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Il BRINDISI DEI VINTI
La mattina dopo, Luca si svegliò con il sapore della sconfitta in bocca. Il divano era impregnato di un misto di vodka rovesciata e sudore, e il suo corpo tremava per i postumi della sbornia. La testa gli pulsava come se qualcuno ci stesse battendo sopra con un martello, e ogni movimento gli costava uno sforzo immenso. Il biglietto di Martina era ancora lì, accartocciato sul pavimento, un promemoria della sua caduta.
Sentì la porta della camera da letto aprirsi e il suono di passi leggeri. Martina entrò nel salotto, fresca e riposata, con una tazza di tè in mano. Lo fissò per un momento, poi fece una smorfia. “Dio, che puzza. Sembri una distilleria ambulante. Non ti vergogni?”
Luca si tirò su a fatica, passandosi una mano sul viso. “Sto male,” mormorò, la voce rauca. “Ho bisogno di riposare.”
“Riposare?” disse lei, posando la tazza con un gesto secco. “Non hai fatto niente per meritarlo. Guarda questo posto, è ancora un casino. E il bagno? L’hai pulito come ti ho detto?”
“Non ancora,” rispose lui, abbassando lo sguardo. “Ci vado ora.”

“Bene,” disse Martina, incrociando le braccia. “Ma prima fai una cosa per me. Vai a comprare altra vodka. Quella di ieri l’hai praticamente sprecata tutta con le tue scenate.”
Luca la fissò, incredulo. “Non posso bere ancora. Sto già da schifo.”
“Non mi interessa,” tagliò corto lei. “Non la compri per te, la compri per noi. Ma visto che sei così bravo a lamentarti, stasera ti facciamo divertire di nuovo. Muoviti.”
Luca si alzò, barcollando, e uscì sotto un cielo grigio che sembrava riflettere il suo stato d’animo. Tornò mezz’ora dopo con una bottiglia di vodka economica, l’unica che poteva permettersi con i pochi soldi che gli restavano. La posò sul tavolo, sperando di potersi ritirare in pace, ma Martina aveva altri piani.
Verso sera, Matteo tornò da chissà dove, portando con sé un’energia che riempiva la stanza. “Oh, guarda qui,” disse, prendendo la bottiglia. “Il nostro servo ci ha rifornito. Bravo, Luca. Sei utile, ogni tanto.”
“Grazie,” borbottò Luca, pentendosi subito di averlo detto.
Martina rise, sedendosi sul divano con una gamba accavallata. “Sempre con quel ‘grazie’. Sei un disco rotto. Dai, siediti. Facciamo un altro gioco, visto che ti piace tanto l’alcol.”
“Non mi piace,” provò a dire lui, ma Matteo lo interruppe, spingendolo su una sedia.
“Non importa,” disse, svitando il tappo della vodka. “Ti piace perché lo diciamo noi. Stasera giochiamo a ‘Il Re del Bicchiere’. Funziona così: io e Martina siamo i re, e tu sei il suddito. Ogni volta che diciamo qualcosa, tu bevi. Se sbagli, bevi doppio. Chiaro?”
Luca scosse la testa, il panico che gli saliva in gola. “Non ce la faccio. Vi prego, non voglio.”
“Non vuoi?” disse Martina, alzandosi e avvicinandosi a lui. Prese la bottiglia dalle mani di Matteo e gliela agitò davanti al viso. “Allora ti verso tutto in faccia e ti faccio pulire con la lingua. Scegli tu.”
Luca chiuse gli occhi, sconfitto. “Va bene,” sussurrò.
“Bene,” disse lei, versandogli un bicchiere pieno fino all’orlo. “Cominciamo. Matteo, tocca a te.”
Matteo si appoggiò al muro, un ghigno sul viso. “Okay. Luca, dimmi che sono il migliore.”
Luca deglutì, il bicchiere in mano. “Sei il migliore,” mormorò, poi bevve un sorso, il bruciore che gli strappava un gemito.
“Fallo meglio,” disse Martina, ridendo. “Con entusiasmo. Dai.”
“Sei il migliore!” ripeté lui, più forte, e bevve di nuovo. Il liquido gli scese nello stomaco come fuoco.
“Bravo,” disse Matteo. “Ora dimmi che sei un perdente.”
Luca esitò, le mani che tremavano. “Io… non voglio.”
