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In un bagno mi trasformo da Puttanella

By 2 Luglio 2021No Comments

Mentre mi dirigevo al bagno per espletare i miei bisogni fisiologici si presento al bagno il capo di alcuni Biker.Era alto, fisicamente non massiccio, ma nerboruto e tosto, prima che emettessi un solo gemito, con un imperioso cenno della mano mi fece tacere, poi con calma richiuse la porta alle sue spalle e diede due giri di chiave.

Non ebbi il tempo di domandarmi perché fosse li, mi sollevai dalla tazza del water coprendo istintivamente le mie intimità con le mani: cercando di raggiungere la parete dove avevo appeso lo slip del costume.

Lui mi tagliò la strada bloccandomi col corpo, era più alto di me di almeno due spanne, mi pose la mano alla bocca per impedirmi di gridare e mi spinse contro la parete.

Stavo con le gambe divaricate ai lati del wc, le ginocchia piegate in una posizione innaturale, sentì la ceramica fredda delle piastrelle contro la pelle nuda. Mi tirò su il vestito con un movimento brusco, lo fece scorrere sulla mia testa, lo sfilò dalle braccia e lo gettò verso un angolo del pavimento.

Avevo addosso solo il pezzo superiore del costume: con uno strappo verso l’alto mi scoprì il seno, le tette sobbalzarono libere per il contraccolpo. Strinse una mano intorno al mio collo inchiodandomi alla parete: una morsa ferrea, dita lunghe e ferme come tenaglie.

– Non voglio sentire un sibilo. – sussurrò, avvicinando la bocca al mio orecchio. Parlava un italiano stentato, una voce bassa e rauca con una marcata inflessione francese, avrei detto del sud della Francia, avevo degli amici lì con quella stessa cadenza.

Aveva denti candidi e regolari, una tono ultimativo che sconsigliava di ignorare ciò che diceva. Negli occhi freddi e sottili c’era una nota d’azzurro crudele che ti metteva adrenalina di paura in circolo nel sangue.

Mi schiacciava col fisico contro la parete, potevo sentire tutta la forza, l’energia animale che emanava, era ruvido nei gesti come carta vetro: una massa asciutta di nervi e muscoli che gli conferivano quella potenza brutale. L’odore caldo del suo corpo, che ora potevo avvertire, aveva una nota aggressiva, faceva pensare a qualcosa di selvaggio: una natura abituata a prendere ciò che voleva, la calma inquietante e ombrosa di una pantera.

Non tradivano emozione, era il segno di una consuetudine alla violenza, vederlo così deciso e distaccato, lasciava presagire una volontà capace di tutto: poteva uccidermi se lo voleva, provai una vertigine di genuino terrore.

– Sei una piccola troia esibizionista. Ti diverte provocare gli uomini, è così vero? –

Non credo si attendesse una qualche risposta, la sua non era una domanda, ma una constatazione. Non avrei comunque potuto rispondere, poiché ero impegnata a boccheggiare, a cercare il respiro, mozzato della sua stretta al collo.

Punture di spillo mi tempestavano il corpo, bagliori di luce rossa danzavano negli occhi, avevo la vescica gonfia e la paura acuiva quell’urgenza, temevo di lasciarmi scappare la pipì tra le gambe da un attimo all’altro.

– Bene. – Disse – Vediamo di che pasta sei fatta puttanella, quando non giochi con i ragazzetti della tua età. –

Mi colpì di manrovescio i seni, con una serie di sberle veloci e ripetute, strinsi i denti per non urlare, mi sfuggì un gemito strozzato. Prese i seni con entrambe le mani e me li strizzò con forza, poi pinzò i capezzoli e li tirò verso l’alto, torcendoli con esasperante lentezza.

Fui costretta a sollevarmi sulle punte dei piedi per non sentirmeli strappare. Il male era acuto, mi mordevo le labbra ed emettevo un debole guaito, la paura di urlare, facendolo incollerire, era più forte della sofferenza che mi martoriava i capezzoli.

Poi con una mano scese fra le cosce, che in quella posizione mi era impossibile serrare, mi stinse la vulva artigliandola tra le dita, provai una scossa calda al basso ventre, iniziai ad ansimare: oltre la sua sagoma, nello specchio della parete di fronte, il mio volto era trasfigurato in una smorfia di angoscia.

Pinzò le grandi labbra tra le dita: il succo che le aveva bagnate fino a poco prima, le rendeva scivolose, ma la sua presa era inesorabile, iniziò a farmi scorrere le valve vaginali su e giù, il mio clitoride, sollecitato e sodo come una nocciola, faceva capolino tra i lembi della pelle tesa.

