente la parola che userei io. In ogni caso stai molto bene».
Questa frase mise un punto alla conversazione, ma non placò l’interesse di Paolo, che continuava a guardarla ammirato.
«Ti stai perdendo tutta la partita, lo sai?» osservò allora lei, indicando lo schermo del pc.
«Giusto! – le rispose balzando in piedi – Facciamo che tu ti siedi qui, e io mi metto sul letto, ok?».
Ilaria rise, perché era evidente che lui la volesse proprio di fianco al computer per poter continuare a guardarla e allo stesso tempo seguire la gara. Decise di accontentarlo, e si sedette.

I minuti passavano, e il risultato rimaneva fisso sul 2-0. Un paio di interventi del portiere italiano furono accolti con ringraziamenti alle divinità da parte di Paolo, che avrebbe visto interrompersi il gioco in caso di gol della Svizzera. Dall’altra parte invece Immobile, quello che aveva già segnato nella prima partita, fallì un paio di occasioni buone. In tutto questo, i due cugini avevano ripreso a parlare, ridere e scherzare come sempre. Sembrava ci si fosse quasi dimenticati del fatto che Ilaria stava in bikini… O meglio, lei sembrava essersene dimenticata. Lui non poteva certo ignorarlo.
Quando la gara si avvicinò alla conclusione, Paolo decise di seguire gli ultimi minuti in piedi, vicino a lei. La vittoria era ormai conquistata, forse anche la qualificazione. Eppure lui stava vivendo quel finale con l’ansia di chi sa che da un gol può dipendere il destino del mondo.
Minuto 88, partita ormai agli sgoccioli. Su una ripartenza della Svizzera gli italiani rubarono palla, passaggio per Immobile che da lontano fece partire un tiro diretto proprio all’angolino. Nel vedere la palla rotolare in rete, Paolo esultò quasi incredulo. Proprio all’ultimo le sue preghiere erano state esaurite, l’Italia aveva segnato il 3-0.
Ilaria si mise le mani fra i capelli, senza tuttavia nascondere un sorriso. Ne era consapevole anche lei, arrivati a quel punto ormai le sarebbe dispiaciuto non andare fino in fondo, anche se non l’avrebbe mai ammesso di fronte a suo cugino.

«Tre a zero, ci ho preso alla grande! E ora il mio premio!» esultò Paolo, lanciandosi sul letto.
Lei gli fece segno di fare piano, e lui si morse la lingua. L’entusiasmo gli aveva fatto dimenticare che di là c’erano i genitori di entrambi.
«Quel che è giusto, è giusto» commentò Ilaria alzandosi, e portando le dita sul bottone della gonna. Non aveva alcuna intenzione di mettere in atto mosse speciali, movimenti sexy o chissà quali balletti. E quando suo cugino, per fare lo spiritoso, iniziò a intonare il motivo musicale del film “Nove settimane e mezzo”, lei si bloccò all’istante: «Non renderlo più imbarazzante di quanto non sia già, per favore». Lui le sorrise e si zittì.
Sbottonò la gonna e abbassò la zip, e poi la fece calare a terra, piegandosi ed esponendo per un attimo al cugino un’angolazione ancora più particolare – e per lui eccitante – del suo seno. Poi, sempre a piedi nudi come stava ormai da un po’, fece un passo laterale e rimase lì in piedi, con ancora un certo rossore in viso.
Visto da davanti, quel perizoma non era certo un capo d’abbigliamento sconveniente: il triangolo che doveva coprire la sua intimità faceva il proprio lavoro senza difficoltà. Da dietro, però, sapeva che sarebbe stato un po’ diverso.
«Mi devo anche girare?» chiese la ragazza, intuendo che suo cugino non avrebbe probabilmente avuto il coraggio di chiederglielo.
Si guardarono negli occhi, e in quel momento le parve di non averlo mai visto così adulto.
«No, non necessariamente – replicò lui – La scommessa è onorata anche così».
Si sorrisero, mentre dietro di lei la voce del telecronista annunciava la fine della partita.

«Comunque te ne do atto, questa Italia è forte» osservò Ilaria, e poi con tutta la naturalezza del mondo si girò e afferrò il mouse per chiudere il player e spegnere il pc. Paolo rimase spiazzato da questa mossa, del tutto inattesa. Non si accorse neppure che per qualche lunghissimo secondo trattenne istintivamente il fiato, mentre ammirava quel fondoschiena così rotondo e tonico… “Un capolavoro della natura” lo avrebbe definito, se solo avesse avuto il coraggio di parlare. Il filo del perizoma si andava a perdere invisibile fra i glutei alti e sferici di Ilaria, ora ancora più esposti a causa del suo essere piegata in avanti sulla scrivania.
E mentre lo sguardo del ragazzo rimaneva fisso su quella visione ipnotica, la porta della stanza si aprì.

«Paolo, papà ha detto che dobbiamo andare» disse Alessandro.
Dalla sua posizione aveva la visuale del letto, dov’era seduto suo fratello, ma la porta non gli consentiva di vedere la scrivania, che si trovava nella diagonale opposta al letto. Se l’avesse aperta del tutto, si sarebbe trovato la visione di sua cugina in bikini e perizoma. La ragazza rimase paralizzata… anche perché dal quadro che prima aveva tradito il suo riflesso, poteva benissimo vedere Alessandro. E se solo lui avesse guardato lì, avrebbe potuto fare altrettanto.
«Ehi rospo, vai a dire a papà che arrivo subito, ok?» gli rispose Paolo, facendo ricorso a tutto il sangue freddo di cui disponeva. E dopo alcuni interminabili secondi di attesa, il ragazzino fece dietrofront e tornò in salotto, lasciando però la porta aperta.
«Per stasera il cinema chiude» sussurrò Ilaria, raccogliendo da terra la gonna. Paolo le lanciò anche il top, che lei si infilò più velocemente di quanto non avesse mai fatto.

«Allora, avete studiato?» chiese la zia vedendoli tornare in salotto. Entrambi annuirono, senza mai guardarsi fra loro, per il timore che una semplice occhiata potesse – chissà come – farli scoprire.
Mentre li salutava e li osservava uscire, Ilaria si ritrovò a pensare che l’Italia poteva veramente fare strada in quell’Europeo. E a essere onesti, l’idea di altre serate del genere non le dispiaceva neanche un po’.

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