“Bevi doppio,” ordinò Martina, e Matteo gli versò un altro shot sopra quello che già aveva. Luca mandò giù entrambi, tossendo violentemente mentre loro ridevano.
“Dai, riprova,” disse Matteo. “Sei un perdente. Dillo.”
“Sono un perdente,” sussurrò Luca, bevendo ancora. La stanza cominciava a girare, i contorni sfocati.
Martina si chinò verso di lui, il viso a pochi centimetri dal suo. “Ora dimmi che io sono troppo per te. Che non mi meritavi mai.”
Luca sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma obbedì. “Sei troppo io me. Non ti meritavo mai.” Un altro sorso, e il suo stomaco si ribellò, ma riuscì a trattenerlo.
“Perfetto,” disse lei, sedendosi sulle gambe di Matteo. “Vedi? È divertente quando ti arrendi. Continua, Matteo.”
Matteo alzò la bottiglia come un trofeo. “Dì che sono più uomo di te.”
“Sei più uomo di me,” disse Luca, la voce spezzata, e bevve. Ormai era un automa, ogni parola un altro chiodo nella sua dignità.
Il gioco andò avanti per un’ora. Ogni frase era un’umiliazione peggiore della precedente: “Dì che sei un rifiuto.” “Dì che ci fai schifo.” “Dì che ti piace guardarci insieme.” Luca beveva a ogni comando, il corpo che tremava e la mente che si spegneva. A un certo punto, dopo aver detto “Sono un verme inutile,” crollò dalla sedia, finendo in ginocchio sul pavimento.
“Guarda che spettacolo,” disse Martina, filmando con il telefono. “Non regge nemmeno seduto. Dai, Luca, alzati e bevi ancora.”
“Non posso,” gemette lui, la testa china. “Sto per vomitare.”
“Vomita dopo,” disse Matteo, tirandolo su per il braccio. “Prima finisci il bicchiere. Dai, un ultimo brindisi. A noi, i re, e a te, il nostro buffone.”
Luca prese il bicchiere con mani incerte, versandosene metà addosso mentre cercava di bere. Il resto gli scivolò in gola, e finalmente il suo corpo cedette. Cadde di nuovo, vomitando sul pavimento mentre Martina e Matteo scoppiavano a ridere.
“Che schifo,” disse lei, allontanandosi. “Pulisci, dai. Non lo faccio io per te.”
Luca, ancora in ginocchio, prese uno straccio con mani tremanti, pulendo il suo stesso vomito sotto i loro sguardi divertiti. “Sembri un animale,” disse Matteo, dandogli un calcio leggero sul fianco. “Finisci e vai a lavarti, che puzzi.”
Martina gli versò un po’ di vodka sui capelli, l’ultima goccia di umiliazione. “Ecco, così sei completo,” disse, prima di voltarsi e baciare Matteo davanti a lui. “Andiamo di là. Questo qui è finito.”
Luca rimase lì, fradicio e distrutto, il sapore dell’alcol e della vergogna che gli impregnava ogni fibra. Non si mosse per ore, un relitto abbandonato nel suo stesso inferno.

IL CALICE DELL’ABISSO

Il giorno successivo, Luca si svegliò con il corpo che implorava pietà. Ogni muscolo gli doleva, la testa era un tamburo di dolore, e la bocca aveva il sapore acre del vomito e della vodka. Il pavimento vicino al divano era ancora macchiato, nonostante i suoi tentativi di pulire la notte prima. Si alzò a fatica, cercando di ignorare il tremore delle mani, e si diresse verso il bagno per lavarsi la faccia. Sperava in un momento di tregua, ma la pace non era mai parte del suo destino ormai.
Martina lo intercettò prima che potesse raggiungere il lavandino. Era in cucina, con un succo d’arancia in mano, e lo fissò con un sorriso che prometteva guai. “Dove vai?” chiese, bloccandogli la strada.
“A lavarmi,” rispose lui, la voce debole. “Ho bisogno di…”
“Non hai bisogno di niente finché non te lo dico io,” lo interruppe lei, posando il bicchiere. “Guarda che schifo sei. Puzzi di alcol e disperazione. Ma sai una cosa? Oggi ti facciamo divertire ancora. L’alcol è il tuo migliore amico, no?”
“No, Martina, ti prego,” disse Luca, scuotendo la testa. “Non ce la faccio più.”