Mi passò lascivamente la lingua sul collo, la saliva segnò una scia umida, il suo fiato caldo mi procurò un fremito lungo la colonna vertebrale, un riflesso di pelle d’oca corse lungo la pelle, ma questo non era un sintomo di paura.

– Petite salope, avec sa chatte dégoulinante. – (Piccola troia con la figa gocciolante) mi sussurrò con un ghigno divertito: era padrone assoluto della situazione e la cosa gli piaceva.

Incollò le labbra alle mie: birra amara e tabacco, il sapore della sua lingua. Morbida e mobile inseguì la mia, la risucchio tra le labbra: uno scambio concitato di carne e saliva. Baciava bene. Possedevamo entrambi labbra carnose, un contatto sensuale di mucose, su cedevoli cuscini di velluto. Ci mangiammo labbra e lingue, bagnandoci mento e guance di bave, con una veemenza vorace: bocche ingorde, che si contendevano i respiri.

Una mano passava da una tetta all’altra, plasmando e strizzando con foga, con l’altra, impresse un movimento rotatorio alla presa sulla vagina: le grandi labbra scivolavano come un cappuccio lubrificato sul clitoride rigonfio. La sensazione diveniva incontenibile: oscillava tra una punta dolorosa e un acme di piacere.

Non riuscivo a stare ferma, mi dibattevo muovendo il bacino, questo non faceva che aumentare l’effetto meccanico di quel massaggio: secrezioni mi colavano all’interno delle cosce. Lo detestavo per la violenza che mi faceva, ma non potevo fare a meno di eccitarmi e desiderare la rudezza avvolgente di quelle carezze.

– Piccola sporcacciona, hai la fica liquida. – replicò, nel suo italiano stentato, nel farlo aumentava il ritmo della manipolazione, pizzicando con vigore i capezzoli eretti.

Un lamento flebile, sfuggiva dalle mie labbra, ormai non distinguevo dove il dolore cedesse il passo a una sensazione carnale, di stordente abbandono, che mi intorpidiva la mente, lasciandomi priva di volontà fra quelle mani.

Subivo quelle carezze e la sua brutalità totalmene soggiogata, il timore per ciò che avrebbe potuto farmi arretrava, mentre cresceva la tentazione, ambigua e oscura,di lasciarmi precipitare in quella concupiscenza strisciante: desideravo continuasse a farmi cose sudicie, in quel modo ruvido.

– Ti piace che ti faccia del male, vero troietta? –

Bastardo! Distolsi lo sguardo, mi vergognavo che i miei occhi rivelassero la muta invocazione a non fermarsi, che mi saliva nella mente.

In quella sentimmo battere alla porta della stanza: lui si arrestò infastidito, urlò in malo modo di levarsi dai piedi all’incauta presenza di là dall’uscio. Nessuno osò replicare né più bussare da quel momento.

Portò la testa al mio seno e iniziò a leccare e mordere, la ventosa delle labbra risucchiava i capezzoli nella bocca, la saliva calda li rendeva lucidi e duri. Con le dita a paletta iniziò a colpirmi la vagina: colpi secchi e distanziati, ogni colpo mi faceva sobbalzare, le sberle al mio sesso fradicio risuonavano di un rumore liquido e osceno, il clitoride era turgido e dolente.

Mi sfuggì un urlo soffocato, lui prontamente mi sigillò le labbra con le sue, mi aggrappai a quel bacio con la frenesia di chi è sospeso su un precipizio.

Le sberle sul sesso avevano lasciato posto a una carezza portata con soave sapienza: sentivo le sue dita scivolare energiche nella carne cedevole. Si spingevano al fondo della vagina, per poi ritrarsi e subito tornare a sprofondare in quella calda vischiosità. Non controllavo le pulsazioni del mio sesso, colavo come miele fuso, la mia gola mugolava: volevo il suo sesso dentro me.

– Fottimi…ti prego!! – invocai con un singulto. Mi fissò con un sorriso distante e beffardo.

– Non ancora, petite salope.( piccola troia ) Tempo al tempo. –

Mi fece sedere sulla tazza del water: mi sollevò le gambe e piegò le mie ginocchia contro le tette, stavo in bilico sulla tavoletta, scosciata e aperta, con la fica e l’ano protese in sù.

Si inginocchiò e tuffò la bocca nella vagina liquefatta: la muoveva famelica, divorandomi le grandi labbra, succhiando, leccando, mordendo la carne viva e il clitoride esacerbato. Sbavava colmandola di saliva, impastava tutto con una lingua instancabile, mescolando in un’orgia di fluidi e mucose vermiglie la sua libidine e la mia voglia devastante.