“Non ce la fai?” ribatté lei, avvicinandosi con un passo lento. “Peccato, perché non hai scelta. Matteo ha avuto un’idea geniale, e tu sei la star dello spettacolo.”
Matteo entrò in quel momento, una scatola di birre sotto il braccio e un’espressione soddisfatta. “Oh, eccolo il nostro campione,” disse, posando le lattine sul tavolo. “Pronto per il ‘Torneo del Reietto’? È una cosa che ho inventato apposta per te.”
Luca si irrigidì, il cuore che gli cadeva nello stomaco. “Che cos’è?”
Martina rise, prendendo una birra dalla scatola. “Te lo spieghiamo subito. Siediti, dai. Non fare il difficile.”
Luca si lasciò cadere sulla sedia, troppo stanco per resistere. Matteo si sedette di fronte a lui, aprendo una lattina con un sibilo. “Regole semplici,” disse, passandogliela. “Primo round: ‘La Corsa del Servo’. Devi bere una birra intera mentre corri da qui alla porta e torni indietro. Se versi anche una goccia, ricominci da capo con un’altra.”
“Non posso correre,” protestò Luca, fissando la lattina. “Sto male, io…”
“Allora cammina,” tagliò corto Martina, incrociando le braccia. “Ma bevi tutto. Forza, inizia.”
Luca prese la birra, le mani che tremavano, e si alzò. Fece un passo verso la porta, portandosi la lattina alla bocca. Il liquido freddo gli scivolò in gola, ma la fretta lo fece inciampare, e una parte gli colò sul mento, gocciolando sul pavimento.
“Ops,” disse Matteo, ridendo. “Hai perso. Ricomincia.”
Martina gli passò un’altra lattina, e Luca riprovò. Questa volta riuscì a bere tutto, barcollando fino alla porta e tornando indietro, il respiro affannoso e lo stomaco in rivolta. “Fatto,” ansimò, posando la lattina vuota.
“Non male,” disse Matteo, ma il suo tono era beffardo. “Secondo round: ‘Il Canto del Buffone’. Devi cantare una canzone mentre bevi. Se smetti di cantare o di bere, ti versiamo addosso il resto.”
“Una canzone?” chiese Luca, confuso.
“Sì,” disse Martina, tirando fuori il telefono. “Mettiamo ‘Tanti auguri’. Dai, canta e bevi.” Gli passò un’altra birra, e Matteo fece partire la musica dal suo telefono.
Luca iniziò, la voce strozzata e incerta. “Tanti auguri a te…” Bevve un sorso, tossendo mentre cercava di continuare. “Tanti auguri a te…” Un altro sorso, e la birra gli uscì dal naso, facendolo soffocare.
Martina scoppiò a ridere, battendo le mani. “Oddio, è ridicolo! Sembra un maiale che grugnisce. Dai, Matteo, dagli la penalità.”
Matteo prese una lattina, la agitò forte e la aprì sopra la testa di Luca. La schiuma gli esplose addosso, inzuppandogli i capelli e la maglietta. “Canta meglio la prossima volta,” disse, ridendo.
Luca si asciugò il viso con la manica, il sapore della birra che gli colava in bocca. “Basta, vi prego,” sussurrò.
“Basta?” disse Martina, prendendo un’altra lattina. “Non abbiamo finito. Terzo round: ‘Il Brindisi del Reietto’. Devi fare un brindisi a noi, i tuoi re, e bere ogni volta che dici qualcosa di carino. Se non ci convinci, bevi doppio.”
Luca annuì, rassegnato. Prese la birra che gli passarono e si schiarì la voce. “A Martina e Matteo,” iniziò, la voce tremante. “Siete… siete belli insieme.” Bevve un sorso, il liquido che gli bruciava lo stomaco.
“Patetico,” disse Martina. “Non ci credi nemmeno tu. Bevi doppio.”
Luca bevve due sorsi, barcollando. “Siete forti,” continuò. “E… divertenti.” Un altro sorso.
“Ancora schifoso,” disse Matteo. “Doppi shot.”
Luca bevve ancora, la vista che si offuscava. “Siete tutto quello che non sono io,” disse, quasi singhiozzando. “Meritate tutto.”
Martina inclinò la testa, un sorriso crudele. “Meglio, ma non abbastanza. Doppio.”
Luca mandò giù altro alcol, ormai al limite. La stanza girava, e le loro risate gli rimbombavano nelle orecchie. “Siete i miei re,” mormorò, la voce spezzata. “Io sono niente.”
“Finalmente,” disse Martina, battendo le mani. “Questo ci piace. Bevi comunque, dai, per festeggiare.”
Luca bevve, ma il suo corpo non resse più. Cadde in avanti, la lattina che gli scivolava di mano e rotolava sul pavimento. Matteo lo tirò su per i capelli, ridendo. “Non reggi proprio, eh? Dai, ultimo tocco.”
Prese una bottiglia di vodka e gliela versò lentamente sulla schiena, il liquido freddo che gli scorreva lungo la spina dorsale. “Ecco, ora sei battezzato,” disse, mentre Martina filmava tutto.
“Mettiamolo su Instagram,” disse lei, ridendo. “Titolo: ‘Il Reietto annega’. Guarda che faccia, è da Oscar.”
Luca crollò sul pavimento, fradicio e ubriaco, mentre loro si allontanavano, lasciandolo lì come un rifiuto. “Pulisci domani,” gli urlò Martina prima di sparire in camera. “E non vomitare di nuovo, che fai schifo.”
Luca rimase immobile, il sapore dell’alcol che gli impregnava la pelle, la mente persa in un buio senza fine. Non era più un uomo, solo un giocattolo rotto, inzuppato di vergogna.

L’ECO DEL BICCHIERE

Il giorno dopo il “Torneo del Reietto”, Luca si svegliò con il corpo che sembrava un campo di battaglia abbandonato. Ogni respiro era un rantolo, ogni movimento un’agonia. Il salotto puzzava di birra rancida e vodka versata, e il pavimento era ancora appiccicoso sotto i suoi piedi nudi. Si tirò su dal divano, la testa che pulsava come se qualcuno ci stesse scavando dentro con un trapano, e cercò di orientarsi. La casa era silenziosa, un raro momento di tregua, ma sapeva che non sarebbe durato.
Verso il tardo pomeriggio, la porta si aprì con un colpo secco. Martina entrò per prima, il viso teso, seguita da Matteo, che portava una busta piena di bottiglie tintinnanti. Dietro di loro c’era un gruppo di persone, le stesse voci chiassose della festa precedente, ma tra loro spiccava una figura nuova, una presenza che sembrava risucchiare l’aria dalla stanza.
Era una ragazza. Alta, con una cascata di capelli neri che le cadevano sulle spalle come seta liquida, e occhi verdi che tagliavano come lame sotto la luce fioca del lampadario. Indossava un giubbotto di pelle aderente, jeans strappati e stivaletti con borchie che ticchettavano sul pavimento con ogni passo. Ma non era solo la sua bellezza a colpire – era il modo in cui si muoveva, sicuro e deciso, il sorriso che le increspava le labbra come se sapesse qualcosa che gli altri ignoravano. Si chiamava Elena.
“Chi è questa?” chiese Luca, sottovoce, mentre il gruppo si sparpagliava nel salotto. Nessuno gli rispose, ma Martina lo fulminò con uno sguardo che diceva di stare zitto.
“Elena, benvenuta!” disse Matteo, posando le bottiglie sul tavolo con un gesto plateale. “Ragazzi, lei è una leggenda. L’ho conosciuta ieri al bar, e vi giuro, è un uragano.”
Elena rise, una risata profonda e musicale che fece voltare anche Sara, l’amica di Martina, con un misto di curiosità e invidia. “Un uragano, eh? Mi piace,” disse, appoggiandosi al muro con una posa disinvolta. “Allora, che si fa stasera? Non sono venuta qui per annoiarmi.”
Martina si irrigidì visibilmente. “Abbiamo un po’ di roba da bere,” disse, cercando di mantenere il controllo della situazione. “Pensavo di fare un gioco, tipo quello di ieri. Luca è bravo a fare lo scemo, vero, Luca?” Gli lanciò un’occhiata tagliente, aspettandosi la sua solita obbedienza.
Ma Elena intervenne prima che Luca potesse rispondere. “Un gioco, eh? Interessante. Ma se devo giocare, voglio qualcosa di più… creativo. Che ne dite di ‘La Ruota dell’Umiliazione’? Lo facevamo sempre al mio vecchio quartiere. È una cosa da duri.” La sua voce era calma, ma aveva un’energia che catturava tutti, persino Matteo, che annuì con entusiasmo.