– Spaccami! Fammi maleee! Fammi godere ti pregooo… –

Non avevo più ritegno e lo invocavo in un delirio singhiozzante.

Mi immerse quattro dita nel sesso, iniziò a sprofondarle fino alle nocche, scivolavano come un cucchiaio in una scodella di gelatina, ogni affondo mi toglieva il fiato.

Mi aveva dilata oscenamente, temetti volesse spingermi dentro il pugno fino al polso, poi portò le dita alla mia bocca e me le fece leccare, le inserì fino al fondo, ebbi un conato di vomito: le ritirò filamentose di saliva. Così intrise le condusse in basso a forzarmi l’ano. Si fece strada nel mio sfintere con una penetrazione lenta, sentì tre dita dischiudermi e poi slabbrarmi la frastagliatura della rosetta anale. Ero morbida e bagnata come un mastice: furono inghiottite con facillità dal mio budello, iniziò a muoverle dentro. Sentivo la vescica prossima a esplodere.

Mentre dilatava l’ano, portava ampie leccate alla fica, alternando risucchi e colpi di lingua al mio grilletto, era un godimento incontenibile: fremiti di piacere passavano dall’ano alla vagina, non riuscì a trattenermi e squirtai ciprigno, unito a uno schizzo caldo di orina, nella sua bocca.

Alzò il volto dal suo lavoro di lingua, non pareva arrabbiato, disse solo:

– Guai a te se ti scappa un’altra goccia, puttanella! La farai quando decido io. –

Stavo malissimo, ero prossima al pianto, due pulsioni fisiologiche mi opprimevano estenuanti: dovevo assolutamente liberare la vescica e godere un orgasmo, altrimenti sarei impazzita.

Ma lui non aveva fretta: si sollevò e iniziò, con calma, a sbottonare i bottoni metallici dei vecchi Levi’s, guardai impressionata la dimensione del suo membro, sporgere eretto, oltre il bordo degli slip.

Mi osservava dall’alto con l’aria soddisfatta di un lavoro ben fatto che si apprestava a terminare. Mi sollevò dal water e con un gesto brusco mi fecce voltare faccia al muro, le gambe divaricate con la ceramica della tazza tra di esse. Le piastrelle, verdino pallido, riflettevano lucide la mia immagine stravolta, la luce algida del neon segnava ombre nette sui nostri corpi.

Mi poggiò una mano sulle reni, premette verso il basso per farmi inarcare la schiena e portare le natiche all’infuori, con l’altra mano iniziò ad assestarmi sculacciate sonore e dolorose.

– Piccola puttana, sei piena di voglia vero? –

– Sii! Infilami il cazzo, sbattimi la fica! Ti prego, non resisto più… –

Il suo respiro alle mie spalle si era fatto più pesante, sentì un filo della sua saliva calarmi nel solco tra le natiche, il suo pollice spalmò quel liquido sulla soglia dell’ano. Sudavo, avevo la pelle coperta da un velo umido, l’aria del condizionatore era gelida a contatto della mia epidermide, attendevo col respiro sospeso che mi penetrasse, la sua preparazione era snervante.

Poggiò la grossa cappella all’entrata del mio sfintere, poi lo sentì avanzare dentro per un breve tratto, ansimavo lascivamente, il mio buchetto aveva contrazioni come di labbra boccheggianti. Da dietro mi prese le tette e mi tirò a sé, diede un colpo vigoroso e affondò nel mio intestino.

Lanciai un urlo, ma non fu per il dolore, fu un grido liberatorio: la fine di una tensione non più sostenibile. Finalmente mi sentivo riempire della sua carne che scavava in me imperiosa e possente. Muoveva il bacino con sapienza, mi stava volutamente slabbrando l’ano con quella verga dura e grossa, farlo gli piaceva un mondo, lo percepivo dal modo che aveva di fottermi: era lento nel movimento come in una danza balinese.

La saliva avevano lubrificato la penetrazione e nel suo pompare ritmico si generavano rumori sconci ed eccitanti. Mi sentivo molto porca, la situazione era quanto di più peverso potessi immaginare in qualsiasi fantasia erotica: il capo di una banda di bikers mi stava dilatando l’ano, nel cesso di un locale sul lungomare di Forte dei Marmi, pareva davvero incredibile.