“Spiega,” disse lui, incuriosito, mentre Martina incrociava le braccia, il sorriso che le si incrinava agli angoli.
Elena si avvicinò al tavolo, prendendo una bottiglia di tequila dalla busta. “Facile. Mettiamo una bottiglia al centro, come una roulette. La giriamo, e chi viene indicato deve bere e subire un’umiliazione scelta dal gruppo. Ma attenzione: se ti tiri indietro, bevi doppio e l’umiliazione diventa peggio. Ci state?”
Il gruppo esplose in un coro di approvazione. Martina, però, esitò. “Sembra una stupidaggine,” disse, cercando di sminuire l’idea. “Noi abbiamo già i nostri giochi, no? Luca è perfetto per quelli.”
Elena la fissò, un sopracciglio alzato. “Oh, tranquilla, Martina. Se hai paura di perdere, puoi guardare. Ma qualcosa mi dice che non sei tipo da tirarti indietro, giusto?” Il tono era amichevole, ma c’era una sfida nascosta, un guanto di velluto che pesava come piombo.
Martina arrossì, presa in contropiede. “Paura? Io? Figurati. Facciamo questa cazzo di ruota, allora.” Si sedette al tavolo, cercando di riprendere il controllo, ma gli occhi di tutti erano già su Elena, che posò la bottiglia al centro con un gesto deciso.
“Perfetto,” disse Elena, girandola per la prima volta. La bottiglia rallentò, fermandosi su uno dei ragazzi, quello con la felpa oversize. “Tu, come ti chiami?”
“Gabriele,” rispose lui, un po’ nervoso.
“Bene, Gabriele. Bevi un shot di tequila e… vediamo…” Elena guardò il gruppo con un sorriso malizioso. “Togliti la felpa e fai dieci flessioni cantando ‘Bella Ciao’. Vai.”
Gabriele rise, bevve lo shot e obbedì, arrancando tra le flessioni mentre la sua voce stonata riempiva la stanza. Il gruppo scoppiò a ridere, e persino Luca, seduto in un angolo, abbozzò un sorriso. Ma Martina non rise. Teneva d’occhio Elena, le labbra strette.
La bottiglia girò di nuovo, fermandosi su Sara. “Shot e… balla come una gallina per trenta secondi,” ordinò Elena. Sara bevve e si mise a saltellare, agitando le braccia, mentre Matteo sghignazzava e filmava col telefono.
Poi toccò a Luca. La bottiglia si fermò su di lui, e Martina si sporse in avanti, pronta a colpire. “Finalmente,” disse, con un ghigno. “Bevi e inginocchiati davanti a me e Matteo, dicendo che siamo i tuoi padroni.”
Ma Elena alzò una mano. “Aspetta un secondo, Martina. Io ho un’idea migliore.” Si voltò verso Luca, guardandolo negli occhi per la prima volta. C’era qualcosa di diverso nel suo sguardo, non solo crudeltà, ma una curiosità tagliente. “Bevi due shot di tequila, uno dopo l’altro. Poi vai in cucina, prendi un cucchiaio di senape e mangialo cantando ‘Volare’. Se vomiti, bevi ancora.”
Il gruppo esplose in risate, e Martina sbuffò, ma non protestò. Luca prese la bottiglia, le mani tremanti, e bevve i due shot. Il bruciore gli strappò un gemito, ma si alzò e barcollò verso la cucina. Tornò con un cucchiaio di senape gialla, il viso già contorto dal disgusto. “Vooolareee,” iniziò, la voce strozzata mentre infilava la senape in bocca. Il sapore acre gli fece lacrimare gli occhi, e il gruppo urlò di gioia mentre lui cercava di non soffocare.
“Grande, Luca!” gridò Gabriele, mentre Matteo batteva le mani. Martina, però, sembrava sempre più a disagio, il suo ruolo di regina messo in discussione dall’energia travolgente di Elena.
La bottiglia girò ancora, fermandosi su Martina. Elena sorrise, un sorriso che prometteva guai. “Tocca a te, Marti. Bevi uno shot e… vediamo… vai fuori, sotto la pioggia, e urla ‘Sono una stronza’ tre volte a squarciagola. Poi torna dentro e baciami la mano come una serva.”
Martina sbiancò. “Cosa? Non se ne parla.”