Aumentò la frequenza e la forza dei colpi: mi sentivo sfondare il budello. La vescica non resse a quegli assalti, a ogni colpo uno spruzzo di pipì gocciolavo nella tazza che avevo tra le gambe, come un rubinetto dalla guarnizione difettosa-

Lo sentì ridere di gusto – Ahaha! Troietta pisciona. Non ce la facevi proprio più! –

Si era fermato all’interno del mio intestino, i suoi testicoli gonfi premevano le mie natiche, con un braccio mi avvinghiava al suo bacino, portò una mano davanti, fra le labbra della mia fica.

– Dai porcella, allora piscia, falla tutta ora! –

Con le labbra della vulva tra le sue dita, mi abbandonai al flusso, iniziai a farla: finalmente mi svuotavo, era tale il sollievo che l’intera anima pareva sfuggirmi attraverso l’uretra.

La pipì, trattenuta così a lungo, usciva sotto pressione con un getto irregolare, quasi una doccia calda: le sue dita giocavano con lo spruzzo, un sentore di orina e sesso riempiva l’ambiente. Quando terminai ero scossa e tremante come dopo un’orgasmo, lui sorridente mi porse le dita bagnate dai miei liquidi alle labbra.

– Lecca, piccola cagna, lecca il tuo sapore! –

Leccai il salato di quelle dita che erano state nella mia fica, nel mio culo e ora zuppe della mia pipì nella mia bocca. Ero una cagna obbediente nelle sue mani, volevo solo che riprendesse a sbattermi il culo, che mi facesse godere, che mi riempisse di seme caldo. Ma non lo fece.

Sfilò il cazzo da mio sfintere, mi fecce voltare e con un cenno mi intimò di prenderlo in bocca.

– Leccalo! Lecca il cazzo che ti sfondato il culo puttanella. Puliscilo, succhialo per bene petite salope. –

Lo accolsi tutto in bocca, lui me e lo spinse in gola fino all’attacco col pube, mi sentivo soffocare, conati di bave mi colavano dalla bocca inzuppandogli il sesso e i testicoli. Lo fece entrare e uscire più volte, stavo in ginocchio ai suoi piedi, mi scopava la bocca e io succhiavo con le guance deformate dal movimento. Annaspavo per la difficoltà del respiro, lacrimavo come in un pianto, la saliva colava in rivoli sul collo e sul seno.

Speravo che riprendesse a scoparmi. Ma rimase una speranza disillusa: mi fu chiaro che non aveva intenzione di venire, né di portarmi all’orgasmo. A quel punto ritirò il cazzo dalla mia bocca e senza aggiungere una sillaba lo ripose negli slip, poi riabbottonò i jeans.

– Per oggi finiamo qui. Si è fatto è tardi. Stammi bene petite salope. –

– Queste le prendo io. – aggiunse, staccando dal gancio gli slip del mio costume. Li infilò come un fazzoletto nella tasca posteriore dei jeans. Mi rifilòuna sberla sprezzante sulle tette, girò i tacchi degli stivali e abbandonò il bagno.

Restai di sasso, incredula per la sorpresa, ancora sconvolta e confusa per quel sesso brutalmente subito. Non potevo credere che mi lasciasse così, tremante di desiderio insoddisfatto, gettata come uno strofinaccio usato, con cui si era nettato gli stivali in pelle di serpente da cowboy.

La porta che si richiudeva alle sue spalle, segnava un brusco ritorno alla disarmante realtà.

Una rabbia feroce mi oscurò la vista con un velo rosso di frustrazione. Aveva negato il mio e il suo piacere, un segno di disprezzo, un’esibizione di forza per affermare il potere. Uno sciame impazzito di vespe si dibatteva fra le pareti del mio cervello.

Uscì dal bagno, attraversai il dehors del locale e fui sul corso con indosso solo il prendisole, feci in tempo a vederli mentre, montando in sella alle moto,ripartivano. Si voltò a mostrarmi il suo sorriso cattivo, poi diede gas all’acceleratore e si avviò seguito dal rombo dei motori della gang.

Ero umiliata e furente, quel bastardo motorizzato mi aveva praticamente stuprata, usata come una puttana e mi aveva inflitto l’oltraggio di non farmi godere. Ma chi mai credeva di essere quel selvaggio dal grosso cazzo?

Mi aveva presa alla sprovvista, terrorizzata con quei modi da teppista e si era anche tenuto le mie mutandine per trofeo, lo stronzo. Se ci fossimo rincontrati, giurai che la musica sarebbe cambiata e sarei stata io a suonarla.

Fuori la strada era deserta: il sole del primo pomeriggio rendeva bollente l’asfalto della litoranea, gabbiani in alto nel cielo, solcavano l’aria lanciando richiami rauchi……….per commenti……………… ciccina6661@gmail.com

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