“Allora bevi doppio e l’umiliazione peggiora,” disse Elena, impassibile. “Regole del gioco, tesoro. O forse non sei all’altezza?”
Il gruppo si zittì, gli occhi puntati su Martina. Lei strinse i pugni, il viso rosso di rabbia e imbarazzo. “Va bene,” sibilò, prendendo lo shot e mandandolo giù con un gesto rabbioso. Uscì sotto la pioggia, il gruppo che si accalcava alla finestra per guardare. “Sono una stronza! Sono una stronza! Sono una stronza!” urlò, la voce che si spezzava nel vento. Tornò dentro fradicia, i capelli incollati al viso, e si avvicinò a Elena con passo rigido. Le prese la mano e la sfiorò con le labbra, un gesto rapido e carico di odio.
“Brava,” disse Elena, con un tono che era allo stesso tempo gentile e devastante. “Sembri quasi umana così.”
Matteo rise, ma c’era una nota incerta nella sua voce. Il gruppo applaudì, ma Martina non riuscì a nascondere il tremore delle mani mentre si sedeva. Elena aveva preso il controllo, e la sua sicurezza, quella che Martina aveva sempre ostentato, cominciava a sgretolarsi.
La bottiglia girò di nuovo, fermandosi su Matteo. “Shot e… fai il giro della stanza a quattro zampe abbaiando come un cane,” disse Elena, senza nemmeno guardarlo.
Matteo obbedì, un po’ troppo entusiasta, e il gruppo lo incitò mentre si muoveva goffamente sul pavimento. Ma quando tornò al tavolo, i suoi occhi cercarono quelli di Elena, non di Martina. E Martina lo notò.
Il gioco continuò, con Elena che orchestrava ogni umiliazione con una creatività spietata. A un certo punto, propose un round di gruppo: “Tutti bevono tre shot di fila, poi si inginocchiano in cerchio e si versano la birra addosso a vicenda. L’ultimo che resta in piedi vince.”
Il caos esplose. Luca, già al limite, bevve i tre shot e crollò quasi subito, la birra che gli colava sul viso mentre Gabriele gliene versava un’altra dose ridendo. Sara resistette un po’ di più, ma finì per accasciarsi contro il divano. Martina cercò di tenere il passo, ma barcollò e cadde, il viso contratto in una smorfia di frustrazione. Matteo durò più a lungo, ma alla fine si arrese, ridendo e tossendo.
Elena, invece, rimase in piedi, stabile come una roccia, la birra che le gocciolava dai capelli ma senza intaccare la sua compostezza. “Sembra che abbia vinto io,” disse, pulendosi il viso con un gesto lento. “Non male per una новичок, eh?” Il termine russo, buttato lì con noncuranza, fece alzare qualche sopracciglio, ma nessuno osò chiedere.
Martina, ancora a terra, la fissò con un misto di rabbia e insicurezza. “Chi cazzo sei tu per venire qui e comandare tutti?” sbottò, la voce spezzata dall’alcol e dall’umiliazione.
Elena si voltò verso di lei, il sorriso che si spegneva appena. “Sono solo una che sa giocare meglio di te, Martina. Non te la prendere, non è colpa mia se non reggi il confronto.”
Il silenzio calò sul gruppo, pesante come piombo. Martina si alzò, barcollando, e uscì dalla stanza senza una parola, diretta in camera da letto. Matteo fece per seguirla, ma Elena lo fermò con un gesto. “Lasciala andare,” disse piano. “Ha bisogno di un momento.”
Luca, fradicio e stordito, guardava tutto dalla sua posizione sul pavimento. Per la prima volta, provò qualcosa di diverso dalla vergogna: una scintilla di curiosità verso quella ragazza che aveva ribaltato ogni equilibrio. Ma non osò parlare. Non ancora.
La serata finì con Elena che prendeva una birra fresca e si sedeva sul divano, come una regina sul trono, mentre il gruppo si disperdeva tra risate e lamentele. Martina non tornò, e Matteo, per la prima volta, sembrava incerto su cosa fare. Luca, invece, rimase lì, un relitto inzuppato di alcol e speranze infrante, ma con un pensiero nuovo che gli si insinuava nella mente: forse, in quel caos, c’era qualcosa di diverso all’orizzonte. Qualcosa che non capiva ancora.

Continua…

GRAZIE PER LA LETTURA

Gio588

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